Carissimo
Padre,
volendo comunicare a molti amici una riflessione sull'urgenza di un
ritorno della Chiesa all'Apocalisse e sul bisogno della guida dei
Pastori, mi sono permesso di dare a tale comunicazione la forma di
una lettera indirizzata a lei.
Diversi amici cristiani si sono sentiti confortati da quanto lei ha
detto in occasione del G8. mi sono rallegrato con loro, pur non
essendo in grado di condividere in pieno le loro valutazioni per la
mia scarsa conoscenza dei fatti.
La situazione in cui stiamo vivendo ha resa più forte in me
la convinzione, già in altre occasioni manifestata, che la
Chiesa è chiamata a convertirsi con un serio ritorno
all'Apocalisse.
L'Apocalisse di Giovanni, scritto conclusivo di tutto il primo e il
nuovo testamento, è il libro della speranza e della gioia in
tempo di tribolazione. Eppure i cristiani hanno in genere accettato
di usare il termine "Apocalisse" per significare solo la
catastrofe. Tale distorsione è per la Chiesa una perdita
gravissima.
L'impegno dei cristiani nel mondo viene per lo più
qualificato per il riferimento ai valori e ai principi generali del
Vangelo, lasciando in secondo piano la morte, la resurrezione e
l'ascensione al cielo del Signore. Questa riduzione del Vangelo a
codice morale è di una gravità estrema ed è
dilagante, specialmente quando si tratta della dimensione politica
dell'impegno della Chiesa nel mondo. Per questo è urgente il
ritorno all'Apocalisse che è appunto la rivelazione del
senso della storia a partire dall'agnello immolato che solo apre il
libro sigillato che sta nella mano di Dio.
Recentemente, con alcuni amici, abbiamo meditato un testo del Padre
Ugo Vanni "Divenire nello Spirito - L'Apocalisse guida di
spiritualit, Edizioni AdP 2000", di cui riporto alcuni passi.
"Uno sguardo all'esegesi dell'Apocalisse o, pi genericamente, al posto che questo libro ha avuto nella vita e vitalit della Chiesa, ci mostra come esso abbia sempre nutrito in prospettiva spirituale tutte le generazioni cristiane, a cominciare dalla prima." (P. 21).
"Per comprendere la spiritualità tipica dell'Apocalisse, dobbiamo innanzitutto considerare il suo carattere di esperienza. L'Apocalisse non è un libro fatto, ma un libro da fare". (p. 21)
"Si tratta di sottomettersi al giudizio di Cristo risorto, creduto e sentito presente in mezzo alla sua Chiesa, per una purificazione completa, una vera e propria trafila penitenziale". (p. 21)
"La Chiesa è invitata, tramite Giovanni, a salire in cielo e
a guardare, dal punto di vista della trascendenza di Dio e di
Cristo, ciò che deve accadere.
Si tratta dei fatti della storia umana, non previsti oziosamente
sulla linea della loro attuazione cronologica, ma letti in
profondità in quel filo religioso che li unisce e che
costituisce la logica di Dio, in base alla quale essi si
devono verificare.
Si tratta, in altre parole, di un impegno di discernimento, di
lettura dei segni dei tempi.
L'autore dell'Apocalisse prende questo impegno molto sul serio. Il
primo passo per una lettura dei segni dei tempi in
profondità è un risveglio del senso di Dio". (p.
23)
"Dio, seduto sul
trono, domina tutto. I fatti della storia sono dominati
attivamente da lui.
C'è un rapporto tra lui e la storia, un rapporto diretto,
che non è intaccato, né condizionato da nessun
elemento.
Per poter leggere la storia, occorre risvegliare, riscoprire questa
radicalità assoluta di Dio, al di sopra di qualunque
schema.
Ma i fatti della storia, proprio come tali, sconcertano. Il
rapporto che essi hanno con Dio non solo non appare a prima vista,
ma sfugge completamente, fino a diventare di segno negativo: alcuni
eventi della storia, nella loro drammaticità e nell'assurdo
del male che vi si riscontra, sembrano escludere addirittura una
presenza di Dio. In realtà non è così. Tutti i
fatti della storia, tutte le persone che ne sono protagoniste, in
un parola tutto ciò che è reale dipende direttamente
da Dio ed è determinato da lui. L'autore lo esplicita
mediante la presentazione del libro sigillato con sette sigilli."
(p.24).
"Una serie di paradigmi vengono proposti per potere, alla luce di
Cristo, interpretare in profondità la propria storia.
Si tratterà di guardare con realismo ai fatti contemporanei,
di cogliere tutti gli aspetti, anche i più sconcertanti; di
avere poi la fede ardita di dire a se stessi che tutti questi fatti
sono determinati da Dio, previsti e valutati da lui, ma che sono
intelligibili soltanto alla luce di Cristo, rapportandoci a
lui.
Il rapporto a Cristo sarà specificato dai singoli schemi
interpretativi e dovrà essere focalizzato situazione per
situazione, potremmo dire addirittura caso per caso, persona per
persona.
In questa ottica di una storia da interpretare riferendola a Cristo
la comunità ecclesiale passa in rivista tutte le
realtà che trova nella sua situazione. Si occuperà,
ad esempio, dello Stato in cui si trova; farà attenzione
alla propaganda che dà vita ad esso; farà attenzione
anche a quei centri di potere - l'Apocalisse li chiama "re della
terra" -, che al di dentro di una organizzazione statale
condizionano in maniera spesso determinante la vita
dell'uomo.
Un mondo organizzato soltanto a livello terrestre, chiuso a Dio,
diventa l'impressionante città consumistica, la "grande
prostituta", Babilonia, che proprio per questa sua pretesa di
costruire un sistema di vita orizzontale e autosufficiente crolla
poi dal dentro. Questo sistema terrestre di vita non coesiste
pacificamente con il sistema di apertura a Dio, di sintonia con lui
e con Cristo, che è proprio dei cristiani.
Si ha così una tensione permanente, che facilmente - anche
se non sempre inevitabilmente e nella stessa misura - sfocia nella
violenza della persecuzione. I cristiani sono impegnati con Cristo
a superare questo sistema terrestre antitetico, che essi possono
trovare nella loro storia contemporanea". (p. 24-25).
"Una volta effettuata un'accurata lettura di segni dei tempi, la
comunità ecclesiale dovrà stabilire quali decisioni e
quali iniziative la situazione della storia che essa sta vivendo
richiede da lui.
Queste decisioni ovviamente non sono specificate dall'autore
dell'Apocalisse: dipendono dall'attività spirituale di ogni
assemblea liturgica, come questa si realizza nelle diverse
circostanze spazio-temporali". (p. 26).
"In conclusione, l'apocalittica ci parla di Dio, dei fatti della
storia, dei giudizi di Dio, del male che egli scaccia e che
sarà sconfitto, del bene che trova faticosamente la sua
realizzazione storica, sempre insidiata da forze sociologicamente
superiori.
L'uomo apocalittico sa guardare in faccia a tutte queste
realtà, mantenendo realisticamente la sua presenza, il suo
affidamento totale a Dio. Tutto ciò trova nell'Apocalisse
un'organizzazione sistematica, in cui tutte le varie componenti
hanno un loro posto nel quadro d'insieme.
E' così che l'Apocalisse diventa una spiritualità
globale: la spiritualità tipica dell'assemblea, che, in
contatto prolungato con Cristo, si lascia purificare da lui, legge
la propria storia, collabora attivamente con lui alla vittoria sul
male, guarda il presente e il futuro con la speranza solida di chi
sa che nonostante tutto il bene trionferà davvero.
Questo tipo di spiritualità, sempre presente come esigenza e
come realizzazione almeno parziale della vita della Chiesa, ne
costituisce una costante irrinunciabile. Senza di essa la Chiesa
correrebbe il rischio del ghetto, il rischio di chiudersi in una
torre d'avorio, ignorando al realtà che la circonda e di cui
essa fa parte." (p. 27-28).
"Il campo della speranza si estende e si precisa man mano che si
sviluppa la seconda parte dell'Apocalisse. L'assemblea liturgica
applicando con duttilità intelligente, a seconda delle
circostanze storiche in cui vive, i molteplici schemi di
interpretazione che l'Autore le propone, approfondisce la
rilevazione del male.
Constata così come le forze negative tendono ad
agglutinarsi, costituendo un sistema di vita organizzata: dei
centri di potere ("i re della terra"); uno Stato che si fa adorare,
e una pressione psicologica di propaganda che lo tiene in vita (la
"bestia" che viene dal mare e la bestia "che viene dalla terra"). I
"re della terra" e le due "bestie" danno luogo ad un sistema di
vita consumistico, autosufficiente, chiuso alla trascendenza,
simboleggiato dalla figura impressionante di Babilonia. E' il
sistema terrestre, che non solo è eterogeneo rispetto ai
cristiani - essi costituiscono, possiamo dire, il sistema di
Cristo, che l'Autore simbolizza nella figura di Gerusalemme -, ma
diventa intollerante fino all'aggressione.
Si scatena così un rapporto conflittuale permanente, che
nello sviluppo della storia si attuerà con vicende alterne.
Il sistema terrestre farà sentire la sua pressione fino a
opprimere e conculcare quello cristiano. Gerusalemme, simbolo
appunto del sistema cristiano, potrà essere calpestata dai
pagani, profanata e distrutta. Ai cristiani rimarrà solo la
capacità di pregare. Essi potranno anche essere chiamati a
donare la vita: nella prospettiva dell'Apocalisse ogni cristiano
è potenzialmente un martire.
Ma non esiste un martirio senza la speranza. Accanto al quadro del
sistema terrestre, che viene delineato man mano nei dettagli, il
gruppo di ascolto vede precisate anche le implicazioni della sua
partecipazione alla vitalità di Cristo risorto. Di fronte
alla "grande tribolazione" - quella determinata dalla pressione
schiacciante del sistema terrestre -, il gruppo saprà di
appartenere a coloro che "resero bianche le loro vesti nel sangue
dell'Agnello" (7,14).
A contatto con Cristo-Agnello, con la sua sacramentalità
realizzata nell'assemblea liturgica i cristiani potranno improntare
la loro situazione morale alla risurrezione di Cristo. Sarà
questa energia di risurrezione derivante dal "sangue dell'Agnello"
che permetterà loro di vincere il demoniaco scatenato sulla
terra:
"Ed essi vinsero in forza del sangue dell'Agnello
e in forza della parola della loro testimonianza,
e non amarono la loro vita fino alla morte" (Ap 12,11) (p.
143-144).
Alla luce dell'Apocalisse la presa di coscienza delle ingiustizie e delle violenze in cui viviamo, come vittime e come responsabili, mette in evidenza la necessit di una conversione personale ed ecclesiale, che appaiono tuttavia impossibili alle sole forze umane.
Ciò a cui siamo chiamati all'inizio del terzo millennio appare chiaramente: capire i grandi eventi, che con molta approssimazione vengono chiamati globalizzazione, secondo i criteri di lettura proposti dall'Apocalisse e soprattutto scegliere di vivere partecipando alla vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte, ritrovando la spiritualità tradizionale del battesimo e della eucaristia come partecipazione alla morte e risurrezione del figlio di Dio e di Maria.
Segnali di risveglio mentre il sonno
continua
In occasione del G8 a Genova, si è risvegliata la coscienza
di non pochi cristiani circa alcuni aspetti del male,
dell'ingiustizia e della violenza, che ci sono nel mondo.
Si è deplorata la violenza di alcuni contestatori e di
alcune forze dell'ordine.
Si sono denunciate le grandi ingiustizie presenti nel mondo ed
alcune gravissime conseguenze della globalizzazione.
Si è reso tuttavia manifesto un grave limite nella coscienza
di molti cristiani: la scarsa consapevolezza del male più
diffuso di cui sono vittime e responsabili nella società del
benessere.
"Ma l'uomo nella
prosperità non comprende
è come gli animali che periscono". (Sal 49).
Ingiustizie e
violenze sono diffuse proprio in quel benessere di cui tanti godono
e che molti propongono da estendere un po’ alla volta a tutti
i popoli della terra.
Quale benessere?
E' il benessere che mette in primo piano i consumi e porta al
consumismo. E' deplorato come il guasto pi grave della nostra
societ, eppure si propone la crescita dei consumi come condizione
necessarissima per rimanere fra i primi.
E' il benessere ricercato soprattutto nei beni materiali e nel
potere, in tutte le forme del potere: politico, economico,
culturale e religioso, inteso come dominio sugli altri e sulla
natura. E' il potere desiderato come mezzo di dominio ma anche per
essere dominati, inquadrati e deresponsabilizzati: idolatria che
nasce nel profondo del cuore umano.
Il sonno.
Manca ancora fra i cristiani la coscienza viva di quanto il sistema
terrestre si opponga al Regno di Dio. Mentre per esempio ci si
domanda e si discute con impegno in che modo e con quale stile era
bene andare a Genova nei giorni del G8, non ci si accorge che tutta
la nostra vita va convertita, a cominciare dal nostro modo di
guardare agli eventi e alla condizione di tutte le donne e gli
uomini e al nostro modo di cercare il benessere per noi e per gli
altri.
Viviamo in un sistema di potere che al vertice e alla base ricorre
ad ogni mezzo, ad ogni arma di difesa e di offesa.
Ci perdiamo alla ricerca di alternative cristiane "di" potere,
trascurando la fondamentale alternativa "al" potere: La kenosis del
Figlio di Dio.
Che fare?
Man mano che ci si rende conto di essere immersi e intimamente
attraversati dalle acque del male, ci si domanda: che fare?
Si diffonde e si approfondisce la convinzione che non ci sia nulla
da fare. Così tanti giovani diventano "assenti" da quel che
succede nel mondo e tante persone mature sono deluse e sfiduciate.
Non pochi cristiani poi invocano una mediazione culturale che sia
sconto alla radicalità del Vangelo.
Avviene così che non ci si accorga che c'è molto anzi
tutto da fare: cambiare la propria vita, pur rimanendo in questo
mondo, stare nel sistema dominante resistendo alla sua forza di
omologazione.
Conversione.
"Convertitevi e credete al Vangelo". Siamo chiamati alla
conversione dei nostri consumi e dei nostri desideri di consumare.
Quale percentuale dei discorsi di tanti buoni cristiani verte sul
mangiare, sul divertirsi, sul divagarsi nei modi pi diversi? Siamo
chiamati a convertirci nei rapporti con i potenti e con quelli che
non contano o sono emarginati, nei rapporti con i media, nelle
conversazioni scarse di ascolto e di comunicazione autentica. Siamo
chiamati a convertirci ai piccoli e ai poveri, e a noi stessi,
rientrando in noi, per riconoscere i limiti e al tempo stesso
l'abisso del mistero, liberandoci quanto possibile da esaltazioni e
depressioni. e tutto questo nella quotidianit e non solo nelle
affermazioni di grandi scelte che restano nella teoria.
La
coscienza politica
La conversione più urgente nel mondo globalizzato è
l'impegno per la crescita della coscienza politica, intesa come
responsabilità verso tutti e verso il tutto.
Il passaggio dalla conversione alla coscienza politica, che
può apparire molto strano, è a mio avviso
decisivo.
Non è una caduta banale di un discorso spirituale, non
è un abile raggiro per ritrovare una qualche egemonia, non
è, per me personalmente, un tentativo di rilanciare un
appello inascoltato; nel '75 scrivevo, infatti, "La coscienza
politica".
Sono profondamente persuaso che tutta la Bibbia ci chiama a una
conversione del cuore che è assunzione di
responsabilità politica: dalla città di Caino alla
Gerusalemme celeste. Sono altresì convinto che il vero agire
politico nasce dalla conversione del cuore.
Oggi sento qualcuno che parla di primato della cultura politica e
quindi della formazione della lotta di potere. E' un discorso
promettente ma temo che difficilmente si fondi su un concetto
profondo di cultura che implica la conversione del cuore:
dall'egoismo all'amore verso tutti e verso il tutto.
La
profezia
Come possibile la conversione personale ed ecclesiale?
Ricordando la vocazione profetica di tutto il popolo di Dio,
secondo l'insegnamento del Concilio Vaticano II, ascoltiamo Dio che
chiama Geremia: "Ecco, ti metto le mie parole sulla bocca.
Ecco, oggi ti costituisco
sopra i popoli e sopra i regni
per sradicare e demolire,
per distruggere ed abbattere, per edificare e piantare" (Ger 1,
9-10).
Il lavoro da fare è immenso sia che pensiamo al nostro cuore
sia che pensiamo a tutte le costruzione ecclesiali.
Nel nostro cuore quanti sentimenti e pensieri contrari al Vangelo e
quanto terreno ancora incolto. Occorre una radicale purificazione
che non sembra alla nostra portata: la intravediamo come possibile
solo a seguito di una crescita nella fede, di una esperienza viva
del Mistero. L'ascetica dopo la mistica.
Nelle costruzioni ecclesiali, o forse meglio ecclesiastiche, sul
piano delle elaborazioni culturali come su quello delle iniziative
apostoliche, caritative, pastorali, sociali e politiche, accanto a
meravigliose manifestazioni dello Spirito, quante realizzazioni
solamente umane, affermazioni di se stessi e del proprio prestigio
o della Chiesa come potenza di questo mondo, in concorrenza con le
altre forze in campo.
Quanto c'è da sradicare e demolire, distruggere ed
abbattere, e quanto da edificare e piantare sempre che si voglia
fare quello di cui c'è più bisogno e che, con la
grazia di Dio, siamo in grado di fare.
Qualche
spunto.
Ecco qualche spunto circa il "da fare", senza nemmeno il tentativo
di dire cosa viene prima e cosa viene dopo.
Liberarsi dal protagonismo che nei modi più diversi ostacola
la fede nel primato di Dio in tutte le cose. Il protagonismo oggi
emergente nella Chiesa sembra essere quello di sentirsi gestori
della salvezza e managers accreditati per la costruzione di un
benessere terreno. Torniamo all'esortazione di Pietro:
"Stringendovi a Cristo, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma
scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come
pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un
sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio,
per mezzo di Gesù Cristo". (1 Pt 2,4-5).
Lasciarsi coinvolgere da tutti i guai dell'umanità,
rinunciando a tutti i recinti protettivi, ai mondi cattolici
(orribile espressione) in cui vivere tranquillamente, moltiplicando
opere buone che tuttavia non rispondono tanto al grido dei poveri e
dei sofferenti quanto all'esigenza di sentirsi buoni.
Pensarsi e muoversi come un unico popolo di Dio di cui non
conosciamo i confini, pur riconoscendo la diversità dei
carismi, liberandoci quanto è possibile dalla
soggettività individualista, di gruppo, di appartenenza e di
schieramento. Aiutarsi a vicenda con la comunicazione spirituale
del discernimento evangelico della dimensione sociale della nostra
esistenza.
Ripensare l'uso del possessivo: la mia casa, la mia chiesa, i miei
fedeli, i miei giovani… fino alla mia religiosità e
alla mia fede, che è dono e opera dello Spirito Santo in
me.
Accettare dure esperienze di solitudine, di incomprensione e di
marginalizzazione. Come la povertà tali esperienze vanno
combattute e ricercate al tempo stesso.
Sopportare pazientemente i limiti propri e altrui, liberandosi da
illusioni di facili successi mondani.
Non allontanarsi mai dal popolo per intraprendere itinerari
riservati alle élites.
Riportare al centro della ricerca spirituale temi che rischiano di
cadere in disuso nella pastorale: ricchezza e povertà, anche
nella scelta dei mezzi, potere e non potere, successo e
persecuzione, eccetera, per esporre tutto alla Parola, per
riscoprire fino a che punto i nostri cuori sono sedotti e le nostre
costruzioni, culturali ed operative, albergano cuori
idolatri.
Fare
l'Apocalisse.
L'Apocalisse non è un libro fatto ma da fare. Questa
affermazione del padre Ugo Vanni mi ha aiutato a prendere coscienza
che quel che da tanto tempo cercavo di fare e di proporre era
proprio l'Apocalisse. Alcuni amici che consideravano questo libro
"inaccostabile" hanno scoperto che in esso c'era ciò che
più desideravano per sé e per la Chiesa.
Fare l'Apocalisse è una proposta e una richiesta urgente
rivolta a tutta la Chiesa popolo di Dio.
Convertirsi ed ascoltare le parole profetiche di questo libro
è impossibile agli uomini da soli ma è possibile con
la grazia di Dio.
Fare l'Apocalisse è urgente anche se occorre accettare tempi
lunghi, come è importante imboccare la strada giusta anche
quando la meta è molto lontana.
Nel mondo sembra trionfare la violenza contro le persone, i popoli
e le culture, e per tante persone mancano il pane e la
libertà. Fare l'Apocalisse è la vera resistenza e la
partecipazione alla vittoria di Gesù Cristo, è
assunzione di responsabilità verso tutti i sofferenti,
attesa operante di cieli e terre nuove.1 Occorre
mettersi in movimento come popolo di Dio, debolissimo fra le
potenze di questo mondo ma forte per l'unione nello Spirito inviato
dal Padre e dal Figlio Ges Cristo.
Comunichiamo quindi le nostre esperienze, specialmente quelle di
chi già fa o sente il bisogno di fare l'Apocalisse.
Cerchiamo la guida di pastori che si preoccupino di essere
"Ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio" (1 Cor
4,1). Torniamo a quel che dice la Dei Verbum al n. 8 circa la
crescita della tradizione apostolica per l'apporto del popolo di
Dio e dei suoi pastori.
"Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella
Chiesa con l'assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la
comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia
con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in
cuor loro (cfr. Lc. 2, 19 e 51), sia con l'esperienza data da una
pi profonda intelligenza delle cose spirituali, sia per la
predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno
ricevuto un carisma sicuro di verit. La Chiesa cio, nel corso dei
secoli, tende incessantemente alla pienezza della verit divina,
finch in essa vengano a compimento le parole di Dio".
Mi guardo bene da qualunque giudizio sulle intenzioni dei nostri
pastori e non ho nessuna difficolt a considerarli superiori a me
stesso secondo l'esortazione di Paolo ai Filippesi (cfr. Fil
2,1.4). Di fatto molti vescovi sono considerati, nella Chiesa e al
di fuori di essa, come centri di potere, uomini da cui ci si pu
aspettare molto su un piano temporale che prescinda dal mistero di
Dio. La loro guida non di rado apprezzata come espressione di
capacit organizzative e manageriali.
Mi sembra che ai nostri giorni guardando ai problemi locali
inquadrati nei grandi cambiamenti su scala planetaria, sia urgente
la funzione di ministri di Cristo e di interpreti degli eventi
personali e sociali alla luce del Mistero Pasquale. Servono, in una
parola, vescovi che guidino il popolo di Dio nel fare l'Apocalisse,
attenti a raccogliere tutte le esperienze spirituali in ordine a un
vero discernimento evangelico di cui il primo soggetto è la
Chiesa popolo di Dio.
Non mancano persone e comunità impegnate in una seria
ricerca spirituale che scoraggiate ritengono che non ci si possa
aspettare più di tanto da chi ha un grande potere in questo
mondo. Io continuo a sperare: "Sta in silenzio davanti al Signore e
spera in lui". (Salmo 37, 7). "In chi ha ricevuto un carisma sicuro
di verità".
Profondamente unito nel Mistero Pasquale, suo
Pio Parisi s.j.
Con un gruppo di amici cerchiamo da anni di discernere alla luce
del Mistero Pasquale quel che succede nel mondo. Quest'anno abbiamo
deciso di incontrarci ogni tre settimane per accostarci seriamente
all'Apocalisse tenendo presente i grandi cambiamenti che sempre
più spesso vengono indicati con il termine
"globalizzazione". Chi vuole in qualche modo "comunicare" in questa
ricerca ce lo faccia sapere; ne saremmo molto lieti.
1 E' la vera laicit proposta in un libro recentemente ripubblicato dalla casa editrice Rubbettino: M. Castelli, S. Corradino, P. Parisi, P. Stancari, Dialoghi sulla laicità.