Incontri di discernimento e solidarietà
 
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IL SETTIMO SIGILLO

Il linguaggio apocalittico

Nel corso della persecuzione, mentre si trova in ritiro presso l’isola di Patmos, nel giorno del Signore, durante la celebrazione dell’eucarestia, Giovanni vede la presenza viva del Signore, che è all’opera nella storia degli uomini per manifestare la potenza vittoriosa della sua Pasqua di morte e di resurrezione.

E’ tipico del linguaggio apocalittico questo suo modo di impostare il discernimento della storia umana: la vittoria appartiene a Dio, la gloria di Dio ricapitola tutto della storia umana e tutto piega alle intenzioni di amore, che custodite da sempre nell’intimità del Dio vivente, ora sono gloriosamente manifestate e realizzate.

Il messaggio apocalittico, come sappiamo, è un messaggio di consolazione rivolto a gente che sta male e in particolare a credenti che sono messi in difficoltà, che sono sottoposti alla persecuzione. Non sempre si tratta di una persecuzione cruenta, ma una persecuzione che comunque mette in discussione i contenuti della fede.

Il messaggio apocalittico si esprime con un linguaggio visionario, che fa larghissimo uso di simboli. E’ una forma di comunicazione propria di un contesto segnato da un’esperienza dolorosa, da un’esperienza di malattia, di oppressione, di credenti messi alla prova nella fede. A costoro è rivolto un messaggio di consolazione che è determinato da una certezza ormai acquisita, una certezza che riguarda il compimento definitivo della storia umana: la gloria di Dio si è manifestata in modo vittorioso per sempre. La fine della storia umana è già realizzata, già avvenuta, già raggiunta. Ecco l’apocalisse: rivelazione, svelamento definitivo di come stanno le cose. La misericordia di Dio si è imposta per realizzare la storia della salvezza.

Nella visone, le visioni: "sali quassù"

Giovanni vede. Una visione iniziale che inquadra tutto il seguito dell’Apocalisse, nel cap. 1, poi le lettere alle sette chiese, e poi altre visioni ancora. In realtà è sempre quella visione iniziale che si viene precisando e documentando; le visioni non sono successive l’una all’altra, ma sono tutte interne alla prima. La visione del Signore che è morto e risorto è protagonista della storia umana, è lui che già segna il compimento definitivo di tutta la vicenda che ci coinvolge, generazione dopo generazione. Ha vinto colui che è risorto dai morti. Nella visione iniziale si inseriscono tutte le altre visioni, come scatole di misura sempre più ridotta, fino a diventare minuscole, miniature di scatole, tutte interne alla scatola iniziale; aperta quella si tratta di passare in rassegna tutte le altre, una dopo l’altra, ma siamo sempre all’interno di quel messaggio che era presente all’inizio.

«Dopo ciò ebbi una visione: una porta era aperta nel cielo. La voce che prima avevo udito parlarmi come una tromba diceva: Sali quassù, ti mostrerò le cose che devono accadere in seguito».

Sali quassù, in modo che tu possa vedere le cose così come sono comprensibili da quel punto di vista che, per così dire, è quello di Dio: colui che era, che è, che viene, il principio e la fine, l’Alfa e l’Omega, l’Onnipotente, il Pantocrator. Vieni, sali quassù, ti mostrerò le cose. C’è una porta da varcare, questa porta è spalancata per l’occasione. Giovanni può attraversare la porta perché è autorizzato a farlo, è esattamente questo il dono carismatico che compete a lui, così come ad ogni altro credente. La porta è aperta, sali quassù e vedrai le cose come stanno.

Una voce lo chiama, una voce che già risuonava all’inizio di tutto, al cap. 1, come una tromba. Questa tromba suona per indire il giubileo. "Sali quassù, ti mostrerò le cose che debbono accadere in seguito". Questa formula linguistica è propria del linguaggio apocalittico, ricorre nel libro di Daniele, che è il grande testo apocalittico dell’AT., e sta ad indicare esattamente il compimento definitivo della storia guardata e interpretata a partire dalla fine: le cose che debbono accadere in seguito, le cose compiute. E’ in quanto le cose sono già compiute sotto lo sguardo del creatore che diventano comprensibili. Sali quassù.

«Subito fui rapito in estasi». Giovanni fu preso da un vento poderoso, che lo trascina, lo trasporta, e, nello stesso tempo, lo riempie, lo trasforma, gli conferisce una nuova intensità vitale, una capacità di guardare, di sentire, di ascoltare, di comunicare: fui rapito in estasi. Questa estasi non è un assopimento melenso e svenevole, è un’esperienza di massimo potenziamento di tutte le capacità, le energie, le urgenze vitali.

Uno stava seduto su un trono

«Ed ecco, c'era un trono nel cielo, e sul trono uno stava seduto». Questo trono rinvia immediatamente a una corte, una reggia, una posizione regale, quella che compete esattamente a colui che siede su un trono, ma ci rendiamo subito conto che il trono di cui si parla, ha tutte le caratteristiche di un macigno cubico, la forma tipica degli altari. L’altare, nella concezione degli antichi, era un’ara, una graticola, un focolare dove brucia legna e rimane la brace sempre accesa, in modo che possa essere consumata la carne delle vittime. L’altare: un focolare massiccio, poderoso, che funziona come un’ara, al di sopra della quale spunta la fiamma. C’è uno che sta seduto sul trono: non ci viene descritto questo personaggio, che rimane anonimo. Il Dio vivente nell’ATn è senza nome o meglio: il nome che lo rivela, nello stesso tempo lo rende trascendente; è il nome impronunciabile. Dio siede sul trono. Da questo momento in poi sarà citato con questa circonlocuzione: "colui che siede sul trono".

Noi ci troviamo davanti a un’ara sulla quale, come è normale dal momento che si tratta di un focolare, si eleva la fiamma, una vampa mobile, variegata, sempre originale, come è proprio di ogni vampa.

Questa visione di Giovanni ci aiuta a contemplare il mistero del Dio vivente. Giovanni parla a noi della sua esperienza di Dio con un linguaggio che potrebbe apparirci grossolano. E’, in realtà, il linguaggio teologico di cui è capace un cristiano. Giovanni ci parla della sua esperienza divina, così come si è trovato davanti al mistero del Dio vivente che lo ha coinvolto dentro a un misterioso circuito di vita. Il mistero del Dio vivente è il mistero del Dio trinitario. Colui che siede sul trono è colui che definiremmo a modo nostro il Padre. Non ha nome, è presente, è vivente, siede sul trono.

Diaspro e cornalina

«Colui che stava seduto era simile nell'aspetto a diaspro e cornalina»: non ci viene data una descrizione del personaggio, Giovanni ce lo presenta facendo riferimento alla manifestazione di luminosità che da questo personaggio proviene. Diaspro e cornalina sono pietre preziose, pietre luminose, con diverse sfumature di rosso. Questa valenza cromatica non è affatto insignificante: Giovanni vede una sorgente di luce, è abbagliato e riscaldato da quella sorgente di luce, e noi dobbiamo aggiungere: di calore. Giovanni è condizionato nella sua visione da questa coloritura della scena: il rosso dilaga in tutte le direzioni, simile nell’aspetto a diaspro e cornalina. Una effusione di luminosità e di calore che Giovanni percepisce insieme con la sensibilità, il gusto, quel particolare movimento interiore che il colore rosso suscita nell’animo di un uomo come lui, come noi. E’ rosso: come il fuoco, il sangue, rosso come la vita.

Simile a smeraldo

«Un arcobaleno simile a smeraldo avvolgeva il trono». Sono diverse sfumature di verde. Quella luminosità filtrata da quella valenza cromatica rossa, adesso si colora di verde: varie sfumature di verdi, un arcobaleno di verdi. D’altronde il colore verde è per eccellenza il colore delle sfumature. Ancora una volta è il colore della vita: il verde della vegetazione, il verde della primavera, il verde della vita. Il rosso e il verde sono i colori di Dio. Tra l’altro l’antica tradizione iconografica fa largo uso di rosso e di verde in singolari composizioni, laddove è contemplato il vivente; in genere se è rosso non è verde, e viceversa; invece qui è rosso e verde. Non è soltanto un po’ rosso e un po’ verde, ma è rosso e verde.

E’ il mistero del Dio vivente che arde come una fiamma e che è fresco come un filo d’erba bagnato dalla rugiada.

E’ il mistero del Dio vivente che irrompe con l’urgenza travolgente del fuoco e ci avvolge di dolcezza pacificante.

E’ il mistero del Dio vivente che in quanto è vivente ci attrae e ci respinge nello stesso tempo, ci mette a nostro agio e ci fa riposare.

E’ rosso e verde: c’è qui tutta la potenza senza limiti di questa presenza che ferisce e travolge, tutta la soavità di questa presenza che ci custodisce e ci consola. E’ il mistero del Dio vivente, è rosso ed è verde.

Ventiquattro vegliardi

«Attorno al trono, poi, c'erano ventiquattro seggi e sui seggi stavano seduti ventiquattro vegliardi avvolti in candide vesti con corone d'oro sul capo». Chi sono questi 24 vegliardi? 12+12, sono i rappresentanti del popolo di Dio nell’Antico e nel Nuovo Testamento; sono vestiti di bianche vesti e, dunque, già appartengono a quello che sarà il compimento definitivo della storia umana. Attraverso questi 24 vegliardi viene evocata tutta la storia dell’umanità, che sta li a fare da corona attorno al trono di Dio.

Lampi, voci e tuoni

Non solo «Dal trono uscivano lampi, voci e tuoni». Giovanni era prima segnato intimamente da una esperienza di luminosità, ora è provocato da una esperienza di sonorità. Dal trono non soltanto luce rossa e verde, vitale e vivificante, ma strepiti, voci, tuoni, tutti i rumori. Dice il testo greco: astrapé kai phoné kai bronté. C’è anche qualcosa di onomatopeico, il rumore per antonomasia scaturisce da quella sorgente della vita. E’ il rumore assoluto, tutto il rumore, un rumore così pieno, così intenso, così esauriente che coincide con il silenzio.

C’è qualcosa che i nostri giovani spesso ignorano, quando cercano il rumore: sono mossi da una nostalgia mistica, un’immersione nel rumore che è in realtà espressione di una intensa e irriducibile nostalgia del vivente e del suo silenzio.

Questo rumore, che è anche il silenzio del Dio vivente, esprime una incontenibile volontà di comunicazione: di là provengono questi rumori.

Sette lampade

«Sette lampade accese ardevano davanti al trono, simbolo dei sette spiriti di Dio». C’era una lampada a sette braccia (la menorah) nell’antico tempio di Gerusalemme: i sette spiriti di Dio, lo Spirito di Dio. Sette, lo Spirito Santo, come diremmo noi, è il soffio, è il respiro del Dio vivente. Sette lampade accese ardono davanti al trono: siamo coinvolti in un circuito di luce, di rumore, di un soffio. Questo soffio è, peraltro, del tutto coerente con l’immagine di un focolare: un focolare funzioni ha bisogno di una presa d’aria, una stufa ha bisogno di un’apertura che consente questa circolazione del soffio da cui dipende il mantenimento della fiamma. Ci sono sette lampade davanti al trono: è lo Spirito di Dio, lo Spirito proteso, lo Spirito che soffia, lo Spirito aspirato, è una circolazione d’aria che tiene accesa la fiamma e che la espande in ogni direzione. Questa circolazione d’aria è tramite di quella sonorità, su cui si è detto prima, e che si appoggia, nel suo dilagare prorompente, su questo travolgente e delicato insieme, soffio di Spirito Santo.

Un mare di cristallo

«Davanti al trono vi era come un mare trasparente simile a cristallo». Davanti al trono un pavimento. Il trono poggia su un’acciottolato, un mare, dice qui, trasparente, simile a cristallo. Questo è il firmamento in quanto è l’involucro di tutto l’universo creato da Dio, ma è il firmamento guardato dall’alto: una boccia di cristallo. L’attenzione adesso si rivolge a tutto quello che è contenuto nel firmamento, il contenitore per eccellenza di tutta la creazione.

Quattro esseri viventi

«In mezzo al trono e intorno al trono vi erano quattro esseri viventi pieni d'occhi davanti e di dietro». Sono i rappresentanti di tutte le creature viventi, in singolare continuità con colui che siede sul trono, in mezzo al trono, stanno in mezzo al trono e stanno intorno al trono. E’ di là che proviene la vita, dal vivente, da colui che sta seduto sul trono: in mezzo al trono stanno i viventi e intorno al trono. Quattro, per dire tutti i viventi, tutte le creature viventi. Attraverso queste 4 creature viventi è ricapitolata tutta la creazione, perché tutta la creazione è mirata a promuovere la vita. Per gli animali selvatici abbiamo il leone, per gli animali domestici abbiamo il toro, per gli animali che volano o che guizzano tra le onde abbiamo l’aquila, poi l’uomo ed è unico.

Questi quattro ordini non corrispondono ai criteri dei nostri scienziati, ma è un modo per dire tutti i viventi, tutte le creature che hanno ricevuto quella particolare benedizione che proviene dalla sorgente inesauribile della vita, da colui che siede sul trono. In quelle onde di luce e di calore, in quel soffio di incandescente dolcezza, nel dipanarsi di quella volontà di comunicazione da colui che siede sul trono, ci è stata manifestata la vita. Tutta la vita. I quattro viventi sono pieni di occhi, davanti e di dietro, sono adattabili. E’ proprio della vita adattarsi, le creature viventi si adattano. Tra tutte le creature viventi la più adattabile, in ogni ambiente, ad ogni latitudine e longitudine, è l’uomo. La vita è capacità di comunicazione, capacità di relazione, capacità di inserimento, capacità di dialogo, di adattamento. Pieni di occhi davanti e di dietro.

«Il primo vivente era simile a un leone». E’ una citazione da Ezechiele: «il secondo essere vivente aveva l'aspetto di un vitello, il terzo vivente aveva l'aspetto d'uomo, il quarto vivente era simile a un'aquila mentre vola. I quattro esseri viventi hanno ciascuno sei ali, intorno e dentro sono costellati di occhi».

Un canto infinito

I quattro viventi, che rappresentano tutta la creazione, «giorno e notte non cessano di ripetere: Santo, santo, santo il Signore Dio, l'Onnipotente, Colui che era, che è e che viene!». Giovanni si trova coinvolto in una solennissima liturgia celeste: tutta la creazione proclama la santità del Dio vivente, tutta la creazione proclama che il Signore è l’Onnipotente, il Pantocrator; tutta la creazione proclama che il Dio vivente è il Signore della storia umana, Colui che era, che è e che viene.

«E ogni volta che questi esseri viventi rendevano gloria, onore e grazie a Colui che è seduto sul trono e che vive nei secoli dei secoli, i ventiquattro vegliardi si prostravano davanti a Colui che siede sul trono e adoravano Colui che vive nei secoli dei secoli e gettavano le loro corone davanti al trono, dicendo: "Tu sei degno, o Signore e Dio nostro, di ricevere la gloria, l'onore e la potenza, perché tu hai creato tutte le cose, e per la tua volontà furono create e sussistono"».

I rappresentanti della storia umana proclamano la signoria di Dio vivente nella sua potenza senza limiti perché è il creatore dell’universo. I due cori si incrociano e si fondono in un unico, immenso coro, dove la creazione e la storia sono coinvolti in un’unica liturgia. La creazione proclama che Dio è il Signore della storia e la storia si prostra in adorazione del creatore dell’universo.

Il rotolo sigillato

Giovanni vede un libro a forma di rotolo scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con 7 sigilli. Colui che siede sul trono non ci è stato descritto: è vecchio? È giovane? Sta seduto, ma poi ha la vitalità di una fiamma, la potenza di un soffio, l’urgenza di un urlo, l’intensità del silenzio. Colui che siede sul trono ha un rotolo nella mano destra. Anche questa è un’immagine che ritorna nella tradizione iconografica. compare una mano destra da qualche parte, solo una mano… destra. La mano destra è la mano del favore, è la mano come gesto che esprime un’intenzione, che cerca un contatto, che vuole comunicare. La mano destra, in questo caso, stringe un rotolo, che è sigillato con sette sigilli. Questo rotolo è scritto sul lato interno e sul lato esterno, ciò significa che non c’è niente da aggiungere. E’ scritto e ormai non c’è più spazio per scrivere ancora, fuori e dentro. E’ tutto scritto e sigillato. Cosa significa questo rotolo? Questo rotolo è lo svolgimento in atto della storia. Questa visione di Giovanni è interna alla precedente con una sottolineatura che è nuova. Un conto è aver considerato la storia umana nel suo svolgimento compiuto in Dio; un altro conto è interpretare il senso di quel che sta avvenendo, mentre lo svolgimento della storia è ancora in atto. Questo è il significato del rotolo sigillato: come si svolge la storia, adesso e qui; che senso ha lo svolgersi in atto degli eventi nei quali siamo coinvolti. Noi siamo, adesso e qui, in un particolare risvolto di quel rotolo, in un particolare frangente di quello svolgimento, in una particolare situazione di questo complesso così caotico e complesso di eventi che giungono alla fine. Ecco, il rotolo è sigillato.

«Vidi un angelo forte che proclamava a gran voce: "Chi è degno di aprire il libro e scioglierne i sigilli?"». Chi è in grado di interpretare il senso degli eventi che sono in corso? Chi è in grado di spiegare che cosa sta succedendo al mondo, che cosa ci sta capitando, dove ci troviamo? Qual è il criterio che ci consente di dare un senso a quel che sta accadendo adesso e qui, in questo attuarsi della storia? Chi è degno di aprire il libro e di sciogliere i sigilli? La visione precedente ci ha aiutato a contemplare la creazione che è al servizio della vita e tutta la storia che adora il creatore, perché la vita è suscitata, sostenuta, illuminata, riscaldata da lui. Giovanni ha visto questo, ma chi gli spiegherà il senso di quel che sta succedendo? Giovanni è in difficoltà. «Ma nessuno né in cielo, né in terra, né sotto terra era in grado di aprire il libro e di leggerlo». Nessuno è in grado di sciogliere quei sigilli, nessuno e da nessuna parte. Anzi, «Io piangevo molto». Giovanni è in lacrime, uomo straziato da un dolore insanabile, un dolore che è così travolgente che non se ne può più nemmeno parlare, non si sa da dove viene e dove va, se viene da fuori, da dentro, da destra, da sinistra. E’ un dolore che lo ha collassato: "io piangevo molto", un oceano di lacrime; annega in questo oceano di dolore «perché non si trovava nessuno degno di aprire il libro e di leggerlo». Chi mi spiegherà, chi scioglierà i sigilli, chi spezzerà quei blocchi, chi mi darà un’interpretazione adeguata al dramma in cui sono coinvolto? Siamo coinvolti noi, in cielo, in terra, sotto terra, la nostra generazione, tutti e ciascuno, con questo particolare frangente della storia.

L’agnello immolato

«Uno dei vegliardi mi disse: "Non piangere più"». Si potrebbe dire che tutto il messaggio apocalittico coincide con questa raccomandazione: non piangere più. Ed ecco: «ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli"».

Uno dei vegliardi si rivolge a Giovanni per indicargli chi è degno di aprire il libro, chi è in grado di sciogliere quei sigilli, chi è pronto ormai per interpretare il senso della storia in cui noi siamo coinvolti. Due espressioni che nell’AT alludono in modo inequivocabile al messia: il leone della tribù di Giuda (Gen. 49) e il germoglio di Davide (Is 11). Due immagini messianiche in singolare contrappunto: nel leone abbiamo a che fare con la energia focosa della belva maestosa che avanza per imporre la propria posizione di sovrano, nel germoglio abbiamo a che fare con tutta la delicatezza, la fragilità di una gemma che si sta muovendo, di un bocciolo che si sta aprendo. E’ il germoglio di Davide, è il Messia. La maestà poderosa del leone, la delicatezza di una pianticella: è il Messia. E’ lui l’interprete, colui che prenderà in mano il rotolo e scioglierà i sigilli; viene colui che spiegherà il senso di quello che sta succedendo adesso e qui, il senso della storia umana nel corso del suo svolgimento. E’ un personaggio poderoso, che si muove con stupefacente mansuetudine. Come è possibile che sia poderoso e mansueto insieme? E’ poderoso nella mansuetudine ed è delicatissimo nella maestà. E’ il suo modo di essere potente che è dolcissimo, è il suo modo di essere mansueto che è travolgente. E adesso ci siamo:

«Poi vidi ritto in mezzo al trono circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi un Agnello, come immolato». E’ la prima volta che nell’Apocalisse si parla di questa figura, l’agnello. Se ne parlerà ancora a più riprese, successivamente. Passiamo da quel leone e da quel germoglio a questo agnello. L’agnello, che è in posizione eretta, è immolato, sgozzato, per dirla alla lettera. E’ proprio lui, il Messia che è passato attraverso la morte e si è innalzato come protagonista della vita: lo vidi ritto immolato, scannato come un animale da macello, in posizione di vittorioso. E’ l’agnello. Qui ritornano tante immagini dell’At.. Questo agnello sta ritto in mezzo al trono, là dove avvampava la fiamma, là dove si esprimeva il rumore, là dove soffiava il vento. Sta ritto là: è il Figlio morto e risorto, è la parola fatta carne, è il volto visibile del Padre, è la presenza che ha passato in rassegna tutto della nostra condizione umana, ha scandagliato gli abissi della nostra storia, ha raggiunto l’oscurità, la miseria della negatività infernale, ha scandagliato il cuore umano fino alle zone più recondite e ha aperto un varco, che ora illumina con la manifestazione della sua vittoria. L’agnello è circondato dai 4 esseri viventi e dai vegliardi: tutto della creazione e tutto della storia umana è da riferire a lui.

«Egli aveva sette corna e sette occhi, simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra». Sette corna, simbolo di potenza, i sette occhi nel senso che la sua capacità di comunicare è perfetta. I sette occhi sono simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra. Il Figlio manda lo Spirito, lo manda dal Padre; il Figlio è colui su cui riposa lo Spirito; lo Spirito che riposa sul Figlio, lo impregna, lo unge di quella competenza carismatica che è propria del figlio. La sua presenza è capillare, feconda nella comunione, coinvolge tutto quello che avviene nel tempo e nello spazio. Sette spiriti mandati su tutta la terra e tutto in riferimento a lui.

«E l'Agnello giunse e prese il libro dalla destra di Colui che era seduto sul trono». L’agnello "viene". E’ lo stesso verbo che leggiamo quando il Signore risorto "viene", mentre i discepoli sono al chiuso nel cenacolo, perché hanno paura. "Viene" e mostra le piaghe, "viene" e sta ritto in mezzo a loro (Gv 20). L’agnello "venne" e prende il libro. E’ lui in grado di prenderlo, di aprirlo, è lui l’interprete, è lui che, in forza della sua pasqua di morte e di resurrezione, è autorizzato a spiegare il senso di quel che sta succedendo nella storia umana.

Amen

L’agnello prende il libro: «E quando l'ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro vegliardi si prostrarono davanti all'Agnello, avendo ciascuno un'arpa e coppe d'oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi».

Qui un’importanza particolare è conferita alla preghiera: è la creazione della storia umana ed è la preghiera che circola nel creato. Cantavano un canto nuovo. Tutto è volto verso di lui, l’agnello, a cui non sfugge nulla: non c’è frangente impervio, doloroso, tragico, catastrofico nella storia umana che possa essere sottratto alla sua maestà, alla sua presenza di agnello divenuto pastore di tutte le pecore, divenuto guida di tutti gli smarriti. Ecco il canto nuovo: "Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione e li hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti e regneranno sopra la terra"». Questi due versetti ricapitolano ogni cosa.

L’orizzonte è veramente amplissimo.«Durante la visione poi intesi voci di molti angeli intorno al trono e agli esseri viventi e ai vegliardi. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia e dicevano a gran voce: "L'Agnello che fu immolato è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione"». Sette attributi, a lui, all’agnello. Anche gli angeli del cielo proclamano la vittoria di colui che è morto ed è risorto, è la Pasqua del Figlio che stringe, ricapitola, scandaglia, scruta, illumina, fa risonare di suoni vitali la storia di tutta l’umanità, in ogni luogo e in ogni momento. Tutto si ricapitola in questo immenso crogiolo che a Giovanni appariva come un crogiolo infernale, un’alluvione di lacrime inconsolabili. Questo crogiolo è interpretato per noi dall’agnello come passaggio efficace e vivificante, passaggio nella maturazione della vita, passaggio che rivela la gloria del Dio vivente, che inchioda i dolori là dove l’agnello è stato sgozzato e che fa di ogni creatura umana ormai un interlocutore condotto fino alla pienezza definitiva della liturgia celeste.

«Tutte le creature del cielo e della terra, sotto la terra e nel mare e tutte le cose ivi contenute, udii che dicevano». Tutte le creature, nessuna esclusa, al servizio della volontà di Dio creatore e redentore: la volontà del Padre nella comunione con il Figlio e lo Spirito Santo, la potenza della vita.

«"A Colui che siede sul trono e all'Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli"». Quattro attributi. In greco lode è euloghia, benedizione, e la benedizione è propria del vivente che fa vivere. «E i quattro esseri viventi dicevano: "Amen". E i vegliardi si prostrarono in adorazione». Si ritorna ai quattro esseri viventi che chiudono questo canto liturgico; esso raccoglie tutta la partecipazione di ogni creatura, nel passato e nell’avvenire, e riecheggia in sé le voci e illumina le presenze più sconosciute e più oscure. I quattro esseri viventi concludono con il loro Amen, e i vegliardi sono prostrati nel silenzio dell’adorazione, là dove il Dio vivente riporta alla pienezza della vita coloro che hanno tradito la vita e l’hanno contrastata con la violenza più straziante. Giovanni vede il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, vede il mistero del Dio vivente che si spalanca come sorgente e come volontà di attrazione, come volontà di amore e di salvezza, perché non vada perduta la vita, ma sia per la gloria di Dio oggi e per i secoli dei secoli.



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