Incontri di discernimento e solidarietà
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05 novembre 2019

Prima Lettera di Paolo ai Tessalonicesi - prima parte

Alla ricerca di un linguaggio adeguato alla straordinaria novità del Vangelo

Primo incontro del ciclo 2019-2020

Eccoci di nuovo alle prese con la Parola di Dio e penso che sia doveroso, riprendendo la consuetudine di questi appuntamenti mensili, rivolgere un pensiero a Laura che ha lasciato memoria nell’ultima testimonianza del suo servizio con la redazione del testo che avete in mano e che contiene la trascrizione dell’ultima lettura dei libri di Samuele. Dedichiamo a lei questo momento di raccoglimento, di ascolto della parola che ci ha sostenuto e alimentato nel corso degli anni e che risuona con tutta la sua efficacia, con la collaborazione di ciascuno di noi e di Laura, che è stata così fedele e, nello stesso tempo, così dimessa, nascosta e riservata.

E quindi iniziamo una nuova tappa nel nostro cammino, rispettando la regola dell'alternanza fra Antico e Nuovo Testamento, e ho deciso di dedicare il tempo necessario quest'anno, a partire da stasera, alla lettura della Prima lettera di Paolo ai Tessalonicesi. Lettura che non avevamo mai affrontato in questa sede.

Abbiamo letto altri scritti paolini o attribuiti a Paolo nel contesto della letteratura neotestamentaria nel corso degli anni, Le lettere pastorali certamente ricordate, La Lettera agli Efesini, certamente ricordo anch' io. Fatto sta che mi sembra particolarmente opportuno prendere direttamente contatto con lo scritto più antico tra tutti quelli che trasmettono a noi la testimonianza così feconda di Paolo e della sua attività al servizio dell’Evangelo nel primissimo periodo. Lo scritto più antico e non solo per quanto riguarda la raccolta degli scritti paolini, ma lo scritto più antico di tutto il Nuovo Testamento è per così dire la soglia di accesso al Nuovo Testamento. Quando Paolo scrive questa lettera non esiste alcuno di quegli scritti che compongono quel corpus così importante e imprescindibile per noi: i Vangeli, gli Atti degli Apostoli, gli altri scritti, fino all' Apocalisse.

Esistono le scritture sacre di Israele, questo sì, e Paolo a questo riguardo è maestro più che mai maturo e competente. Ma Paolo è alle prese con una vicenda che è ancora allo stato sorgivo, e ciò ci consente un contatto con la fecondità originaria del messaggio che Paolo rivolge ai destinatari di questa lettera, ma che rivolge poi ancora a noi, a tutti quanti noi. Questo contatto mi sembra particolarmente urgente e benefico. Siamo alle prese con il magma di un vulcano in eruzione nel momento in cui esplode in tutta la sua originalità. Adesso noi abbiamo a che fare con uno scritto di Paolo, ma abbiamo anche a che fare con personaggio che abbiamo già incontrato nei nostri percorsi, personalmente e comunitariamente, tenendo conto di quella che è comunque la costante attenzione dedicata dalle nostre chiese agli scritti paolini. Abbiamo già incontrato Paolo, sappiamo già tante cose di lui, ma è sempre vero che è il contatto con un personaggio che si presenta a noi in nome di quella novità a cui attribuiamo il titolo di “cristiana”. Un aggettivo questo che Paolo non usa mai; non conosce questo aggettivo, ma è la novità di cui è testimone nella storia umana, una persona che è coinvolto in una misteriosa ma travolgente relazione di vita con Gesù; Gesù che è morto, Gesù che è vivente; è morto, è risorto è glorioso ma è crocifisso; è stato rifiutato ma è trionfante. É l’impatto originario con la novità pasquale del Signore. Paolo è una persona totalmente coinvolta nell' impatto con questa novità che ha determinato una ristrutturazione radicale del suo vissuto. Un vissuto di giudeo - perché Paolo è giudeo - ed è un giudeo osservante che si è formato nelle scuole rabbiniche del suo tempo, con particolare cura, con risultati anche prestigiosi dal punto di vista teologico e avendo assunto responsabilità di ordine pastorale. Paolo è alla ricerca di un linguaggio che gli consenta di dare voce e una possibilità di comunicazione a quel vissuto che è segnato in lui in maniera così radicale, come dicevo poco fa, dall' incontro con la novità di quel personaggio che è stato riconosciuto come Messia d' Israele ed è il Signore universale, colui che è passato attraverso la morte ed è vittorioso: si chiama Gesù. Ha un linguaggio e questo è il dato originario che conferisce a Paolo il titolo più che mai opportuno e pertinente di teologo. É teologo perché è tutto preso dalla preoccupazione, dal desiderio e a questo scopo dedica tutte le sue competenze di ordine dottrinario e di ordine scritturistico. Tutto di lui al servizio di quella ricerca che intende tradurre il vissuto segnato da quella novità così travolgente in un messaggio. Quella novità travolgente possiamo noi ricondurla a un termine che Paolo usa con particolare impegno: è il termine Evangelo; è una novità che ha fatto irruzione nella storia umana di cui è protagonista Dio. É un impulso poderoso che ha consentito alla storia degli uomini un nuovo orientamento. Una nuova capacità evolutiva, un senso radicalmente originale rispetto a qualunque altro tentativo di interpretare gli eventi, a cui ci si potesse adeguare in precedenza compreso tutto quello che Paolo ha acquisito in continuità con la tradizione del suo popolo e gli studi nei quali si è specializzato. É l’Evangelo, l’Evangelo di Dio. Paolo è teologo non soltanto nella testa che ragiona, non è teologo nel cuore e nella pancia, è teologo nella concretezza del vissuto e in tutto dedicato alla ricerca di un linguaggio che sia adeguato ad accogliere, interpretare, trasmettere l’Evangelo, in una posizione che è sempre molto precaria , molto approssimativa, esposta alla necessità di arricchimenti ulteriori di precisazione in un contesto dove la conversazione che dal punto di vista di Paolo costituisce il vero sviluppo di quella che noi chiameremmo pastorale: la pastorale è un dialogo tra coloro che imparano e si aiutano vicendevolmente a conversare nella accoglienza e nella interpretazione dell’Evangelo. Ma che cosa è avvenuto e che cosa significa per noi essere partecipi di questa novità che ha ristrutturato dalle fondamenta l'impianto della nostra vita? Teologo, pastore.

Il secondo grande viaggio missionario di Paolo è raccontato nelle pagine che leggiamo negli Atti degli Apostoli che sono opera di Luca Evangelista. Luca racconta alcuni decenni dopo che i fatti hanno avuto luogo. Luca racconta, rievoca, ha conosciuto Paolo, lo ha accompagnato, ha collaborato, sa tante cose e mette insieme il suo racconto con quelle particolari finalità di ordine catechetico che bisogna riconoscergli. In anni passati, nel 2003-2004, leggemmo gli Atti degli apostoli, ospiti a San Roberto Bellarmino.

Luca parla di Paolo e racconta; i dati della sua narrazione ci aiutano a collocare gli eventi in un percorso storico che è certamente credibile. Possiamo tenerne conto, ma è poi vero che nei suoi scritti, e adesso nella Prima lettera ai Tessalonicesi, Paolo si esprime in prima persona singolare; proprio lui, direttamente lui, non qualcuno che parla di lui, ma lui stesso che si dichiara a modo suo, si esprime col suo linguaggio e interviene in corrispondenza a quello che di profondo e di segreto costituisce la sua identità; quell'identità nuova di cui si sta rendendo conto dal momento che l’Evangelo ha investito la sua esistenza umana. Paolo: secondo grande viaggio missionario, ripeto, stando alla narrazione di Luca negli Atti. Per la prima volta Paolo entra in Europa. Paolo è un uomo dell'Oriente, è un asiatico, entra in Europa; è vero che le due sponde del Mediterraneo sono interne a un'unica amministrazione imperiale: Roma ormai domina tutto il bacino del Mediterraneo. Non c'è dubbio, ma è anche vero che sono due mondi. Quello che era vero nel corso dei secoli antecedenti è quello che è ancora vero per noi oggi: ci chiediamo se la Turchia possa mai diventare Europa. L’Asia, l'Europa, l’Oriente, l’Occidente, senza stare a precisare meglio quel che significa adesso usare questi vocaboli.

Fatto sta però che Paolo è in Europa per la prima volta, mosso da un’ispirazione corrispondente a una chiamata, è un momento carismatico molto intenso. Per quel che leggiamo nel cap. 16 degli Atti entra in Europa: il primo impatto con un mondo nuovo, gente nuova, gente strana; pensate a come ci guardano gli immigrati: noi siamo personaggi curiosi, strani, un po' dei marziani per loro. E così Paolo è in Europa: Samotracia, Neapolis. A Filippi si guarda attorno, non c'è una sinagoga; stranissimo: in Oriente in tutte le località una presenza ebraica è sempre componente del quadro sociale su cui si può fare affidamento. C'è una sinagoga piccola, grande, qualificata o meno, personaggi che appartengono in modo esplicito alla diaspora di Israele, sono comunque personaggi che assumono anche posizioni di rilievo nelle responsabilità civili. Di luogo in luogo nelle regioni dell'Oriente. In Occidente non è così: non c'è una sinagoga a Filippi e Paolo si guarda attorno e scopre che il giorno di sabato ci sono delle donne in preghiera lungo il fiume; se ci sono dei giudei e si recheranno lì dove possono fare le abluzioni previste e quindi donne che pregano: una stranezza perché la preghiera è degli uomini non delle donne, ma in Occidente succedono anche queste cose strampalate per cui le donne pregano. Tutto strano; appena comincia a darsi da fare, a guardarsi attorno a Filippi dopo queste prime constatazioni lo mettono in galera. Il racconto è negli Atti (cap.16): Paolo è una persona rispettabile, Paolo è una persona onesta, ha anche le carte in regola ma non fa neanche in tempo a mostrare le carte, a Filippi: perché lui è uno di quelli viene dall' altra parte del mare, viene da un altro mondo, è certamente un personaggio pericoloso, un disturbatore della quiete pubblica, bisogna tenerlo sotto controllo; dopodiché i magistrati quando si rendono conto di quello che hanno combinato vorrebbero, con la coda tra le gambe , chiedergli scusa e non possono farlo perché perderebbero la loro dignità; Paolo li redarguisce piuttosto severamente, ma poi se ne va. Se ne va e fa un certo percorso, arriva a Tessalonica che è capoluogo della Provincia di Macedonia: è impero. Quella che oggi chiamiamo Grecia si divideva in due province: Macedonia a nord, Acaia a Sud. Tessalonica è capoluogo della provincia di Macedonia, una città di un certo rilievo, un porto piuttosto importante non una grande metropoli si intende bene non come Alessandria, non come Roma, ma una città. A Tessalonica c'è una sinagoga, ma è una sinagoga che, per quello che riusciamo a comprendere dalla lettura della pagina dedicata a questi fatti negli Atti (cap. 17), è in condizione di minoranza, una minoranza giudaica che ha una sua sinagoga ma che comunque ci tiene a non dare troppo nell' occhio. Perché evidentemente il clima generale non è favorevole alla presenza di una minoranza non assimilata. Siamo in un altro mondo: è l'Occidente, non è quel mondo orientale da cui Paolo proviene. Fatto sta che a Tessalonica Paolo frequenta la sinagoga per tre sabati, poi dopo un po' di tempo evidentemente si rivolge ad altri interlocutori perché i giudei della sinagoga non gradiscono il suo modo di fare, di dire, di comportarsi. C'è qualcuno che è interessato, ma la comunità giudaica che si raccoglie in quella piccola sinagoga considera la presenza di Paolo come motivo di disturbo che potrebbe compromettere la posizione dell’intera minoranza di giudei nel contesto cittadino, per cui dopo qualche tempo, forse poche settimane, forse due, tre mesi, quelli che riescono a ricostruire un ordine logico nella sequenza dei fatti si esprimono più o meno in questi termini, Paolo viene denunciato. La situazione precipita: impossibile ospitarlo. Paolo sta viaggiando insieme con i suoi due collaboratori che si chiamano Sila (Silvano) e Timòteo. Forse anche Luca partecipa a questa piccola comitiva missionaria a seguito dell'Evangelo, chiamiamoli pure così, ed ecco, tra l'altro negli Atti degli Apostoli, nelle pagine che citavo poco fa, per la prima volta Luca usa la prima persona plurale: nei racconti dice “noi”, allora c'era anche lui, senza ulteriori precisazioni. Fatto sta che Paolo è costretto ad allontanarsi da Tessalonica in maniera piuttosto precipitosa. I giudei di Tessalonica non hanno gradito la sua presenza, hanno fatto di tutto per prendere le distanze rispetto a questo messaggio che sta proclamando in maniera così perspicace perché comunque Paolo è un giudeo: un giudeo qualificato, un giudeo acculturato, un giudeo teologicamente qualificato, ma pericoloso. E Paolo si allontana; procede lungo la via Egnazia che congiungeva Roma con l’Asia Minore, una delle grandi strade dell’Impero Romano, arriva a Berèa e poi viene inseguito. Quelli che sono con lui e che si preoccupano di lui e della sua posizione gli dicono che è il caso che cambi strada, che fugga altrove, perché verrà inseguito da quell' accusa, da quelle minacce e da quel giudizio di riprovazione nei suoi confronti di cui è stato vittima a Tessalonica. Allora viene dirottato verso sud, si troverà ad Atene, poi da Atene a Corinto.

É un momento di grande solitudine per Paolo, un momento di amarezza profonda perché le sue procedure pastorali dedicate al servizio dell’Evangelo, alla ricerca di un contatto per coinvolgere, per riconoscere la novità del Signore Gesù che è il Messia d' Israele, che è il Kyrios, che il Signore è una presenza viva e operante nella storia, e le sue attese sono deluse. Stando al racconto degli Atti ad Atene poi a fronte degli ambienti intellettuali della città universitaria e anche lì è motivo di sconforto. Poi si ritrova a Corinto, tutto solo, tant' è vero che deve rimettersi a lavorare manualmente per sbarcare il lunario. Corinto è il capoluogo della provincia di Acaia E, tra l'altro, si trova a dividere la stessa abitazione e la stessa attività manuale con due coniugi giudei, Aquila e Priscilla, che sono stati espulsi da Roma (è l'editto dell’imperatore Claudio di cui parla di Svetonio) e si trovano a Corinto. Questo è l’ambiente in cui bazzica Paolo a Corinto e sarà poi a Corinto per diversi mesi. Sappiamo come la sua presenza diventa poi il principio di una accoglienza che si va allargando e che diventa il fondamento di quella che fu una delle grandi chiese del Nuovo Testamento: la Chiesa di Corinto. Ma sono tappe di una vicenda che è segnata dall' esperienza di una profonda e radicale povertà; una povertà rispetto agli eventi che sono contrari alle sue aspettative, povertà rispetto all’Evangelo che è rivelazione di una novità, di un'originalità, di una fecondità, di una gratuità che è prerogativa di Dio. É Lui il protagonista dell’evangelizzazione, il Dio vivente. Dunque, Paolo è coinvolto in una vicenda che lo riduce al ruolo di spettatore, di osservatore, di testimone, nella quale si rende conto di come il protagonista è Lui, il Dio vivente è attivo ed efficace nella storia umana; di come l’Evangelo apre strade di conversione, strade di ritorno alla sorgente della vita, strade di rieducazione alla vita per gli uomini che arrancano in maniera piuttosto caotica e nello stesso tempo anche illudendosi di essere protesi verso chissà quali imprese. Abbiamo a che fare con i grandi momenti della storia antica: l'impero di Roma e tutto il resto. Ed ecco la strada per ritornare alla sorgente della vita, la vocazione originaria, la pienezza delle relazioni, alla gratuità del vissuto articolato nella dimensione cosmica, nella dimensione sociale, nella dimensione interiore, il vissuto umano come piena corrispondenza alla vocazione alla vita. E dunque la strada si apre, l’Evangelo, e Paolo è spettatore di una novità che è rivelazione costante di quello che Lui, il Dio vivente, ha realizzato nella storia umana. C’è a monte tutta una lunga storia di preparazione, di attesa, di gemiti e sospiri, di cadute e rilanci; una storia che ha coinvolto totalmente la presenza del suo popolo nel contesto della grande vicenda umana. Ed ecco tutte le promesse hanno trovato compimento in Colui che è il Cristo di Israele, il Messia d' Israele, Colui che ha portato a compimento le promesse, che è protagonista di quella novità per cui l’opera di Dio che chiama gli uomini alla vita è vittoriosa sulla morte: è il Signore, è il Kyrios.

Fatto sta che Paolo affronta tappe segnate da un'esperienza di particolare fragilità: Tessalonica, Berèa, Atene, Corinto. Si rivolge sempre alla sua gente, dove può, come può, come è avvenuto a Tessalonica ma l'ambiente della sinagoga non ha corrisposto come Paolo poteva desiderare. É vero che sempre qualcuno mostra interesse, qualcuno sempre si avvicina, e poi ci sono altri o simpatizzanti con i pochi giudei della sinagoga tessalonicesi o pagani che sono stati coinvolti e si sono avvicinati, interessati, hanno ascoltato. A Tessalonica è rimasto questo piccolo nucleo di - chiamiamoli pure - discepoli che hanno accolto l’Evangelo e hanno avviato il cammino della vita nuova, ancora in maniera non uniforme. Son passate poche settimane e ancora con motivi di confusione che poi, leggendo la lettera, emergeranno, ma intanto ci sono; a Tessalonica ci sono quei tali. Paolo non ne sa più niente, si trova a Corinto ed è preoccupato: ci saranno ancora o no? Spazzati via anche quelli? Non c’è più nessuno? Lui non può tornare più a Tessalonica, non può più presentarsi. Decide allora di inviare a Tessalonica Timòteo che può muoversi liberamente. Intanto Paolo rimane solo, ne parlerà lui stesso nella lettera che leggeremo e a Corinto deve lavorare per sbarcare il lunario come meglio può. Intanto bazzica in quegli ambienti e poi man mano frequenta la sinagoga e poi è l’Evangelo che determinerà delle novità sempre più significative in vista di quella edificazione di una comunità di discepoli in cammino sulla strada della vita nuova. Corinto. Paolo rimane e Timoteo va e torna. Anno 49 dopo Cristo: possiamo stabilire questa data con una certa sicurezza. L' anno 30 si dà solitamente come data per la Pasqua del Signore; son passati 19 anni dopo la Pasqua del Signore, Paolo va a Corinto; Timòteo va a Tessalonica e ritorna dicendo: guarda che quelli ci sono ancora, ci sono ancora! sorpresa! che incanto! che meraviglia! ci sono dei cristiani nel mondo, ci sono dei cristiani a Tessalonica. Paolo si commuove: ci sono ancora! E allora Paolo scrive ed ecco la nostra Prima lettera ai Tessalonicesi. Paolo scrive a loro: “qui da noi ci sono ancora!” Nello stesso tempo è vero che Paolo rispetto a una notizia del genere ritiene più che mai urgente intrattenere una conversazione che sia mirata, come vi dicevo, a fornire un linguaggio adeguato a identificare quei tali che ci sono ancora; come peraltro è un linguaggio di cui Paolo stesso ha bisogno per identificare la sua realtà di discepolo del Signore. Come funziona, come si identifica e come si qualifica questa vita nuova che l’Evangelo ha suscitato nel vissuto di Paolo, degli altri, di qualcun altro, quelli di Tessalonica. Che cosa è successo? Che cosa succede quando l’Evangelo intercetta il cammino della vita umana, persona per persona, comunità, una generazione, la storia umana attraversata da questo impulso misterioso che determina la ristrutturazione di tutto il quadro; cosa succede?

Fatto sta che adesso noi leggiamo: siamo tra il 49 e il 50 dopo Cristo, come vi dicevo, e Paolo scrive: c'è naturalmente qui l'indirizzo di saluto, che apre la lettera nel v.1, poi lo svolgimento di questo scritto: in tutto sono solo cinque capitoli e il contenuto si suddivide in due parti che possiamo facilmente identificare.

Adesso vi dico come inquadrare lo sviluppo del testo che leggeremo, ma poi verificheremo direttamente. Una prima parte tutta caratterizzata da un’intonazione eucaristica: Paolo ringrazia Dio perché ci sono quelli a Tessalonica e ringrazia Dio perché ci siamo anche noi. Se leggiamo la lettera ai Tessalonicesi è per constatare che Paolo è da Corinto che già ringraziava perché c'era qualcuno che leggeva la sua lettera; quelli che leggono la sua lettera sono coloro che sono motivo per Paolo di ringraziare Dio, ed è motivo per Paolo di dire che noi stiamo leggendo la sua lettera; lui ringraziava già Dio in vista di quelli che leggeranno, noi in questo caso.

Prima parte: sono tre capitoli poi una seconda parte che ha carattere più esortativo: capitoli 4 e 5.



Paolo saluta e ringrazia: a Tessalonica esiste la Chiesa di Dio Padre e del Signore Gesù

Cap.1, vv.1-2 Allora leggiamo, il v. 1 introduce lo scritto “Paolo, Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: grazia a voi e pace! una formulazione molto sobria, essenziale; tra l' altro Paolo si presenta senza titoli, attributi; altre volte dice Paolo servo , Paolo apostolo; qui Paolo fa riferimento soltanto alla presenza accanto a lui di Silvano e Timòteo. Dunque, è in un contesto di condivisione che Paolo prende la parola e si rivolge a quelli di Tessalonica che sono una chiesa; ecclesìa dice qui, una ecclesìa. (io vi suggerisco di correggere però lì dove, leggo nella mia Bibbia, suppongo anche nella vostra, dei Tessalonicesi, perché l’articolo in greco non c'è). É la chiesa di Tessalonicesi nel senso che dire la chiesa dei tessalonicesi possiamo pensare che la cittadinanza tessalonicese è contenuta all' interno di una dimensione ecclesiale, ma non è così. Questa ecclesìa è una piccola realtà, possiamo senz' altro darlo per scontato, è una piccola componente, una piccola presenza, a Tessalonica: la chiesa che è a Tessalonica e che è di Dio. É come la formulazione più essenziale che si possa elaborare per parlare della chiesa nella sua singolare e sacramentale identità. La chiesa che è quel contesto comunitario; dire ecclesìa certamente allude a un certo circuito di relazioni che hanno forma di un gruppo, un’assemblea, una comunità di proporzioni quantitative piuttosto variabili, in questo caso certamente minuscole, ma la Chiesa è di Dio, a Tessalonica.

Tessalonica è una città, Tessalonica è un mondo, Tessalonica è una cultura è tra l'altro una città dell'Occidente, stando ancora al discorso iniziale. Anche a Tessalonica, e così altrove nel mondo, laddove si ha a che fare con gente che parla una propria lingua, che condivide un certo lavoro, che si dedica al rapporto con le urgenze della vita, dalla nascita fino alla morte, con modalità particolari; a seconda dei casi , delle sensibilità , di quelle che sono le esperienze che si tramandano di generazione in generazione; una città, un pezzo di mondo, un mondo e ogni altro pezzo di mondo e ogni altra città in questo mondo che si chiami Tessalonica o che si chiami con i nomi dei nostri luoghi. Ed ecco a Tessalonica la Chiesa che è di Dio. E questo modo di indirizzare lo scritto è già per noi molto istruttivo: c'è una presenza nelle cose di questo mondo, nelle vicende della storia umana, nelle misure di spazio e di tempo che sono proprie di una entità sociale che si abbarbica a una zolla di terra. C'è una presenza che è rivelazione di Dio, che è dimostrazione energica, risolutiva, travolgente, del suo mistero nella sua gratuità assoluta. La Chiesa è di Dio, a Tessalonica.

E Paolo scrive, e scrive adesso subito facendo appello al mistero di Dio con una duplice indicazione: Padre, la paternità di Dio e poi il Signore Gesù Cristo, la Signoria di Gesù che è il Cristo, che è il Messia d' Israele. La paternità di Dio, la Signoria di Gesù, Messia. É il mistero di Dio. E quando poi aggiunge “grazia a voi e pace! ” questo è vero e proprio saluto, un saluto duplice: alla maniera greca “grazia a voi” e alla maniera ebraica “pace a voi, Shalom”; è anche un augurio, è anche una benedizione e quando dice “grazia” è come se ci rimandasse a quello che è il criterio in base al quale siamo in grado di ricapitolare tutta la storia del passato, la storia di un popolo, la storia dei popoli, la storia dell' umanità intera che è rivelazione della paternità di Dio; tutto del passato è rivelazione della paternità di Dio come il grembo paterno e il grembo fecondo e il grembo materno del Dio vivente si è spalancato per noi. E quando dice “pace a voi!” ecco qui è il titolo adeguato a sintetizzare il compimento futuro di quel disegno messianico che fu annunciato a Israele, che è stato custodito, che è stato interpretato, reinterpretato nel corso delle generazioni. Ma adesso questa promessa messianica, questo annuncio messianico, questa proiezione messianica verso il compimento futuro di tutte le promesse noi siamo in grado di riconoscere, proclamare nella Signoria di Gesù: il figlio, la paternità di Dio. La figliolanza di Gesù che nell' adempimento della sua missione ha portato a compimento le promesse: ecco il Messia d' Israele ed è Signore, vittorioso sulla morte. La paternità di Dio, la Signoria di Gesù.

Fatto sta che adesso, dal v. 2, ha inizio la prima parte della nostra lettera che si sviluppa fino a tutto il cap. 3, come già vi dicevo, e che è caratterizzata da una intonazione eucaristica: Paolo ringrazia e ,v. 2, “ringraziamo sempre Dio per tutti voi” (efcharistoúme) Paolo sta facendo eucaristia) “Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori “ Dunque, Paolo adesso dà un’illustrazione del contenuto, per dir così, di questo ringraziamento «Io ringrazio Dio perché ci siete, ma ringrazio Dio perché ricordo di voi quello che siete» e quando dice ricordo di voi quello che siete non intende richiamare, non so, quel tale che aveva gli occhi verdi e quell' altro che invece vestiva con un panno di lana o quell' altro (metteteci pure quello che volete) quell’altro che raccontava barzellette; mi ricordo di voi, che cosa ricordo io di voi, che cosa ricorda, qual è il contenuto che è il motivo per me da esprimere nel ringraziamento a Dio. Perché ringrazio Dio? Perché ci siete. Che cosa vuol dire che ci siete e che ci siete nella vita nuova? Che ci siete nella vita nuova, che ci siete, testimoni per me di quella vita nuova che è la vita che io, in tutti i modi, desidero condividere con voi e desidero elaborare insieme con voi un linguaggio che ci consenta di comunicare non soltanto nella dimensione empirico fotografica delle memorie, ma comunicare nella radicale profondità di questa esperienza nuova per cui voi ci siete a Tessalonica e io a Corinto.



Siamo in relazione vitale con Gesù

V.3 E qui Paolo adesso prosegue dal v. 3 quando dice memori ecco che cosa ricordo di voi. Nella mia Bibbia leggo davanti a Dio Padre Nostro (questa espressione davanti a Dio Padre nostro dovrebbe essere spostata alla fine del versetto 3). E allora leggo dall' inizio del versetto “memori del vostro impegno nella fede della vostra operosità nella carità della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo davanti a Dio Padre Nostro”. Forse la nuova traduzione sistema le cose come in questo caso è opportuno. Teniamo conto di questo segnale così potente che Paolo mette subito in evidenza quando parla di una misteriosa relazione con il Signore nostro Gesù Cristo, colui che è Kyrios, che è Signore, ma ha una relazione con noi; Gesù, ma tra lui e noi c’è di mezzo la morte? Tra di noi c’è di mezzo la sua vittoria gloriosa che ha intronizzato Lui; ma a maggior ragione tra lui e noi una distanza incolmabile, tra lui e noi, se lui è protagonista di un’impresa così strabiliante per cui è vittorioso sulla morte, la distanza che ci separa è più che mai un abisso incolmabile. E invece tra lui e noi è instaurato un rapporto di vita, questa è una novità: noi siamo in relazione con la signoria di Gesù il Cristo, il Messia d' Israele, sì, ma in relazione con lui vivente, con lui glorioso, con lui vincitore sulla morte, con lui che ormai è trionfante, intronizzato. É il Kyrios, e un’affermazione del genere è un’affermazione poderosa, nella nostra condizione attuale: Paolo a Corinto, quelli a Tessalonica, noi qui siamo coinvolti in una misteriosissima comunione di vita con colui che è ormai vivente nella gloria intramontabile della sua resurrezione. É questa misteriosa relazione su cui Paolo adesso vuole puntare l’attenzione, perché questo è il motivo per cui ci siete voi e ci sono io. Questa relazione con il Kyrios, con il Signore. Questa relazione adesso Paolo dice è strutturata secondo tre direttrici. Come avviene che noi siamo in relazione con il Kyrios? Che è così lontano, così diverso, che è ormai protagonista di una novità che non corrisponde alle nostre misure condizionate dai limiti della nostra condizione attuale e per di più prigionieri della morte come siamo. Eppure, siamo in relazione con Lui e tre direttrici come dire di strutturale inserimento della comunione con Lui, con la sua Signoria che qui adesso Paolo esplicita mediante le espressioni che ho appena letto: il vostro impegno nella fede, la vostra operosità nella carità, la vostra costanza nella speranza. Notate che compaiono termini che noi conosciamo: fede, carità, speranza. Noi diremo virtù teologali, che sapevamo già perché quando è ora di catechismo qualcuno ci ha detto che sono le virtù teologali, soltanto che Paolo non ha studiato il catechismo, e non ha fatto la prima comunione, neanche la cresima, non ha fatto niente. Paolo conosce questi termini che appartengono alla rivelazione antico testamentaria: fede, carità, speranza certo, ma lui li rievoca e li reinterpreta.

E adesso dice in primo luogo quello che, a mio avviso, oggi con impegno nella fede è (èrgou tês pisteôs, in greco) l’operosità della fede. É la fede, ma subito un tocco originale: è Paolo teologo, Paolo pastore, Paolo evangelizzatore: la fede che nella sua accezione più comune è garanzia di una sicurezza per chi può piantarsi su un terreno solido. La fede, tutto quello che ha a che fare con il vocabolario della fede nell' Antico Testamento, ha a che fare con questi motivi di solidità, stabilità; c’è una retrovia che fa la piattaforma su cui possiamo impiantarci. La fede, e qui lui parla di una fede che è operosa, l’operosità della fede, è una fede che non garantisce le spalle, ma che promuove lo slancio, il cammino, l’impatto con il mondo. Dopodiché dice, (qui la mia Bibbia traduce con operosità della carità “kopos tês agapês” in greco: la fatica, kopos è la fatica, la fatica dell’agàpe) l’amore. Sì, se ne parla ampiamente in lungo e largo, nessuno può dimenticarsene, parla di quella che è tutta la dinamica affettiva e l’esercizio della volontà, ma anche qui c'è una novità perché rispetto a quel modo di intendere e di esercitare l’amore come modalità di appropriazione, di riduzione dell’oggetto desiderato, bramato, vagheggiato , amato e ricercato, oggetto, le cose, le persone come riduzione a una misura che è determinata dalla propria aspettativa, dalla propria istanza interiore, da quel bisogno che accende nel cuore umano un desiderio dirompente. Ed ecco adesso parla di un amore che è disponibile alla fatica; è la fatica dell’agàpe, è l'amore ed è tutta la dinamica dell'affettività implicata in questa prospettiva, originale per Paolo, che proietta il vissuto umano in una dimensione di disponibilità ad attraversare tutte le situazioni faticose per un motivo d' amore. Questa capacità di amare laddove la fatica ci condiziona, ci stringe, ci opprime, ci schiaccia. Amare è un vocabolo che viene da lontano, ma Paolo subito qui in modo così fulminante coglie una novità: la capacità di amare è in grado di farsi carico di tutte le fatiche. E poi dice: la hypomonês tês elpidos (in greco) la mia Bibbia traduce con la costante speranza, notate bene che sono modalità strutturali di inserimento nella comunione con il Signore Gesù Cristo come è vero che siamo in comunione con lui. Per come è la fede divenuta motore in grado di guidarci su strade impervie, impreviste, avventurose, ma una operosità instancabile. Siamo in relazione con lui perché ci è data questa capacità di amare e amare in quella che è l’urgenza della nostra affettività aperta a relazioni gratuite si, in modo da passare attraverso tutte le ostilità possibili, immaginabili e di fatto sperimentate.

E adesso la speranza, e la speranza qui messa in connessione con hypomonês che vuol dire resistenza, capacità di stare sotto un carico e portare il peso, hypomonês, termine tradotto spesso con pazienza, come speranza. Nel Nuovo Testamento compare più volte questo termine. Ed ecco qui è Paolo che parla della speranza, ma anche in questo caso c'è subito una novità nel suo modo di esprimersi perché dire speranza è come intendere una prospettiva ideale, un vagheggiamento magari intenso, appassionato verso un orizzonte che si proietta dinanzi a noi senza limiti. Ed ecco rispetto a questa modalità di sostenere il cammino della vita, come un sostenere, gestire il cammino della vita come una aspirazione a una meta ancora non raggiunta; speranza ma qui parla di una speranza che è fondata, radicata, impiantata: la costante speranza, la hypomonês tês elpidos. La nostra speranza non fluttua nel vuoto, non è una proiezione ideale che spazia nelle misure del sogno; la nostra speranza è piantata su un fondamento incrollabile: è una speranza che apre dinanzi a noi e proietta noi stessi verso l’orizzonte definitivo, noi ne abbiamo già il fondamento e su quel fondamento siamo già impiantati. Tutto questo Paolo coglie e mette a fuoco come caratteristica inconfondibile del nostro inserimento nella comunione con la Signoria di Cristo; con Lui che nella sua carne umana è morto e nella sua carne umana è glorificato e vivente, noi siamo in comunione, viviamo già, respiriamo già, operiamo, amiamo, speriamo, già in comunione con Lui: la nostra vita è tutta ristrutturata in relazione con Lui, Kyrios, Signore. E per questo possiamo presentarci davanti a Dio e chiamarlo Padre Nostro.

V. 3: Siamo alle prese con le prime battute del primo scritto del Nuovo Testamento. Padre nostro, ci sono dei cristiani nel mondo, sono quelli che dicono Padre Nostro, questo lo sapevamo già, non avevamo bisogno di essere San Paolo, lo sapevamo già, me l’aveva detto la suora con cui ho fatto il catechismo. Sì, soltanto che ci sono dei cristiani nel mondo, quelli che sono coinvolti in quella situazione nuova, in quella prospettiva di una vita ristrutturata in comunione con la signoria di Cristo morto, risorto ed ecco coloro che sono in grado di rivolgersi a Dio e dire Padre nostro. Paolo a Corinto, quei tali a Tessalonica: Padre Nostro davanti a Dio, Padre Nostro.



Fratelli amati da Dio e scelti da Lui

V. 4 Qui Paolo prosegue dicendo: Noi ben sappiamo, fratelli” (ecco notate che Paolo dice “fratelli”: è la prima volta che usa questa terminologia. Noi siamo abituati: fratelli, mi raccomando fate le elemosine, non dimenticate le necessità della Caritas parrocchiale, fratelli sennò vi strozzo, fratelli! Sì, insomma, fratelli: Paolo è un giudeo tra l’altro; questi, a Tessalonica, questa piccola realtà comunitaria è composta prevalentemente da discepoli che provengono prevalentemente dal paganesimo, piccola realtà, ma Paolo dice “fratelli”, e non è mica poco. Fratelli, ha appena detto Padre Nostro, è in continuità con quello che ha appena affermato: ha detto fratelli, e io che cosa so di voi. “Noi ben sappiamo, fratelli amati da Dio, che siete stati eletti da lui.”.  Io so di voi che siete amati da Dio. Io so questo di voi, già so come vi chiamate, so dove abitate, so cosa mangiate, so da quale medico andate per fare la Tac, so tante cose di voi, so di voi che siete amati da Dio. Siamo nel Nuovo Testamento: Io so di voi, a Tessalonica, qualche settimana ci siamo frequentati, che siete amati da Dio e che siete stati eletti da Lui, che siete stati raggiunti da quella iniziativa di Dio che sceglie. Questa è una rivelazione che è andata man mano maturando attraverso tutta la storia della salvezza, è la linea portante di quella storia nella quale è stato coinvolto il popolo d' Israele a cui Paolo appartiene, è una scelta: essere oggetto di una scelta, essere coinvolti in una relazione elettiva, essere amati, e amati non certamente come destinatari di una rivelazione di bontà, ma amati in una relazione di reciprocità. Siete eletti da Dio. So di voi questo. E le affermazioni di Paolo, qui all’inizio della nostra vita, sono veramente programmatiche, sono veramente dotate di una pregnanza pressoché inesauribile, che imposta tutto quello che riguarda la vita nuova, la vita cristiana, come diciamo noi, la presenza della Chiesa. E adesso subito Paolo dice: Il nostro Evangelo: ecco il termine su cui io insistevo inizialmente che compare qui e che adesso serve a sintetizzare la stessa logica per cui siamo fratelli e per cui io sono di voi; e voi, adesso dirà, sapete anche di me: c'è di mezzo l'Evangelo. Eccolo qui: Il nostro vangelo, infatti, non si è diffuso fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con potenza e con Spirito Santo e con profonda convinzione, come ben sapete che siamo stati in mezzo a voi per il vostro bene”.

Il vangelo opera per la potenza del Signore

Così fino al v. 5. Quello che io so di voi, diceva all’inizio del v. 4 quello che voi sapete di me, dice adesso alla fine del v. 5. Voi che provenite da un mondo pagano e io che sono un giudeo, dove la conoscenza di cui Paolo parla appunto ha a che fare con quella scoperta di come sia instaurato un rapporto di comunione che supera le distanze di ordine fisico ed eventi culturali di ordine sociale, di appartenenza all' uno o all' altro popolo; fratelli per come siamo in comunione con la Signoria di Gesù, il Messia. Ed ecco, dinanzi alla paternità di Dio io so di voi, voi sapete di me. E quando Paolo parla qui adesso, come già dicevo a modo mio precedentemente, del suo Evangelo parla di un impulso energico che ha travolto ogni resistenza; si è diffuso tra voi, non soltanto per mezzo della parola; la parola di Paolo non è mancata, certo, la Parola che però è sempre stata coerente, intrinsecamente fusa con la sua presenza personale. Voi sapete di me, infatti su questo ritornerà dopo, non soltanto quello che Paolo ha detto, ma il suo modo di essere presente a Tessalonica. É la mia parola, certo, ma con potenza e con Spirito Santo e con profonda convinzione. Dunque, è l’opera dello spirito di Dio, il soffio del Dio vivente, il respiro stesso della vita di Dio. L’ Evangelo si è introdotto nella vicenda personale che poi in realtà confluisce in un itinerario comunitario di quei tali a Tessalonica che hanno avuto a che fare con Paolo; una parola, un messaggio, una corrente energica potentissima che ha dato una nuova capacità di respirare alla vostra vita. E voi sapete di me che la mia presenza in mezzo a voi per il vostro bene, quella presenza che è stata benefica per voi, ma quella presenza a cui voi avete aderito, a cui voi avete corrisposto, nella quale voi vi siete coinvolti, vi siete impegnati, adesso ci siete ancora. Tutto questo è avvenuto a Tessalonica e su questo Paolo adesso vuole ancora ritornare: l’Evangelo. Che cosa è avvenuto a Tessalonica, ne parlerà ancora nelle pagine successive; ma noi vediamo di arrivare rapidamente alla fine del capitolo primo e poi ci fermiamo questa sera; volevo arrivare più avanti ma mi perdo nelle chiacchiere, come sapete in età avanzata… Ed ecco l’Evangelo; questione fondamentalissima: che cos' è l’Evangelo? come funziona l’Evangelo? Ma come succede qui? Come si può dire che la vita umana è cambiata? La nostra vita è la vita nuova.



Avete accolto la parola e la gioia: ora siete “modello”

Vv. 6-10 E allora Paolo adesso dice, dal v. 6 fino al v. 7, Quelli di Tessalonica hanno accolto l’Evangelo da loro, accettato anche senza un linguaggio; questi di Tessalonica non hanno parole adeguate. Paolo, da parte sua, ci mette tutta la sua competenza magistrale; non c'è dubbio, li vuole aiutare e aiuta se stesso contemporaneamente: Voi avete accolto l’Evangelo. D' altra parte, dal v. 8 Paolo ci parla di come lui stesso ha ricevuto un beneficio in base a quella situazione nuova che è stata registrata a Tessalonica dal momento che quei tali hanno accolto l’Evangelo e come questa novità si è ridondata a vantaggio di Paolo e si è attivato così un circuito che è espressione di quella inesauribile fecondità della vita nuova nella comunione con la Signoria di Gesù per cui siamo fratelli al cospetto di Dio Padre Nostro. Allora, qui dice il v. 6,” E voi siete diventati imitatori nostri e del Signore, avendo accolto la parola con la gioia dello Spirito Santo anche in mezzo a grande tribolazione,”. Dunque, la parola, logos, di nuovo qui il termine che già abbiamo incontrato: voi avete accolto una parola, ma una parola insieme con un riflesso luminoso quando dice imitatori nostri; è vero quella parola, ma quella parola così come è stata interpretata operativamente da una presenza. Imitatori nostri, una presenza che ha offerto un’immagine nella quale quei tali a Tessalonica si sono potuti specchiare; questo messaggio viene da lontano. Pensate a come l’applicazione dei profeti è attraversata dall' annuncio di un volto da contemplare: il volto del servo, dirà il secondo Isaia (capitoli 52 e 53 del libro di Isaia); appunto, la gloria che splende sul volto del servo rifiutato, umiliato, mortificato, condannato a morte; lo splendore maestoso, glorioso, luminoso, incandescente e vi siete specchiati. E di volto in volto è dal servo che ha portato a compimento la sua missione in mezzo a noi che adesso l’ Evangelo cresce attraverso la parola che possiamo comunicare tra di noi ; ma cresce per come di volto in volto ci stiamo specchiando, da una generazione all' altra, da un cristiano all’altro, è lo splendore di quel volto che si è riflesso sul volto dei primi e così quelli che si aggiungono e così Paolo e così via quelli che a Tessalonica si sono specchiati e, nello stesso tempo, è il volto del Kyrios, del Signore, avete accolto la parola e quindi la gioia in mezzo a tutte le tribolazioni che non sono mancate; lo stesso Paolo è stato esposto lì a un' aggressione che lo ha costretto ad allontanarsi. I suoi collaboratori, i suoi amici l'hanno consigliato con molta energia di andarsene. A Tessalonica, insomma, hanno subito alcuni guai: in mezzo a grande tribolazione, grande gioia. La presenza veramente incantevole di questa bellezza che è prerogativa di una vita nuova che è segnata ancora da tanti affanni, motivi di ostilità, avversione, insufficienze e, d' altra parte, v.7, “siete diventati addirittura modello a tutti i credenti che sono nella Macedonia e nell'Acaia”. Vedete come, di rimbalzo in rimbalzo, quella luce passa attraverso i volti che si rispecchiano tra di loro, e voi che avete trovato in me un segnale luminoso in cui specchiarvi, voi siete diventati typos, modello, per tutti i credenti e già per altri; è già una novità che diventa un riferimento esemplare per altri. Al modo appunto di questo proiettarsi sempre più diffusivo di uno splendore che conferisce al volto umano, segnato da tutte le esperienze più o meno pesanti e drammatiche che non mancano mai, la dignità, il fascino che è proprio di una creatura amata da Dio, di una creatura che è sigillata nella comunione con il mistero glorioso di quel servo che nella sua carne umana ha patito la morte nel contesto della ingiustizia più feroce. Ebbene adesso dice: e già si parla di voi. E Paolo prosegue qui, v.8. Infatti la parola del Signore riecheggia”, (Timòteo è ritornato e riporta tante notizie: c’è una certa risonanza che sta crescendo. e già si parla di voi Infatti la parola del Signore riecheggia per mezzo vostro non soltanto in Macedonia e nell'Acaia, ma la fama della vostra fede in Dio”); (Paolo che si entusiasma forse così preso dal fervore; attribuisce a quelli di Tessalonica una fecondità già missionaria, pastorale, forse oltre le misure della realtà ma non importa. Si parla di voi, “ma la fama della vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, di modo che non abbiamo più bisogno di parlarne Sono loro infatti a parlare di noi,” (è interessante perché Paolo si mette qui nell' atteggiamento non di colui che evangelizza, ma di colui che riceve l’Evangelo; non è evangelizzatore ma è evangelizzato. E adesso siete voi, attraverso le vicende di cui siete protagonisti e di cui ricevo notizia, che siete motivo di consolazione per me, di evangelizzazione per me, è di modo che io non ho bisogno di parlare di voi perché sono loro quelli che sono stati informati circa la novità della vostra vita, sono loro a parlare di noi, dicendo come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti a Dio. “Allontanandomi dagli idoli per servire al Dio vivo e vero e attendere dai cieli suo figlio che ha resuscitato dai morti Gesù che ci libera dall' ira ventura”.

Accelero un po' la lettura, sono già quasi le otto e mezzo, quindi bisogna che ci fermiamo e la volta prossima, se Dio vuole, ripartiremo proprio da qui. Ma notate fin da adesso che qui compare un termine che Paolo rimetterà poi in evidenza immediatamente dopo: tradotto nel v. 9 “dicendo come noi siamo venuti in mezzo a voi” (vedete che in greco questo è un sostantivo: il nostro “ingresso”)

eisódos (è questo termine), “éxodos” è l’uscita. É la nostra entrata, che non è soltanto un modo per descrivere fisicamente il passaggio di una soglia, è un modo forte di presentarci, un modo di entrare in relazione; c'è una trilogia dell’eisódos. C'è una teologia dell’eisódos, dell’ingresso. D' altronde, tutta la storia della salvezza per entrare nella terra, beati i miti perché erediteranno la terra: che rientrano nella terra, come bisogna fare per entrare nella vita, per entrare nel regno, cosa bisogna fare, quelli che chiedono a Gesù l’eisódos, l’ingresso: nel mondo, per stare al mondo, che devo fare? E come è avvenuto che io sono entrato presso di voi?

Questo per Paolo è la sintesi della evangelizzazione, di svolta a Tessalonica, il suo modo di entrare: loro me ne parlano, ma che cosa è veramente avvenuto, quando io sono entrato? Vedete che il cap. 2 v.1 si apre esattamente così (ma ne riparleremo) “voi stessi infatti fratelli sapete bene che la nostra venuta è il nostro termine che il nostro ingresso in mezzo a voi”.

Che cosa vuol dire evangelizzare, che cosa vuol dire essere presenti in mezzo alla gente di questo mondo in maniera tale che l’Evangelo si manifesti e realizzi la sua fecondità a vantaggio di tutti?

E quello che è avvenuto a Tessalonica qui viene sintetizzato come l' abbandono dell' idolatria : “vi siete convertiti a Dio allontanandovi dagli idoli”; ecco il Dio vivo e vero, e quindi l' attesa della venuta gloriosa del Figlio che è risorto dai morti, è glorioso e intronizzato, ed ecco noi lo chiamiamo per nome, e questo chiamarlo per nome, Gesù, è un modo per esprimere il vincolo di comunione che ci sigilla nella condivisione della sua Signoria. É colui che è intronizzato nella gloria, che attendiamo come Signore del cielo e della terra, è colui a cui noi ci rivolgiamo con il nome che è espressione della intimità della famiglia data la vicinanza della solidarietà più semplice e più profonda, più vera e più vitale: si chiama Gesù. Siete passati dall' idolatria al Dio vivo e vero, chiamate per nome Gesù: il figlio intronizzato, quella sua carne glorificata che è il motivo che dall' interno ristruttura tutto il nostro modo di stare al mondo e di attendere la sua venuta finale. Questo modo di stare al mondo cambia, è cambiato perché l'Evangelo è attivo e l'Evangelo è potenza di Dio che ristruttura tutto il nostro sistema, il nostro quadro organizzativo, l’intreccio delle nostre relazioni tra di noi con gli altri, vicini, lontani, con le cose, il mondo, il passato, il futuro: che cos' è avvenuto quando io sono entrato a Tessalonica? E adesso Paolo su questo rifletterà.

Lectio divina


2019-2020 - Lettere ai Tessalonicesi


  • 05 novembre 2019
    Prima Lettera di Paolo ai Tessalonicesi - prima parte
    Alla ricerca di un linguaggio adeguato alla straordinaria novità del Vangelo