Carissimi amici,
quest'anno vi ho inviato alcune comunicazioni spirituali: una lettera a mons. Antonelli, una proposta di incontri Maurizio Polverari, un Appello agli umiliati, una lettera a P. Benedetto Calati, con qualche approfondimento di chi vive una forte esperienza contemplativa. In una di queste risposte veniva colto il senso più profondo di quel che mi propongo: un pensiero che scorra silenzioso, senza pubblicità, senza alzare la polvere.
Ora ho pensato di inviarvi qualche comunicazione di esperienze assai diverse in cui si riscontra una singolare sintonia spirituale:
'Vi sono diversità di carismi ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore, vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti' (1 Cor. 12,4-6).
· Il Padre Anastasio Ballestrero, un grande umiliato, poco prima di morire ci offre un discernimento penetrante sul presente e sul futuro della Chiesa, oggi attualissimo.
· La Madre Benedetta Artioli, della piccola famiglia dell'Annunziata, a partire da un'esperienza di contemplazione e di impegno culturale, dà una precisa indicazione per vivere nella quotidianità l'unione con Gesù Cristo redentore dell'umanità.
· I parroci della XXIV prefettura della Chiesa che è in Roma si pongono i grandissimi problemi della pastorale ordinaria e cercano per affrontarli il conforto della comunione ecclesiale che appare gravemente inceppata.
· Un appello politico, a seguito delle elezioni regionali del 16 aprile, nasce da una lunga ricerca, alla luce della parola di Dio, per capire quel che succede nella dimensione sociale della nostra esistenza.
Il prossimo incontro avrà luogo domenica 2 luglio, dalle ore 10 alle ore 13, nell'appartamento comune dell'Associazione M.P., in via Eugenio Torelli Viollier, n. 132.
Faremo il punto del cammino di quest'anno a partire dalla «proposta di incontri M.P. presentata il 24.10.99. E cercheremo ovviamente come proseguire.
Cordiali saluti.
Pio Parisi sj.
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Da "Chiesa in Italia" Annale de ‘il Regno' - Ed. 1997
Lunedì della settimana santa 1997. Salire a Bocca di Magra, dal Golfo della Spezia al monastero Santa Croce, è stato percorrere una strada che non conoscevo, per incontrare un uomo che non conoscevo. Si è ritirato qui dal 1989; accudito dal confratello Giuseppe, il carmelitano scalzo Anastasio Ballestrero. Si è ritirato qui a compiere una vita che è un segno per la chiesa italiana e per il suo ordine. Il card. Anastasio Ballestrero è un protagonista della stagione conciliare e post-conciliare che oggi dalla malattia parla col silenzio e la preghiera. Compimento e prova della vita per un testimone. Compimento e invocazione. Invocazione vera quando si conta il dolore, e il male prende tutta la vita ogni momento. Invocazione che vibra la carne nel corpo rigido. Invocazione abbracciata al crocifisso, al petto dell'amore lacerato.
Card. Ballestrero, vorrei domandarle della chiesa. Del futuro della chiesa e della chiesa del futuro.
“Il carisma della Profezia non è il mio. Io non sono profeta. Le mie osservazioni nascono dunque dalla consapevolezza di non poter affermare qualcosa, ma di dover sperare qualcosa. Credo che anche pensando al futuro non si debba dimenticare che la chiesa è un mistero, ed essa è racchiusa come il suo futuro nel mistero di Dio. Forse si potrebbe pensare di leggere il futuro della chiesa guardando al suo passato - è questo un esercizio corretto da un punto di vista storico -, ma in senso teologico, ancora una volta, anche il passato ci pone di fronte al mistero. Questa situazione di non prevedibilità è conforme, oltre che alla natura dell'uomo, all'essenza della chiesa e della fede. Dunque le risposte che possiamo dare sono racchiuse nell'atto di confessare che non sappiamo, ma che crediamo.
Credo nel futuro della chiesa. Credendo adoro, adorando spero, adorando amo. I miei pensieri non esprimono né ottimismo, ne pessimismo in senso storico, ma esprimono soltanto l'umiltà di un credente che accetta il Mistero come un dono e lo custodisce in cuor suo. Il cristiano non dispera della propria salvezza, e allo stesso modo non dispera del futuro della chiesa. In virtù della nostra stessa fede noi siamo resi certi del futuro della chiesa. Noi crediamo infatti - e lo crediamo per tutti - che la chiesa sia la comunità di quanti sperano Mediante Gesù in Dio”.
C'E’ BISOGNO DI ESSENZIALITA’
- Quali sono le principali emergenze, le necessità, le sfide che lei vede nel futuro della chiesa?
“C'è bisogno di essenzialità. C'è bisogno di credere la chiesa, di credere al mistero di Cristo. L'accoglienza di Cristo è l’impegno della chiesa, il solo compito che io conosca. Annunciare il Vangelo e nient'altro che il Vangelo. Dice Paolo: "Non ho altro da annunciarvi che Cristo e questi crocifisso!" (ICor 1,23; 2,2). Questa è l'essenzialità di cui abbiamo ancora oggi bisogno. Credo che le maggiori difficoltà della nostra mentalità moderna consistano nella prospettiva del relativismo radicale. Da questa mentalità nessuno può facilmente chiamarsi fuori. Il rischio di relativizzare il Vangelo è un rischio grave, soprattutto per chi si accinge ad evangelizzare le culture. La stessa fatica che la chiesa sta facenido per il "progetto culturale " ne è la prova. In futuro la chiesa dovrà essere sostenuta nelle sue stesse istituzioni e strutture comunitarie in misura ancora più grande dalla fede dei suoi fedeli. Capisco tutte le programmatiche umane, ma il mistero della chiesa non può essere ridimensionato. Fare un idolo del temporale è cosa vana”.
- Mi parli della solitudine. Della solitudine dell'uomo di chiesa, della sua solitudine nella chiesa e per la chiesa.
“Credo la chiesa, amo la chiesa, spero la chiesa. E sono grato alle chiese locali che mi hanno accolto pastore e fratello. Ma la solitudine è inevitabile quando si sceglie Cristo. Anche nella chiesa. Questa solitudine realissima e dura è comunque un dono. E’ la patria della grazia. Il nostro orgoglio e la nostra vanità sono stati provati nella sofferenza e nella solitudine. Nelle umiliazioni che spesso si devono sopportare è il principio della fedeltà. Fedeltà e solitudine, fedeltà e fatica, fedeltà e pazienza sono parte dell'unica fedeltà alla Parola e al magistero della chiesa. Fedeltà e pazienza riassumono la vocazione cristiana. Poiché la fedeltà e la pazienza a configurano il cristiano a Cristo: Christus patiens, Christus passus, Christus crucifixus: Cristo paziente, Cristo che ha patito, Cristo che muore crocifisso. E’ il mistero del Cristo paziente e crocifisso: Patiens et passus. E’ il mistero della croce”.
- Cosa significa questo tratto di essenzialità paziente della chiesa e del cristiano nel difficile passaggio storico che viviamo?
“E’ una
necessità per l'oggi di fronte all'indifferenza su Dio, alla
negazione della necessità dei valori, al neopaganesimo. In
questo trapasso storico abbiamo più bisogno di essere fedeli
e pazienti che protagonisti. Abbiamo più bisogno di essere
credenti che sapienti. Abbiamo più bisogno di essere poveri
che ricchi. La nostra fatica odierna, la nostra sfida è
ancora quella di credere che non abbiamo qui la nostra dimora
permanente, e che proprio la nostra provvisorietà di beni,
di strutture, di identità riflessa incontra l'avvenire di
Dio. Io non so nulla di una chiesa aristocratica, di perfetti, di
una chiesa efficientista. Noi siamo chiesa per il frutto della
croce. I nostri giorni propizi sono i giorni crocifissi e i giorni
sterili sono quelli meno segnati dalla croce.
Guai se riducessimo la chiesa a un’azienda, a una cultura!
Guai anche se riducessimo la chiesa a una teologia. E’ vero:
la fede passerà, la speranza verrà meno,
resterà la carità. Allora è dell'amore che noi
oggi dobbiamo parlare, è all’amore che dobbiamo
credere, è nell’amore che ci dobbiamo nutrire. Abbiamo
oggi soprattutto bisogno di una teologia del cuore. La sapienza
cristiana è fatta di indicibili intuizioni. Dico intuizioni
indicibili. Le intuizioni indicibili dissolvono la nostra
vanità. Non abbiamo scampo se vogliamo essere la chiesa, se
vogliamo accogliere il dono che Dio continuamente ci fa”.
IL MARTIRIO DEL CUORE
- Lei fu giovane padre al concilio. Il concilio Vaticano Il ha sancito alcuni tratti ecclesiologici variamente e diversamente ripresi e sottolineati dal magistero post-conciliare. Potremmo riassumerli così: riforma e unità. L'unità e la comunione come dimensione-vocazione intima, la riforma della chiesa come carattere inesauribile (coscienza storica e non mera opportunità storica). Il concilio rimane e come nella chiesa?
“Lo spirito del concilio, le riforme del concilio debbono ancora essere prese sul serio. E’ una posizione evasiva quella di chi invoca il nuovo concilio. Abbiamo forse appreso la lettera del concilio, ma ne conosciamo intimamente lo spirito? Constatare alcune stanchezze non ci rallegra, ma ci convoca nuovamente a riflettere sull'interiorità del concilio, a proseguirne lo spirito di rinnovamento ecclesiale e pastorale sul versante biblico, liturgico, ecumenico. Siamo di fronte a un nuovo tempo del concilio. Lo ha ben espresso il papa nel suo appello alla riconciliazione contenuto nella Tertio millennio adveniente”.
- Comunione e collegialità. Al compiersi del millennio ritornano nel dibattito ecclesiale i grandi temi di fondo quanto alla figura istituzionale della chiesa. Cosa ne pensa?
«Non sono preoccupato per le forme che esprimano meglio la consapevolezza della comunionee ecclesiale. Si troveranno le forme. Paradossalmente vorrei dire che dobbiamo disumanizzare le strutture per diminuire il nostro legame col potere, con le cose. Noi proclamiamo la chiesa sacramento universale di salvezza. E diciamo la verità. Ma dobbiamo ricordare che questa verità affonda le sue radici nell'oblazione del suo fondatore. C'è da dare pienezza alla fecondità di questo gesto e tocca alla chiesa, la sposa feconda, con il martirio del cuore e delle membra».
- In questa conformazione a Cristo vi è un altro tema che credo meriti nuova attenzione, ed è l'annuncio della chiesa povera, della chiesa dei poveri.
“"I poveri li avrete sempre con voi", dice Gesù alla vigilia della sua passione. Non è casuale. Né si tratta di affermazione fatalistica. Ma è un'indicazione di conformazione a lui, a lui che si fa eucaristia, che va al Getsemani , che sale la croce. C'è qui molto da meditare. Per noi i poveri sono diventati una questione sociologica. Quando diciamo che bisogna risolvere la povertà noi siamo tentati di nasconderla. Le nostre comunità dovranno diventare sempre più 1uogo nel quale i più deboli, i più tribolati sono accolti e aiutati a vivere”.
- Abbiamo parlato della chiesa. Come comunità e come istituzione. E il cristiano? Chi è il cristiano di domani?
“Il cristiano di domani sarà un mistico. Ne sono convinto. Spero che i cristiani faccendieri siano sempre di meno e che aumentino gli adoratori del Signore”.
TRA LUCE E TENEBRA
- Dobbiamo dire: "Credo quia absurdum”?
“Un po' è vero. Le nostre parole per sapienti che siano celebrano l'oscurità. E’ notte. "Notte oscura e venturosa", come dice san Giovanni della Croce. Profonda notte. "Custos quid de nocte?" (Is 21,11). Qui si pone il problema del silenzio. Maria, la madre del Signore, ha parlato poco”.
- Eppure lo Spirito parla nella delusione radicale della vita.
In questa notte densa e patita.
“Che lui parli lo crediamo,
che noi sappiamo ascoltarlo è un’altra cosa. Dovremo
sempre più concentrarci sugli elementi essenziali della
fede. Secondo uno stile di adorazione. “E Dio stesso che ci
conferma... e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri
cuori” (2Cor 1,2 1) “.
- Perché questa nostra fatica, questa carenza di annuncio nella pastorale sul dolore e sulla morte, sul tema del confronto decisivo tra l'uomo e il momento in cui il senso della sua vita si riassume?
“Questa mia vita presente è una parvenza, la vita futura è una realtà. Dobbiamo come chiesa parlare del dolore, ma con le parole della croce, con la luce della croce, con il mistero del patire di Cristo e del nostro patire di cristiani, allora tutto diventa un’altra realtà e noi prepariamo il Regno. Dobbiamo parlarne come ne parlava Gesù, dobbiamo farlo guardando Gesù: amando e risanando; amando e pregando come Gesù, fino alla preghiera del Getsemani: "Transeat a me Pater mi..."; amando e aprendo le braccia come Gesù”.
Dopo qualche istante, il silenzio si riempie del ricordo comune di una persona a entrambi cara. Poi aggiunge: “E’ per me oggi una grande consolazione sapere di essere peccatore e sapere di essere accolto”. Affiorano alla mente i versi di san Giovanni della Croce:
“Non piange perché
l'amore l'ha piagato
pur se dentro al suo cuore egli è trafitto”.
Da alcune note biografìche
ALBERTO ANASTASIO BALLESTRERO nasce a Genova il 3 ottobre 1913, primo di cinque figli. A undici anni arriva al Deserto dì Varazze, sede dei seminario minore dei Carmelitani scalzi della provincia ligure.
Il capitolo generale dell’ordine, radunato a Roma dal 27
aprile ai 7 maggio 1955, lo nominò proposito generale.
Rimase in carica consecutivamente per due sessenni (1955-1961 e
1961-1967). Come superiore generale, nei primi sei anni
visitò tutte le case dell'ordine (700 monasteri femminili e
400 maschili), tranne, per motivi politici, la provincia ungherese.
Diede notevole impulso alla formazione spirituale e alla
preparazione culturale dei nuovi religiosi, fondò l'istituto
di spiritualità in Roma (inaugurato il 16 ottobre 1957).
Avviò gli scavi archeologici che portarono alla scoperta dei
convento medievale situato nel luogo in cui nacque l'ordine del
Carmelo; si fece promotore della ricostruzione degli archivi e
delle biblioteche dell'ordine; ispirò e patrocinò
opere d'arte e i restauri delle opere teresiane: il Castello interiore e il Cammino di
perfezione. Elevò a provincia diversi territori
dell'ordine, dall'America Latina,dall'India all'Africa.
In Concilio fu membro della commissione teologica, della dottrina
della fede e della morale, dei religiosi. L'annuncio della sua
nomina a vescovo di Bari è dei 21 dicembre 1973, il suo
ingresso è dei 16 febbraio 1974. Vi rimarrà fino al
1977, quando viene trasferito da Paolo VI a Torino a sostituire il
card. Pellegrino. Il passaggio del pastorale avviene il 24
settembre 1979 nella chiesa dei Cottolengo. A Torino rimarrà
fino ai compimento dei 75° anno, nel 1989. E’ durante il
periodo torinese che Ballestrero viene chiamato da Giovanni Paolo
II alla presidenza della Conferenza episcopale italiana (18 maggio
1979; verrà creato cardinale il 30 giugno). Tale servizio
continuerà fino al 3 luglio 1985. Sono in Italia gli anni
del terrorismo e dell'emergere della questione morale, gli anni
dell'attentato al papa e dei referendum sull'aborto.
Ballestrero imposta il piano pastorale per gli anni '80 intitolato al tema “Comunione e comunità”, una rilettura delle costituzioni dogmatiche dei concilio alla luce della situazione italiana attraverso le note pastorali: Comunione e comunità: I. Introduzione al piano pastorale e II. Comunione e comunità nella chiesa domestica (1981); Eucaristia, comunione e comunità (1983) e il documento pastorale La chiesa italiana e le Prospettive del paese (1981), che sviluppa, mutuandolo dallo spirito della costituzione pastorale Gaudium et spes, un nuovo pensiero sociale e una nuova responsabilità laicale per la chiesa italiana. Negli anni della sua presidenza giunge a un primo compimento il piano catechistico della chiesa italiana e termina la revisione del messale (1983); viene firmato l'Accordo di revisione dei Concordato lateranense (1984); si prepara e si celebra il II convegno ecclesiale nazionale (Loreto 9 - 13 aprile 1985) sul tema “Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini”.
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Bonifati, sabato, 11 marzo 2000
Rev.Padre Parisi,
penso di rispondere solo qualche riga alla sua ‘Lettera a P. Benedetto Calati', perché i punti di partenza del suo discorso sono piuttosto lontani dalla mia/nostra esperienza, o piuttosto, sono formulati in un modo non abituale per noi.
Posso forse cogliere qualche aspetto, al di là della forma discorsiva e dei percorsi da lei fatti per arrivare a certe domande/formulazioni dei problemi di fondo della vita nostra, della Chiesa e del mondo.
Uno è la trascendenza di Dio, l'impossibilità di conoscere il suo mistero a un livello in qualche modo razionale. Dio certamente lo ‘conosciamo' solo per comunione, quella comunione alla quale abbiamo accesso in Cristo Gesù. E questa conoscenza per comunione è difficile da trasmettere, è sempre oltre le nostre parole: dovrebbe piuttosto venir in qualche modo intuita dagli altri attraverso il nostro vivere. Questo essere totalmente ‘oltre' di Dio, noi però lo viviamo, appunto, nella concretezza della personalissima comunione con la Persona del Cristo. Il mistero di Dio, resta mistero, sempre, e questo deve farci chinare il capo, e tuttavia noi abbiamo da annunciare ai credenti di altre religioni che questo essere ‘totalmente oltre' di Dio non svapora mai in un inafferrabile indeterminato perché si manifesta (velandosi insieme, come dice S. Massimo il Confessore) nell'incarnazione dei Figlio. E si rivela come amore che si effonde nel creare e nel salvare, anche qui nell'inaudito e incomprensibile della croce del Figlio.
Un altro aspetto che mi viene di cogliere e sottolineare
è quello del male che è in noi e dei male mondiale
che pare travolgere tutto il pianeta. Male come peccato, male come
dolore. Quando si pensa a Dio, al vangelo, è normale che
ancor più ci colpisca al cuore per così dire, la
presenza sempre più imponente e travolgente di tanto male e
per contro di una impotenza sempre più manifesta dei nostro
fare, e in una inadeguatezza sempre più evidente della
nostra vita in Cristo.
Questo, in fondo, è l'aspetto su cui si concentra di
più tutta la nostra vita consacrata, in particolare come
monache. E quello che penso e cerco di vivere per me, per noi, per
un vero rinnovamento della vita religiosa nel suo proprio, non
nelle varie (benché necessarie) forme del suo fare, è
molto semplice anche se arduo, ma sono certa che per questo Dio la
grazia la dà: e cioè una semplice, umile, ma totale
disponibilità alla co-redenzione. E questo non lo intendo
espresso in grandi cose, o meglio, possono esserci anche grandi
croci che il Signore ci chieda di portare in lui, con lui e per
lui, per la vita del mondo, ma questo bisogna lasciarlo a lui,
senza nessuna presunzione. Non lo intendo nemmeno come uno sforzo
di ‘partecipazione' a qualcuna delle varie situazioni di
dolore, di umiliazione, di miseria, che ci circondano: e questo
prima di tutto perché molte volte si fallisce nel volere
'crearci' una situazione simile a quella dei più infelici,
ma soprattutto perché se la partecipazione può
esprimere amore e dedizione, non per questo sarà veramente
salvifica. Solo la croce del Cristo è redentrice e redimono
solo quegli atti nostri che esprimono una precisa adesione alla
croce per amore, anche nella più assoluta banalità di
una esistenza ‘comune'.
Cerco di spiegarmi ricordando la vita di s. Teresa di Lisieux. E' patrona delle missioni eppure ha vissuto nel suo monastero, fino all'ultimo anno della grande prova di fede e della terribile malattia, ha vissuto la più banale vita di una monaca qualsiasi: solo che, nella certezza che "tutto è grazia" (per sé e per tutti) ha saputo sfruttare tutte le più piccole occasioni dei quotidiano, e le ha accolte senza farsele sfuggire, non come le ‘solite seccature' ma come altrettanto materiale d'amore e di vita da spandere sul mondo. Finché Dio le ha dato l'immensa fecondità di spandere vita e grazia, che tutti conosciamo.
E vorrei anche citare una cosa che mi ha sempre molto impressionato. Madre Teresa, sappiamo bene il mare delle sue opere di carità. Ora, ho notato, leggendo qua e là, un fatto impressionante. Una persona come lei, sempre immersa in dolori e miserie innominabili, avrebbe dovuto forse essere negli incontri che faceva, molto protesa a coinvolgere tutti nel modo più immediato a spendersi per fare qualcosa direttamente per alleviare tanti mali. E invece accadeva spessissimo che si preoccupasse i additare a chi le chiedeva cosa fare, solo l'amore e il sacrificio per amore espresso nel quotidiano: suggeriva ai coniugi di sorridere l'uno all'altro anche in momenti di fatica, suggeriva piccoli atti di pace ecc. Un simile gigante della carità, aveva una coscienza fortissima che solo Dio salva e solleva e che ciò che dà valore per alleviare il dolore del mondo, non è che tutti facciano come lei, o scelgano di vivere solo con i poveri ecc., perché anche in questo può esserci più ideologia che amore: e quindi, ciò con cui noi possiamo alleviare il dolore e redimere dal peccato è solo la radicalità con cui cerchiamo di aderire a tutto quello che Dio ci mette davanti momento per momento, dalla più piccola pena alla più grave prova, facendone cosi una realtà eminentemente co-redentrice per la forza della croce di Cristo alla quale il nostro povero atto d'amore si unisce, acquistando cosi la stessa potenza creatrice e redentrice di colui che solo è creatore e redentore.
Addossarsi e ‘sentir pesare' su di noi soprattutto nell'eucarestia tutto il male del mondo, quello che il Signore Gesù ha vissuto nel Getsemani, noi lo sentiamo come ciò che sempre più deve essere. E' quello il momento sacramentale nel quale il mistero pasquale, anticipando già la piena restaurazione alla fine dei tempi, assorbe in sé tutta la storia, ci assorbe, ci coinvolge, coinvolge le membra del corpo di Cristo nell'immenso atto di donazione del Cristo: ‘Prendete e mangiate...' E, per contro, da lì anche nasce la forza perché tutta la giornata sia ‘eucarestia per la vita del mondo'.
Che poi il Signore ‘consumi' in olocausto pienamente la nostra offerta, anche forse in modi più evidenti ed espliciti questo lo possiamo e dobbiamo sperare e chiedere: ma in fondo non ci riguarda. Quello che dobbiamo fare è avere il realismo di cui ha dato prova s. Teresa di Lisieux usando dei mezzi di cui poteva disporre, del poco che poteva avere da dare, ma di questo facendo tutta la sua vita: tutta la sua vita offerta, pur in un banale quotidiano che può essere di tutti: della monaca come della donna di casa, del sacerdote come del padre di famiglia.
Non so se sono riuscita a spiegarmi, ma ho cercato di dire quello intorno al quale la mia/nostra vita, almeno come tensione sempre rinnovata, cerca di ruotare, ciò che ci sembra l'unico agire fecondo che sia disponibile nella vita di ciascun cristiano, e, per contro, l'unica disposizione dello spirito che rende vitale e fecondo anche quello che a qualcuno è dato di fare come opera più visibile.
La saluto tanto cordialmente nel Signore Gesù,
Suor benedetta Artioli
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La XXIV Prefettura, riunita per il consueto incontro mensile il
giorno 11 maggio 2000, dopo aver ampiamente discusso, con la
presenza dei sette parroci e di alcuni collaboratori, il tema
proposto dal Consiglio Presbiterale "Quale immagine del presbitero oggi a Roma?
Quali stimoli nascono per il ministero del
presbitero?(°) ha approvato all'unanimità questa
sintesi raccolta da don Franco Amatori.
La "traccia per il dialogo", ha suscitato in tutti i partecipanti,
una certa perplessità.
"Le sfide che oggi il presbitero deve affrontare e che riguardano la sua identità ed il suo ministero” vengono certamente da fuori, dal mondo, ma non si contrappongono tanto al singolo presbitero, - in genere apprezzato ed amato - ma alla struttura ecclesiastica nel suo insieme, e in particolare alle strutture della nostra Diocesi, che spesso sembrano compromesse con una mentalità efficientista del sacro.
La scelta di un Funerale con una celebrazione della Parola,
senza Messa, di Don Nicolino Barra ci è sembrato un segno
premonitore, una specie di sferzata in faccia a un ritualismo
superficiale che "onora con le
labbra, ma con il cuore lontano". Tante volte ne abbiamo
esperienza.
Non possiamo far finta di non essercene nemmeno accorti.
"Come rapportarsi ad esse (le sfide) traendone non solo motivo di scoraggiamento...
Il questionario presuppone atteggiamenti di scoraggiamento e
rassegnazione nei presbiteri e non sembra riconoscere elementi
positivi e provvidenziali nella crisi profonda di tutte le
Istituzioni, anche di quelle della Chiesa. E "cerca nuovi stimoli da investire nella
pastorale", come se i presbiteri impegnati nella pastorale
fossero tutti degli scoraggiati o demotivati o rassegnati a tirare
avanti un lavoro stanco, per salvare il salvabile, e come se non ci
fossero presbiteri consapevoli di partecipare al travaglio del
parto di tutta la creazione, e come se la sconfitta della croce non
dicesse loro nulla...
Non si tratta di trovare "nuove
risorse da investire nella pastorale " ma di guardarsi
dentro, come individui e come Chiesa, e di conoscere e valorizzare
quanto di buono già esiste.
Troppe proposte che ci vengono dall'alto sono rivolte a "individuare nell'attuale contesto socioculturale ed ecclesiale per promuovere un nuovo modo di essere e di fare ... "
Vorremmo sottolineare l'importanza del "nuovo modo di
essere" da cui dovrà scaturire un nuovo modo di
“fare il presbitero a Roma".
Verrebbe voglia di proporre un "anno santo", in cui piuttosto si
faccia una bella potatura di attività e ci si chieda
seriamente chi siamo, quanto siamo testimoni di Lui e della sua
Parola. Senza una profonda e sincera riflessione sulla Parola
rischiamo di rimanere difensori delle nostre attività che ci
danno sostentamento, e delle nostre tradizioni a cui siamo abituati
e affezionati, peraltro forse validissime quando sono nate, ma che
spesso non corrispondono più alle esigenze e al linguaggio
attuali, profondamente mutati.
Quello che genera in noi disagio è la sproporzione tra
quello che dall'alto ci viene richiesto di fare e quello che
sentiamo veramente utile nella vita pastorale, con l'impressione
che la dirigenza del Vicariato e la pastorale ordinaria navighino a
diversi livelli.
Il Consiglio Episcopale è preoccupato di tenere sempre desto
il presbiterio con nuovi stimoli e nuove iniziative pastorali,
quasi nel timore che senza di esse i presbiteri rallentino il loro
impegno o non sappiano più cosa fare. Ma questa è una
filosofia del fare e dell'eseguire, non del meditare e dell'ascoltare ciò che lo Spirito dice
alle Chiese.
Una programmazione soffocante può far dedurre che i Vescovi
non abbiano sufficiente stima dei loro presbiteri, che a loro volta
dubiteranno della loro capacità di ascolto e della loro
capacità a riconoscere eventuali carismi o doni dello
Spirito, con il risultato di una crescente sfiducia scambievole.
L'unità e specificità della Diocesi non può
essere confusa con l'univoca formattazione delle attività
Parrocchiali.
Gli stessi incontri presbiterali, sia a livello diocesano, che di
Settore sono giudicati da alcuni come delle scontate occasioni per
trasmettere ordini. Qualche bella lezione di teologia non è
sufficiente a ricostruire la fiducia e il dialogo.
In una comunità ecclesiale così difficile e
problematica rimane quasi incomprensibile il richiamo alle
vocazioni sacerdotali e
religiose: il Signore certamente chiama chi vuole, ma se la
testimonianza ecclesiale non è ben chiara, forte e coerente,
la chiamata, e la risposta, sono molto più difficili e
rare.
C'è poi il divario tra il consumismo religioso, preteso in
base a tradizioni o diritti acquisiti, e ciò che esigerebbe
una fede chiara e sincera.
La nostra prassi pastorale ci pone severi interrogativi:
Cosa significano più certi battesimi che non hanno alcuna garanzia nelle famiglie, nessun collegamento con gli altri sacramenti dell'Iniziazione né con la comunità cristiana espressa nella Parrocchia, né con Gesù Cristo, e in genere nessun riscontro nella vita... ?
Qualunque barlume di fede è proprio più che sufficiente... per autorizzare Battesimi, o Cresime più o meno adolescenziali oppure rimandate a supporto cartaceo per matrimoni, o Prime Comunioni di massa, di cui sappiamo tutti cosa resta, o meglio non resta?...
Il Signore non ha certo bisogno di noi e farà restare qualcosa, ma ciò non ci dispensa dal dovere di verificare l'impiego delle nostre forze, e di non "gettare le perle ai porci".
Il Sacramento della Penitenza è precipitato in pochi anni dalle stelle alle stalle. Ma questo non è forse un segno dello Spirito Santo che ci interroga sul nostro modo di celebrare il perdono di Dio, in modo spesso così frettoloso e formale, in tempi e modi secondari o sovrapposti ad altre celebrazioni? Non ci sembra la strada giusta quella di incoraggiare tutti a confessarsi comunque per ottenere l'indulgenza dell'anno santo, e a convogliare frotte di confessori nei luoghi di incontro dei pellegrini.
Forse dobbiamo verificare seriamente che "tutto viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione", e bisognerebbe che anche le forme della Riconciliazione evidenziassero di più la dimensione ecclesiale del perdono, oltre quella individuale. Forse c'è bisogno di qualche riflessione e indicazione autorevole dei Vescovi sul nostro modo di essere "ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro".
E cosa sta succedendo per i Matrimoni, nonostante tutti @l nostri Corsi di preparazione? E’ vero che a Roma le separazioni sono circa il 50% dei Matrimoni celebrati? E questo significa circa 9000/10.000 separazioni all'anno? E noi ormai ci troviamo a catechismo i figli di questa moltitudine di "cristiani separati".
Ed è vero che i Tribunali ecclesiastici, ritenuti gli unici competenti a giudicare la validità dei Matrimoni, riescono a dare poco più di un centinaio di sentenze all'anno? E noi continuiamo a celebrare Matrimoni-sacramento con maggioranze di coppie praticamente non credenti, prestandoci ad una situazione divenuta ridicola o scandalosa? Non. dovremmo forse ripensare le nostre presenze nei matrimoni?
Ma chi ha poi il coraggio di tirare logiche conseguenze da queste realtà?
Tutto questo non ci dà alcun motivo di scoraggiamento. Ce lo darebbe se significasse il fallimento della Chiesa di Gesù, o della fede del Popolo di Dio. Siamo invece convinti che sotto questo rimpasto profondo di situazioni lo Spirito di Dio stia manifestando linee di novità e libertà evangelica a cui dovremmo prestare grande attenzione, cambiando molte cose delle nostre sicurezze strutturali e tradizionali, per evidenziare altre sicurezze della fede.
Ci incoraggia in questa linea la constatazione che nelle nostre Parrocchie e comunità, esiste anche una Chiesa minoritaria, ma viva, matura, con esempi di fede spesso eroica, umile, impegnata e ricca di Parola di Dio, di preghiera, di carità e di cultura. E’ già lievito nella massa, non sale che ha perso sapore. Possono esserci scelte favorevoli perché il lievito fermenti. 1
Siamo convinti che prima di inventare nuove risorse da investire dobbiamo guardarci dentro, e accettare di non dover gestire né forme di potere spirituale, né maggioranze, né prestigio da salvare, né consensi pubblicitari, né forme religiose quantitative.
Abbiamo proprio bisogno di una riflessione profonda di tutto il presbiterio, e di un esame di coscienza a tutti i livelli.
Roma, 22 febbraio 2000
Carissimo,
ti aspettiamo per la prossima assemblea del Consiglio
Presbiterale, che come da calendario, avrà luogo lunedi 3
aprile p.v., alle ore 10, nella sala del terzo piano del
Vicariato.
Il primo argomento all'ordine del giorno, scelto tra le proposte
emerse nello scorso dicembre, sarà "Quale immagine di
presbitero oggi a Roma",
Introduzione del Cardinale Vicario su:
Nell'attuale situazione socio-culturale, e sollecitati dalla
dimensione missionaria della pastorale, quali stimoli ne nascono
per delineare una nuova identità ed un nuovo ministero del
presbitero?
Traccia per il dialogo (che avrà luogo divisi in quattro
gruppi):
- Quali sono le sfide che oggi il presbitero deve affrontare e che
riguardano la sua identità ed il suo ministero?
- Come rapportarsi ad esse traendone non solo motivi di
scoraggiamento, ma stimoli per nuove risorse da investire nella
pastorale?
- Quali proposte prioritarie possiamo individuare nell'attuale
contesto socio-culturale ed ecclesiale per promuovere un nuovo modo
di essere e di fare il presbitero a Roma?
Comunicazioni varie
Ti attendiamo con affetto
Don Michele Baudena
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APPELLO POLITICO
Non solo e soprattutto ai politici che hanno maggiori difficoltà a comprendere ed accogliere questo appello e che, tuttavia, se riescono a superare questa difficoltà, possono essere di grande aiuto a molti altri. Non è una disistima per i politici ma la convinzione che vi siano altri soggetti e altre risorse per la politica. E’ chiaro che l’appello è per una politica radicalmente nuova che implica una redifinizione del concetto stesso di politica.
Quel che è successo il
16.4.00
Una rivelazione: si sono tolti diversi veli.
Molti si sono accorti solo della rimozione del velo più
esterno ma è possibile arrivare a scorgere la realtà
che sta sotto tutti i veli.
In occasione di elezioni amministrative si
è scatenata una gran lotta di potere politico con un duello
centrale particolarmente spettacolarizzato.
La vittoria di una parte pare sia stata netta.
E’ emerso il duellante più forte e tutti gli altri
della parte avversa ma anche di quella sua appaiono
ridimensionati.
Un solo uomo e tanti “mezzommini”
Ed ora?
E’ il tempo della riflessione che nella parte perdente
è ovviamente dominata dalla ricerca di una rivincita.
Quale rivincita?
Diversi sono i tempi e diverse le opportunità, comunque si
tratta sempre di una rivincita di potere, di una riconquista
di maggioranze perdute.
Tutto ciò appare ragionevole e in qualche misura necessario
per salvare un bene, ancora indiscusso, la democrazia.
Il 16 aprile ha tolto un velo mettendo in luce consensi e dissensi
più accentuati di quanto in genere si prevedeva.
Ora si cerca una rivincita partendo da un’analisi di quel che
è successo in vista ovviamente di un nuovo progetto. Ci
sono, tuttavia, due modi di cercare la rivincita che partono da due
analisi della situazione.
Semplificando si può dire che c’è chi cerca una
rivincita a breve termine e chi punta su tempi più
lunghi.
Chi cerca la rivincita a breve termine analizza i giochi di
potere e studia come ritrovare il consenso popolare: con quali
programmi, con quali leaders, con quali immagini, con quali
seduzioni…. senza, speriamo, arrivare agli inganni e alle
violenze.
Tutto ciò appare ragionevole e in qualche modo
necessario.
C’è chi invece cerca la rivincita nei
tempi lunghi.
Ciò dipende da una diversa valutazione dei tempi necessari
per gli spostamenti del consenso e dalla scelta dei mezzi migliori
perchè questo avvenga.
Ma ci può essere un motivo più profondo per accettare
la pazienza dei tempi lunghi: capire che è una questione di
formazione.
Specialmente negli ultimi anni la formazione politica è
stata gravemente trascurata dai partiti, dai sindacati e da altri
soggetti capaci di impegno politico. L’assetto di potere
è arrivato facilmente non solo a trascurare ma anche a
combattere la formazione.
Nei rari casi in cui si è fatta formazione, come un
tentativo di scuola di formazione politica promossa dai vescovi o
comunque da realtà ecclesiali, quali sono stati i contenuti
della formazione e quali gli obiettivi
I contenuti: acquisizione di conoscenze di base
economiche, giuridiche, storiche, dottrinali; recupero di valori
perduti; ricerca di vie nuove, ecc.
Gli obiettivi: uno soprattutto, in posizione dominante, la
conquista, prima o dopo, del potere, ai vari livelli ella vita
sociale. Perché c’è una convinzione radicata,
indiscussa, che il potere è la via della politica. Questa
convinzione è profonda, diffusa e condivisa come una fede,
ed è idolatria
La coscienza
politica.
Questo appello “politico”, carica di urgenza, è
rivolto alla crescita della coscienza politica.
Parte ovviamente da un’analisi che scopre, in quello che
è successo il 16.4.00, una rivelazione, una rimozione di
tutti i veli che nascondono quel che c’è di più
vero in ogni donna e in ogni uomo: la possibilità d*i
scegliere fra la chiusura in se stessi e l’apertura agli
altri. Ed è proprio là, nel più profondo della
persona umana, che c’è la lotta decisiva. E’
là che va creata la vera rivincita, ogni volta che
l’interesse personale prevale sull’apertura agli
altri.
L’evento del 16.4.00 ha rivelato una forte crescita
d’interesse personale e un declino della
responsabilità verso gli altri, verso i singoli e la
società, della coscienza politica.
La formazione vista in funzione della rivincita nella gestione del
potere, può appartenere a un ragionevole gioco democratico,
ma c’è una risposta molto debole a una situazione
assai grave che si è ora rivelata.
Una formazione che sia scuola ed esercizio di apertura e di effettiva presa in carico dei problemi degli altri e della società è la vera rivincita nei confronti del potere che seduce e domina su quanti si lasciano sedurre.
Il passo decisivo.
Impegnarsi personalmente e comunitariamente in scelte di vita in
cui, lasciando in secondo piano gli interessi personali, si servono
gli altri e la società nei modi che sembrano più
validi, rispondendo alla domanda: di che cosa c’è
più bisogno che io possa fare?
Per questo occorre sradicare dal nostro animo la passione profonda
sottile, uscire dalla lotta per il potere, scoprendo la
possibilità di fare passi avanti nella liberazione dal
potere.
L’appello politico è un richiamo urgente al primato
dell’alternativa al potere nei confronti
dell’alternativa di potere.
Questo passo decisivo è una conversione profonda che non
può essere proposta se non è praticata in prima
persona singolare e plurali: io e noi.
Chi vive la fede cristiana e l’appartenenza alla Chiesa
come ascolto della parola di Dio non avrà difficoltà
a riconoscere in questo appello il riferimento a tutta la
Bibbia.
Si potrebbe cominciare a meditare:
Ap V e XIII
I° Cor. 1-3
Ebr. 4, 12-13.
Chi cerca le vie dell’impegno politico dei cristiani a prescindere dalla Bibbia continua a costruire sulla sabbia.
Pio Parisi
La riflessione può partire dall’“Appello politico” di Pio Parisi (Pasqua 2000).
Un circolo si realizza anche quando solo tre persone si
riuniscono per riflettere insieme
Qui non s’intende “circolo” nel senso di
istituzione, con eventuale relativa sede, anche se questo è
forse il significato più comune.
La prima condizione di un’autentica comunicazione di pensiero è la sincerità nel rispetto reciproco e nella rinuncia a qualunque strumentalizzazione. Comunicare è già un evento politico, non comunicare è il declino della politica.
Un amico, fortemente impegnato in
un partito, comunica la sua esperienza. Il guasto principale della
politica sta nel fatto che non si hanno più rapporti
personali autentici di vera amicizia e piena sincerità nel
perseguimento di obiettivi comuni. Ognuno vede l’altro come
un concorrente nei giochi di potere. L’amico ricorda un tempo
in cui una causa comune creava autentici rapporti di
fratellanza.
Questa testimonianza mette bene in luce come la mancanza di
comunicazione autentica segni la fine della politica e come tale
comunicazione abbia, invece, una grande valenza politica.
Anche al di fuori dei partiti accade che quando la conversazione
verte su argomenti politici ci si riconosca in quanto schierati
dalla stessa parte o su posizioni opposte, e questo impedisca la
comunicazione sincera e profonda sui temi in questione. E’
una delle principali cause del disinteresse dei giovani per la
politica.
L’obiettivo è una crescita di coscienza politica mediante la riflessione sui problemi della convivenza umana nella società italiana, nel contesto planetario.
Per crescita della coscienza
politica s’intende un fatto conoscitivo, una riflessione
seria sui problemi della convivenza umana, ma ancor più la
crescita della responsabilità, superando
l’individualismo e l’evasione con la facile
dichiarazione: io non ci posso fare nulla.
I problemi della società italiana non possono essere
scavalcati ma vanno inquadrati nel contesto planetario: da un lato
per capire in quali grandi dinamismi, positivi e negativi, si
pongono, d’altro lato per prendere coscienza delle gravissime
responsabilità nei confronti di tanti che stanno peggio di
noi.
Indichiamo qualche problema da cui si potrebbe partire in un
circolo di pensiero, tenendo presente che dei problemi più
gravi non di rado si parla di meno, specialmente nei media.
Qualche spunto:
L’identità dei giovani oggi: quello che cercano e quello che rifiutano di chi li ha preceduti. Nel mezzogiorno d’Italia, al centro, al nord, in Europa, nel mondo.
Il lavoro
La scuola
La famiglia
Il rapporto fra economia e cultura
La fede, la religiosità e l’impegno politico
Il metodo è quello dell’ascolto dei piccoli, liberandosi dalle gabbie di quelli che contano per il potere politico, economico, culturale, religioso. Ovviamente quelli che contano non sono esclusi, anzi la loro presenza è importante anche se nel circolo non conteranno più di qualsiasi altro.
L’importanza del metodo in
questo caso è grandissima. L’ascolto dei piccoli
sembra facile come gesto di benevolenza, di condiscendenza, di
compassione, per i politici, come ricerca di consenso.
Qui si propone tale ascolto come ricerca di senso: la cattedra dei
piccoli e dei poveri..
La difficoltà sta nell’uscire dalla rassicurante area
o cerchia di quelli che contano.
Chi sono i piccoli e i poveri? Difficile dirlo in chiave
sociologica. E’ una categoria, invece, evidentissima nella
Bibbia.
Le gabbie di quelli che contano sono molteplici in base al potere
politico, economico, culturale e religioso. Basta pensare per
quest’ultimo a quanto la Chiesa diventa “mondo
cattolico”. Le gabbie peggiori sono quelle di cui non ci si
accorge e quelli di cui ci si compiace.
Quelli che contano non sono mai esclusi ma accolti al pari dei
piccoli.
La riflessione in circolo richiede una continuità. Qui si propone anche un primo obiettivo temporale: le prossime elezioni politiche. Ma la crescita della coscienza politica va ovviamente al di là di ogni determinazione di tempo e di spazio.
Non è facile la
continuità, ma è necessaria.
Siamo abituati a discorsi interrotti, spezzati: dentro di noi e fra
di noi. Proviamo per qualche ora a non interrompere nessuno che ci
parla e ad accettare di essere interrotti. Ci si accorge che il
nostro conversare è continuamente stracciato. Una
riflessione seria sui problemi politici non può essere breve
e va ripresa da dove si è lasciata. E’ opportuno fare
ogni volta una sintesi.
Le prossime elezioni politiche sono importanti per eventuali spostamenti di potere. Incomparabilmente più importante è l’occasione per avviare una crescita di coscienza politica, al di là di determinazioni di tempo e di spazio, nel senso di tutti i grandi problemi della convivenza umana.
E’ normale ed auspicabile nella maggior parte dei casi, che chi partecipa al circolo di pensiero si impegni per la vittoria di una parte politica, specialmente in situazioni di emergenza. Nel circolo, tuttavia, ci si propone una vittoria più importante che va al di là di ogni situazione particolare: l’apertura agli altri e ai loro bisogni superando l’assolutizzazione dei propri interessi personali.
La vittoria sul proprio egoismo si ottiene fin dal primo momento di sincera apertura agli altri con cui si entra in politica e ci si libera dai giochi del potere.
Il suggerimento di questi circoli di pensiero politico, in vista delle prossime elezioni, parte da una lunga riflessione sulla politica e sul potere, alla luce della parola di Dio, che ha portato a scoprire la valenza politica del “non potere” e di altri impegni che per lo più vengono considerati non politici.
La ricerca per alcuni dura da una vita. Da tre anni un gruppo di amici si ripropone il tema della politica e in particolare del potere, alla luce della parola di Dio. Nel gruppo si sono integrate esperienze assai diverse e si è sperimentata la validità di una ricerca pienamente disinteressata e gratuita.
L’avvicinarsi delle prossime elezioni evidenzia una situazione delle coscienze assai confusa in cui occorre cercare di portare un po’ di luce, una conflittualità violenta in cui risvegliare un senso di rispetto, di responsabilità e di servizio, un gran parlare pieno di falsità in cui riproporre la sincerità e l’amore per la verità, una dipendenza dai media che ostacola il pensiero personale.
L’urgenza è evidente.
E’ chiaro che una crescita di coscienza politica sarà importante per chi nelle elezioni si troverà nella parte vincente e, forse più ancora, per chi perderà e si ritroverà in minoranza.
Superata l’assolutizzazione della vittoria in termini di potere si scoprono possibilità nuove per la minoranza:
l’opposizione, che rientra nei giochi del potere,
la resistenza che dice molto di più ed è già un’alternativa al potere,
la vittoria di fondo che è la crescita della coscienza politica.
Un circolo di pensiero politico si può realizzare
nell’ambito della famiglia, fra amici, nell’ambiente di
lavoro e in qualunque altra realtà dove ci si trova insieme
con gli obiettivi più diversi, dal divertimento allo studio,
al servizio sociale, alla ricerca religiosa. Non sarà invece
possibile dove già tutto è bloccato dai giochi del
potere.
Quanto qui proposto certamente già esiste, spesso in forme
serie, poco appariscenti che non creano polverone. Si tratta di
riconoscerle, aiutarle e farsi aiutare, alimentando la
circolazione, fra quanti hanno un comune sentire e un pensiero
profondo.
Nessun momento è propizio, ma in tutti i momenti si può realizzare un circolo di pensiero politico, a partire da una decisione maturata nel silenzio. Non è il caso di tentare dove tutto è bloccato dal potere. E’ invece essenziale partire da ciò che già esiste, da chi cioè pensa liberamente ai problemi della convivenza umana.