Incontri di discernimento e solidarietà
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8 settembre 2012

La Chiesa che parla

Riflessioni sul punto 10 della traccia di Pio

Presenti: Francesco Giordani, Alberto La Porta, Paolo Bonfanti, Laura Marini, Antonio Russodivito, Giulio Cascino, Franco Passuello, Massimo Panvini, Roberto Giordani, Anna Polverari, Liborio Oddo, Giuseppe Marucci, Pino Baldassari

Sul tema "La Chiesa che parla" (punto 10 della traccia di Pio) si programmano due incontri di approfondimento:

  • Suor Chiara Patrizia - 26/27 ottobre 2012-10-06
  • P. Francesco Rossi De Gasperis - 1° dicembre 2012

Alberto, ci invita ad iniziare la nostra riflessione recitando la sequenza allo Spirito Santo come ci ha insegnato Pio.

Introduce Francesco Giordani : Ricordo che per Pio, soprattutto negli ultimi tempi, il tema della Chiesa, del suo futuro, era uno di quelli su cui si interrogava più spesso. Nei suoi scritti, quando parla della chiesa riprende alcuni punti chiave: il Mistero, la Parola, il potere.

Sul Mistero nel volumetto "L'etica dal mistero", nel capitolo 4° intitolato "pastorale e politica" a pagina 55 dedica un paragrafo a "La pastorale delle risposte". Dice Pio "La pastorale dovrebbe a mio avviso incoraggiare le domande di fondo a cui la civiltà attuale non dà risposta. E per incoraggiarle evidentemente bisogna ascoltarle e prenderle sul serio, evitando in ogni modo di dare risposte con un Dio che non c'è. Aiutare quindi a prendere coscienza che il mistero sta già dentro la nostra vita, nella storia, nell'evoluzione cosmica".

Pio indica una via, con questa riflessione sul Mistero, per il futuro della Chiesa.

E' la Parola che dovrebbe informare la vita della Chiesa. Nell'esperienza corrente la Chiesa appare più come un distributore di servizi, una autorità morale, ma non è evidente che il Vangelo sia al centro della vita della Chiesa. Cosa significa dunque Chiesa che annuncia nella realtà di oggi? Può risultare problematico l'annuncio della morte e resurrezione di Gesù per tutti noi cristiani. Mentre l'annuncio del Vangelo è esattamente l'annuncio della morte e resurrezione di Gesù e non il riportare una bella frase come un bel "detto" un bel "principio".

C'è poi il tema del potere soprattutto in relazione al fatto che per molti secoli la Chiesa è stata anche un potere mondano, e questa realtà non è del tutto finita. Oggi i poteri predominanti sono quelli delle grandi imprese e forse il rischio della Chiesa oggi è quello di vivere come una grande azienda. E' importante riflettere che cosa è il popolo di Dio, quale ruolo ha nella chiesa, chi è il suo pastore; questo soprattutto in relazione al potere di cui parla Pio. Il potere come grande idolo: al potere degli uomini Pio contrappone il potere di Dio. C'è poi la potestà del Vescovo di cui parlano diverse encicliche e la stessa Lumen Gentium: qual è la potestà del Vescovo (il Papa) rispetto al potere degli uomini. Leggiamo la parte della Lumen Gentium che parla del potere dei Vescovi: " I Vescovi reggono le Chiese particolari a loro affidate come vicari di Cristo, col consiglio, la persuasione, l'esempio, ma anche con l'autorità e la sacra potestà, della quale però non si servono se non per costruire il proprio gregge nella verità e nella santità, ricordandosi che chi è più grande si deve fare come il più piccolo, e chi comanda , come chi serve."

Capire chi sono i pastori e qual è il loro ruolo credo sia importante per riflettere sul futuro e sulla riforma della Chiesa.

Ma oggi a chi interessa la riforma della Chiesa? Sembra che interessi a pochi. Da una parte i cattolici cui la Chiesa va bene così come è, dall'altra parte i laici ai quali la Chiesa non interessa. Da parte di molti c'è una grande superficialità quando si parla della Chiesa, spesso si ride della Chiesa, la si critica come struttura obsoleta. Sembra però che a pochi interessino questi temi.

Una riflessione profonda su questi temi è necessaria per affrontare questo discorso sul futuro e sulla riforma della Chiesa, riforma sempre più urgente.

Giulio: sul tema del Mistero ripropongo le lectio tenute da Pino Stancari sul libro della Sapienza : la sapienza è aprirsi al Mistero che riguarda Dio e gli uomini. Emerge qui un concetto di Chiesa certamente diverso da quello che si trova in circolazione.

Mi ha stimolato la domanda fatta da Francesco alla fine della sua introduzione: a chi interessa la riforma della Chiesa?

Lo spazio dato a Martini dai mezzi di comunicazione in occasione del suo funerale ci ha fatto vedere che c'è un'altra Chiesa che non è evidente. Questa Chiesa che non bada agli affari esiste, una Chiesa a servizio, aperta. L'iniziativa di Martini con la cattedra dei non credenti ha avuto risonanza mondiale. Il lavoro da fare è enorme, soprattutto in noi stessi. E' qui la necessità di passare da un potere come successo, come dominio, ad un potere come servizio, disponibilità. La vicenda del card. Martini ha dato una boccata di ossigeno. E' vero che l'annuncio arriva anche a chi non ha la fede. Questa vicenda di Martini è stata per me un grande segno di speranza.

Liborio: inizia il suo intervento riprendendo l'ultima parte della traccia di Pio:

"Il problema principale mi sembra sia quello di un cristianesimo devitalizzato, costituito da osservanza e da riti che tranquillizzano le coscienze e conservano un certo ordine nella Chiesa. Quel che manca è l'annuncio e la sequela di Gesù Cristo, l'adesione alla sua passione, morte e risurrezione. Alcuni parlano di cristianesimo adattato allo spirito del mondo che non è più lievito e sale. E questo falso cristianesimo parla e non di rado si trova in sintonia con lo spirito del mondo."La fede dipende dunque dalla predicazione e la predicazione si attua a sua volta per la parola di Cristo" (Rm. 10, 11), "Factus sum mutus et verbosus, mutus in necessariis, verbosus in otiosis" (S. Gregorio Magno)."

Questo testo che Pio ha scritto durante l'ultimo tratto del suo cammino terreno, nella sua perentoria e necessaria stringatezza, ci grava di una grandissima responsabilità nei confronti della chiesa e degli uomini del nostro tempo. In rapida successione viene descritto lo stato della chiesa ( cristianesimo devitalizzato, costituito da osservanze, riti e pratiche esteriori); ne viene affermata la causa (manca l'annuncio e la sequela di Gesù Cristo,manca l'adesione alla sua passione,morte e risurrezione); viene denunciato, come conseguenza di quella mancanza,un cristianesimo che si va adattando allo spirito del mondo fino a parlare ed operare in sintonia con esso diventando, non di rado, un falso cristianesimo.

Penso che questo testo non può essere inteso in nessun modo come una lettura definitoria della chiesa attuale, nè usato per giustificare letture e teorizzazioni aprioristiche ed ideologiche sulla vita della chiesa (opposizione chierici - laici, maschile - femminile, tradizione- rinnovamento, struttura-carisma, rito-sacramento, ecc.) né per operare scelte pratiche che portano ad aumentare il tasso divisione e di incomprensione dentro la chiesa e tra la chiesa e il mondo degli uomini a cui è stata inviata. La testimonianza di Pio rimane esemplare. Dinanzi alla sonnolenza, alle distrazioni, al desiderio di potere e di possesso, alla superbia di tante autosufficienze nella chiesa e fuori della chiesa( cultura ,sapere, potere, ricchezza) ha cercato sempre di andare alla radice di ogni male che mortifica e rende infelici gli uomini: la mancanza di apertura al mistero di Dio che si rivela. Per superare le difficoltà, le crisi, le divisioni,il male che prende piede nel mondo e nella chiesa, Pio, iniziando da sé stesso, ha sempre cercato di aiutare tutti a sapersi disporre all'ascolto della parola di Dio che si manifesta in tanti modi e che storicamente ha preso corpo in Gesù Cristo. Ecco il suo richiamo ad una continua conversione. Conversione che diventa continuo ascolto di Dio e degli uomini ed accoglienza del suo Figlio e dei nostri fratelli.

Pio, non più presente fisicamente tra di noi, continua a parlarci; facciamo in modo che le nostre scelte siano orientate verso la concretezza dell'ascolto; ascolto della parola di Dio, lettura alla luce della fede di quanto accade nel mondo, nella vita degli uomini, delle chiese e dei popoli.

Spingere con forza e dolcezza verso questa scelta di fondo è già attuare la riforma della Chiesa popolo in cammino verso Cristo che viene in comunione di fede speranza e amore.

Franco: Fui un protagonista del dissenso cattolico (movimento 7 novembre) e Martini era il biblista di riferimento. Il card. Martini è stato anche il mediatore fra il generale dei Gesuiti (Padre Arrupe) e il Papa (Paolo VI): siamo negli anni '70.

Ho collaborato a lungo con Martini che ho avuto l'opportunità di conoscere grazie a Pio. Martini mi volle come presidente del Centro Ecumenico Europeo per la Pace. Ricordo che tra i suoi Vescovi ausiliari ed il suo clero molti lo consideravano un po' troppo avanzato e privo di "visione pastorale".

Io però, riferendomi alle persone che hanno affollato il duomo di Milano in questi giorni, non parlerei di un'altra Chiesa. La Chiesa è una ed è quella che sta nei Vangeli. Certo, poi c'è anche la tradizione: la lettura incarnata nella storia che il Popolo di Dio in cammino continuamente sedimenta. La Chiesa, però, non è mai stata solo la gerarchia. Non è mai riducibile ad una "sacra potestas" dei vescovi.

Ci dicevamo, con Alberto, che oggi c'è un risveglio dell'eremitismo. Come già è accaduto nella storia, una riforma della Chiesa può nascere da lì. Da esperienze che la chiesa gerarchica considera marginali e rassicuranti. Quando parliamo di riforma della Chiesa non dobbiamo ridurla ad un movimento sociale o culturale. Il vero rinnovamento della Chiesa è opera dello Spirito che agisce nella storia. E qui c'è un paradosso che ci appare misterioso. La missione della Chiesa è insieme dentro ed oltre il divenire della storia. Ed anche il male, che spesso la contagia, è parte di questa economia della salvezza. La riforma della Chiesa è anzitutto un rinnovamento spirituale; un mettersi in stato di conversione, di autentica apertura all'opera dello Spirito.

Ed è anche, quindi, disponibilità a riconoscere i buoni frutti che l'azione dello Spirito suscita fuori dai recinti artificiali delle istituzioni ecclesiastiche delle diverse denominazioni cristiane.

Tornando al punto 10 di Pio: il movimento di rinnovamento spirituale ha un suo punto focale, un luogo teologico privilegiato: la cattedra dei piccoli e dei poveri. Passa per il nostro essere metterci inascolto, in compagnia dei poveri; per la nostra sincera disponibilità a farci ammaestrare da loro.

Questo mi riporta al nostro percorso: ci può essere un nostro fare memoria di Pio che ci allontana dall'essere immersi nella storia, concretamente e con una capacità di discernimento spirituale. C'è un legame stretto - torno su questo punto - fra una Eucarestia celebrata sul Mondo e il rinnovamento della Chiesa. L'Eucarestia va celebrata con questa consapevolezza: la sofferenza, le pietre scartate sono il centro da cui partire e che può aprirci ad un cristianesimo della resurrezione. Uno stare alla sequela e in stato di conversione che non si fermi al renderci consapevoli del nostro essere peccatori ma risvegli in noi la dignità e la bellezza del nostro essere figli di Dio. Sta qui la pienezza di una fede non rinsecchita: il Regno non è qualcosa da attendere oltre il tempo che ci è dato di vivere: nel dono della Pentecoste possiamo sperimentarlo qui e ora, in un già che pregusta quel che dovrà giungere a compimento. Ė questa la preghiera più efficace che possiamo dire: "ecco, il Tuo Regno sta venendo. In te sto risorgendo". Accade se mi percepisco come creatura fatta a sua immagine, che Lui ha voluto "poco meno di un dio" (Sal 8,6).

Ecco perché, secondo me, l'infedeltà più grande di questa Chiesa sta nel tenere le persone più nella paura del peccato che nella consapevolezza della loro dignità creaturale. E penso che proprio l'ascolto e la compagnia dei piccoli mi permette di scoprire i doni che Dio mi ha fatto e mi fa ogni giorno.

Laura : Pio raccomandava la lettura di un testo di p. Alberto Maggi: "Il Dio che non c'è", rivolto proprio ai tanti che, non riuscendo a staccarsi dal vecchio catechismo che ci ha sempre presentato un Dio giudice dei peccatori più che un Padre che ama le sue creature, avevano problemi a coniugare la fede con la religione.

Personalmente mi rattrista molto vedere che molti non si accostano all'Eucarestia perché non si ritengono degni non comprendendo che è proprio la partecipazione all'Eucarestia che rende degno colui che va a Messa per accogliere l'amore di Dio e riconoscerlo Padre.

Il tema che abbiamo trattato oggi è molto vasto e merita di essere ripreso ed approfondito. Troviamo il modo di farlo, magari con l'aiuto di qualcuno.

Alberto: Il tema è complesso e lo vedo strettamente legato all'assemblea ecclesiale di sabato prossimo (15 sett. ). Esiste una Chiesa cui essere fedeli. Martini non parla solo ai non credenti, ma anche ai credenti. Martini parla di difficoltà nella confessione ( c'è un suo testo di tre paginette): nella confessione bisogna partire da quanti doni ci ha fatto Dio e solo dopo valutare le infedeltà rispetto a questa Grazia di Dio.

Spesso mi domando: ma se Cristo oggi venisse sulla Terra come lo accoglierei? Anche nel rapporto fra innovazione e tradizione c'è una responsabilità come battezzato. Un conto è la religione ed un conto è la fede, ma Pio ci invita a crescere nella fede.

Nella fede possiamo avere un dialogo con tutti gli uomini interessati a scoprire il senso della vita. La verità è Cristo stesso. Credo che sia fondamentale riflettere su questo tema come cristiani legandolo all'Eucarestia e alla Lectio Mundi.

Paolo: In merito al card. Martini ho trovato interessante il commento di Padre Sorge: "Martini era un uomo che sapeva parlare, nel silenzio, al cuore degli uomini. Era un uomo per il quale la Fede si attua giorno per giorno. "

Il cuore e la fede mi hanno riportato alla mente il messaggio di Pio oltre alle confessioni che riuscivo a fare da Pio.

Massimo: mi chiedo qual è la forma per proporre l'annuncio. Come si diventa cristiani? Nell'Europa della fine dell'antichità e dell'alto medioevo interi popoli sono diventati cristiani "di diritto" per la conversione dei rispettivi re, e le guerre conseguenti alla Riforma si conclusero sancendo che la decisione fra religione cattolica o riformata spettasse, per tutti i sottoposti, al principe. E tale situazione si è mantenuta fino a oggi, intaccata non tanto da mutamenti di professione quanto dalla sempre più vasta secolarizzazione. Oggi nell'ambito del cristianesimo non esistono più (o quasi più) religioni di Stato, e la libertà religiosa è divenuta, dopo secoli, un valore anche per la gerarchia cattolica. La "predicazione" dei missionari non è certo quella dei secoli passati, e non si parla nemmeno più di "terre di missione", se non per dire che lo è anche la nostra.

Quali dunque le forme dell'annuncio?

Mi è capitato di sentire su questo una lectio di Bruna Costacurta (reperibile sul sito lectiodivina.it): commentava dagli Atti degli Apostoli il brano (8, 26ss) di Filippo che, spinto dal Signore, si fa trovare dall'eunuco etiope, gli si propone per aiutarlo a comprendere il passo di Isaia che quello stava leggendo, attende di essere pregato di dare la sua spiegazione, spiegando annuncia la buona novella di Gesù, e gli resta accanto senza prendere altre iniziative, lasciando quindi operare lo Spirito, fin quando l'eunuco, di sua iniziativa, gli chiede il battesimo. L'annuncio quindi è un aiuto, per il quale bisogna essere sempre disponibili, e per la cui richiesta bisogna anche talvolta creare i presupposti, ma che va dato con estrema delicatezza, dedizione e attenzione.

Massimo Fusarelli ci spiegava come San Francesco sia voluto andare, in tempo di crociata, dal Sultano non "per convertirlo" ma "per conoscere" lui e il suo popolo. Il resto sarebbe venuto se e quando il Signore avesse voluto.

Ricordiamo l'episodio di Elia in fuga e stremato: Dio era nel venticello leggero non nella tempesta. D'altra parte Pio in questo punto 10 richiama una frase che molto amava di San Gregorio Magno "Factus sum mutus et verbosus, mutus in necessariis, verbosus in otiosis". Il necessario per S. Gregorio era l'annuncio del Vangelo, le cose oziose nelle quali si rammaricava di spendere troppo tempo, divenendo "verboso", erano le opere grandiose per le quali è ricordato, compreso l'aver salvato Roma dai barbari.

Roberto: volevo richiamare l'attenzione sul Vangelo di domani (domenica 9 settembre), quando Gesù guarisce il sordomuto. Nella figura del sordomuto vedo un po' la situazione della Chiesa: Gesù prende in disparte quest'uomo e prima di tutto lo rende sano nell'udito, quindi nella parola, attraverso l'effusione dello Spirito. Letteralmente lo "apre" (effatà) al rapporto con gli altri, sciogliendo il "nodo" della sua impossibilità di comunicare. Trovo questo evento quasi emblematico per il cammino della Chiesa. C'è bisogno di una maggiore apertura al mondo, attraverso una capacità di ascolto alla quale segua la parola pronunciata nello spirito e nella testimonianza del Vangelo. Ritrovo questo invito nella citazione di S. Gregorio Magno che Pio fa alla conclusione della sua riflessione sui "dieci punti": quel "farsi muto" lo intendo come la condizione per poter ascoltare e discernere ciò che è fondamentale per un migliore servizio al prossimo.

Occorre ritrovare lo spirito di cui parla lo stesso Card. Martini nella sua ultima intervista, quando alla domanda "Chi può aiutare la Chiesa di oggi?" risponde: "Io vedo nella Chiesa di oggi così tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza". Come si può liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dell'amore?". La speranza di poter ritrovare la "brace" Martini la affida al "confronto con uomini che ardono in modo che lo spirito possa diffondersi dovunque".

Ho trovato poi una intervista del 21 luglio scorso al priore di Camaldoli (Alessandro Barban), dove vedo altri elementi utili per una riflessione sulla Chiesa. Alla domanda: "La gerarchia della Chiesa non rischia di perdere autorevolezza e credibilità dopo gli scandali e le polemiche che hanno coinvolto la curia romana?" il priore risponde: "Si, potrebbe avvenire questo. Tuttavia il rischio più grande che vedo è quello dell'indifferenza, dell'aumentato disinteresse per ciò che siamo come Chiesa e per quello che diciamo. Significa che forse non riusciamo ad annunziare il Vangelo e che le nostre parole rischiano di oscurare la parola di Gesù, la sola che ancora oggi tocca con efficacia l'intelligenza, il cuore, le speranze e le angustie dell'uomo."

Punto finale dell'intervista a Barban è sulla condizione della donna, da valorizzare nello spirito del Concilio Vaticano II. Secondo Barban il Concilio è il nostro oggi ed il nostro domani, dove il ruolo della donna sarà fondamentale per la loro capacità di ascolto e per la loro sensibilità e vicinanza alle persone.

Allegato 1

Riscoprire IL SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE

Di Carlo Maria Martini

Lettura di Lc. 15, 11-24: il Padre prodigo

(confessio laudis

confessio vitae

confessio fidei)

La prima caratteristica che colpisce in questo racconto è che tutto è personalizzato. Il problema non è ciò che il figlio prodigo ha fatto, che abbia sperperato il denaro, come abbia vissuto in quel paese. Non si fa un elenco dei suoi peccati.

Ciò che risalta è che il figlio ha trattato male il padre, che il rapporto tra il figlio e il padre è stato logorato per sfiducia, perché il figlio ha creduto che si sarebbe trovato meglio fuori. E il rapporto viene rifatto attraverso una ricostituzione di fiducia.

Il peccato è qui riportato proprio al suo momento più personale: l'uomo chiamato a fidarsi di Dio, di Dio Padre. E nòn essendosi fidato,l'uomo ha rotto il rapporto.

Il racconto è sotto il segno finale della festa, della gioia. E' il ritrovamento di un legame, la ricostituzione di una amicizia, la ricostruzione di una speranza.

Sono alcuni elementi caratteristici del Sacramento della Riconciliazione: ci immette in un rapporto personale con Dio Padre che apre in noi la forza del perdono.

Se non lo viviamo così diventa un peso, una formalità, una cosa che si deve fare per eliminare certe macchie, di cui abbiamo un po' disagio, disgusto, vergogna: semplicemente la ricerca di una migliore coscienza. Anche allora il Sacramento fa del bene, ma non riusciamo a perseverare perchè la cosa è triste, faticosa, pesante. Invece questo Sacramento è un incontro personale con Dio, è un ripetere come ha detto Giovanni sulla barca, sul lago: "E' il Signore!". "E' il Signore!", e tutto è cambiato. "E' il Signore!" e tutto di nuovo risplende. "E' il Signore!" e tutto di nuovo ha senso nella vita: è una ricostituzione del significato di ogni pezzo della mia esistenza. Quindi va vissuto con questa serenità, gioia. Anche la stessa penitenza, la purificazione, I'espiazione diventano apertura ad un rapporto.

Come vivere così questo Sacramento, soprattutto in una circostanza come questa che ci permette finalmente di vivere la riconciliazione non nella fretta, ma di viverla proprio come momento di un cammino in cui cerchiamo di capire chi siamo, cosa siamo chiamati ad essere, in che cosa abbiamo sbagliato, che cosa avremmo voluto non essere, che cosa chiediamo a Dio?

Questo momento è preziosissimo, perché nel Sacramento della Riconciliazione tante delle cose che avete pensato vengono assunte dal Cuore di Cristo nella Chiesa.

Come viverlo concretamente?

Io suggerirei, in una situazione di calma, di assenza di altre urgenze, che lo si viva come un colloquio penitenziale.

Il colloquio penitenziale è la confessione ordinaria, con la differenza, però, che le stesse cose cerchiamo di distenderle un poco di più.

Il colloquio si può descrivere secondo tre momenti fondamentali. Infatti, la parola latina "confessio" non significa solo andarsi a confessare ma significa anche lodare, riconoscere, proclamare.

-Il primo momento lo chiamo "confessio laudis", cioè confessione di lode.

Invece di cominciare la confessione dicendo "ho peccato così e così", si può dire "Signore ti ringrazio", ed esprimere davanti a Dio i fatti, ciò per cui gli sono grato.

Abbiamo troppo poco stima di noi stessi. Se provate a pensare vedrete quante cose impensate saltano fuori, perché la nostra vita è piena di doni. E questo allarga l'anima al vero rapporto personale. Non sono più io che vado, quasi di nascosto, a esprimere qualche peccato, per farlo cancellare, ma sono io che mi metto davanti a Dio, Padre della mia vita, e dico: "Ti ringrazio, per esempio, perché in questo mese tu mi hai riconciliato con una persona con cui mi trovavo male. Ti ringrazio perché mi hai fatto capire cosa devo fare, ti ringrazio perché mi hai dato la salute, ti ringrazio perché mi hai permesso di capire meglio in questi giorni la preghiera come cosa importante per me". Dobbiamo esprimere una o due cose per le quali sentiamo davvero di ringraziare il Signore. Quindi il primo momento è una confessione di lode.

E allora segue quella che chiamo "confessione di vita".

In questo senso: non semplicemente un elenco dei miei peccati (ci potrà anche essere), ma la domanda fondamentale dovrebbe essere questa: "Che cosa dalI'ultima confessione, che cosa nella mia vita in genere vorrei che non ci fosse stato, che cosa vorrei non aver fatto, che cosa mi dà disagio, che cosa mi pesa?". Allora vedete che entra molto di voi stessi. La vita, non solo nei suoi peccati formali, "ho fatto questo, mi comporto male...", ma più ancora andare alle radici di ciò che vorrei che non fosse.

"Signore, sento in me delle antipatie invincibili... che poi sono causa di malumore, di maldicenze, sono causa di tante cose... Vorrei essere guarito da questo. Signore, sento in me ogni tanto delle tentazioni che mi trascinano; vorrei essere guarito dalle forze di queste tentazioni. Signore, sento in me disgusto per le cose che faccio, sento in me pigrizia, malumore, disamore alla preghiera; sento in me dubbi che mi preoccupano...". Se noi riusciamo in questa confessione di vita ad esprimere alcuni dei più profondi sentimenti o emzioni che ci pesano e non vorremmo che fossero, allora abbiamo anche trovato le radici delle nostre colpe cioè ci conosciamo per ciò che realmente siamo: un fascio di desideri, un vulcano di emozioni e di sentimenti, alcuni dei quali buoni, immensamente buoni... altri così cattivi da non poter non pesare negativamente. Risentimenti, amarezze, tensioni, gusti morbosi, che non ci piacciono, li mettiamo davanti a Dio, dicendo: "Guarda, sono peccatore, Tu solo mi puoi salvare. Tu solo mi togli i peccati".

E il terzo: la confessione della fede, "confessio fidei".

Cioè non serve a molto fare uno sforzo nostro. Bisogna che il proposito sia unito a un profondo atto di fede nella potenza risanatrice e purificatrice dello Spirito.

La confessione non è soltanto deporre i peccati, come si depone una somma su un tavolo. La confessione è deporre il nostro cuore nel Cuore di Cristo, perché lo cambi con la sua potenza.

Quindi la "confessio fidei" è dire al Signore: "Signore, so che sono fragile, so che sono debole, so che posso continuamente cadere, ma Tu per la tua misericordia cura la mia fragilità, custodisci la mia debolezza, dammi di vedere quali sono i propositi che debbo fare per significare la mia buona volontà di piacerti". Da questa confessione nasce allora la preghiera di pentimento: "Signore, so che ciò che ho fatto non è soltanto danno a me, ai miei fratelli, alle persone che sono state disgustate, strumentalizzate, ma è anche un'offesa fatta a Te, Padre, che mi hai amato, mi hai chiamato". E' un atto personale:"Padre, riconosco e non vorrei mai averlo fatto... Padre, ho capito che...".

Una confessione fatta così non ci annoia mai, perché è sempre diversa; ogni volta ci accorgiamo che emergono radici negative diverse del nostro essere: desideri ambigui, intenzioni sbagliate, sentimenti falsi.

Alla luce della potenza pasquale di Cristo ascoltiamo la voce: "Ti sono rimessi i tuoi peccati... pace a voi... pace a questa casa... pace al tuo spirito...".

Nel Sacramento della Riconciliazione avviene una vera e propria esperienza pasquale: la capacità di aprire gli occhi e di dire: "E' il Signore!".

C.M.Martini

Allegato 2

L'ultima intervista: «Chiesa indietro di 200 anni. Percheé non si scuote, percheé abbiamo paura?»

intervista a Carlo Maria Martini a cura di Georg Sporschill e Federica Radice Fossati Confalonieri

in "Corriere della Sera" del 1 settembre 2012

Padre Georg Sporschill, il confratello gesuita che lo intervistoò in Conversazioni notturne a Gerusalemme, e Federica Radice hanno incontrato Martini l'8 agosto: «Una sorta di testamento spirituale. Il cardinale Martini ha letto e approvato il testo».

Come vede lei la situazione della Chiesa?

«La Chiesa eè stanca, nell'Europa del benessere e in America. La nostra cultura eè invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l'apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Queste cose peroò esprimono quello che noi siamo oggi? (...) Il benessere pesa. Noi ci troviamo liì come il giovane ricco che triste se ne andoò via quando Gesuù lo chiamoò per farlo diventare suo discepolo. Lo so che non possiamo lasciare tutto con facilitaà. Quanto meno peroò potremmo cercare uomini che siano liberi e piuù vicini al prossimo. Come lo sono stati il vescovo Romero e i martiri gesuiti di El Salvador. Dove sono da noi gli eroi a cui ispirarci? Per nessuna ragione dobbiamo limitarli con i vincoli dell'istituzione».

Chi puoò aiutare la Chiesa oggi?

«Padre Karl Rahner usava volentieri l'immagine della brace che si nasconde sotto la cenere. Io vedo nella Chiesa di oggi cosiì tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza. Come si puoò liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dell'amore? Per prima cosa dobbiamo ricercare questa brace. Dove sono le singole persone piene di generositaà come il buon samaritano? Che hanno fede come il centurione romano? Che sono entusiaste come Giovanni Battista? Che osano il nuovo come Paolo? Che sono fedeli come Maria di Magdala? Io consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali. Uomini che siano vicini ai piuù poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo spirito possa diffondersi ovunque».

Che strumenti consiglia contro la stanchezza della Chiesa?

«Ne consiglio tre molto forti. Il primo eè la conversione: la Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi. Gli scandali della pedofilia ci spingono a intraprendere un cammino di conversione. Le domande sulla sessualitaà e su tutti i temi che coinvolgono il corpo ne sono un esempio. Questi sono importanti per ognuno e a volte forse sono anche troppo importanti. Dobbiamo chiederci se la gente ascolta ancora i consigli della Chiesa in materia sessuale. La Chiesa eè ancora in questo campo un'autoritaà di riferimento o solo una caricatura nei media?

Il secondo la Parola di Dio. Il Concilio Vaticano II ha restituito la Bibbia ai cattolici. (...) Solo chi percepisce nel suo cuore questa Parola puoò far parte di coloro che aiuteranno il rinnovamento della Chiesa e sapranno rispondere alle domande personali con una giusta scelta. La Parola di Dio eè semplice e cerca come compagno un cuore che ascolti (...). Neé il clero neé il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all'interioritaà dell'uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti.

Per chi sono i sacramenti? Questi sono il terzo strumento di guarigione. I sacramenti non sono uno

strumento per la disciplina, ma un aiuto per gli uomini nei momenti del cammino e nelle debolezze della vita. Portiamo i sacramenti agli uomini che necessitano una nuova forza? Io penso a tutti i divorziati e alle coppie risposate, alle famiglie allargate. Questi hanno bisogno di una protezione speciale. La Chiesa sostiene l'indissolubilitaà del matrimonio. EÈ una grazia quando un matrimonio e una famiglia riescono (...).

L'atteggiamento che teniamo verso le famiglie allargate determineraà l'avvicinamento alla Chiesa della generazione dei figli. Una donna eè stata abbandonata dal marito e trova un nuovo compagno che si occupa di lei e dei suoi tre figli. Il secondo amore riesce. Se questa famiglia viene discriminata, viene tagliata fuori non solo la madre ma anche i suoi figli. Se i genitori si sentono esterni alla Chiesa o non ne sentono il sostegno, la Chiesa perderaà la generazione futura. Prima della Comunione noi preghiamo: "Signore non sono degno..." Noi sappiamo di non essere degni (...). L'amore eè grazia. L'amore eè un dono. La domanda se i divorziati possano fare la Comunione dovrebbe essere capovolta. Come puoò la Chiesa arrivare in aiuto con la forza dei sacramenti a chi ha situazioni familiari complesse?»

Lei cosa fa personalmente?

«La Chiesa eè rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede eè il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Io sono vecchio e malato e dipendo dall'aiuto degli altri. Le persone buone intorno a me mi fanno sentire l'amore. Questo amore eè piuù forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l'amore vince la stanchezza. Dio eè Amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?».

Allegato 3

Riprendersi la speranza. Parla Alessandro Barban, priore di Camaldoli

intervista ad Alessandro Barban a cura di Roberto Monteforte

in "l'Unità" del 21 luglio 2012

«Guardate alla pietra d'inciampo che deve diventare architrave della casa del Signore: è la pietra fondamentale». Padre Alessandro Barban è il Priore generale dei monaci camaldolesi. Guarda alla crisi con la lente del Vangelo, ma anche con una laica volontà di ricostruire la città dell'uomo. «La pietra scartata che Dio recupera e pone come fondamento per un nuovo edificio è Gesù, la sua persona e la sua vita. Per questo occorre partire da tutti coloro che oggi sembrano non contare, che vengono estromessi, che non hanno una sicurezza sociale o economica, insomma dagli ultimi della nostra società. Sono proprio loro il nostro futuro. Per le statistiche sono solo un dato negativo. Ma se coltiviamo uno sguardo profetico sono proprio loro da mettere al centro della società e della storia. Penso ai giovani e ai precari, a quelli che vengono licenziati. Quelli che anche nei nostri

ambienti religiosi sono emarginati. Quelli che non contano e non decidono perché estromessi, ma non per questo non hanno volontà, energie e idee e, proprio per questo, saranno determinanti per il nostro futuro».

Lei invita a guardare alla crisi partendo da chi è più colpito. Non le pare che questo approccio

confligga con l'economicismo delle tecnocrazie?

«Sono d'accordo con il premier Monti quando punta a mettere ordine nei conti pubblici, perché questo ci dà credibilità in Europa. Ma questo governo arriva tardi. Il vero problema oggi è ridare fiducia alla società e soprattutto ai giovani, rilanciando l'economia, ma soprattutto rilanciando la possibilità di guardare al mondo in modo diverso. Purtroppo alla nostra classe dirigente mancano coraggio e creatività. E manca un po' in tutti noi una spinta di entusiasmo e di fiducia. Non basta aggiustare i conti pubblici. È necessario rimettere al centro il lavoro! Riconvertire la finanza dalla facile speculazione all'investimento in nuove forme di produzione e di beni. Bisognerebbe avere il coraggio di tagliare un po' di tasse al ceto medio, e di farle pagare a coloro che hanno evaso per

finanziare importantissimi programmi di ricerca. Vi sono progetti di creatività straordinaria - dall'ecologia, all'economia alternativa ad un nuovo welfare - che non trovano finanziamento. Più fiducia verso queste idee nuove potrebbe rilanciare la nostra economia, ma dobbiamo anche essere capaci di immaginare una diversa cultura e società».

Parla il monaco che guarda con speranza al futuro?

«La Chiesa è un corpo molto articolato. Ci sono coloro che tengono i rapporti con l'establishment, coloro che guidano le comunità, coloro che portano avanti la vita e l'organizzazione più quotidiana. Ma nella Chiesa ci sono anche i monaci, che pregano e riflettono. Oggi la mancanza forse più grave nella società è quella di autentici intellettuali, liberi cercatori del domani, e nella Chiesa è il venir meno di figure profetiche che ci aiutino a riprendere il cammino, ad alzare il capo dalla crisi, che non è solo economica ma anche politica, culturale e spirituale. Abbiamo bisogno di figure che rimettano in moto la speranza».

Cosa ne è della forza spirituale e profetica del Concilio Vaticano II a cinquant'anni dalla sua apertura?

«Il Concilio è stato un fuoco inatteso nella Chiesa del '900 e che ci sta traghettando nel nuovo millennio. Un fuoco vivo che ha illuminato anime e corpi: l'intera esistenza dei cristiani. Ha posto al centro il Vangelo e la figura di Gesù Cristo. Ha sviluppato un potenziale enorme di energie spirituali, di fede e di impegno. Quel fuoco non si è spento, ma negli ultimi cinquant'anni la fiamma si è indebolita. Soprattutto in Europa. Mentre è ancora vivo in America Latina, in Africa o in India. In queste terre tramite il Vaticano II è nata una nuova chiesa, una nuova teologia e una nuova prassi cristiana non legate più alla colonizzazione. In Europa, invece - dopo un primo forte entusiasmo - abbiamo registrato soprattutto dagli anni '80 un deficit di consenso e di interesse attorno all'esperienza di una Chiesa conciliare. Forse perché abbiamo pensato più a difendere o

salvaguardare l'«istituzione» Chiesa, che a guardare al «popolo di Dio». Invece, una delle novità del Concilio sta proprio nel mettere al centro la rivelazione del Dio della Bibbia, le persone e la loro vita, la storia dell'umanità nel suo insieme. Per questo il Vaticano II non è questione di ieri, ma di oggi e di domani. Spero che il cinquantesimo dell'apertura del Concilio sia l'occasione per comprenderne veramente la proposta sinodale. Solo così possiamo riattivarlo nella nostra fede e nelle comunità cristiane».

Nell'esperienza millenaria dei monaci camaldolesi vi sono l'accoglienza e l'ascolto, il dialogo anche con i più lontani. Che valore hanno oggi?

«Vi è un teologo gesuita, Christoph Theobald, che richiama l'elemento determinante di Gesù: l'accoglienza verso tutti. E con tutti ha avuto scambio e reciprocità, incontro e dialogo. È questo stile di Gesù che dobbiamo imparare dal Vangelo e che il Vaticano II ci aiuta a ritrovare. Questo vale all'interno della Chiesa, dove vi sono ancora settarismi e divisioni. Vi è l'ecumenismo intercristiano da sbloccare. Va ripreso il dialogo con le altre religioni e soprattutto quello interculturale. È questa la forza della vera globalizzazione. Non possiamo ridurla soltanto allo scambio di merci».

Praticare l'accoglienza non dovrebbe portare il credente ad un impegno sociale e politico per la giustizia?

«A Camaldoli vi è sempre stata attenzione alla riflessione su come la fede possa incidere e guidare la coscienza civile e l'impegno politico del credente. È nel nostro monastero che alla fine della guerra è nato il Codice di Camaldoli, frutto dell'elaborazione di cattolici democratici. Idee che hanno poi trovato spazio nella Costituzione italiana. Oggi dobbiamo andare avanti, arricchire quella tradizione con nuovo slancio e nuovi contributi. Abbiamo bisogno di una riflessione all'interno del mondo cattolico, ascoltandone tutte le anime, per arrivare ad una sintesi di proposta. Va ricordato che è stato proprio il Vaticano II ad affidare ai laici la responsabilità del loro impegno nella società, in un dialogo fattivo con i vescovi. Con il Concilio viene riconosciuto ai laici l'autonomia nell'esercizio concreto della mediazione politica. Proprio per questo la Chiesa deve tornare a formare le persone, trasmettendo i valori evangelici del discorso della Montagna, educando alla responsabilità, all'impegno e al servizio, liberi dai condizionamenti economici, educando a credere a qualcosa di più grande del potere. Così può agire a monte, piuttosto che a valle: formando le coscienze piuttosto che cercando di condizionare le scelte dei cattolici che siedono in Parlamento o al governo».

La gerarchia della Chiesa non rischia di perdere autorevolezza e credibilità dopo gli scandali e le polemiche che hanno coinvolto la curia romana?

«Sì, potrebbe avvenire questo. Tuttavia il rischio più grande che vedo è quello dell'indifferenza, dell'aumentato disinteresse per ciò che siamo come Chiesa e per quello che diciamo. Significa che forse non riusciamo ad annunziare il Vangelo e che le nostre parole rischiano di oscurare la parola di Gesù, la sola che ancora oggi tocca con efficacia l'intelligenza, il cuore, le speranze e le angustie dell'uomo».

Pesano le notizie sulle tensioni in Vaticano?

«Hanno creato spaesamento e preoccupazione all'interno della comunità cristiana. Non eravamo abituati a vedere fughe di documenti riservati dall'appartamento papale e dal Vaticano. All'esterno hanno creato curiosità e attenzione. Non è chiaro cosa stia accadendo davvero. Quello che comunque risulterà nella storia di questo pontificato è che Ratzinger con la sua mansuetudine, con la sua calma e profondità non ha avuto paura di affrontare problemi che erano negati da troppo tempo e che dovevano essere affrontati. Forse questo ha dato fastidio ad alcuni settori della Chiesa...»

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Collegialità e trasparenza, due idee forti del Concilio Vaticano II. Non potrebbero aiutare la Chiesa a superare la sua crisi?

«Il Concilio è il nostro oggi e il nostro domani. È importante dare seguito all'indicazione della collegialità e renderla fattiva ad esempio tra il Papa e il collegio cardinalizio, tra il Papa e il sinodo dei vescovi che non può rimanere solo un organo consultivo.

Potrebbe essere riconosciuta una dimensione più partecipativa anche delle conferenze episcopali.

Noi monaci abbiamo l'esperienza del "capitolo" (l'assemblea generale dei confratelli). Potrebbe essere utile guardare alla nostra esperienza di collegialità».

Qual è la condizione della donna nella Chiesa?

«Nessuno può negare il ruolo centrale delle donne nella vita della società e delle comunità cristiane. La loro presenza nei diversi contesti, la loro peculiare sensibilità e intelligenza delle situazioni, e delle persone, sono essenziale alla vita della Chiesa, alla trasmissione della fede, all'attenzione verso chi è in difficoltà. Eppure oggi le donne, in particolare le quarantenni stanno scappando dalla Chiesa. Non si sentono abbastanza accolte e valorizzate. Certo ci sono segni di attenzione e di corresponsabilità verso le suore e le donne, ma sembrano ancora troppo timidi. Ma se recuperiamo il Vaticano II e lo stile di ospitalità di Gesù, se recuperiamo l'autentica proposta cristiana di società, le donne sono fondamentali. Soprattutto con la nuova evangelizzazione non possiamo prescindere dal loro contributo. Dobbiamo imparare la loro pratica di ascolto, sensibilità e di vicinanza alle

persone».

Discernimento


Incontri 2011-2012


  • febbraio 2012
    Riflessioni sul punto 5 della traccia di Pio
  • settembre 2012
    La Chiesa che parla
    Riflessioni sul punto 10 della traccia di Pio