04 giugno 2019
Settimo incontro del ciclo 2018-2019
Questa sera completeremo la lettura dei due Libri di Samuele che ci ha impegnato nel corso degli ultimi due anni. Abbiamo ascoltato una vicenda che dà risalto alla figura di Davide re con l'istituzione della monarchia. Nel contesto di questa vicenda c'è tutto il dramma personale del personaggio che dà una rappresentazione emblematica di quella che è la debolezza delle istituzioni. D’altra parte, essa è sacramento della misericordia di Dio. Nel caso di Davide la sua stabilità nella funzione regale è determinata da quell'intervento del Signore che abbiamo messo in risalto a suo tempo e che va sotto il titolo di "cronaca messianica": il figlio che renderà stabile il trono di Davide è il figlio promesso dal Signore, che il Signore concederà perché, nello stesso tempo - come abbiamo constatato con partecipazione drammatica alla vicenda dolorosissima di Davide - la famiglia di Davide è il luogo in cui si scatenano le situazioni più incresciose. Davide trova il modo per rispecchiarsi negli errori anche particolarmente corrosivi di cui è stato direttamente responsabile. In questa vicenda così dolorosa la figura di Davide, come leggevamo nelle ultime pagine del secondo Libro di Samuele, emerge come il segno rappresentativo di quella funzione regale che, nella storia del popolo di Dio, è parte del disegno provvidenziale di cui il Signore è il vero autore. È una funzione regale che si impregna di tanto dolore e Davide esercita la sua sovranità in quanto tutto del suo servizio, nei termini di una funzionalità civile e politica, consegna, con totale obbedienza, all'iniziativa del Signore che, nella gratuità della sua misericordia, si rende Lui protagonista di una vicenda nella quale tutti i fallimenti umani sono ricapitolati in una prospettiva di crescita del popolo di Dio; crescita che investe lo svolgimento dell'intera storia umana. Determinante è proprio la prospettiva dinanzi alla quale Davide rimane disarmato e testimone di come, gratuitamente, la misericordia del Signore prepari il futuro del regno con l'annuncio della figura messianica di colui che renderà stabile il trono, come leggevamo nel Secondo Libro di Samuele nel cap. 7. Da quel momento abbiamo avuto a che fare con tutti i guasti della vicenda che coinvolge i familiari di Davide, i suoi figli, la sua casa, la sua famiglia, l'erede al trono. Alla fine del Libro ancora l'erede al trono non è individuato; bisognerà aspettare il Primo Libro dei Re. Il Libro si conclude senza che ci sia data precisa notizia circa il discendente che succederà a Davide, colui che sarà garanzia di stabilità del trono per il futuro anche se, in realtà, un accenno a questa prospettiva già ci è stato fornito quando nacque quel figlio da Betsabea chiamato Salomone il pacifico.
Alla fine del Secondo Libro di Samuele abbiamo avuto a che fare con Davide che si trova, proprio nel momento di tribolazione estrema, alle prese con questo tracollo di affetti che sembravano dare alla sua casa una consistenza indistruttibile. Davide sta scoprendo - e ne parla espressamente - che proprio per questa linea sta acquisendo la consapevolezza autentica, profonda, intima di che cosa significhi governare, sedere sul trono, esercitare quella funzione sovrana che si prende cura del popolo in tutte le componenti e con tutte le contraddizioni, le miserie, le incertezze, gli imprevisti che mai possono mancare nella vicenda di un popolo.
Davide diventa re dopo tutto quello che è successo ed esclude qualunque intenzione di vendetta.
Il Libro si conclude con i "Supplementi", che sono "appendici" costruite secondo uno schema concentrico. Stasera esamineremo le due composizioni centrali, due composizioni poetiche. Il primo racconto contiene il secondo dove è messa costantemente in discussione proprio la funzione regale del sovrano alla scuola di una madre che rivendica il valore di una vita (primo racconto). Davide avverte un rigoroso richiamo nel momento in cui si rende conto di avere abusato del potere quando ha indetto un censimento con tutti i guasti che ne sono derivati. Il racconto, che segna anche la conclusione del Secondo Libro di Samuele (è la sesta Appendice), si conclude con l'acquisto da parte di Davide dell'aia di Araunà, sulla collina che sta immediatamente a nord della collina di Sion, dove, in una fase storica successiva, verrà costruito il tempio da Salomone. E lì già viene messo l'altare, un richiamo alla presenza del Santo, del Dio Vivente, dell'alleanza tra il Signore e Israele. La funzione regale di Davide si inserisce in quella storia, nella storia dell'alleanza tra il Signore e il suo popolo che ha come sacramento il santuario, l'Arca dell'Alleanza, il culto che si svolge in quel contesto. È proprio in riferimento a quella relazione con il suo popolo che è confermata la sua irrevocabile fedeltà e che si inserisce l'esercizio di quella regalità che Davide mette a disposizione di tutti insieme con la testimonianza di come dal suo fallimento abbia imparato a confidare nella misericordia del Signore. E tutto questo in vista del messia; la sua regalità è autenticata dal messia promesso. Non è il suo modo di esercitare il governo che conferisce alla regalità di Davide il valore che è segno dimostrativo della sua positiva funzione nella storia della salvezza. Davide ha tanti meriti, tante qualità, è figura prestigiosa, figura che ci ha commosso fin dal tempo in cui è comparso sulla scena e ha avuto a che fare con Saul. La regalità di Davide rimane come un segno di valore sacramentale per la vita del popolo in quanto è intrinsecamente sbilanciata verso la venuta del messia; esercita una funzione di garanzia per il popolo non in sé, ma in quanto è proiettata verso il discendente che gli è stato promesso. Questa tensione è interna a tutta la storia della salvezza, a tutta la rivelazione biblica e non ci stupisce affatto perché siamo abituati a questo linguaggio, soltanto che non sempre ne percepiamo tutte le implicazioni tenendo conto degli sviluppi che man mano i testi dell'Antico Testamento mettono in evidenza.
La prima e sesta appendice contengono due racconti. La seconda e quinta appendice sono elenchi di nomi: i prodi, i combattenti, le guardie del corpo, i fedeli collaboratori di Davide che di tanto in tanto ci fa una figura piuttosto meschina. C'è un grande affetto per Davide da parte di questi suoi fedelissimi compagni di avventura che sono pronti a mettere in gioco la vita per un personaggio che riesce a scampare e riportare successo perché c'è qualcun altro che paga per lui. Tra l'altro, nell'elenco di quei prodi di Davide compare il nome di Uria, il marito di Betsabea che Davide fece uccidere.
Ora ci sono le due appendici centrali che leggiamo, la terza e la quarta. Come ho già detto, sono due composizioni poetiche. La conclusione di questo supplemento al Secondo Libro di Samuele è studiata con una particolare accuratezza. I testi che leggiamo sono stati redatti in seguito a una rielaborazione degli eventi, delle memorie, dei documenti che corrisponde a un'intenzione catechetica; fatti ricostruiti in maniera tale da dare risalto al vero protagonista degli eventi che è proprio Lui, il Signore, il Santo, il Dio di Israele, il Dio vivente.
Davide prega e presenta il Signore
È la prima composizione poetica che occupa per intero il capitolo e ricalca il Salmo 18. Nel Libro dei Salmi troviamo, infatti, un testo che è sostanzialmente equivalente a questo con qualche piccola variazione. È un canto che dà voce alla figura regale di Davide; un canto di ringraziamento che è anche espressione di un ripensamento sapienziale sulla vicenda di cui il personaggio che qui si esprime è stato testimone. Una vicenda che viene rievocata in termini oranti e che riguarda il periodo in cui Davide fu perseguitato da Saul. E, comunque, l'orante che offre a noi la rievocazione del suo cammino di vita, di rielaborazione sapienziale circa il vissuto, nella tradizione antica è stato senz'altro identificato con Davide.
Cap. 22, vv. 1-4: "Davide rivolse al Signore le parole di questo canto". È interessante che, a conclusione del Secondo Libro di Samuele, Davide, con tutto quello che è successo, canta. Davide musico e cantore lo conosciamo anche per altra via; Davide orante segna, nella storia del popolo di Dio, la svolta che è rimasta come un'indicazione prestigiosa per tutte le generazioni successive e a cui fanno capo tutti coloro che man mano saranno in grado di esprimere e documentare nei momenti di preghiera la relazione con il Dio vivente. È un materiale di esperienze di preghiera che poi man mano ha trovato la sua documentazione ben definita nel Libro dei Salmi che è lo strumento della preghiera per antonomasia. "... quando il Signore lo liberò dalla mano di tutti i suoi nemici, specialmente dalla mano di Saul".C'è tutto il richiamo a quei capitoli, da 19/20 fino al cap. 31, dove Davide è in fuga, braccato, inseguito, condannato a morte, alle prese con tutte le vicissitudini di quella permanenza nel deserto dove è costretto a trasferirsi da una caverna all'altra in un contesto di disagio materiale, ma anche di disordine per quanto riguarda le relazioni con le persone, gli ambienti, esperienze di solitudine, di tradimento, di avvilimento. E il Signore non l'ha mai abbandonato. Ci sono stati momenti in cui Davide avrebbe potuto vendicarsi di Saul e non l'ha fatto. Davide nel deserto ha incontrato Dio. Davide è un peccatore e le pagine che abbiamo letto ce ne hanno dato una dimostrazione davvero clamorosa; ma Davide è un orante, ha incontrato Dio e ce ne parla. Ha incontrato Dio non come divagazione mentale, ma come presenza che ha fatto divenire Lui l'interlocutore determinante nella sua vita. Poi ha avuto a che fare naturalmente con altre figure: i suoi, la sua gente, il suo popolo, i nemici, ma l'interlocutore essenziale nella vita di Davide è stato il Signore. Il canto regale di Davide si sviluppa in un esordio, un epilogo in forma dossologica e tre sezioni che man mano metteremo in risalto.
Il prologo, dal v. 2 al v. 4. "Egli disse:
«Il Signore è la mia roccia". Il Salmo 18 comincia con un grido, qui l'avvio è leggermente diverso: "Ti amo, Signore, mia forza". Il canto si apre con una serie di appellativi, esattamente 10, che vengono usati da Davide per presentare il Signore che egli proclama con insistenza martellante. Il Signore è per me la mia fortezza, il mio liberatore,
il mio Dio, la mia rupe in cui mi rifugio,
il mio scudo, la mia salvezza, il mio riparo!
Sei la mia roccaforte che mi salva:
tu mi salvi dalla violenza.
Invoco il Signore, degno di ogni lode,
e sono liberato dai miei nemici". Questa è la presenza che Davide ha riconosciuto come la dimora per lui con la sua vita, i suoi drammi, i suoi nemici, con tutto il groviglio di situazioni complesse che ha sperimentato e che sono state oggetto di discernimento nel cuore man mano che è stato messo alla prova. Davide si è reso conto di essere a dimora alla presenza del Signore. "Invoco il Signore, degno di ogni lode" dice il v. 4 che conclude questo prologo con intenzione celebrativa. Viene proposto in maniera essenziale e questa proposta governa tutto lo sviluppo successivo del canto. "... degno di ogni lode,
e sono liberato dai miei nemici". Il Signore merita la mia lode: è tutto quello che Davide può sintetizzare come esito interiore della sua vita; non solo l'esito pratico, civile, politico, amministrativo della sua missione in quanto re di Israele, ma il percorso di discernimento di cui ha fatto esperienza nell'intimo profondo del suo cuore. "... e sono liberato dai miei nemici". Sono nemici che Davide ha incontrato nella sua attività amministrativa, militare, politica; sono nemici che, a questo punto del suo cammino, Davide può ben ricondurre all'avversario che lo ha insidiato nell'animo, lo ha messo alla prova, ha ricercato la sua complicità, gli ha suggerito soluzioni di violenza e di vendetta. Ed ecco "Il Signore merita la mia lode perché sono stato liberato dai miei nemici".
Il canto prosegue in tre sezioni. Nella prima sezione, dal v. 5 al v. 20, Davide rievoca per grandi linee - usando un linguaggio che approfitta molto abilmente di simboli tratti dal mondo e dagli eventi metereologici nel cosmo attorno a noi - che cosa è avvenuto nel suo cammino.
Il travaglio interiore di Davide
Tre strofe, dal v. 5 al v. 7. "Mi circondavano i flutti della morte,
mi atterrivano torrenti esiziali.
Mi avviluppavano le funi degli inferi,
mi stavano davanti i lacci della morte". Il conflitto con forze indomabili e l'esperienza di una paralisi interiore. Siamo rinviati all'esperienza di un travaglio interiore e di come il Signore abbia operato un discernimento che lo ha messo alla prova proprio nel profondo, nell'intimo della sua esistenza umana là dove dice: "Nell'angoscia ho invocato il Signore,
ho gridato al mio Dio,
Egli ha ascoltato dal suo tempio la mia voce;
il mio grido è giunto ai suoi orecchi". Lo stupore è che Lui abbia orecchi in grado di udire un grido che viene da una lontananza infernale, abissale, remota come quella in cui mi trovo io che sono senza voce e sono muto e desolato. È in grado di ascoltare il grido dei muti, degli sbandati, dei prigionieri, di coloro che sono intrappolati nei vortici dove la violenza vuole imporsi come criterio determinante per rispondere alla vocazione alla vita; in realtà, questa minaccia che appare così prepotente, invadente, causa di un risucchio spaventoso, è premonizione di morte e non di vita.
"Ed ecco io ho gridato al mio Dio da dove ero disarmato, sconfitto, schiacciato, intrappolato dentro imbrogli infernali della vita umana". E qui c'è di mezzo evidentemente la sua storia di giovane chiamato a crescere e diventare adulto per assumere la responsabilità regale.
Il Signore lo ascolta e interviene
Seconda strofa dal v. 8 al v. 16. Le immagini che Davide utilizza sono quelle classiche delle teofanie, le grandi manifestazioni di Dio con tutta una serie di richiami antropomorfici che sono frequenti nel linguaggio biblico. "Si scosse la terra e sobbalzò;
tremarono le fondamenta del cielo;
si scossero, perché egli si era irritato". Un uragano dall'alto e, contemporaneamente, un terremoto dal basso. "Fumo salì dalle sue narici (tutto questo in riferimento al fatto che Lui è intervenuto e il suo intervento viene descritto come un uragano); dalla sua bocca uscì un fuoco divoratore;
carboni accesi partirono da lui (non solo il cielo preme sulla terra, c'è un vento impetuoso e lampi che mandano segnali infuocati dinanzi ai quali si resta sgomenti e senza fiato), Egli piegò i cieli e discese;
una nube oscura era sotto i suoi piedi". È Lui che è intervenuto e questo movimento di discesa è descritto attraverso le immagini di un uragano che sta sconvolgendo l'equilibrio di una scena a cui abbiamo assistito. Questa immagine serve per rievocare come questo intervento del Signore lo abbia condotto a constatare di essere scoperto, sguarnito, denudato nell'intimo dell'animo suo.
"Cavalcò un cherubino e volò;
si librò sulle ali del vento.
Si avvolse di tenebra tutto intorno;
acque scure e dense nubi erano la sua tenda.
Per lo splendore che lo precedeva
arsero carboni infuocati". Forse una grandinata che per quanto sia fatta di grani congelati bruciano come carboni: l'immagine è efficacissima come essenziale la descrizione.
"Il Signore tuonò nei cieli,
l'Altissimo emise la sua voce.
Scagliò frecce e li disperse;
vibrò folgori e li mise in fuga.
Apparvero le profondità marine (qui bisognava arrivare; "apparve l'intimo dell'animo umano")
si scoprirono le basi del mondo,
come effetto della tua minaccia, Signore,
del soffio violento della tua ira". Questo è capitato. È capitato che in quel contesto di sfiatamento il Signore ha dimostrato di essere in ascolto e di essere protagonista di una novità straordinaria che Davide è in grado di sintetizzare come lo svelamento del cuore. Qualcosa del genere, in maniera molto approssimativa, capita anche a noi nel momento in cui ci accadesse di trovarci alle prese con un lampo che improvvisamente taglia dall'alto in basso il cielo sopra di noi. Si apre uno spazio illuminato sulla scena del cosmo per effetto di quella luce improvvisa, fosse anche nel pieno della notte, che illumina il mondo; ma è una novità che Davide ha avvertito come lo svelamento del cuore. L'intimo del cuore è visitato, raggiunto, illuminato: è in atto quel discernimento di cui sappiamo. E tutto per il fatto che il vero interlocutore di Davide è stato proprio Lui, il Signore; e ce ne sta parlando.
Il Signore libera Davide dai suoi nemici
La terza strofa di questa prima sezione, dal v. 17, ci parla della liberazione avvenuta.
"Dall'alto stese la mano e mi prese (sono stato sollevato);
mi fece uscire dalle grandi acque (come un naufrago. Una specie di diluvio che ripropone la vicenda di Noè).
Mi liberò dai miei robusti avversari (Saul e chi per lui; i nemici che lo hanno insidiato, stretto, hanno tentato di afferrarlo con una morsa spietata. Tutti i nemici che hanno cercato di trovare in lui la fragilità della creatura umana che si arrende dinanzi all'empietà e la considera ormai come regola dominante a cui non si può sfuggire). E invece Davide dice:
dai miei nemici più forti di me.
Mi affrontarono nel giorno della mia rovina,
ma il Signore fu il mio sostegno.
Egli mi trasse al largo;
mi liberò, perché oggetto della sua benevolenza". "È la signoria di Dio nella mia vita che si è dimostrata così. Il Signore ha sbaragliato Lui i miei nemici, mi ha tirato fuori da quell'abisso, mi ha sottratto alla presa, ha sciolto quella morsa aggressiva che si era impadronita di me": l'apertura dello spazio nell'intimo del cuore umano là dove si è insediato il compiacimento di Dio.
"Egli mi trasse al largo;
mi liberò, perché oggetto della sua benevolenza". È la signoria di Dio nella mia vita che si è dimostrata così. Un accenno al v. 15: "Il Signore scagliò frecce e li disperse;
vibrò folgori e li mise in fuga". "Il Signore ha sbaragliato Lui i miei nemici, mi ha tirato fuori da quell'abisso, mi ha sottratto alla presa, ha sciolto quella morsa aggressiva che si era impadronita di me. L'apertura dello spazio dell'intimo del cuore umano".
V. 20: "Egli mi trasse al largo;
mi liberò, perché oggetto della sua benevolenza" (del suo compiacimento). È usata l'espressione che ha a che fare con lo spazio che si allarga, la piazza. L'intimo sottratto a quella morsa laddove si è insediato il compiacimento di Dio che è intervenuto, prendendo posizione, intervenendo, prendendo Lui dimora in un cuore umano che è divenuto analogo a una piazza del mondo.
Lo ha educato
Seconda sezione del canto dal v. 21 al v. 32. Ha le caratteristiche di una riflessione sapienziale. Rispetto agli eventi che ha ricapitolato attraverso queste immagini in maniera così efficace, la riflessione. Tre strofe, dal v. 21 al v. 25: "Il Signore mi ricompensò secondo la mia
giustizia,
mi trattò secondo la purità delle mie mani.
Perché mi sono mantenuto nelle vie del Signore,
non sono stato empio, lontano dal mio Dio,
perché tutti i suoi decreti mi sono dinanzi
e non ho allontanato da me le sue leggi". Davide qui non sta cantando i suoi meriti; sta ricostruendo il suo percorso come un itinerario pedagogico: "Io sono stato educato dal Signore che mi ha coinvolto in una relazione didattica". Le vie, i decreti e le leggi del Signore, tutto quello che è linguaggio che serve a illustrare la pedagogia sapientissima del Dio vivente. D'altra parte, Davide, in questo contesto, ha messo a disposizione la totalità del suo impegno con tutti i limiti da comprendere in un contesto del genere. Ma, comunque, dice: "questo itinerario pedagogico che ha coinvolto la mia vita è veramente diventato la struttura portante della mia ricerca quotidiana, il mio ascolto, la mia risposta, la mia adesione, la mia presa di coscienza in rapporto a ciò che la Parola del Signore mi ha costantemente elargito".
V. 24: "Sono stato irreprensibile nei suoi riguardi;
mi sono guardato dall'iniquità.
Il Signore mi trattò secondo la mia giustizia,
secondo la purità delle mie mani alla sua presenza", Questa pedagogia che ha dato la struttura più costruttiva, decisiva, qualificante alla vita di Davide (di Davide re) fa capo a quella giustizia che qui Davide ha citato due volte, all'inizio e alla fine della strofa, nel v. 21 e nel v. 25: "la mia giustizia, quella giustizia che è il frutto della sapienza mediante la quale Dio si è rivelato nella mia vita non come una dottrina, ma come un interlocutore che mi ha educato, ristrutturato dopo avermi tirato fuori dall'abisso interiore di cui ero prigioniero, dell'empietà che condanna a morte". Non mi stanco mai di ripetere che la giustizia, nel linguaggio biblico, riguarda la qualità di una relazione interpersonale dove i soggetti che sono implicati si trovano in condizioni diverse; e, allora, il soggetto che acquisisce il titolo di "giusto" è colui che si prende cura della debolezza altrui; è colui che promuove la situazione di quello che è squalificato, è in difficoltà, è emarginato e viene rimesso in una condizione tale per cui può, con dignità, comparire su una base paritetica e interloquire in modo tale da instaurare una relazione giusta. È "giusto" perché, nella relazione, è colui che sostiene la debolezza altrui; debolezza che è anche smarrimento, deviazione, quella condizione di naufrago che si sta inabissando nella profondità di un mondo infernale come Davide stesso parlava di sé. "Alla scuola della giustizia è la mia vita" afferma.
È stato giusto con lui
Ed ora la seconda strofa, dal v. 26 al v. 28. Davide dice che in questa prospettiva pedagogica ci si è impegnato. "Con il pio ti mostri pio (una relazione che si sviluppa con un ritmo sempre più serrato), con il prode ti mostri integro;
con il puro ti mostri puro,
(ma) con il tortuoso ti mostri astuto.
Tu salvi la gente umile,
mentre abbassi gli occhi dei superbi". Un dibattito sempre più energico, risoluto, esigente; quel dibattito che ha dato forma a quell'itinerario interiore di discernimento di cui già sappiamo; protagonista è il Signore che si è preso cura di lui per arrivare al versetto che chiude la strofa: "Tu salvi la gente umile,
mentre abbassi gli occhi dei superbi". L'espressione "la gente umile" corrisponde alla povera gente. Davide è stato tirato fuori dall'inferno in un itinerario di rieducazione, in virtù di questo discernimento che lo ha messo al vaglio in maniera così energica per arrivare alla constatazione che la povera gente gli sta a cuore. "Tu salvi la gente umile,
mentre abbassi gli occhi dei superbi".
È la sua luce e la sua forza
Vv. 29-32: " Sì, tu sei la mia lucerna, Signore (Davide, nel contesto di quella riflessione sapienziale che sta sintetizzando in questi versetti, giunge a una dichiarazione mediante la quale vuole esprimere come sia in grado di dire: "Tu chi sei per me?". Ha appena avuto modo di testimoniare come "Tu se il Dio della povera gente". E adesso dice: "Tu sei la mia lucerna, Signore,
il Signore illumina la mia tenebra”. Questo versetto ha un riscontro anche nel Salmo 119. "Quello che sei tu come unico Signore della mia vita, come presenza che traccia la strada da percorrere". "La lucerna" per illuminare il cammino di una vita. " Sì, con te io posso affrontare una schiera,
con il mio Dio posso slanciarmi sulle mura.
La via di Dio è perfetta;
la parola del Signore è integra;
egli è scudo per quanti si rifugiano in lui.
C'è forse un dio come il Signore;
una rupe fuori del nostro Dio?". "Io mi sono reso conto che ci sono per te; ci sono perché Tu sei unico e ci sono perché Tu sei una lampada; non c'è altra strada da percorrere se non quella che è illuminata dalla tua presenza. Insieme con la luce c'è anche il calore e tu salvi la povera gente".
È la sua "agilità"
Vv. 33-35. La terza sezione del canto dal v. 33 al v. 46, poi l'epilogo. Possiamo suddividere il testo in tre strofe. La prima fino al v. 35. "Dio mi cinge di forza,
rende sicura la mia via.
Ha reso simili i miei piedi a quelli delle cerve (Davide sta esplicitando come nell'esercizio della sovranità sia giunto a esprimersi con una consapevolezza di cui adesso ci vuole rendere conto. E, in primo luogo, ci parla di questa forza che gli è stata donata; ma più che forza qui è l'agilità: la forza come agilità. Lo dice in maniera molto plastica: " Ha reso simili i miei piedi a quelli delle cerve"); mi ha fatto stare sulle alture.
Ha addestrato la mia mano alla guerra;
ha posto un arco di bronzo nelle mie braccia". La forza del combattente? Più esattamente l'agilità di chi è disposto ad affrontare ogni avvenimento, anche nei momenti più imprevedibili e nelle situazioni più impervie, come una cerva che salta sulle creste delle montagne incantando coloro che osservano come non precipiti nel dirupo.
La sua mansuetudine lo fa crescere
Seconda strofa dal v. 36 al v. 39. Un ulteriore chiarimento circa l'esercizio della sua sovranità. "Mi hai dato lo scudo della tua salvezza,
la tua sollecitudine mi fa crescere (questo versetto è importantissimo, la sua traduzione è un po' approssimativa).
"Fai largo davanti ai miei passi;
le mie gambe non vacillano.
Inseguo e raggiungo i miei nemici,
non desisto finché non siano distrutti.
Li colpisco ed essi non possono resistere;
cadono sotto i miei piedi". Un ulteriore chiarimento circa l'esercizio della sovranità. L'operosità di cui Davide ci dà testimonianza come espressione matura della sua responsabilità di sovrano è tutta interna all'operosità di Dio. Il soggetto è sempre Lui ("mi hai dato", "fai Largo", "sei Tu che mi coinvolgi in quell'impresa di cui Tu sei il protagonista").
Torniamo al v. 36 dove la mia Bibbia traduce: "Mi hai dato lo scudo della tua salvezza, la tua sollecitudine mi fa crescere", "la tua sollecitudine è la Tua mansuetudine". La traduzione di S. Gerolamo è molto espressiva: "mansuetudo tua moltiplicavit me", "la tua mansuetudine ha moltiplicato la mia forza", "la mia operosità è tutta radicata, immersa, intrisa della tua mansuetudine; la mia operosità è strutturata nella continuità con quanto della tua mansuetudine mi hai dimostrato. È il magistero della dolcezza, quella dolcezza di cui proprio Davide nella fase di anzianità piena di sofferenza e di tribolazioni ci dava l'immagine indimenticabile. "La tua mitezza, la Tua volontà mi fa crescere; è la mia forza, mi rende presente sempre, dappertutto, disponibile, agile, pronto, inattaccabile".
La sovranità di Davide è verso il mondo intero
Terza strofa, dal v. 40 al v. 46: "Mi cingi di forza per la battaglia;
hai fatto piegare sotto di me i miei avversari.
Mi mostri i nemici di spalle,
così io distruggo quelli che mi odiano.
Gridano, ma nessuno li salva,
verso il Signore, che a loro non risponde". Abbiamo a che fare con Davide che, nell'esercizio della sua sovranità. sta scoprendo quale sia la miseria dei suoi nemici e quanta pietà provi per quei nemici, come quando piange per la morte del figlio Assalonne che è l'avversario più spietato con cui ha dovuto confrontarsi. Quanta pena per questi nemici che vanno in dissoluzione, "Gridano, ma nessuno li salva,
verso il Signore, che a loro non risponde.
Li disperdo come polvere della terra,
li calpesto come fango delle piazze". Ancora una volta ci sposta dal ristretto ambito in cui si svolge l'esistenza di Davide; c'è uno sguardo proiettato sulla scena del mondo in una prospettiva ecumenica. Davide, attraverso il suo vissuto, si è reso conto di essere coinvolto in una storia nella quale l'operosità del Signore lo ha messo così alla prova e lo ha anche condotto lungo un itinerario di faticosa, impegnativa, dolorosa rivelazione del profondo dell'animo, il discernimento del cuore e un cammino di conversione. Davide penitente è Davide sovrano. E Davide sta dichiarando di essere in grado di assumere autenticamente la sua responsabilità di sovrano perché si è reso conto che essere sovrano di quel popolo, che gli è stato affidato come impegno pastorale, in realtà vuol dire essere sovrano dell'umanità intera. Sembra un paradosso ma è così. La sovranità di Davide è responsabilità verso il mondo.
"Tu mi liberi dalle contese del popolo;
mi poni a capo di nazioni (la scena pubblica si allarga smisuratamente agli spazi del mondo corrispondentemente agli spazi del cuore umano),
un popolo non conosciuto mi serve.
I figli degli stranieri mi onorano
appena sentono, mi obbediscono.
I figli degli stranieri vengono meno,
lasciano con spavento i loro nascondigli". Attorno a Davide c'è questa partecipazione corale dove sono coinvolte tutte le nazioni della terra e questo momento di maturità nell'esercizio della sovranità, con tutto il travaglio che sta a monte di questa testimonianza, è per dichiarare che gli è stato conferito un dono. C'è di mezzo l'intervento del Signore che lo ha liberato, ma è stato liberato perché è andato scoprendo, nel corso delle sue vicende, come il cuore che si apre si arrende all'iniziativa del Signore e diventa la sede in cui una responsabilità di respiro ecumenico trova dimora.
Inno finale: Viva il Signore
E ora l'epilogo dal v. 47 al v. 51. È una dossologia che conclude il canto: "Viva il Signore! Sia benedetta la mia rupe!
Sia esaltato il Dio della mia salvezza!
Dio fa vendetta per me
e mi sottomette i popoli ("Dio che si fa vendetta per me. Io avrei assunto comportamenti che avrebbero provocato danni, ma è Lui che si è preso cura di me"). Tu mi liberi dai miei nemici,
mi innalzi sopra i miei avversari,
mi liberi dall'uomo violento (quell'uomo violento che sono io, che ero io, sempre io. "Viva il Signore!").
Perciò ti loderò, Signore (è il motivo finale del canto: Davide compositore musicale, cantore, orante),
fra i popoli canterò inni al tuo nome (ancora questo affaccio sullo scenario ecumenico).
Egli concede una grande vittoria al suo re,
la grazia al suo consacrato,
a Davide e ai suoi discendenti per sempre»". Davide cita il suo nome per la prima volta nell'ultimo versetto. Davide è re in quanto gli è stata conferita una responsabilità di portata universale, e in quanto obbedisce al valore di quella promessa messianica che rinvia alla stabilità del trono al consacrato. Egli concede una grande vittoria al suo re, la grazia e la misericordia per il suo consacrato; e ai suoi discendenti per sempre. Davide re è in grado di lasciare a noi la testimonianza del suo vissuto e abbiamo un segno di quella regalità che poi diventa una delle strutture portanti della storia della salvezza e della nostra vita cristiana. Tutti siamo consacrati profeti, sacerdoti, re e questa regalità di Davide, nell'obbedienza alla fedeltà del Signore che, nella sua misericordia, ha garantito che porterà a compimento la sua promessa nella discendenza di Davide per sempre. Questo linguaggio lo ritroviamo nei cantici del Nuovo Testamento, sia nel canto di Zaccaria che nel cantico di Maria; sia nel Benedictus che nel Magnificat.
Testamento di Davide
Cap. 23, vv. 1-7. La seconda composizione poetica, la quarta appendice. È un testo antichissimo ed è formulato alla maniera di un vero e proprio testamento; un contenuto sapienziale che viene espresso nella forma tipica di un oracolo profetico. Ci sono studiosi che sostengono, con buoni motivi, che potrebbe risalire allo stesso Davide. C'è un altro testo che a suo tempo leggevamo che potrebbe risalire allo stesso Davide: il lamento di Davide per la morte di Saul e di Giònata (cap. 1 del Secondo Libro di Samuele). In questo testo Davide si presenta e lascia l'eredità così come la sintetizza per noi.
"Queste sono le ultime parole di Davide:
«Oracolo di Davide,
figlio di Iesse (linguaggio proprio delle voci profetiche e quando si dice profetiche si intende coloro che operano in una posizione di ascolto; il profeta è eminentemente, radicalmente, intrinsecamente l'uomo dell'ascolto della Parola. Può essere anche muto; il profeta è tale non perché parla, ma perché ascolta. Che poi abbia modo di intervenire, predicare, proclamare, insegnare è secondario. Ripeto: noi siamo coinvolti in una vocazione profetica non perché siamo predicatori, ma eminentemente ascoltatori. Presenta se stesso usando tre espressioni dette al passivo in modo tale che è l'opera di Dio che viene segnalata per come si è manifestata in lui). E dice: "«Oracolo di Davide, figlio di Iesse,
oracolo dell'uomo che l'Altissimo ha innalzato (l'uomo di cui si è preso cura),
del consacrato dal Dio di Giacobbe (Davide è stato unto),
del soave cantore d'Israele". Colui che è stato preferito tra i cantori del popolo; un uomo di cui Dio si è fatto carico; un uomo che Dio ha sollevato e di cui si è preso cura. Il re in vista di Giacobbe perché Giacobbe è Israele; il re non sussiste per se stesso, ma è al servizio. La terza caratteristica che segnala è quella che indica come la più qualificante della sua missione in questo mondo, l'identità che può lasciare come segno di riferimento per quelli che verranno dopo di lui: il cantore, la dolcezza del canto e di quel canto per come è stato in grado di modularlo nelle strofe, nelle diverse sezioni nel canto che leggevamo. Prima di Davide c'è stato un altro personaggio che, giunto sul punto di morire, ha lasciato come eredità il canto: Mosè che lascia in eredità la Torah, fine del Libro del Deuteronomio. E poi dice: "la Torah dimostrerà che combinerete un mare di guai, ma vi lascio in eredità la "shirà", il canto (cap. 31 del Deuteronomio) perché Mosè ha ascoltato i battiti segreti del cuore di Dio e, nell'intimo di Dio, la rivelazione di una volontà d'amore e di riconciliazione che è più forte del fallimento a cui il popolo andrà incontro. È un tema fondamentale di tutta la rivelazione biblica fino agli scritti di San Paolo e alla teologia neotestamentaria. Mosè riecheggia il canto per il suo popolo in quanto è l'uomo che ha parlato faccia a faccia con Dio; ha condiviso un rapporto di confidenza intima e profondissima. Ed ecco come nelle viscere del Dio vivente palpita una potenza d'amore che piegherà anche i fallimenti a cui il popolo andrà incontro in obbedienza alla sua opera di riconciliazione.
Davide si è presentato, nei versetti da 2 a 4, nella maniera di chi sta stilando un testamento e tenta di mettere in evidenza l'essenziale di quello che è stato il suo vissuto, un vissuto profetico, in ascolto della Parola, un vissuto che può diventare un contenuto valido da trasmettere ad altri.
"Lo spirito del Signore parla in me,
la sua parola è sulla mia lingua;
il Dio di Giacobbe ha parlato,
la rupe d'Israele mi ha detto (sta dicendo quello che ha appreso, per come il Signore gli ha parlato e per come, in questo dialogo con il Signore, abbia acquisito interiormente la responsabilità di trasmettere a noi quello che è il contenuto didattico di tutto il suo cammino):
Chi governa gli uomini ed è giusto,
chi governa con timore di Dio,
è come la luce del mattino
al sorgere del sole,
in un mattino senza nubi,
che fa scintillare dopo la pioggia
i germogli della terra".
Immagini semplici ma efficaci; una presenza che diventa motivo di consolazione generale. La qualità del giusto che governa in un contesto dove determinante è il riferimento a Dio; "governa con timore di Dio". Ed è quella presenza che non viene illustrata per le singole particolari decisioni, per la tempistica degli interventi, per l'arte di attirare a sé la collaborazione altrui, ma perché la presenza del "giusto" illumina il mondo. È presenza che produce una consolazione che ristora gli animi come la luce del mattino al sorgere del sole che fa scintillare, dopo la pioggia, i germogli della terra. Oltre al linguaggio della giustizia che ritorna, c'è di mezzo questo accenno al germoglio che è espressione che ricorre nel linguaggio della profezia messianica: il "germoglio" è uno dei titoli messianici per eccellenza.
È l'eredità che Davide ritiene necessario trasmettere. E aggiunge ora, dal v. 5 al v. 7. "Così è stabile la mia casa davanti a Dio (Davide voleva costruire una casa al Signore ma il Signore gli dice che è la sua casa che traballa; "Ci penso io" ha promesso il Signore; promessa messianica), perché ha stabilito con me un'alleanza eterna (il re può morire nel momento in cui lascia come eredità la sua confidenza nella promessa messianica che il Signore porterà a compimento), in tutto regolata e garantita.
Non farà dunque germogliare
quanto mi salva
e quanto mi diletta?
("Quello che Lui farà passando attraverso questa storia derelitta che ha trovato in me un testimone così evidente di come è la provvidenza misericordiosa del Signore che piega i dissesti, l'inettitudine, le contraddizioni di tutta questa impalcatura istituzionale di cui mi sono assunto l'onere e con coerenza sono arrivato fino in fondo", con tutte le declinazioni che possiamo raccogliere riguardo gli eventi che si sono svolti; ma, ribadisce la promessa messianica).
Ma gli scellerati sono come spine,
che si buttano via a fasci
e non si prendono con la mano;
chi le tocca usa un ferro o un'asta di lancia
e si bruciano al completo nel fuoco".
Questi ultimi due versetti lasciano un po' delusi perché il testamento di Davide si conclude con questo accenno all'empietà, come se volesse avvisare i suoi eredi; ve la ritroverete tra i piedi e tra i cuori; ma quell'empietà che tenta di occupare la scena e di abbrutire gli animi è empietà che il Signore ha dimostrato di sconfiggere per come si è rivelato in quel derelitto personaggio che adesso sta lasciando a noi il suo testamento. Il Signore ha promesso e porterà a compimento le sue promesse: e l'empietà è sconfitta!