Incontri di discernimento e solidarietà
 
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NEL DILETTO

la lettera agli efesini

La lettera agli Efesini è uno di quei testi che fanno parte dell’"epistolario della prigionia", lettere cioè scritte da Paolo nel tempo della carcerazione. Si è discusso tra gli studiosi circa la possibilità o meno di attribuire proprio a Paolo tale scritto. C’è chi ha contestato la possibilità di attribuire a lui personalmente la responsabilità di questa lettera, qualcun altro avrebbe scritto al suo posto, forse in un periodo posteriore rispetto a quello in cui in genere si colloca la lettera tenendo conto della carcerazione di Paolo a Cesarea negli anni tra il 58 e il 60 dopo Cristo. E’ questa la data a cui bisogna far risalire lo scritto, questo il contesto in cui si trova Paolo. Certo la lettera manifesta caratteri un poco originali rispetto agli altri scritti, grandi e piccoli, del periodo antecedente, certamente di Paolo e questo il motivo dei dubbi sul suo autore.

In prigione

Abbiamo a che fare con la situazione di un carcerato, con tutte le difficoltà che questo stato di vita comporta, difficoltà anche di stesura di un testo scritto: per l’elaborazione di un prodotto letterario e teologico di alta qualità quella del carcerato non è certo una situazione ideale. Qualcuno ha aiutato Paolo, non c’è dubbio, qualcuno lo ha sostenuto, lo ha soccorso, ha sistemato per iscritto note comunicate da Paolo oralmente o mediante qualche appunto. Niente di strano che qui sia avvertita la presenza di una mano che forse non è proprio quella di Paolo. Resta indiscussa l’attribuzione a Paolo di una paternità di questo scritto per quanto riguarda il contenuto teologico, la vitalità pastorale del messaggio. Non possiamo restare scandalizzati constatando che Paolo, nel corso della sua vita, è andato elaborando il suo linguaggio; niente di strano che col passare degli anni il suo modo di riflettere e poi proclamare e addirittura riportare per iscritto il messaggio evangelico, assuma delle forme originali. Non possiamo pretendere che un testo scritto sia attribuito a Paolo soltanto perché ripropone sempre lo stesso linguaggio e le stesse soluzioni teologiche. Paolo è creativo, originale, soprattutto è intensamente preso dalla ricerca interiore che lo impegna potentemente nella contemplazione del mistero che si è rivelato per la salvezza dell’umanità. Oltretutto, il fatto di trovarsi in carcere favorisce questa attività contemplativa, e a questo riguardo la lettera agli Efesini è esemplare. E’ un testo teologicamente densissimo, caratterizzato da una particolare nota contemplativa: una contemplazione del mistero, dell’evangelo che è potenza di Dio per la salvezza dell’umanità; mistero che ci è stato rivelato, in cui noi siamo stati coinvolti, da cui noi siamo presi, trasformati. La nostra vita è partecipazione a quel mistero. Tutto si è compiuto nella pasqua di morte e di risurrezione del Figlio di Dio. Noi siamo coinvolti nella partecipazione a quel mistero di compimento definitivo, una pienezza che è in fase di espansione così da abbracciare, contenere, avvolgere in sé tutto dell’universo creato da Dio, tutto della storia umana.

Una lettera circolare ai cristiani del mondo

L’ intonazione contemplativa è facilitata per Paolo anche dal fatto di rivolgersi a dei cristiani con i quali non ha avuto un contatto diretto. E’ normale, nelle lettere di Paolo rivolte ai cristiani di quelle chiese che lui stesso ha fondato o con le quali ha avuto contatti forse prolungati, percepire l’urgenza di una comunicazione immediata. Paolo si rivolge a gente con cui sa come esprimersi, interviene in rapporto a situazioni che lo preoccupano, in merito a problemi che gli sono stati posti e che debbono ottenere una soluzione immediata. Così, certe lettere di san Paolo del primo periodo (1Ts, Gal) sono

incandescenti, taglienti, si percepisce subito l’immediatezza della relazione. Non abbiamo a che fare con un insegnamento teorico, abbiamo a che fare con l’urto di una testimonianza cristiana che vuole irrompere sulla scena di una vicenda ecclesiale che Paolo, dal suo punto di vista, ritiene di tenere sotto controllo.

Nella lettera agli Efesini il tono è molto più pacato. Paolo scrive a dei cristiani con i quali non ha avuto a che fare direttamente, sono cristiani di una certa regione della penisola anatolica, la valle del Lico, con città come Colossi, Gerapoli, Laodicea, nelle quali l’evangelizzazione è stata svolta da altri, collaboratori suoi, non c’è dubbio, però non da lui personalmente. Paolo è vissuto a lungo ad Efeso e da Efeso la sua predicazione si è irradiata in tutto il territorio circostante, ma l’evangelizzazione in quelle città è avvenuta ad opera di altri. La lettera agli Efesini non è stata scritta ai cristiani di Efeso, è una lettera circolare. Se al v. 1 leggiamo che i destinatari sono «in Efeso», dipende dal fatto che abbiamo a che fare con una copia della lettera, che noi continuiamo a chiamare "agli Efesini", conservata nell’archivio domestico, l’archivio diocesano della chiesa di Efeso, ma i codici più antichi qui lasciano uno spazio vuoto: coloro che sono... e uno può aggiungere: a Laodicea, a Colossi, in Gerapoli. E’ una lettera destinata a circolare, di cui una copia è stata conservata anche ad Efeso. I destinatari della lettera agli Efesini sono cristiani con cui Paolo non ha avuto una relazione diretta, questa lettera vale per i cristiani di Efeso, come vale per noi e per ogni altra chiesa, nel corso delle generazioni, quale che sia la situazione geografica in cui ci troviamo.

Paolo affronta un problema che affligge le Chiese formate da pagani che si sono convertiti, che hanno risposto all’evangelo, sono chiese minacciate da un riflusso nel paganesimo che è un dato culturale, un fenomeno diffuso nell’aria. Hanno alle spalle generazioni e generazioni di valori, riferimenti, ideali, messaggi che si sono andati coagulando nella coscienza, che si sono oggettivati nelle istituzioni sociali nel corso dei secoli. E’ un mondo pagano e non se ne viene fuori con un colpo di bacchetta magica. Questo riflusso nel paganesimo è una minaccia grave, e, d’altra parte, comprensibile.

L’unico Signore

Paolo affronta direttamente la questione, la affronta non in termini teorici, didattici, la affronta con la intensità della sua contemplazione del mistero che ci è stato rivelato: il Figlio di Dio, uomo nella nostra condizione, esaltato nella gloria. Noi apparteniamo a lui, e in comunione con lui, e la nostra vita è nuova perché noi partecipiamo di questo mistero, che è lui, il Figlio, disceso e risalito ed ora intronizzato nella gloria.

Si potrebbe ricapitolare tutto il messaggio contenuto nella lettera agli Efesini in una sola affermazione: Gesù Cristo è il Signore, l’unico Signore. Così dette le cose, il messaggio che Paolo ci trasmette attraverso questa lettera è scontato, lo sapevamo già, niente di nuovo, niente di creativo. Altre volte, quando Paolo scrive, anche se deve chiacchierare sull’alternanza delle stagioni, ci fa sopra la teologia e inventa sempre soluzioni originalissime. In questo caso Paolo non dice niente di nuovo: Gesù Cristo è l’unico Signore.

La novità non sta nell’ordine del contenuto, la novità sta nella potenza della testimonianza contemplativa: di questa novità noi viviamo. La nostra vita è partecipazione del mistero di Dio che si è rivelato a noi attraverso il Figlio, che è disceso ed è risalito. La nostra vita è nuova, perché noi siamo in Cristo, l’unico Signore.

Paolo, in questo modo, sbaraglia tutte quelle consuetudini culturali per cui coloro che sono divenuti cristiani ma ancora ereditano un bagaglio di paganesimo. Costoro sono abituati a considerare che la realtà del mondo deve essere ricondotta a un sistema di forze che presiedono ogni settore del reale. C’è una divinità addetta a certe funzioni, un’altra ad altre funzioni, tutto è coordinato all’interno di un sistema di forze sacre, di forze divine. Ogni divinità è specializzata, ogni divinità esercita una signoria nel suo ambito. E’ una costruzione che tende a qualificarsi sempre meglio, a precisarsi, con nuove invenzioni, in un meccanismo grandioso. Non è un fatto di idee, ma un fatto di comportamenti: in quel giorno si fa quella cosa, in quell’ora ci si comporta in quel modo, per come ti vesti, per quello che mangi, per come costruisci la tua casa, per come sei in relazione nella società umana, c’è la divinità competente che presiede a quel settore della realtà e tu ti adegui. E quanto più prontamente e quanto più docilmente ti adeguerai, tanto meglio sarai integrato nell’insieme e ne trarrai dei benefici, evidentissimi.

Ora Gesù Cristo è l’unico Signore, non ci sono forze, energie, potenze, dominazioni, principati, potestà; né è possibile tentare un addomesticamento di queste divinità trasformandole in angeli, come se tra cristiani si potesse accettare un paganesimo riduttivo. Gesù Cristo è l’unico Signore! E tutta la realtà è riferita a Lui. E noi viviamo, la nostra vita è nuova proprio in quanto siamo intensamente, radicalmente, totalmente immersi nella relazione con la signoria di Cristo. Gesù Cristo è l’unico Signore.

Nei primi 14 versetti ci troviamo presi e trasportati da Paolo nella sua tensione contemplativa. E’ veramente uno slancio straordinario quello che percorre questi versetti: Gesù Cristo è l’unico Signore! Noi viviamo in quanto siamo inseriti in questo mistero che ci è stato rivelato non come una verità da professare, ma come una realtà di cui vivere. Il paganesimo non è soppiantato su un piano ideologico, ma su quello della vita. Tutto quell’impianto grandioso è sbaragliato. Siamo entrati ormai nella relazione definitiva con la Signoria di Cristo.

Benedetto sia Dio

I primi 2 versetti contengono il saluto introduttivo: «Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, ai santi che sono in Efeso». I santi sono i battezzati, che sono in Efeso, come in ogni altra chiesa, «credenti in Cristo Gesù». Qui più che credenti si potrebbe dire "praticanti", più che credenti sono credibili: sono i battezzati che vogliono mantenersi coerenti con la novità che li ha coinvolti dal momento in cui sono stati immersi nella morte e nella resurrezione del Signore.

Esisteva già in questo contesto una problematica, molto comune oggi, per cui l’essere battezzati non coincide con l’essere praticanti. Paolo si rivolge a quei cristiani che sono stati battezzati e che vorrebbero essere coerenti con la novità di cui hanno fatto esperienza in misura radicale all’inizio di tutto: «grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo».

E qui, nei vv. 3-14, il testo prosegue sotto forma di una unica grande benedizione: «Benedetto sia Dio». E’ un tono orante, liturgico, quello che pervade questi e che permane per i primi tre capitoli della lettera. Paolo proclama una solenne benedizione, che si sviluppa senza interruzioni. Nella nostra traduzione incontriamo un punto, poi un altro punto poi così via, il testo è segmentato per rendere possibile la lettura. In greco abbiamo a che fare con un’unica frase che ha inizio qui la v. 3 e che si concluderà nel v. 14. E’ una corsa senza respiro: là dove ci sono dei punti, in greco ci sono dei collegamenti, le frasi sono costruite in modo tale da concatenarsi tra di loro, accavallarsi l’una sull’altra, inserirsi l’una nell’altra, senza soluzione di continuità.

Ci sono delle cadenze ritmiche, anche se si tratta di una unica amplissima frase. Innazitutto la costante ripetizione di un’espressione che risuona già nel v. 3: "In Cristo". Essa ritorna con un’insistenza martellante: qualche volta leggiamo "In Lui", altre volte: "Nel Figlio diletto". Ritornano certe formule dossologiche: nel v. 6 "questo a lode e gloria della sua grazia", nel v. 12 "a lode della sua gloria", nel v. 14 "a lode della sua gloria". Sono delle formule che comprendiamo nel contesto di una benedizione che assume caratteristiche propriamente liturgiche.

C’è una particolare e insostenibile potenza di respiro che san Paolo esigerebbe dal lettore di questa unica benedizione, di questa unica frase. E’ impossibile avere un respiro così resistente da arrivare in fondo. Eppure, Paolo in qualche modo dà per scontato che chi, adesso, accompagnerà lui in questa benedizione, troverà questo respiro così superiore alle nostre forze, per un motivo semplicissimo: questo respiro non è più il nostro fiato, è il respiro del Dio vivente, è lo Spirito Santo, potenza del soffio divino, che pervade la benedizione e che sostiene il nostro respiro. Paolo si lancia in questa benedizione e si affida al soffio di un respiro che non è più il suo. Il suo respiro diventa luogo di passaggio, di effusione, di manifestazione di un altro respiro, che è il respiro di Dio. Noi benediciamo Dio con il suo stesso respiro di vivente. Il respiro del Vivente per benedire Dio. E noi viviamo nell’atto di benedire Dio che fa di noi dei viventi a sua misura, dei viventi in Cristo. La benedizione si apre con un primo proclama nel v. 3, poi si sviluppa in 5 strofe.

Il proclama introduttivo: «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo». Dio che è il Padre del Signore nostro Gesù Cristo, è la sorgente di ogni benedizione. E’ la sorgente della vita, è il Vivente in misura assoluta, è il Santo. Tutti i doni scaturiscono da lui, dal grembo della paternità divina una inesauribile effusione, un flusso di benedizioni: "ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale", pneumatica. Benedizioni che si riversano sostenute, mosse, effuse nell’onda del soffio, del respiro dello Spirito di Dio. Noi siamo in grado di benedirlo proprio perché siamo stati benedetti da lui, così da essere inseriti in un rapporto di comunione con il Figlio, che è vittorioso intronizzato nei cieli. "Nei cieli in Cristo".

Tutte le benedizioni che abbiamo ricevuto si ricapitolano in questa pienezza definitiva. Siamo inseriti nella comunione con il Figlio che è nei cieli, che è glorioso. Colui che è disceso è risalito, è intronizzato, noi siamo in Cristo. «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo».

Cristo intronizzato, il Signore nostro, colui che a noi si è avvicinato, colui che con noi ha condiviso la condizione umana fino alla morte, colui che ha trionfato ed ha raggiunto la gloria dei cieli: «Benedetto sia Dio»!

Amati prima della creazione del mondo

Nel seguito della benedizione Paolo illustra come sia avvenuto e come riguardi noi e la nostra vita cristiana l’essere benedetti in Cristo. Ed è proprio in quanto siamo benedetti in Cristo che noi organizziamo la nostra vita, la assumiamo in pienezza, la esprimiamo in tutta la sua autenticità: «Benedetto sia Dio», perché noi siamo benedetti in Cristo.

Come è accaduto e come accade che noi siamo benedetti in Cristo?

Prima strofa, vv. 4-6a: «In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà». Paolo dice che siamo stati benedetti in forza di una chiamata elettiva che ci ha convocati nella carità, nell’agape, nell’amore, prima della creazione del mondo. Prima di essere creati noi già siamo stati amati in Cristo. Proprio perché il Figlio è antecedente alla creazione noi siamo stati amati in forza di quell’amore eterno che è l’amore del padre per il Figlio, in forza di quella circolazione di vita piena, inesauribile, che è la vita stessa di Dio. "In lui ci ha scelti": espressione davvero straordinaria. Noi siamo stati chiamati prima di essere stati creati, perché il nostro essere stati scelti appartiene all’amore di Dio che è eterno, antecedente alla creazione.

Qualche volta restiamo impressionati incontrando un verbo come "predestinare" o espressioni analoghe a questa e ci sfugge l’essenziale di quel che Paolo qui sta proclamando e celebrando; ossia ci sfugge che anche il tempo è creatura di Dio, che appartiene a quella misura delle cose sorpassata dalla iniziativa eterna. La nostra realtà creata nel tempo è incastonata nella eternità dell’amore di Dio, nella eternità della vita di Dio. Quando Paolo dice "predestinandoci ad essere suoi figli adottivi" non è minimamente preso dalla preoccupazione, che invece qualche volta sta molto a cuore a noi, che Dio ha già prestabilito che cosa ci deve succedere. Paolo non sta discutendo di quello che avviene nel contesto della nostra realtà creata, dove poi siamo chiamati ad affrontare le nostre situazioni e ad assumere liberamente con coraggio le nostre responsabilità; Paolo sta affermando che noi siamo stati amati in un amore che è eterno, che è prima della nostra creazione. Perché siamo stati amati? Perché noi siamo stati creati in rapporto al Figlio e nella eternità dell’amore di Dio già noi siamo preceduti dalla presenza del Figlio nell’eternità della vita divina. «Predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà».

C’è un disegno che poi si è svolto nel tempo, c’è una economia che si è presentata a noi nella sequenza temporale degli eventi una volta dato inizio alla creazione. Ma noi siamo stati benedetti prima. La nostra appartenenza al Figlio precede l’essere creati. Siamo stati scelti prima. La nostra creazione è trasparenza di questa inesauribile ed eterna volontà di amore «per essere santi e immacolati al suo cospetto nell’agape». Siamo creati per questo, perché l’amore eterno di Dio vuole filtrare attraverso di noi, perché tutto della nostra realtà creata corrisponda al suo beneplacito. C’è un’intenzione di amore e di un amore eterno. Noi che siamo creati nel tempo, noi siamo coinvolti nella relazione d’amore eterno che è la relazione tra Padre e Figlio.

Nel Diletto

Seconda strofa, vv. 6b-7: «E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto; nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia».

Diceva precedentemente: "noi siamo stati benedetti da Dio nostro Padre perché ci ha scelti prima ancora di averci creati"; adesso dice che siamo stati benedetti perché a nostro vantaggio è stata compiuta per sua iniziativa l’opera della redenzione. La sua grazia è la sua iniziativa nei nostri confronti, così come l’abbiamo ricevuta nella nostra realtà di peccatori, ma siamo stati redenti in quanto ci ha dato il Figlio. Ci ha dato la sua grazia nel Figlio diletto. Qui in greco la parola "Figlio" non compare, ma c’è: "nell’amato", è il Diletto. La sua grazia si è manifestata a noi in quanto siamo stati stretti in un unico atto di amore con cui il Padre si è rivolto al Figlio redentore: è il Figlio nella carne umana, il Figlio che ha versato il sangue, il Figlio piagato e crocifisso: «nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia». Dio, nostro Padre, ha amato quel verme di crocifisso, piagato, puzzolente, spregevole, orribile; lo ha amato, il suo Diletto. Noi siamo stati benedetti perché la sua grazia si è riversata su di noi in forza dell’ identificazione nostra con quel figlio diletto. "In lui abbiamo la redenzione, mediante la remissione dei peccati, secondo la ricchezza della sua grazia". Notate qui al v. 6 quell’espressione segnalata precedentemente: "tutto questo a lode della gloria della sua grazia". La gloria è il rivelarsi di Dio, un rivelarsi consistente, oggettivo, pesante. In ebraico il termine kavod, gloria, così come si traduce normalmente, vuol dire "peso". La gloria di Dio è il suo peso, il suo modo di entrare nella storia umana e di aprirsi un varco, di lasciare una traccia. Il grande segno glorioso di Dio nella storia della salvezza è il Tempio a Gerusalemme: andiamo a Gerusalemme, saliamo al Tempio per vedere la gloria.

E’ Lui che ci viene incontro. Ci viene incontro in forza di una sua gratuita iniziativa di amore, una sua volontà di redenzione. La sua gloria. E noi siamo in grado di contemplare la sua gloria nella realtà sanguinante del Figlio. Così la sua grazia si è pesantemente incisa nella storia degli uomini, nella nostra condizione umana, fatta di miseria e di ribellione, di tradimenti e di morte. Siamo stati benedetti in quel Figlio amato. Amando il Figlio, la sua gloria, ci ha attirati, ci ha assorbiti, ci ha presi, ci ha trascinato. Ecco la ricchezza della sua grazia, ecco come la sua gratuita iniziativa di amore ci ha raggiunti. E merita davvero la nostra lode.

In una intimità d’amore

Terza strofa, vv. 8-10. Siamo stati benedetti perché scelti con un privilegio di amore antecedente alla creazione; siamo stati benedetti perché inseriti nella realtà del Figlio amato in forza di una comunione di vergogna con lui, una comunione di sangue e di morte con lui. Dice adesso Paolo: «Egli l'ha abbondantemente riversata su di noi» la sua grazia «con ogni sapienza e intelligenza, poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra».

Paolo sta dicendo che noi siamo stati benedetti perché il Padre ha compiuto un’opera di rivelazione consistente in una pedagogia interiore che ci consente di conoscere la volontà di Dio. Le espressioni riguardanti la conoscenza si moltiplicano in questi versetti: sapienza, intelligenza, ci ha fatto conoscere.

Noi siamo stati educati internamente in modo tale da entrare in una relazione conoscitiva. Ma la conoscenza, in senso biblico, non è una conoscenza intellettuale, concettuale, è una conoscenza vitale, una intimità esistenziale. Noi siamo stati benedetti perché siamo stati messi in grado di corrispondere all’iniziativa. Questa prospettiva era stata già indicata precedentemente, adesso viene potentemente esplicitata: noi siamo messi in grado di entrare liberamente nella relazione, siamo messi in grado di condividere una intimità di amore. «Egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra».

Adesso siamo in grado di collaborare a questa ricapitolazione di tutto in Cristo, tutto si riunisce sotto un solo capo, un solo riferimento, un solo Signore. Noi siamo dotati adesso di una conoscenza. Ancora una volta Paolo riconosce il valore strabiliante della benedizione che abbiamo ricevuto: siamo in grado di entrare in relazione con la grazia di Dio attraverso la ostra risposta che esprime la radicalità, la qualità, la intimità del nostro vissuto.

Qui c’è un richiamo preciso alla economia della pienezza dei tempi. Siamo abilitati a discernere, a interpretare, ad apprezzare il valore del tempo e così di ogni altra creatura. E tutto si unifica in relazione a Cristo e noi siamo attivamente coinvolti in questa ricapitolazione. Tutte le cose in Cristo, quelle del cielo, come quelle della terra. Questo è il tempo della vita cristiana, il tempo della Chiesa che ha ricevuto l’evangelo e che lo sta annunciando, testimoniando. Siamo stati benedetti perché ci ha chiamati prima ancora di averci creati; siamo stati benedetti perché siamo stati redenti in Cristo, siamo stati benedetti perché siamo stati educati interiormente in modo da aderire a Cristo che è Signore di tutte le cose. Sotto il suo capo, sotto la sua Signoria, in Cristo.

E’ la vita nuova, è la nostra vita in lui. Dio ci ha benedetti nel Figlio, in Cristo, nel Redentore, in colui che è il Signore a cui noi adesso ci rivolgiamo con la nostra obbedienza e la nostra offerta e la nostra libertà di creature oggi e qui. Dio, nostro padre, ci ha benedetti in modo da valorizzarci fin nel più minuscolo dettaglio dell’universo. Là dove possiamo essere dispersi, emarginati, dimenticati, trascurati, fino al secondo più infinitesimo della nostra vicenda personale o comunitaria: in Cristo, nel cielo e sulla terra, nel tempo e nello spazio. Quell’attimo, che già è fuggito, porta in sé un valore di inesauribile ricchezza, perché è l’attimo che noi riceviamo dalla grazia di Dio. Non si perde nulla. Tutto è ricapitolato, tutti. Non ci sono zone riservate, non ci sono realtà indifferenti, non ci sono spazi o tempi che sottostanno ad altre signorie, tempo della festa e tempo feriale, i luoghi consacrati dalla devozione o i luoghi più profani. In Cristo noi siamo educati nella conoscenza, siamo abilitati a questa relazione con Lui che è tale da ottenere una intimità diretta, una intimità immediata. Adesso e qui Dio ci ha benedetti.

"Noi", "voi" in Lui

Quarta strofa, vv. 11-12: "noi"; quinta strofa, vv. 13-14: "voi".

Per "noi" Paolo intende i Giudei, coloro che apparteniamo al popolo d’Israele, che sono eredi di una tradizione di fede, che sono stati coinvolti nella storia della salvezza, noi che hanno ricevuto le promesse. "Voi" i pagani.

«In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati secondo il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà, perché noi fossimo a lode della sua gloria, noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo».

Qui è in questione la particolare vocazione di Israele nella storia umana. Paolo sta dicendo che in Lui siamo stati fatti anche eredi. Adesso in Lui noi abbiamo raggiunto il compimento delle promesse. E’ come se Paolo dicesse che in quanto siamo in lui, noi siamo veramente Israele, perché noi abbiamo raggiunto il compimento delle promesse. Abbiamo sperato nel Messia, adesso siamo in lui, noi in lui: «essendo stati predestinati secondo il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà, perché noi fossimo a lode della sua gloria, noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo». Noi che abbiamo alimentato la speranza messianica in mezzo alle vicissitudini del mondo, presi dentro a tanti gravi e sconvolgenti conflitti, noi che abbiamo resistito, noi siamo diventati eredi in lui. Non soltanto un’aspettativa, non soltanto una pazienza, non soltanto una fedeltà nel custodire le promesse, ma adesso noi siamo diventati eredi in lui.

E aggiunge: «In lui anche voi». In Lui fra "noi" e "voi" è stabilito un rapporto di comunione, cosa del tutto inimmaginabile nella storia precedente. La distinzione, a dire il vero, rimane, in nessun modo Paolo sta dicendo che Israele non esiste più; anzi, Paolo ci tiene a sottolineare che vocazione di Israele rimane e rimane per sempre. Ma in Lui "noi" e "voi" non siamo più quelli di prima, se è vero che "noi" e "voi" siamo eterogenei quanto a identità specifica, in lui tutto è nuovo. Per cui in lui ci siamo "noi" e ci siete "voi". Questa è un’affermazione potentissima, ce ne rendiamo conto in modo abbastanza marginale. Per i giudei, e corrispondentemente per i pagani dell’epoca antica, la distinzione tra il popolo di Israele e gli altri popoli era un dato oggettivo, inequivocabile. Una di quelle cose per cui se non è bianco è nero, il principio di non contraddizione. Paolo dice: adesso c’è una novità, siamo in lui, siamo stati benedetti in Cristo e in Cristo è avvenuto che siamo in comunione. L’essere benedetti in Cristo, così come rende attuale la comunione tra giudei e pagani, rende possibile ogni ulteriore proseguimento dell’evangelizzazione.

«In lui anche voi, dopo aver ascoltato la parola della verità» siete stati evangelizzati «il vangelo della vostra salvezza e avere in esso creduto». Voi avete ricevuto l’evangelo e avete aderito, anche voi «avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso». Siete stati sigillati in forza dello Spirito Santo che vi ha spinti, sostenuti, promossi, filtrati, penetrati, trascinati, inchiodati. E in questo modo voi, che avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo, avete ricevuto una caparra della nostra eredità. Lo Spirito Santo «è caparra della nostra eredità». La nostra eredità, è l’eredità di Israele, quello che è stato promesso a noi vale per voi. Dicendo questo, Paolo non sta rinnegando la sua particolare vocazione e quella del suo popolo: quello che è stato promesso a noi e che vale per noi, è eredità a cui accedete voi in forza dello Spirito Santo.

Si apre uno spazio immenso, si apre tutto il percorso della evangelizzazione che si svilupperà nei secoli e nei millenni. Il fatto che noi siamo eredi in Cristo non ci misura più in rapporto alle nostre aspettative, ma ci misura ormai, al di là di ogni previsione possibile, in rapporto alla capienza illimitata di questo mistero a cui anche i pagani hanno accesso, perché lo Spirito Santo li raccoglie.

«In attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato, a lode della sua gloria». C’è una crescita in prospettiva: non c’è limite, non ci sono confini, non c’è impedimento possibile, perché è avvenuto in questo passaggio decisivo all’inizio tra Israele e i primi pagani evangelizzati, poi in ogni luogo della terra, nel corso delle generazioni, man mano che quanti hanno ricevuto l’evangelo saranno testimoni di una inesauribile ricchezza di grazia, capace di coinvolgere nella comunione in Cristo la moltitudine umana. «In attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato, a lode della sua gloria».

Benedetto sia Dio, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo.

Noi siamo stati benedetti perché ci ha scelti nel Figlio prima ancora della creazione, siamo stati benedetti perché ci ha redenti mediante l’incarnazione, s iamo stati benedetti perché ha suscitato in noi quella conoscenza che ci consente ormai di rivolgerci al Figlio e ricapitolare tutte le realtà che ci riguardano in obbedienza alla sua Signoria, siamo stati benedetti noi e voi perché siamo depositari e testimoni dell’evangelo, ne abbiamo di già sperimentato l’inesauribile fecondità mediante il frutto della comunione e ne siamo testimoni per ogni altra creatura umana che Dio si è acquistato a lode della sua gloria.

Noi, ora, viviamo benedicendo Dio, scoprendo che nel nostro vivere è spalancato un abisso di illimitata larghezza: la nostra relazione con Dio attraverso il Figlio, il nostro vivere respirando con questo povero fiato che ancora riusciamo ad avere, eppure respirando con il soffio dello Spirito Santo.