Carissimo Benedetto,
sento di dover comunicare qualcosa che mi sembra di aver capito di
quel che ci accade. Cerco di farlo “coram Domino” e per
questo mi aiuta scrivere a te. Chi ti conosce intuisce facilmente
il senso di questa scelta e a chi non ti conosce sarebbe lungo
spiegarlo. Entro subito con gran confidenza nel cuore della
comunicazione.
“Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti
sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza
che è in voi” (1 Pt 3,15).
Un filo d’acqua viva scorre profondo in me sotto innumerevoli
detriti che ogni giorno lo ricoprono e gli rendono il cammino
tortuoso e difficile (cfr. Gv 4,14).
Questo filo d’acqua viva sono le virtù teologali, e
ciò che lo Spirito di Dio opera in me (cfr. Rom 5,5).
I detriti (“frammenti di materiale inutilizzabile”
– Devoto Oli) è quel che ogni giorno rimane delle
iniziative che partono da me: da quelle con cui cerco una
soddisfazione personale a quelle che prendo per il bene di altri,
come protagonista, dimenticando che “ogni buon regalo e ogni
dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre della
luce” (Gc 1,17).
Cerco di comunicare quel filo di acqua viva, la speranza che
è in me, che si fonda sulla fede (cfr. Eb 11,1) e che
sostiene la carità.
Comunicare.
Sono sempre meno in grado di fare e di insegnare qualcosa di
buono. Vedo ogni giorno attorno a me persone che operano in modo
eccellente e non posso fare a meno di confrontarmi e misurare la
mia inettitudine; qualche volta penso che anche io avrei potuto
fare meglio nell’azione e nello studio. Poi risuona in me il
salmo: “Jacta cogitatum tuum in Dominum, ipse te
enutriet” (Sl 55-54,23).
Pur nella consapevolezza della mia insignificanza trovo in me
qualcosa che devo comunicare. Non si tratta di un bene che posseggo
e che posso donare ad altri. È una realtà che mi
è chiara ma che non saprei definire. Non è qualcosa,
sono io stesso. Non sono io ma è lo Spirito di Dio che fa
vivere in me Gesù Cristo (cfr. Gal 2,20).
Tento così una comunicazione spirituale (cfr. 1 Cor 2). Oso
sperare che lo Spirito comunichi qualcosa o meglio si comunichi e,
attraverso la mia inconsistenza, comunichi Colui “in quo
omnia consistunt” (Col 1,17). Oso sperare che accada quello
di cui parla la Dei Verbum al numero 8: “la Tradizione di
origine apostolica progredisce nella Chiesa con l’assistenza
dello Spirito Santo”.
Mi propongo di comunicare nel mondo di oggi in cui è in atto
una trasformazione della comunicazione: grandiosa, tremenda, aperta
agli esiti più diversi, di cui, nella mia limitatissima
esperienza, scorgo solo alcuni aspetti, per esempio i guasti
grandissimi che la televisione provoca nei più
giovani.
Penso alla pregnanza di significato che il termine
“conoscere” ha nella Bibbia e
all’ambiguità della conoscenza televisiva di cui pure
sento fare grandi elogi, anche da parte di cristiani, per la
quantità di informazioni che fornisce.
A settembre del 1992 nel XXXI incontro nazionale di studio delle
ACLI, ad Urbino dicevo agli amici: “Io cerco di annunciare il
Vangelo nella politica con una povertà di sapienza umana che
mi deriva dal fatto che da quasi cinquant’anni non ho fatto
altro che cercare di fare questo annuncio. Sono stato come un palo
che sorregge l’indicazione: Vangelo nella politica. Ho
cercato di indicare ad altri il cammino da fare, sono rimasto fermo
e mi sono invecchiato. Ho visto tanta gente guardare
l’indicazione e poi andare che a destra chi a sinistra, o
tornare indietro. Spero, con la grazia di Dio, di rimanere quel
palo fino alla fine” .
Un cartello non è la strada, non è una guida, ma
può essere utile e talvolta anche necessario.
Cerco di comunicare la speranza, quel filo di acqua viva che scorre in me sotto innumerevoli detriti.
È la speranza ultima.
Questa espressione può suonare molto male, come una
ultima illusione dopo la quale subentra la disperazione finale. Non
è ovviamente in questo senso che cerco di comunicare
l’ultima speranza.
L’ultima speranza viene in me – e non ne faccio certo
una norma – dopo una serie di speranze che sono venute meno.
Speravo di realizzare tante ricerche, di comunicare con tante
persone, di organizzare tante presenze e tante azioni, di cambiare
la realtà in tante direzioni. Ho accumulato così una
serie di insuccessi; ma la delusione è stata sempre arginata
da una nuova speranza. Ora vive in me una speranza ultima che
è maturata proprio nei precedenti fallimenti.
Questa speranza in realtà era già presente in tutte
quelle precedenti, come un germe che si conservava vivo e che
andava pian piano maturando, animando ogni inizio e confortando
ogni fine.
L’ultima speranza era anche la prima. L’ultima speranza
è anche il compimento di tutte le precedenti.
La speranza ultima è la più grande, la più
certa. La più solida, la più piena, la più
universale; salva tutti e tutto, nel tempo e nello spazio. È
una novità radicale che riassume tutto il passato.
L’ultima speranza è il compimento dell’esistenza
mia e di ogni persona umana, è il senso e la salvezza della
storia e della evoluzione cosmica.
L’ultima speranza è Dio, la comunione con Lui
nell’eternità e fin d’ora nel tempo. È la
presenza di Dio nel mondo, nei giorni di ognuno e negli anni della
storia. È il mistero del Verbo che si è fatto carne,
è il mistero pasquale, è il mistero della Chiesa,
è la Chiesa mistero (cfr. Lumen Gentium).
La speranza ultima che vorrei comunicare riguarda ognuno di noi nel
presente e nel futuro: “quel che deve presto accadere”
(Ap 1,1).
Sto vivendo un’esperienza che chiamerei mistica se questo termine non rinviasse a una santità da cui mi Sto vivendo sento lontanissimo. Ritengo tuttavia che questa esperienza venga dallo Spirito.
Due immagini mi
accompagnano nel tentativo di mettere a fuoco quel che cerco di
comunicare. La prima, la più ovvia, è quella delle
onde del mare che si susseguono ed erodono un castello di sabbia.
La seconda è quella della demolizione degli edifici che un
tempo si faceva con delle sfere pesantissime che li colpivano con
moto pendolare. Un po’ alla volta cadevano i pezzi, si
scuotevano le strutture, fino all’atterramento totale.
Sperimento qualcosa di simile nella mia vita interiore con il
susseguirsi di colpi causati dall’impatto con il male: il
male fisico mio o di qualche persona particolarmente cara, la
povertà, la solitudine, l’ingiustizia e la violenza
subita, la morte; poi nello spirito una gran varietà di
turbamenti e pochi istanti di quiete, di pace, di armonia; e
soprattutto i mali della società nella necessaria ma tanto
difficile convivenza umana.
Ogni colpo derivante dall’impatto con un male particolare,
piccolo o grande che sia, risveglia in me la compassione per tutti
quelli che subiscono gli stessi colpi e per tutto l’oceano
dei mali in cui si svolge la storia umana. Anche questo è un
fenomeno di globalizzazione?
E cosa crolla in me sotto questi colpi? La religiosità. E
cosa rimane? La fede. È un’esperienza forte e netta
che vivo nella Chiesa di cui mi sento sempre più figlio.
Cerco di spiegarmi, pur essendo profondamente ignorante di quello
che tanti studiosi hanno scritto in proposito e, quel che è
più grave, non conoscendo l’esperienza di tanti che
sono stati e sono incomparabilmente più avanti di me; in
primo luogo ci sei tu a cui mi rivolgo non per insegnare qualcosa,
ma per essere aiutato.
La religiosità che crolla sono tutte le mie costruzioni con
cui ho cercato di realizzarmi come buon cristiano, santo religioso
e sacerdote zelante. Penso in particolare ai miei studi, e non
tanto a quelli che ho fatto perché dovevo farli, quanto a
quelli che ho fatto con più passione, in particolare la
filosofia e la teologia. Non è che vada perdendo la stima
per questi campi della cultura e per chi li coltiva con grande
impegno e dedizione. Quel che entra sempre più in crisi
è lo studio che io ho fatto e la fatica che ho riposto nel
mio studio.
Nella mia vita, per una serie di circostanza a cui non provo
nemmeno ad accennare, ho avuto molto tempo per pensare e l’ho
fatto con gusto, fino a un certo tempo, e poi per una
necessità che partiva da dentro e cercava di rispondere a
ciò che c’era fuori. Mi domandavo sempre: di che cosa
c’è più bisogno che io possa fare. Ma anche
questo mio pensare e progettare, a cui sono seguite varie
iniziative non del tutto fallimentari, è oggi sottoposto a
una crisi continua.
La dimensione più profonda ed intima della mia vita che sta
crollando sotto i colpi del male di ogni genere è la
preghiera, il mio modo di pregare, i discorsi con cui cerco di
rivolgermi a Dio, di comprendere il Mistero della sua vita
trinitaria e il disegno con cui ci crea, ci salva e ci glorifica.
Alle mie meditazioni religiose subentrano sempre di più la
preghiera liturgica e l’ascolto silente della Parola.
Entrano in crisi il mio studio, il mio pensiero, le mie iniziative,
la mia preghiera ed è un vero crollo, non una sola modifica,
causato dai colpi sempre più forti e da me duramente
accusati. Ma non per questo smetto di studiare, di pensare, di
agire e soprattutto di pregare: non ci penso nemmeno lontanamente.
Sento solo che tutto si va trasformando in radice.
Ecco un esempio: ogni volta che cerco di raccogliermi
nell’adorazione di Dio mi sento coinvolto ed afferrato
interiormente da tutto il male, sofferenze e peccati, che è
nel mondo. Ciò accade in particolare nella celebrazione
dell’Eucarestia. In essa trovo tuttavia come proseguire:
“Obbedienti alla parola del Salvatore e formati al suo divino
insegnamento osiamo dire: Padre…”. Nonostante tutto il
male che c’è nel mondo osiamo chiamare
“Padre” colui che tutto crea, salva e glorifica.
Entra in crisi la religiosità e cosa rimane? La fede; la
fede in Dio, in Gesù Cristo; la fede della Chiesa.
Di una cosa sono certo: la fede è da me sempre più
“desiderata” “Signore, da chi andremo? Tu hai
parole di vita eterna.” (Gv 6,68).
Una fede purificata? Non oserei dirlo perché il mio cuore
è pieno di altre preoccupazioni, anche se l’attenzione
a Dio e l’orientamento a lui sono sempre più continui,
pur nel mare agitato.
Una fede più universale nel senso che il Dio che cerco
è quello di tutti gli uomini e di tutto il creato. Il Dio
mio, nostro, chiuso in recinti da noi costruiti mi appare sempre
più un assurdo.
Una fede come apertura al Mistero infinito e quindi come
adorazione, accettazione della sua volontà, abbandono alla
sua misericordia, non solo della mia vita e della mia morte, ma di
quella di tutta l’umanità.
Una fede come estrema passività che per questo sostiene
l’azione più audace.
Una fede mistica in un soggetto eccezionale… per la sua
miseria; questa mi sembra una novità, almeno nei confronti
di una certa dottrina spirituale. Ma non sono un competente.
A partire da questa mia esperienza spirituale, certamente molto
grezza e comunicata in modo approssimativo, oso proporre un
discernimento della storia che stiamo vivendo.
Ci stiamo avviando verso una crescita della fede, come esperienza del Mistero di Dio, che rinnova radicalmente il nostro modo di stare insieme al mondo nella convivenza umana così necessaria, così tragica e così piena di speranze.
Ci stiamo arrivando. Questa prima
persona plurale si riferisce alle Chiese, come comunità
visibili, ma anche ad altre religioni e a tutta
l’umanità. Il soggetto animato dallo Spirito di Dio
che fa la storia è costituito da tutte le donne e da tutti
gli uomini, nessuno escluso.
Verso una crescita della fede come esperienza del mistero di
Dio.
Chi, (credente o non credente), osserva e cerca di misurare il
fatto religioso, lo fa per lo più a prescindere dalla fede,
con l’occhio del sociologo o con l’animo di chi pensa
d’essere chiamato a gestire il Regno di Dio. In tal modo si
può cogliere appunto la religiosità e misurarla
quantitativamente e qualitativamente. C’è chi guarda
in una direzione e vede scomparire la religiosità, e chi
guarda in altra direzione, forse alla realtà a cui si sente
di appartenere, e vede la religiosità fiorente o addirittura
trionfante, nel tramonto di ideologie e di etiche.
Per cogliere la crescita della fede occorre partire dalla fede,
intesa ovviamente non come adesione a una dottrina, ma come
esperienza del mistero di Dio, vissuta nella ricerca in modo
riflesso o solo nelle aspirazioni profonde di un cuore
“contrito ed umiliato”.
Ci stiamo avviando verso una crescita della fede.
Mi sembra di cogliere un tempo di preparazione, un avvio, una
marcia di avvicinamento… alla montagna o meglio alla
città.
Questa preparazione alla fede si manifesta anche, e forse
soprattutto, proprio nella crisi della religiosità: in chi
esercita una critica delle forme religiose, serena o astiosa,
profonda o superficiale, comunque sofferta; in chi rimane fedele
alle pratiche religiose ma le sente inadeguate alle aspirazioni
più profonde di comunione con Dio e con
l’umanità umiliata.
E’ invece più difficile riconoscere una preparazione
alla fede in chi, nell’impegno culturale,
nell’evangelizzazione e nelle opere, è proteso verso
un successo mondano di marca ecclesiale, ovviamente inautentica, ma
autenticamente clericale.
In parole povere nella sofferenza e nell’umiliazione
dell’umanità lo Spirito di Dio opera l’apertura
alla Parola, verso la conoscenza del Figlio e del Padre. (Mt
11,25-27; Lc 10,21-22).
L’esperienza del Mistero di Dio rinnova radicalmente il
nostro modo di stare al mondo perché “il sole di
giustizia trasfigura ed accende l’universo in attesa”
(Inno di lodi). Non siamo tolti dal mondo, non si oscura il creato,
non siamo sospinti alla fuga. Tutto cambia profondamente di senso,
si arricchisce di significato. Ciò accade in particolare nei
confronti della convivenza umana.
Mentre si diffonde la consapevolezza che un certo tipo di
globalizzazione non può andare avanti così e la
ricerca di alternative si va attenuando, sembrando quasi che ci si
adatti all’ineluttabile, la speranza sussiste
nell’animo di molti ed è una preparazione alla fede,
alla riscoperta del Mistero di Dio. Si scorge quella
trasfigurazione del mondo che è il fondamento di una
convivenza veramente nuova, che, non senza una lunga conversione
della mente e del cuore, arriveremo a riconoscere come la nuova
politica.
Se questa è speranza del Regno di Dio, ricordiamoci che esso
viene senza attirare l’attenzione (Lc 17,20-21).
Stando a Roma , pur nella consapevolezza che essa non è in
assoluto il centro del mondo, non si può fare a meno di
riflettere sul senso dell’imminente Giubileo.
Anno di Grazia, per cui dobbiamo pregare e ringraziare. Anno di
tentazioni molto forti, di esaltazioni di forme religiose che
possono ostacolare la crescita della fede. Anno che conclude un
secolo e un millennio ed apre alla speranza di un cammino di fede
che sia veramente esperienza del Mistero di Dio nella comunione al
Mistero Pasquale,
Maria, madre del Mistero
porta del Mistero
prega per noi.
Ci sono dei momenti – questione
di ore o di giornate – in cui, a partire da qualche piccola
contrarietà o preoccupazione personale, mi accorgo con
lucidità della miseria materiale e spirituale di tutta
l’umanità.
Allora grido a Dio, unico possibile Salvatore, e con chiarezza mi
appare il primato della fede. Decido di raccogliere tutte le mie
energie nell’esercizio della fede: “Credo in Dio Padre
onnipotente…”. Penso che ogni mia occupazione la
vivrò “coram Domino”, alla presenza di
Dio.
Ma la scelta che faccio ha breve durata e scarsa profondità.
La distrazione da Dio è quasi immediata. Si fanno avanti e
occupano il primo posto nel mio animo, altri pensieri, altri
obiettivi, altre persone. La scelta di vivere la fede si rivela ben
presto caduca. È questo fallimento si è ripetuto e si
ripete innumerevoli volte. Guardando indietro ad una cammino
spirituale di non breve durata vedo una serie di tentativi andati a
vuoto. Che razza di cammino è questo in cui non
c’è progresso? Eppure sono sempre più convinto
di dovere continuare a provare perché è la fede
ciò di cui c’è più bisogno e che io pur
nella mia miseria, posso esercitare per me e per aiutare il mondo
(cfr. 1 Gv 5,4).
Da tanti anni faccio una riflessione che mi conforta e che mi
appare come una chiave per capire tante cose della mia vita di
cristiano, di quella di molti altri e del cammino della Chiesa nel
mondo.
Manifestai, circa trenta anni fa questa mia riflessione in un
incontro di confratelli e trovai una forte consonanza con padre
Mario castelli; era all’inizio di una grande amicizia
spirituale.
Avevo detto più o meno così: non riesco a capire se
nella mia vita di cristiano, di religioso e di sacerdote
c’è qualche progresso, se sto fermo o se regredisco.
Un serio esame di coscienza che tenga presente le varie situazioni
in cui mi vado trovando non mi consente un bilancio significativo.
Di una cosa però sono certo: Dio mi appare sempre più
grande e necessario ed io mi sento sempre più piccolo. Provo
a spiegarmi.
Quando ero bambino Dio era il termine di una serie di doveri,
insieme al prossimo e a me stesso. Poi è diventato
l’oggetto di speculazioni, stimolate dall’esigenza di
essere certi della sua esistenza. Poi ho pensato al rapporto con
Gesù Cristo amico, confidente, modello, guida, messaggio da
annunciare al mondo, e innumerevoli altri aspetti meravigliosi di
questo unico Signore. Penso che ognuno che ha vissuto una
esperienza religiosa potrebbe raccontare senza fine con cui si
è rivolto a Dio; il racconto di ognuno sarebbe oltremodo
interessante.
Dio mi è apparso e mi appare sempre più grande, al di
là di quanto posso pensare e dire. Le parole che più
spesso mi vengono alla mente sono “mistero infinito”.
Ma tutte le parole mi appaiono sempre più inadeguate e cerco
ripetutamente di far silenzio dentro di me per essere rivolto a
Lui, a Lui convertito.
Forse comincio a capire che la fede è ascolto e che per
ascoltare Lui devo tacere io.
Quale distanza incommensurabile fra il parlare di Dio come chi
possiede una verità e l’ascoltarlo per essere da Lui
posseduti!
In conclusione posso dire che un progresso nella mia vita
spirituale c’è stato, nella percezione crescente della
trascendenza di Dio, della sua santità, del suo amore
misericordioso. Tale progresso non è stato il frutto dei
miei tentativi di esercitarmi nella fede ma un dono, l’azione
di Dio, dello Spirito santificatore.
Smetterò quindi di meditare il “Credo”, di
esercitarmi nella “lectio divina” che comporta anche la
“lectio mundi”? al contrario cercherò di essere
sempre più impegnato in questa direzione, ma con la
“serietà spirituale” di chi sa che è lo
Spirito che ci dà di comprendere qualcosa del mistero
infinito.
Pensando all’azione dello Spirito mi viene in mente questa
immagine: egli va scavando nella mia vita, rimuove tutto quello che
ingombra, tutto quello che è frutto della mia iniziativa, le
mie costruzioni. Fa spazio per porre il fondamento che è
Gesù Cristo (cfr. 1 Cor 3, 10-15).
Ho comunicato la mia esperienza limitatissima e piena di resistenze
allo Spirito non perché penso di potere insegnare qualcosa a
qualcuno, ma perché spero di stimolare una riflessione
ecclesiale che possa essere di qualche utilità alla Chiesa,
popolo di Dio.
Ho provato a comunicare l’ultima speranza, ho considerato
La crisi della religiosità e la crescita della fede,
sperimentandole in me e sperandole per il mondo, ho indicato nella
crescita del sentimento spirituale della trascendenza di Dio un
criterio per verificare la maturazione spirituale. Ora siamo al
“che fare”, “quali piste seguire”,
“verso quale obiettivo”?
Provo a formulare la mia speranza per il momento storico che la
Chiesa vive nel mondo. Comincio dall’obiettivo:
la Chiesa del mistero
il mistero della Chiesa.
Quando parliamo di Chiesa siamo spesso aggravati, intristiti e
quasi asfissiati dalla riduzione della Chiesa alla gerarchia e ai
suoi più immediati collaboratori. Ora vogliamo pensare alla
Chiesa del Concilio.
“In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la
terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio
che è nei cieli ve la concederà. Poiché dove
sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”
(Mt 18, 19-20).
Due o tre, venti o trenta riuniti nel suo nome: nella fede, nella
contemplazione , nell’adorazione del mistero di Dio, nel
silenzio interiore per ascoltare.
Cristiani riuniti per fare, organizzare, parlare, raccontare di se
stessi, dei propri sentimenti, delle proprie idee e delle proprie
risonanze se ne trovano molti, ma l’adorazione silente di Dio
sembra rara, al di fuori dei chiostri o di qualche momento ben
isolato dal resto della vita della Chiesa che organizza la propria
presenza e la propria azione, per essere una forza fra le altre
forze del mondo.
Ma così si scompare: si obietta. E come si fa ad essere
lievito senza scomparire nella pasta: ecco la risposta.
La Chiesa del mistero è quella che sceglie
l’adorazione personale e comunitaria di Dio, con tutto quello
che favorisce tale atteggiamento interiore costitutivo
dell’essere Chiesa: silenzio, nascondimento,
operosità, sacrificio, gioia e pace interiore.
Così si realizza il mistero della Chiesa. Ci si domanda:
cos’è la Chiesa? E ci si accorge che essa non
può essere racchiusa nelle nostre elaborazioni culturali. Ci
si domanda: dov’è la Chiesa? E non la si trova
perché non è etichettata e non è rinchiusa in
alcun recinto. Ma poi la si trova dappertutto in crescita, come
spiega mirabilmente il numero 8 della Dei Verbum.
È il mistero della Chiesa. È Dio che si è
rivelato in Gesù Cristo e continua a rivelarsi
nell’azione dello Spirito che riempie l’universo.
È il mistero percepito solo dai piccoli (cfr. Mt 11, 25-27;
Lc 10. 21-22). È la cattedra dei piccoli e dei poveri che si
sposa con quella di chi è costituito pastore dallo
Spirito.
Per tendere verso l’obiettivo Chiesa del mistero e mistero
della Chiesa provo a indicare due piste:
una mistica popolare
una mistica politica.
Una mistica popolare
Ho sentito più volte la signora Filippa, con la prima
elementare, un’attenzione al mondo e un’intelligenza
acuta e arguta, chiosare il racconto di vicende umane: “che
mistero la vita!”.
Argentina che assisteva i Padri della Cappella
dell’università e poi i miei genitori, anziani e
infermi, analfabeta ma attenta osservatrice e ascoltatrice delle
persone che incontrava, ripeteva spesso con grande partecipazione:
“cosa è la vita!?”.
Un sentimento profondo del mistero penso sia presente in tutti,
come elemento costitutivo della condizione umana. Ma questo
sentimento, che è esso stesso un valore altissimo e
misterioso, rimane sepolto e soffocato in tanti modi. Provo a
indicarne qualcuno:
· l’urgenza di procurarsi quel che è
necessario per sopravvivere;
· la ricerca di piaceri immediati, di ricchezze, di successo
e di potere;
· la spinta alla razionalizzazione di tutte le proprie
esperienze;
· il fascino delle scienze e delle tecniche;
· la religione.
Mi fermo un momento su questa ultima possibile causa di
soffocamento, o almeno di attenuazione, del sentimento del
mistero.
Se per religione si intende l’esercizio delle virtù
teologali è chiaro che queste, avendo per oggetto il Mistero
infinito di Dio, non solo non attenuano il sentimento profondo del
mistero di ogni persona umana e di ogni creatura, ma piuttosto lo
esaltano e lo salvano, come vedremo in seguito.
La proposta e la pratica della religione sono antagoniste del
sentimento del mistero quando mettono in primo piano
l’osservanza della legge morale, a meno che non si tratti di
quell’ethos cristiano che è l’innesto e la
partecipazione al mistero della morte, della resurrezione e
dell’ascensione al cielo del figlio di Dio e di Maria.
La religiosità tende a soffocare il sentimento del mistero
quando propone un culto, anche interiore, costretto in delle forme,
espresso in dei modi, anche coinvolgenti sul piano affettivo, che
tendono a diventare invasivi, riducendo o azzerando i tempi e gli
spazi per il silenzio necessario alla percezione del mistero.
C’è poi la riduzione della fede a dottrina, insegnata,
imparata, ripetuta che, rinchiudendo l’infinito nelle nostre
capacità razionali, può ottundere il sentimento del
mistero anche in chi si ritiene dottore in proposito. Ricordo
sempre un giovane che motivava il suo distacco dalla Chiesa
perché il prete spiegava tutto di Dio e dell’uomo,
della storia e dell’universo. Lui pensò che non fosse
una cosa seria.
Come aiutare e farsi aiutare da questo sentimento profondo del
mistero, presente, anche se in condizioni tanto diverse, in tutte
le donne e in tutti gli uomini?
Dandogli spazio e aprendosi alla rivelazione del Mistero.
Per dare spazio al sentimento del mistero penso sia molto
importante l’ascolto. In tanti casi ho sperimentato che
ascoltando, con animo pienamente gratuito, si aiutano le persone a
chiarire se stesse e, in questo modo, a riscoprire il mistero che
è in loro e negli altri. E’ chiaro poi che ascoltando
gli altri si arricchisce anche la propria esperienza di
mistero.
Occorre poi aprirsi alla rivelazione del Mistero. Questa volta ho
scritto questa parola con la maiuscola perché intendo il
Mistero infinito di Dio che ci si è rivelato con pienezza in
Gesù Cristo e nel Mistero Pasquale.
A questo punto sento la necessità per me, e spero che sia di
utilità anche ad altri, non solo agli amici aclisti, di
riflettere sull’esperienza che ho fatto per ventitre anni
cercando di aiutare la crescita della vita cristiana nelle
Acli.
Ho proposto fin dall’inizio, e da un certo punto in modo
più esplicito, la Parola ai piccoli: l’ascolto del
Vangelo insieme ai piccoli che sono quelli a cui è dato
comprendere (cfr. Mt 11,25-27; Lc 10, 21-22).Con quale
risultato?
Lo sa il Signore che legge nei cuori. A una valutazione esteriore,
che vale molto poco, mi pare di poter dire che qualcuno, una
minoranza di una certa consistenza, ha accolto il suggerimento,
mentre alla gran maggioranza questo non è nemmeno arrivato.
In molti casi i dirigenti, ai vari livelli, che avrebbero dovuto
trasmettere la proposta alla base, sono stati presi da altre
preoccupazioni. Forse l’ostacolo principale è stato il
permanere di altri modi di intendere la fedeltà alla Chiesa,
modi che avevano avuto un significato e una vitalità in
passato e che ora la stanno perdendo.
Di una cosa che riguarda la dimensione interiore, quella più
importante, sono certo: la mia inadeguatezza nei confronti della
proposta. Per suggerire la conversione al Vangelo, bisognerebbe
essere personalmente convertiti o almeno seriamente in via di
conversione. Non ci siamo.
A prescindere dalla mia esperienza nelle Acli penso che una
“mistica popolare” sia una proposta tanto semplice
quanto nuova. E questo sul piano della catechesi, riguardante la
fede e la morale, sul piano della vita ecclesiale comunitaria. Dove
poi gli ostacoli appaiono come una barriera insormontabile è
nell’impegno politico e, oggi, in particolare, nei progetti
culturali. Su questo terreno una gran difficoltà sta nel
rivolgere l’attenzione alle persone e alle esperienze
comunitarie, specialmente quelle che non sono previste e inquadrate
dall’alto.
Occorre ripensare l’apertura al mistero di ogni persona umana
in rapporto all’accoglienza della Buona Notizia, rivelazione
del Mistero infinito.
Mistica politica. Un confronto
Se la mistica è il sentimento profondo del mistero,
presente in tutte le donne e in tutti gli uomini, con il
riconoscimento di tale sentimento e l’apertura al Mistero di
Dio, è chiara la connessione della mistica con la
politica.
Il riconoscimento del mistero alla luce della rivelazione del
Mistero, realizza la vera novità nei rapporti interpersonali
e nelle strutture della convivenza umana, che sono sostegno
necessario e, al tempo stesso possibile gravissimo ostacolo agli
stessi rapporti interpersonali.
Si tratta della politica intesa come impegno per la costruzione
della “polis”, della convivenza tra persone che si
riconoscono come fratelli, portatori dello stesso mistero,
destinatari della stessa rivelazione del Mistero.
Avendo da anni un rapporto di amicizia spirituale con alcuni membri
dell’Associazione S. Pancrazio di Cosenza, mi sembra di poter
fare un utile confronto tra questa Associazione e le Acli. Non si
tratta ovviamente di dire chi è più bravo ma di
cogliere il rapporto tra lo spirito e le strutture in due
situazioni profondamente diverse, per trarne un’indicazione
che può essere utile per la Chiesa di oggi nel mondo.
Si sa cosa sono le Acli anche se nella loro singolarità
è tutt’altro che facile definirle. Voglio solo
ricordare che si tratta di associazioni che hanno una lunga storia,
di cui hanno fatto parte tantissime persone e che tuttora aggregano
centinaia di migliaia di donne e di uomini. Innumerevoli sono state
e sono le loro attività e le loro articolazioni strutturali.
Infine, cosa a mio avviso assai rilevante, sono associazioni
cristiane democratiche.
L’Associazione S. Pancrazio ha una storia di circa dieci
anni, è composta da una ottantina di persone, è nota
soprattutto a Cosenza, dove opera nelle situazioni di maggior
degrado.
Il confronto, “si licet parva componere magnis”,
vorrei farlo in particolare sul rapporto di queste due
realtà con la parola di Dio.
Per quel che riguarda le Acli la mia esperienza diretta va dal
’75 al ’99. Penso che la parola di Dio sia stata sempre
l’anima delle Acli, presente in tanti aclisti sinceramente
credenti e fedeli alla Chiesa.
C’è un fatto tuttavia significativo che indica con
chiarezza i limiti del rapporto con la parola di Dio nelle Acli e
nel governo gerarchico della Chiesa che è in Italia.
Nel ’75 ci fu a Campo di Giove un incontro nazionale delle
Acli a cui partecipai parzialmente.
In quella occasione appresi da Rosati che, per un accordo con la
CEI suggerito da P. Sorge, quando nelle Acli si parlava di
ispirazione cristiana si intendeva un fatto culturale e non la
fede. Ebbi conferma in un incontro del Segretario della CEI, Mons.
Luigi Maverna, con i presidenti delle varie associazioni cristiane
impegnate nel sociale: egli iniziò dicendo loro che venivano
interpellati sulla cultura, cioè sull’ispirazione
cristiana e non sulla fede, cioè sull’ascolto della
parola di Dio.
La mia proposta alle Acli fu fin dall’inizio l’ascolto
di fede della Parola.
Invitai a parlare alle Acli numerosi biblisti: l’allora P.
Carlo M. Martini, P. Lyonnet, P. Corradino, P. Castelli, P. Rossi
de Gasperis e P. Stancari……
Anche io cercavo di proporre qualche lettura biblica - per un
anno intero leggemmo la I° Lettera ai Corinzi – pur
consapevole della mia limitatissima conoscenza della parola di
Dio.
La mia proposta, debolissima a causa del proponente, si è
trovata come inceppata nella pesantezza delle strutture delle Acli
e dell’impegno dei suoi dirigenti a governarle. Il terreno su
cui cadeva il seme della Parola era ingombro da tante altre
preoccupazioni. Specialmente nei primi anni una preoccupazione
dominante era quella dei rapporti diplomatici con la gerarchia
ecclesiale, in particolar con Mons. Benelli.
L’Associazione S. Pancrazio è partita invece dalla
parola di Dio, in particolare dalle “lectio bibliche”
del P. Pino Stancari. Dall’ascolto di fede nasce il bisogno
di occuparsi dei più poveri e di farlo insieme. Una seria
riflessione sulla realtà sociale, in particolare sul degrado
di Cosenza Vecchia, e sulle sue cause economiche e politiche, porta
ad un impegno che ha una forte valenza politica. Sempre che non si
voglia ridurre il significato del termine politica a gestione o
meglio a gioco di potere.
Nel caso dell’Associazione S. Pancrazio la parola di Dio non
viene inceppata da grandi strutture e non è ostacolata da
una preoccupazione di “ispirazione cristiana” come
fatto culturale che prescinde dalla fede.
La parola di Dio è veramente l’anima degli amici che
operano nell’Associazione S. Pancrazio.
Non è un supplemento d’anima, ma la sorgente prima di
luce e di forza. In un momento in cui la Chiesa, a tutti i livelli,
è fortemente tentata di efficientismo, in concorrenza con
tutte le forze che dominano il mondo, nell’Associazione S.
Pancrazio, che pure è inserita molto concretamente nel
tessuto sociale, la validità di quel che si cerca di fare
è costantemente misurata dalla conformità al
Vangelo.
E’ il concetto stesso di successo che è profondamente
diverso per i saggi di questo mondo e per chi si apre alla
esperienza del Vangelo, alla follia della Croce.
La Chiesa
Dal confronto tra le Acli e l’Associazione S. Pancrazio
passiamo ora a una riflessione più generale sulla Chiesa,
sul rapporto tra lo spirito e le strutture, in particolare le
“megastrutture”. I temi sono innumerevoli: lo spirito
dell’uomo, lo Spirito inviato dal Padre e dal Figlio, le
strutture, la struttura universale della Chiesa
“cattolica”, ecc.
Alla luce della Chiesa del Mistero e del Mistero della Chiesa, si
potranno anche scoprire vie nuove per la politica nel tempo della
“globalizzazione”.
Se il lievito è vivo scompare nella pasta; così la
Chiesa nel mondo. E il mondo lievitato dà gloria a Dio con
le sue opere.
Queste proposizioni appaiono assurde se pensiamo a una riforma
della Chiesa da noi pensata, progettata e realizzata. Eppure esse
cercano di accogliere ed esprimere il disegno di Dio, e per noi
sono la direzione in cui camminare.
Di fatto molti cristiani, poco considerati, vanno in questa
direzione, mentre altri, di cui tanto si parla, vanno nella
direzione opposta.
Una Chiesa che persegua l’umiliazione come il suo Signore che
“humiliavit semetipsum“ (Fil 2) sembra
un’alternativa della Chiesa quale oggi si propone. Di fatto
è un’alternativa ma non “di” potere, come
sarebbe una democrazia nei confronti di una monarchia o di una
oligarchia, ma un’alternativa “al” potere. Si
può riconoscere e rispettare il potere con una intensa
carità, fondata sulla fede e sostenuta dalla speranza, che
libera il potere da ogni tentazione di dominio, di durezza, di
violenza.
La comunità di fede è una realizzazione popolare
molto più profonda della democrazia perché non si
limita alla distribuzione del potere ma si realizza nel dono, nella
gratuità e nell’amore.
Il garante dell’unità nella fede sarà, in modo
sempre più chiaro, lo Spirito di Dio che ci fa comprendere
la Parola e non una immensa struttura sempre più accentrata.
Comunque sarà lo Spirito a salvare le stesse strutture e non
viceversa.
Grazie, caro Benedetto, con i tuoi 86 anni sei il prete più giovane che conosco.