Incontri di discernimento e solidarietà
 
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1 maggio 2001

Il Libro di Giobbe

Dovremmo riuscire questa sera a dare uno sguardo ai capitoli da 32 a 37 e, con l’aiuto del Signore, con il mese di giugno dovremmo concludere la lettura del Libro di Giobbe.

Le pagine con cui abbiamo a che fare stasera hanno un loro interesse. Conviene non trascurarle, non saltarle a piè pari anche se è vero che costituiscono un ampio intermezzo. E’ come se questi capitoli costituissero un libretto a sé stante che è stato poi inserito nel Libro di Giobbe ed è diventato un libro nel Libro e adesso noi dobbiamo fare i conti anche con questi capitoli, con un elemento nuovo che si aggiunge nella ricerca di Giobbe, nel suo lamento, nella storia del suo dolore, nella storia del suo dibattito con gli amici che lo hanno avvicinato, che hanno voluto aiutarlo, ma che in realtà lo hanno disturbato, lo hanno anche maltrattato, giudicato, così come leggevamo nel corso di questi mesi.

I tre amici adesso tacciono. Si sono ritirati in buon ordine, non sanno più come controbattere la posizione di Giobbe. I tre amici spariscono dalla scena. Tutte le loro argomentazioni facevano sempre capo al principio della retribuzione, a quel dogma fondamentale nella tradizione dei sapienti: Dio premia i buoni, Dio punisce i colpevoli e se a Giobbe le cose vanno in questo modo vuol dire che è colpevole.

Invece Giobbe dice "i miei conti non tornano affatto. Sono travolto da una situazione dolorosa che non riesco a spiegare e voglio parlare di questo mio malanno, con tutte le complicazioni che comporta, direttamente con Dio". Perché Giobbe è un credente, è rivolto verso Dio, il nemico. I nemici. I suoi amici in realtà svolgono una funzione equivalente a quella di nemici. Comunque i suoi amici si sono posti in mezzo nella ricerca di Giobbe, hanno voluto loro prendere la parola, e Giobbe non ha ricevuto aiuto. Rimane con i suoi interrogativi, con il suo lamento, rimane Giobbe che cerca il contatto diretto con il Dio vivente perché solo in questa relazione a tu per tu con il Signore Giobbe sa che la sua situazione potrà essere chiarita. Nessuno potrà mai dargli un aiuto convincente. I tre amici ci hanno fatto una pessima figura.

Mentre Giobbe, nei cap. 29, 30, 31, espone la sua situazione in modo da attendere ormai che il Signore si faccia avanti ed entri direttamente in dialogo con lui, ecco che compare un altro personaggio. E nei cap. da 32 a 37 c’è una interferenza piuttosto pesante, consistente, si sviluppa nell’arco di tanti capitoli.

Compare un personaggio che si chiama Eliu. E’ una figura nuova. E’ un giovane che esprime una nuova sensibilità teologica. Rispetto alla scuola dei sapienti, Eliu è in polemica, è molto aspro nel rimproverare gli anziani maestri che non hanno saputo prendere posizione in modo da convincere Giobbe. Adesso interviene con un tono di sufficienza, con un atteggiamento molto presuntuoso. E’ d’altra parte un giovane molto dotato, ha una intelligenza vivace, una loquela molto versatile. Parlerà per tutti questi capitoli di seguito, sempre lui. Ma constateremo ancora una volta che quando Eliu si rivolge a Giobbe in realtà anch’egli non ha niente da dire a Giobbe, va avanti per la sua strada con le sue questioni ideologiche, una nuova sensibilità sapienziale, quella di cui si fa rappresentante. C’è una difficoltà all’interno della scuola, dell’accademia dei sapienti ed Eliu è il rappresentante della contestazione che insorge con straordinario furore per lanciare una nuova dottrina. Quando in realtà poi Eliu deve affrontare i problemi di Giobbe rimane estremamente gelido. E’ un intellettuale, un giovane intellettuale tutto preso dai suoi pensieri e tutto avvolto nella convinzione di doversi applaudire da solo. Vediamo meglio. Nei primi 5 versetti del cap. 32 ci viene presentato questo nuovo personaggio.

"Quando Giobbe ebbe finito di parlare, quei tre uomini cessarono di rispondere a Giobbe, perché egli si riteneva giusto" . I tre amici si ritirano. "Allora si accese lo sdegno di Eliu". Ecco che compare questo altro personaggio di cui ancora non ci eravamo accorti, stava in ombra, osservava la scena ed è stato attento allo svolgimento del dibattito. Adesso interviene infuriato. . "Allora si accese lo sdegno di Eliu, figlio di Barachele il Buzita, della tribù di Ram. Si accese di sdegno contro Giobbe, perché pretendeva di aver ragione di fronte a Dio; si accese di sdegno anche contro i suoi tre amici, perché non avevano trovato di che rispondere, sebbene avessero dichiarato Giobbe colpevole." Eliu ce l’ha con Giobbe, ma ce l’ha anche con i tre amici che avrebbero dovuto spiegare a Giobbe come stavano le cose e non ci sono riusciti. I veri destinatari di tutto il lungo e complesso discorso che Eliu vuole elaborare sono proprio quei tre amici rappresentanti ufficiali della scuola sapienziale. Il caso di Giobbe è soltanto un’occasione. A Eliu di Giobbe, del suo problema, del suo dramma, della sua storia, di lui in carne ed ossa non importa proprio niente. A Eliu invece importa molto, moltissimo assumere una posizione di conflitto nei confronti dei tre amici. Eliu è il rappresentante di una nuova posizione all’interno della scuola, dell’accademia, dell’ambiente in cui si trasmette la dottrina sapienziale. E’ un intellettuale.

"Però Eliu aveva aspettato, mentre essi parlavano con Giobbe, perché erano più vecchi di lui in età". Adesso Eliu si fa avanti perché dice "io sono più sapiente di voi perché anche se meno anziano di voi, meno esperto di voi, meno rappresentativo di voi, ho dalla mia parte l’irruenza di uno spirito profetico che mi autorizza ad accantonare la vostra autorità di sapienti incapaci ed è necessario che intervenga io che sono rappresentante di questa nuova dottrina che ha dalla sua l’irruenza travolgente di un carisma incontrollabile. I tre amici facevano parte di una scuola, si inserivano in una tradizione, obbedivano a un insegnamento tramandato nel tempo. Il giovane Eliu vuole imporsi come rappresentante di una sapienza di nuovo tipo, una sapienza che vale non perché si inserisce nella tradizione ed eredita l’insegnamento degli antichi, ma la sapienza che ha dalla sua, come elemento qualitativo che determina uno sbaragliamento di tutte le posizioni precedenti, la ricchezza di una ispirazione carismatica.

"Quando dunque vide che sulla bocca di questi tre uomini non vi era più alcuna risposta, Eliu si accese di sdegno. Prese dunque la parola, Eliu, figlio di Barachele il Buzita, disse: (adesso, dal v. 6 fino al v. 22 Eliu si presenta, poi il suo discorso si svilupperà nei capitoli successivi in tre grandi argomentazioni, infine c’è una coda finale) giovane io sono di anni e voi siete già canuti; per questo ho esitato per rispetto a manifestare il mio sapere. Pensavo: Parlerà l’età e i canuti insegneranno la sapienza. (attenzione al v. 8) Ma certo essa (la sapienza) è un soffio nell’uomo; l’ispirazione dell’Onnipotente lo fa intelligente". Questo è il punto. Dice Eliu "La sapienza non è quell’insegnamento tradizionale di cui voi siete depositari. La sapienza è una forza libera e appassionata che non dipende dalla tradizione degli antichi e che si manifesta là dove trova una persona adatta." E’ lui, Eliu, che sta parlando di se stesso come di un ispirato, come di un profeta che è portato da questa travolgente commozione carismatica. Il sapiente non è l’uomo della tradizione che riprende, rilancia l’insegnamento tradizionale come nel caso dei tre amici, in modo così ufficiale, coerente, ciascuno con il suo linguaggio, ma all’interno di una visione comune molto compatta. Il sapiente non è così, adesso è il tempo in cui la sapienza si presenta con il volto di un giovane il quale sbaraglia gli anziani. "E voi che avreste dovuto spiegare a Giobbe come stanno le cose aveta dimostrato di essere degli incapaci. Per fortuna che adesso ci sono io". E prosegue: "Non sono i molti anni a dar la sapienza, né sempre i vecchi distinguono ciò che è giusto. Per questo io oso dire: "Ascoltatemi; anche io esporrò il mio sapere". "Adesso parlo io, non rispettando più i turni, le scadenze scolastiche, i titoli accademici, adesso voi mi dovete ascoltare perché il vero sapiente, in questo mondo di gente grigia, spenta e sconfitta come siete voi, sono io e ho in mano gli argomenti risolutivi per spiegare a Giobbe che si sta sbagliando". In realtà Giobbe non gli interessa. A Eliu interessa affermare il valore della sua alternativa all’interno della scuola dei sapienti. E’ lui, giovane intellettuale, brillante, molto dotato che è il rappresentante di una sapienza di nuovo tipo. Tra l’altro usa un termine che nel v. 6 e nel v. 10 è tradotto con "sapere". E’ un termine nuovo. Si inventano ogni tanto parole nuove, succede anche a noi. Magari non si sa bene cosa voglia dire, ma quella parola nuova serve spesso a coprire dei vuoti. Torna nel discorso di Eliu più volte. Il sapere. E’ una nuova sapienza, un nuovo discorso, una nuova impostazione, un nuovo approccio, un modo nuovo, diverso, alternativo di intendere le cose. E vedete bene che Eliu da parte sua non dà più credito al principio della retribuzione che era l’elemento cardine della dottrina tradizionale. Eliu dice "non bisogna più fare riferimento a quel principio, a quella impostazione, le cose non funzionano".

E prosegue: "Ecco, ho atteso le vostre parole, ho teso l’orecchio ai vostri argomenti. Finchè andavate in cerca di argomenti su di voi fissai l’attenzione. Ma ecco, nessuno ha potuto convincere Giobbe, nessuno tra di voi risponde ai suoi detti. Non dite: Noi abbiamo trovato la sapienza, ma lo confuti Dio, non l’uomo!" "Voi vi tirate indietro. Dovete invece intervenire voi, dovete voi contestare Giobbe, dovete voi argomentare in modo da dimostrare a Giobbe che si sbaglia." "Egli non mi ha risposto parole, e io non gli risponderò con le vostre parole". "Io faccio un altro discorso. Seguo un’altra strada." Una rivoluzione completa quella che Eliu sta proclamando qui: è la rivoluzione degli intellettuali, una rivoluzione fatta di parole, forse fatta di chiacchiere, fatta di vuoti ricoperti, vuoti ammantati, anche se con una eloquenza molto abbondante e molto brillante, di cui Eliu certamente fa sfoggio.

Andiamo avanti, continua a rimproverare gli amici, dal v. 15 al v. 22. "Sono vinti, non rispondono più, mancano loro le parole. Ho atteso, ma poiché non parlano più, poiché stanno lì senza risposta, voglio anch’io dire la mia parte, anch’io esporrò il mio parere; mi sento infatti pieno di parole, mi preme lo spirito che è dentro di me. (Una specie di eruzione spirituale, qualcosa che ferve, ribolle dentro di lui e che deve trovare sfogo) Ecco, dentro di me c’è come vino senza sfogo, come vino che squarcia gli otri nuovi. Parlerò e mi sfogherò, aprirò le labbra e risponderò. Non guarderò in faccia ad alcuno, non adulerò nessuno, perché io non so adulare; altrimenti il mio creatore in breve mi eliminerebbe".

E’ molto sicuro di sé, molto convinto della sua autenticità. E’ mosso da questa grande passione intellettuale come se ormai lui e solo lui potesse prendere la parola in modo efficace per risolvere la questione di Giobbe. "Ma è necessario passare per un’altra strada" dice Eliu. Il principio della retribuzione non è lo strumento adatto per risolvere il problema di Giobbe. La questione va affrontata reimpostando le cose ed Eliu ha la presunzione di essere in grado di ottenere questo risultato.

Prosegue. Cap. 33, primo svolgimento, fino al v. 30. Sono tre grandi svolgimenti, in un unico discorso, ma sono tre discorsi, sono anche molti discorsi. Questo modo di comportarsi è già di per sé molto significativo: Eliu parla ininterrottamente. In realtà non sta dialogando con Giobbe. Non gli importa nulla di dialogare con Giobbe. Quello che deve dire Giobbe lo dice lui. E’ un modo di dialogare, per così dire, a cui siamo abituati anche noi. Può succedere, succede anche nelle nostre esperienze.

"Ascolta dunque Giobbe i miei discorsi, ad ogni mia parola porgi l’orecchio. Ecco, io apro la bocca, parla la mia lingua entro il mio palato. Il mio cuore dirà sagge parole e le mie labbra parleranno chiaramente. Lo spirito di Dio mi ha creato e il soffio dell’Onnipotente mi dà la vita. Se puoi rispondimi, preparati davanti a me, sta pronto. Ecco, io sono come te davanti a Dio e anch’io sono stato tratto dal fango: ecco, nulla hai da temere da me, né graverò su di te la mano".

Si è presentato. "Giobbe sta pronto perché ti dirò delle cose che porto dentro di me, che devono trovare finalmente la loro formulazione per avvolgerti dentro alla risolutiva chiarezza di un discorso che ti convincerà". Ed Eliu ci tiene a presentarsi in atteggiamento anche molto dimesso, anche se la situazione poi è diversa perché mentre Eliu si presenta a Giobbe quasi fossero alla pari, è arroccato in una posizione di spudorata presunzione, un sentimento di superiorità veramente schiacciante. Eliu dice "vedi, ho in me la pienezza di un dono spirituale, la pienezza carismatica e riverso su di te la ricchezza di pensiero, di sentimento, di intelligenza che ho ricevuto da Dio e in questo modo ti convincerò". E mette a fuoco nei versetti da 8 a 11 qual è la tesi che Giobbe ha sostenuto e che è riprovevole. Eliu procede sempre in questa maniera: richiama la posizione di Giobbe, come la ricostruisce lui. E’ lui che fa parlare Giobbe, non è Giobbe che parla in prima persona. Succede anche spesso che quando si litiga con qualcuno si può giungere ad una situazione paradossale nella quale si giocano due ruoli e si mettono in bocca all’altro le parole che avrebbe detto o che dovrebbe dire o che certamente dirà. Eliu è fatto così.

Quale tesi riprovevole Giobbe ha sostenuto? "Non hai fatto che dire ai miei orecchi e ho ben udito il suono dei tuoi detti. Puro son io, senza peccato, io sono mondo, non ho colpa: ma egli (Dio) contro di me trova pretesti e mi stima suo nemico; pone in ceppi i miei piedi e spia tutti i miei passi!" "Tu hai sostenuto che Dio si è dimostrato ingiustamente ostile contro di te. Dio è ingiusto contro di te perché ha dimostrato di essere tuo nemico". Questa tesi è riprovevole, dice Eliu. E adesso parte all’attacco, dal v. 12. "Ecco io in questo ti rispondo: non hai ragione. Dio è infatti più grande dell’uomo". Attenzione perché Eliu prende degli atteggiamenti che non sono più quelli degli antichi maestri, come i tre amici. Prende degli atteggiamenti che hanno una carica emotiva di nuovo tipo. Eliu dice "Dio è grande". Che risposta è questa? E’ una risposta di tipo islamico. Mi spiego. "Tu dici che Dio si dimostra ostile a te e ti sbagli perché Dio è grande". Eliu non fa appello al principio della retribuzione, Eliu dice "Dio è grande e tu devi sottometterti. E se tu affermi che Dio ce l’ha con te è perché non sei sottomesso, è perché sei un ribelle, è perché non hai devozione, tu devi obbedire con smisurata partecipazione di tutto te stesso e di tutto il tuo cuore". Sottomissione. Islam tra l’altro vuol dire proprio questo: sottomissione. "Dio è grande, tu devi devotamente sottometterti".

"Perché ti lamenti di lui, se non risponde ad ogni tua parola? Dio parla in un modo o in un altro, ma non si fa attenzione. Parla nel sogno, visione notturna, quando cade il sopore sugli uomini e si addormentano sul loro giaciglio; apre allora l’orecchio degli uomini e con apparizioni li spaventa, per distogliere l’uomo dal male e tenerlo lontano dall’orgoglio, per preservare l’anima dalla fossa e la sua vita dalla morte violenta".

"Dio parla agli uomini, ma parla attraverso le cose che succedono e attraverso le situazioni dolorose della vita umana. Dio parla e tu non puoi rimproverare a Dio di comportarsi come il tuo nemico. Tu devi sottometterti agli avvenimenti, alle situazioni". In quello che Eliu dice, qua e là ci sono degli sprazzi di luce, ci sono dei pezzi di verità, ma è l’insieme del suo discorso che diventa veramente pesantissimo e ferocissimo. "Non puoi rimproverare a Dio di essere cattivo con te. Sei tu che non sei devoto".

V. 19 e seguenti: "Lo corregge con il dolore nel suo letto e con la tortura continua delle ossa; quando il suo senso ha nausea del pane, il suo appetito del cibo squisito; quando la sua carne si consuma a vista d’occhio e le ossa, che non si vedevano prima, spuntano fuori, quando egli si avvicina alla fossa e la sua vita alla dimora dei morti." Vedete quante situazioni di malattia, di inappetenza, di deperimento, ormai l’agonia in vista della morte. "Ma si tratta di accettare questa sofferenza perché la sofferenza che è presente nella tua vita è la forma pedagogica di cui Dio si serve per trattare con te e cosa puoi pretendere tu? Come puoi tu contestare l’iniziativa sapiente e pedagogica del Signore? Devi solo sottometterti" dice Eliu a Giobbe. "Perché Dio è grande e si impone a te e se tu ti trovi in una situazione così terribile e tragica come dici – a me non interessa poi come sia – vuol dire che va bene così per te, che deve essere così per te". E questo non è un discorso che Eliu fa in rapporto ad un antico principio, il principio della retribuzione. "Se Dio fa così devi solo sottometterti, perché Dio è grande". La risposta islamica. "Se tu ti sottometti poi trovi motivo di consolazione, la tua vita si illumina dall’interno, tutto si semplifica. In questo modo ti convertirai e in questo modo potrai poi assaporare aspetti di gioia, potrai trovare consolazione, potrai gustare la bontà di Dio, perché Dio si rivolge alle sue creature sempre per motivi di bontà, ma è grande. Cosa ne sai tu? Stai dentro alla tua realtà, nella misura del tuo dolore. Lì devi sottometterti". Questo è il primo svolgimento del discorso.

Secondo svolgimento, cap. 34: ""Eliu continuò a dire: Ascoltate saggi le mie parole e voi, sapienti, porgetemi l’orecchio, perché l’orecchio distingue le parole, come il palato assapora i cibi. Esploriamo noi ciò che è giusto, indaghiamo fra di noi quale sia il bene". Interessante il linguaggio di Eliu perché fa riferimento ad un circolo di esperti – "tra di noi" – un circolo di buongustai, gente che ha il palato raffinato, è un ambiente di intellettuali assai settari, proprio per motivi ideologici, ma è inevitabile. Eliu dice tra di noi "perché ci intendiamo, ci sintonizziamo dentro a questa ricerca fatta con grandi riferimenti ideali, sentimentali come se noi potessimo riconoscerci dal momento che siamo dotati di uno stesso carisma superiore a quello della gente che si lascia andare e imprigionare dentro alle situazioni negative del mondo. Per noi anche le situazioni negative del mondo diventano ormai una rivelazione della grandezza di Dio e non abbiamo più niente da temere. E’ soltanto necessario e doveroso sottomettersi".

V. 5. Di nuovo una tesi che Giobbe ha sostenuto e che deve essere contestata. "Giobbe ha detto: "Io son giusto, ma Dio mi ha tolto il mio diritto; contro il mio diritto passo per menzognero, inguaribile è la mia piaga benchè senza colpa". Chi è come Giobbe che beve, come l’acqua, l’insulto, che fa la strada in compagnia dei malfattori, andando con uomini iniqui? Perché egli ha detto: "Non giova all’uomo essere in buona grazia con Dio". Cosa ha sostenuto Giobbe? Giobbe ha affermato che la devozione, di cui Eliu gli sta parlando, è inutile. E’ inutile sottomettersi a Dio. "Tu hai sostenuto questo, Giobbe". "Non giova all’uomo essere in buona grazia con Dio". La sottomissione è perfettamente inconcludente. "Tu Giobbe hai ribadito nelle tue affermazioni, nei tuoi interventi questa tesi".

E adesso Eliu riparte, guardate cosa dice a Giobbe. In realtà Eliu prosegue nella sua argomentazione. "Tu dici che Dio è il tuo nemico? Ingiustamente. Sei tu che devi sottometterti".

E Giobbe da parte sua: "la mia sottomissione non serve a niente, è del tutto inutile".

E adesso Eliu gli spiega "tu devi essere umile". Anche in questo caso una risposta di tipo islamico da parte di Eliu. "Vedi che Dio è libero. Libero nel remunerare. Certo, Dio è remuneratore ma a modo suo. E come puoi tu stabilire quel che è utile e quel che è inutile? Devi essere umile e Dio – remuneratore nella sua libertà – ti travolge.

V. 10: "Perciò ascoltatemi uomini di senno: lungi da Dio l’iniquità e dall’Onnipotente l’ingiustizia! Poiché egli ripaga l’uomo secondo il suo operato e fa trovare ad ognuno secondo la sua condotta." "Dio è remuneratore, ma a modo suo, nella sua libertà." Eliu fa delle affermazioni forti. E fa affermazioni che riguardano proprio una impostazione diversa delle cose. Non è più il vecchio principio della retribuzione per cui Dio era come incapsulato dentro un meccanismo, non è più così.

V. 12: "In verità Dio non agisce da ingiusto e l’Onnipotente non sovverte il diritto! Chi mai gli ha affidato la terra e chi ha disposto il mondo intero? Se egli richiamasse il suo spirito a sé e a sé ritraesse il suo soffio, ogni carne morirebbe all’istante e l’uomo ritornerebbe in polvere". "La nostra possibilità di vivere dipende da Lui in quanto Lui è libero di farci vivere e non vivere. Tu non puoi rimproverarlo, devi umilmente sottostare alla sua libertà." "Se hai intelletto ascolta bene questo, porgi l’orecchio al suono delle mie parole. Può mai governare chi odia il diritto?" Eliu prosegue spiegando a suo modo che Dio fa le sue cose nel mondo e nella storia degli uomini con la sua libertà. Per questo è imparziale. "Non è che tu puoi porgli dei criteri. Non puoi pretendere da Dio che rispetti il riferimento alla tua utilità, a ciò che è conveniente a te, devi fidarti della sua onnipotenza, della sua onniscienza, devi fidarti di Lui, che è remuneratore nella libertà assoluta e superiore a tutto e a tutti. Per questo è imparziale, perché è superiore. Devi essere umile, Giobbe".

E così ancora dal v. 31 fino al v. 37. Più Eliu va avanti in questo suo lungo discorso, pieno di immagini, con tanti richiami, con tante sottolineature, più ci rendiamo conto che veramente Eliu non prende in considerazione il dramma di Giobbe, la sofferenza di Giobbe, la storia di Giobbe. Per Eliu quello che è importante è dimostrare una ideologia, la sua ideologia. Sua e di altri come lui. Un personaggio brillante come Eliu ormai ha trovato soluzioni alternative. "Dio è grande, tu devi sottometterti a lui e vedrai che non ci sarà più motivo per lamentarti". Ed Eliu torna all’attacco: "Tu, Giobbe, dici che non val la pena perché la tua sottomissione devotissima a Dio ti lascia nei guai e io ti dico che Dio è libero e tu non puoi pretendere nulla da lui. Non puoi imporgli di obbedire a quel che dal tuo punto di vista è utile, benefico, gratificante per te. Non puoi imporgli niente. Devi sottostare umilmente".

Non basta questo. Terzo svolgimento. Si riprendono dei versetti che avevamo lasciato da parte, alla fine del cap. 33, da 31 a 33: "Attendi, Giobbe, ascoltami, taci e io parlerò: ma se hai qualcosa da dire, rispondimi, parla, perché vorrei darti ragione; se no, tu ascoltami e io ti insegnerò la sapienza". Interessante, proprio questo è Eliu. "Adesso io ti faccio parlare", però continua a parlare lui. Capita spesso anche a noi. "Adesso è il momento che voglio sentirti, voglio starti ad ascoltare" e poi invece parla lui. "E’ meglio che ascolti tu me. Ti insegnerò la sapienza".

Cap. 35. E’ il terzo svolgimento del lungo discorso. "Ti pare di aver pensato cosa giusta, quando dicesti: "Ho ragione davanti a Dio"? O quando hai detto: "Che te ne importa? (Qui è meglio tradurre: "Qual è il mio vantaggio?) "Che utilità ne ho dal mio peccato?" Anche qui bisognerebbe correggere: "Che utilità ne ho ad essere senza peccato?". Questa è la tesi riprovevole sostenuta da Giobbe e adesso Eliu la vuole mettere a fuoco per contestarla. "Tu, Giobbe, sostieni che è inutile restare senza peccato". Addirittura il peccato diventa conveniente, ha un suo vantaggio e oltretutto ti risolve lì per lì delle situazioni, nella vita, nel mondo degli uomini, nella storia. Ed Eliu dice "Tu ti sbagli". Giobbe chiede: "Ma allora di chi è il danno del peccato? Tanto vale peccare."

Ed Eliu riparte sempre più infuriato: "Contempla il cielo e osserva, considera le nubi: sono più alte di te. Se pecchi che gli fai? Se moltiplichi i tuoi delitti, che danno gli arrechi?" Dice Eliu: "a Dio non ne viene nessun danno. Il danno del tuo peccato certamente non è di Dio" che è come dire "Dio è al di sopra, a Dio il tuo peccato è del tutto indifferente".

Sembra una affermazione teologica. Ma questa è veramente una bestemmia. E’ una testimonianza di ateismo "Ma come? A Dio del mio peccato non importa nulla perché Dio è grande?" C’è un pezzo di verità dentro a questa affermazione, però noi che abbiamo alle nostre spalle la pienezza della Rivelazione, sappiamo bene che a Dio del nostro peccato importa e importa molto. Dio non si sarebbe rivelato a noi così come è avvenuto se non fosse vero che il nostro peccato è un danno per Lui. Il Figlio di Dio è morto per questo, proprio per dimostrare che il danno prodotto dal peccato è partito da Lui. Il mistero di Dio si è rivelato a noi così. E bisogna dire che quando Giobbe fa le sue obiezioni è orientato proprio nella direzione che ci porta fino al Nuovo Testamento, fino alla pienezza della Rivelazione.

Eliu sostiene che il danno del peccato è esclusivamente di Giobbe, degli uomini. "A Dio non importa se tu pecchi o non pecchi, semmai importa a te. Peggio per te, ma per Dio guai non ce ne sono". Questo è il punto. Giobbe diceva "allora tanto vale peccare". Ed Eliu "no, ti sbagli, perché il danno è tutto tuo". Però vedete che Giobbe dentro a questi discorsi non ci sta. "Ma come? Dio è del tutto insensibile, lontano, disinteressato, non gli importa del mio peccato e i guai del mio peccato sono tutti miei e mi ricadono addosso?" Certo, questo è anche vero, ma l’impostazione data da Eliu è una impostazione atea: parla di Dio, ma parla di un Dio che non esiste, di un Dio che non è Dio, parla di un Dio che è una specie di entità superiore estranea a quello che succede nel mondo. "Ma che Dio è questo? E intanto le cose nel mondo si muovono come una specie di gioco di birilli per cui quando un birillo è colpito è abbattuto, e il guaio è del birillo. E il birillo sarei io" e i tanti poveri Giobbe di questo mondo.

Che è come dire: le cose di Dio stanno al di sopra, poi c’è una impostazione nella moralità, nell’impegno etico della vita. "Questa è una specie di scacchiera all’interno della quale devi giocare le carte che hai a disposizione, le pedine che puoi muovere, perché dipende da te".

Questa trascendenza di Dio, questa magnificenza di Dio, questa superiorità di Dio per Giobbe è una bestemmia. "Di quel miserabile peccatore che sono io a Dio importa qualcosa o no?" Ed Eliu dice: "No!" E Giobbe: "tu sei un ateo. Tu vuoi parlare di Dio con il massimo degli aggettivi, una visione grandiosa della sua straordinaria bellezza, irraggiungibile, trascendente, inattaccabile, mentre il problema del peccato è il problema nostro, di noi uomini che portiamo le conseguenze del nostro peccato. Tu sei un ateo" sostiene Giobbe. "Questo Dio di cui parli non esiste".

Giobbe ha tirato fuori quella obiezione "che vantaggio c’è a non peccare se le cose stanno come dici tu?" Ed Eliu: "Il danno è tutto tuo se pecchi". "Il danno è tutto mio se pecco?"

Certo, i danni conseguenti ai nostri peccati ricadono su di noi, non c’è dubbio. "Ma tu sostieni che allora Dio sarebbe contento o sarebbe comunque sazio di sé e raccolto nella sua solitudine eterna, nella sua infinita pienezza. Lui sarebbe contento se gli uomini si aggrovigliano dentro la miseria del loro peccato. Questo è il Dio di cui tu mi parli?". Che è come dire: "tu sei un uomo peccatore. Pecca più che puoi ma intanto ricordati che Dio è Dio" che è un modo per distinguere la fede nella trascendenza di Dio dall’impegno morale nelle cose della vita e del mondo.

Questa impostazione delle cose è aberrante. Ma Eliu da parte sua è trionfante, è di un’eloquenza travolgente. Ancora una volta una risposta di tipo islamico. "Dio è indifferente alle tue cose. Cosa vuoi che importi a Dio dei tuoi guai. Peggio per te se sei un peccatore. E allora tu, che sei un peccatore, che sei nei tuoi guai, affidati a Dio in un atto di fede assoluta, una fede che non comporta la conversione della vita, la trasformazione della vita, la redenzione del peccato". Tutto questo non c’entra niente per Eliu, mentre invece noi sappiamo che la storia della salvezza va proprio nella direzione opposta. Dio si è rivelato a noi, Lui, immenso nell’amore, trascendente, dimostrando che è preoccupazione sua riscattarci dal peccato, convertirci, liberarci, purificarci, tirarci fuori. Se no, Dio sta per conto suo, noi stiamo per conto nostro, ci crogioliamo in una storia di peccato dove ci facciamo una figura orribile, però intanto siamo rivolti, in un atto di fede assoluta, di fede cieca, di fede atea, a Dio. Fede atea. Che affermazione paradossale! Ma è proprio Dio che vuole la conversione di me, peccatore.

Questi ragionamenti rispuntano in tanti modi nella nostra vita, con tante sfaccettature, con tante anche soluzioni parziali, qualche volta con tante complicazioni. Qui nel Libro di Giobbe proprio tutte le difficoltà che sono nella ricerca religiosa della nostra condizione umana sono richiamate, sono messe a fuoco.

Ed Eliu prosegue, Giobbe non riesce neanche a parlare, lo travolge. Cap. 35, cap. 36 e poi ci fermiamo. Solo per un momento ancora, nel cap. 36, prendete il v. 22: "Ecco, Dio è sublime nella sua potenza; – è Eliu che sta parlando – chi come lui è temibile? Chi mai gli ha imposto il suo modo di agire e chi mai ha potuto dirgli: "Hai agito male?". "Dio è trascendente, magnifico. Tu sei un peccatore! Il tuo peccato non è un problema di Dio." E Giobbe: "tu sei un ateo". "Ricordati che devi esaltare la sua opera, che altri uomini hanno cantato. Ogni uomo la contempla, il mortale la mira da lontano. Ecco, Dio è così grande, che non lo comprendiamo: il numero dei suoi anni è incalcolabile." E così Eliu, alla fine del cap. 36 e nel cap. 37, si lancia in una specie di canto. Ed ha delle capacità poetiche, dà un saggio di questo suo sentimento, di questa sua produttività poetica, di questa sua irruenza carismatica e si mette a celebrare, a suo modo, a proclamare la grandezza di Dio. Ma tutto questo per rimarcare quella situazione terribile, infernale, su cui mi ero soffermato poco fa e insistevo nel tentativo di illustrare il senso della questione. Il dramma del peccato è un dramma che riguarda gli uomini, non riguarda Dio. "Pecca fin che vuoi, peggio per te. Comunque, credi in Dio". "Ma in quale Dio credo se non credo in Dio che vuole la mia redenzione di peccatore". Eliu crede di aver trovato la soluzione. In realtà ha trovato l’inferno. E’ una figura un po’ infernale il povero Eliu. Eppure appare qui in questo intermezzo come un grande protagonista di chissà quale scoperta innovativa, risolutiva. Ma c’è qualcosa di diabolico in questo personaggio. Era convinto di aver trovato la soluzione al problema, in realtà ha indicato soltanto la strada dell’inferno.


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