06 novembre 2018
Primo incontro del ciclo 2018-2019
Dopo alcuni mesi di intervallo riprendiamo la lettura del Primo e Secondo Libro di Samuele. Siamo arrivati, nell'incontro di giugno, al cap. 26 del Primo Libro; riprendiamo, quindi, dal cap. 27. Ne avremo per tutto quest'anno per arrivare a concludere il percorso. I due libri formano un'unica composizione narrativa che, come sappiamo, è il racconto di una storia che è allo stesso tempo interpretazione di essa; non per niente i Libri che noi chiamiamo storici nella tradizione di Israele sono denominati Libri profetici. Vengono rievocati i fatti, i personaggi, le situazioni, ma anche l'interpretazione teologica di quello che costituisce il patrimonio della memoria di Israele; essa custodisce il modo in cui la presenza del Dio Vivente si è rivelata, come ha operato, come ha dimostrato di essere la protagonista in rapporto a quella intenzione di salvezza che, man mano, emerge nel corso della storia come l'intenzione originaria di Dio che è vittoriosa malgrado tutte le opposizioni della libertà umana ribelle e prepotente. Ẻ la storia della salvezza: siamo ad una delle svolte importanti, direi determinanti, di questa storia che ha inizio con le promesse ai patriarchi, l'Egitto, la liberazione, l'Alleanza, la peregrinazione attraverso il deserto, l'ingresso nella Terra e la permanenza del popolo in questa Terra nel corso di diversi secoli. In questo contesto abbiamo avuto a che fare con le prime pagine del Primo Libro di Samuele e con i segnali evidenti di una situazione di crisi, di perdita d'identità. Il popolo dell'Alleanza, nella relazione con il Dio Vivente, ha ricevuto il criterio determinante per prendere posizione sulla scena del mondo e affrontare il cammino che si prospetta come ritorno alla sorgente della vita, il cammino della santificazione, della conversione al Santo, il ritorno alla pienezza della vocazione originaria: è la salvezza. Il popolo in prima posizione rispetto a quello che si prospetta come un disegno di portata universale; è il popolo dell'alleanza, avanguardia di questo cammino che coinvolgerà l'umanità intera fino a ritrovare quella posizione che all'inizio era stata conferita dal Creatore alla creatura umana nel contesto del "giardino", il "giardino della vita".
In quel contesto critico, in quel momento di stanchezza, di avvilimento per quella che appare come dissoluzione dei riferimenti validi per custodire l'autentica identità di Israele; il culto, depositario degli strumenti decisivi a questo riguardo, è compromesso; l'alleanza sembra sfumare in una reminiscenza ideale che non ha più rapporto con la concretezza del vissuto presente. E, in questo stesso contesto la figura del profeta: Samuele che dà il titolo ai libri che stiamo leggendo; ma sappiamo bene che non è Samuele il protagonista: il protagonista sarà Davide, il personaggio che prenderà la nostra attenzione stasera e negli incontri che verranno. Tutto riparte dall'ascolto della Parola, da quell'ascolto della Parola di Dio, dell'iniziativa gratuita e sempre originale del Dio Vivente. L'ascolto della Parola è prerogativa che costituisce inconfondibilmente la vocazione del profeta. Ẻ un personaggio particolare, singolare, dotato di una grandezza umana e pastorale che non può lasciare indifferenti. Attraverso Samuele è una generazione che viene coinvolta, è la comunità intera che, con varie modalità di corrispondenza, è interessata a condividere questo momento di ripresa, di rilancio, di conversione. Determinante è l'ascolto della Parola perché il Dio Vivente non ha rinunciato né rinuncerà mai a essere Lui presente e protagonista, Lui eloquente, Lui parlante, Lui vivo: la Parola.
Leggevamo poi come, attraverso Samuele, si giunge a Davide e all'istituzione della monarchia. Samuele non è favorevole a un passaggio del genere perché resta convinto del valore primario e gratuito di quella relazione con il Dio Vivente che non dovrebbe configurarsi secondi gli stessi criteri che danno comunemente un'identità visibile, pubblica agli altri popoli. "Il nostro popolo - sostiene Samuele - si identifica ed è presente nella storia umana non perché è dotato di quelle istituzioni che sono prerogativa degli altri popoli di questo mondo: la nostra identità è tutta radicata nell'appartenenza diretta, viva al Signore nel contesto dell'alleanza. Non abbiamo bisogno di istituzioni". Ed invece il popolo chiede e il Signore interviene presso Samuele per dirgli "da' loro un re". L'istituzione della monarchia è il segno di una debolezza; è proprio quella debolezza che Samuele percepisce e che il Signore illumina con la sapienza della Sua rivelazione. Ẻ proprio vero che questo popolo è debole e per questo ricorre a quegli strumenti che sono prerogative degli altri popoli; ma è proprio questa debolezza del popolo, che ha bisogno di raccogliersi, riconoscersi, ricollocarsi con quelle forme di inserimento nella relazione con l'ambiente, gli altri popoli, l'organizzazione interna della propria realtà comunitaria, che è contemporaneamente e intrinsecamente segno o sacramento della misericordia di Dio. "Sono io" dice il Signore a Samuele "che intervengo su questo terreno". L'istituzione della monarchia, come ogni altra istituzione è sempre espressione di una debolezza nella relazione con il Dio Vivente; il ricorso all'istituzione è un passo indietro, ma il Signore dice: "Guarda, questo passo indietro, in realtà, è sacramento rivelativo della misericordia con cui io mi prendo cura di questo popolo; e raccolgo io questo modo di indietreggiare; sono io che mi pongo alle spalle di coloro che apparentemente si tirano indietro e invece vengono presi in braccio da me". Ed ecco l'istituzione, la monarchia. Samuele stenta a comprendere però si adegua. Ed ecco il primo re, Saul e il primo fallimento. D'altra parte gestire questi strumenti istituzionali non è competenza che Saul acquisisce per incanto; è un pioniere alle prese con una situazione che gli sfugge in tutti i modi; sta imparando e, nello stesso tempo, è anche responsabile di fraintendimenti che compromettono la sua posizione personale, ma anche provocano un disagio nell'equilibrio comunitario della vita del popolo. Allo stesso tempo è necessario riconoscere che Saul ha delle sue qualità, meriti di tutto rispetto, ma è smarrito, è preda delle sue superstizioni, è anche disturbato da una sua patologia psicologica, affettiva ed emotiva. Povero Saul... L'esercizio del potere lo espone a rischi per i quali non è naturalmente preparato e, di conseguenza, combina guai. Ẻ ancora sulla scena del racconto quando, adesso ripartiamo dal cap. 27, ma, nel frattempo, è comparsa la figura di Davide. Ẻ stata pronunciata una sentenza: il fallimento che condurrà Saul verso un precipizio senza rimedio; ma il Signore è fedele, il Signore ha detto: "da' loro un re", il Signore dichiara, sempre attraverso Samuele che ormai lui sta preparando un re per il popolo che sarà in grado di esercitare questa missione secondo il cuore di Dio. Ed è Davide. Abbiamo a che fare con quelle pagine che ci parlano di Davide che entra in contatto con Saul, man mano assume responsabilità, gli vengono affidati incarichi anche se siamo ancora ben lontani dal momento in cui Davide diventerà re. Sulla scena del racconto è ancora Saul re; Davide si sta preparando anche se non ne è consapevole; invece, quell'opera che il Signore ha annunciato da parte sua come l'impegno a donare al popolo un re che sia secondo il cuore suo, il cuore del Dio Vivente, il cuore del Santo, è già in atto. Questo impegno viene man mano dimostrato attraverso le vicende altamente drammatiche che coinvolgono l'esistenza di Davide perché è necessario un itinerario pedagogico (quello che è mancato al povero Saul) che davvero conferisca a Davide quella maturità che gli consentirà, quando sarà il momento opportuno, di assumere il titolo regale e di svolgere la funzione di sovrano con tutte le vicissitudini a cui Davide andrà incontro.
Cap. 27. Che cosa sta succedendo? Saul, dopo aver dimostrato grande affetto per Davide, grande fiducia, dopo avergli affidato incarichi prestigiosi, si è ingelosito; è animato da un'invidia indomabile e Davide è stato condannato a morte ed è costretto a fuggire. Nel frattempo è legato da un vincolo di amicizia affettuosa, fedele, preziosa con Giònata che è il figlio di Saul che dovrebbe essere, secondo la logica dell'istituzione monarchica, l'erede. L'istituzione monarchica garantisce la stabilità di una dinastia nell'amministrazione interna di un popolo e nelle relazioni con gli altri popoli. Il regno è motivo di solidità, di sicurezza per il popolo non soltanto in ordine alla gestione delle vicende attuali, contemporanee, ma nella prospettiva del futuro. Colui che regna è colui che non soltanto esercita la funzione del sovrano in prima persona, ma garantisce la stabilità del governo in quanto c'è una dinastia che già è offerta alla collettività, in maniera ufficiale, attraverso la presenza del principe ereditario, il figlio che renderà stabile il trono su cui si è assiso il padre. E Giònata è affettuosissimo amico di Davide e si dà un gran da fare per protegger Davide e per accompagnarlo nel momento in cui ormai Davide deve allontanarsi da tutti e da tutto e rimarrà per un lungo periodo di tempo nel deserto.
E noi siamo ancora alle prese con queste pagine; dal cap. 21, fino al cap. 1 del Secondo Libro di Samuele, Davide è in fuga. Leggevamo pagine che ci hanno man mano illustrato il disagio interiore di Davide: il suo animo è esposto all'impatto con quelli che dovrebbero aiutarlo, che hanno ricevuto da lui tanti segni di solidarietà e che invece si schierano contro di lui; la sua solitudine mentre arranca, brancolando miseramente di luogo in luogo. In questa condizione di abbandono Davide sperimenta che cosa vuol dire essere rifiutato, ingiustamente condannato, inseguito, braccato. Attorno a Davide si raccolgono altri "banditi", gente di malaffare. A un certo momento abbiamo l'impressione che sia diventato una specie di capitano di ventura che ha raccolto intorno a sé, in quelle periferie degradate, gente che è stata espulsa dal consorzio civile e che ha trovato in lui una figura di riferimento. Davide si barcamena alla meno peggio e, nello stesso tempo, Saul incalza, insiste, non gli lascia requie. Ẻ quello il tempo in cui, come leggevamo in altre pagine - ma sopratutto nei Salmi (i Salmi che vanno dal 50 al 70 nel Salterio) - Davide, quando è stato costretto a rimanere nel deserto, incontra Dio. Là dove è rifiutato, abbandonato, quando non sa più dove andare a sbattere la testa (Davide, che si trasferisce da una grotta all'altra, da una caverna all'altra, da un deserto all'altro in un contesto così esposto a tutte le interferenze come le meschinità, le cattiverie, le ingiustizie di questo mondo), incontra Dio; Davide è accolto da Dio. D'altronde sappiamo bene che Davide è e sarà il re per antonomasia nella storia della salvezza, così come Abramo è nostro padre, Mosè il nostro maestro. Questi sono i titoli che vengono assegnati ai tre grandi personaggi della tradizione di Israele. Ma occorre ancora tempo perché Davide diventi re e questo itinerario è funzionale all'esercizio della regalità perché non si diventa re per una qualche congiuntura di stelle; si diventa re in continuità con questo percorso pedagogico che è rivelazione continua di come la misericordia di Dio si prende cura del cuore umano e lo converte. Ciò non vuol dire che Davide non sia più un peccatore, ma che è in atto un itinerario di conversione. Davide incontra il mistero di Dio che lo accoglie nel deserto. Leggevamo fino al cap. 26, quando abbiamo avuto a che fare più di una volta con situazioni nel corso delle quali Davide potrebbe vendicarsi e non lo fa. Avrebbe tutte le possibilità per colpire Saul e non lo fa. Davide non può vendicarsi. Ẻ afferrato interiormente da una presenza che fa di lui uno strumento di pietà; quello che rivolge a Saul è uno sguardo carico di compassione. Saul, che ufficialmente è il suo nemico, il suo avversario, il suo aggressore, è una misera creatura umana, è un derelitto che Davide osserva e riconosce come creatura di Dio a cui rivolgersi nella gratuità di una testimonianza di misericordia che è esattamente quella misericordia che ha investito e sta investendo l'esistenza di Davide, gli sta penetrando nell'animo, lo sta ristrutturando dalle fondamenta, lo sta riempiendo fino a traboccare nel cuore. In quella condizione di massimo disagio Davide sta imparando ad amare. Questo snodo è fondamentale perché diventerà re anche se ancora non lo sa. Con un'attenzione delicatissima e sapientissima il racconto segnala le evoluzioni di un povero cuore umano prigioniero della paura, irrigidito nel desiderio di sottrarsi a un'ingiustizia, pronto istintivamente a ricambiare il male ricevuto, e non lo fa. Davide potrebbe vendicarsi ed ha invece pietà di Saul. Ẻ un'esistenza che apparentemente ha rinunciato all'esercizio della violenza, non è più in grado di intervenire aspramente, duramente, secondo i criteri di quella spietatezza che peraltro è considerata come la modalità determinante non solo per gestire un potere, ma per difendersi rispetto al potere altrui. Così non è per Davide ormai, anche se Davide è ancora alle prese con una situazione che è oggettivamente più che mai compromettente.
Davide si rifugia presso i Filistei
Cap. 27. "Davide pensò (disse nel suo cuore): «Certo un giorno o l'altro perirò per mano di Saul. Non ho miglior via d'uscita che cercare scampo nel paese dei Filistei (già un'altra volta Davide, inseguito da Saul, aveva trovato dimora presso i Filistei che sono nemici del suo popolo e contro di loro Davide ha combattuto energicamente guadagnandosi tanti riconoscimenti a suo tempo. Davide fece il pazzo, ricordate. E adesso di nuovo, in una forma più organizzata, perché porta con sé una masnada di 600 uomini, un piccolo esercito privato che mette a disposizione del re filisteo perché ormai non c'è più niente da fare); Saul rinunzierà a ricercarmi in tutto il territorio d'Israele e sfuggirò dalle sue mani»". La situazione diventa estremamente incresciosa perché questa notizia, enunciata in maniera così secca e cruda, fa coincidere la via di scampo con la via del tradimento del suo popolo, del suo re e della sua coscienza. Di fatto la persecuzione, promossa con sistematica puntualità da Saul, così si interrompe. "Così Davide si mosse e si portò, con i seicento uomini che aveva con sé, presso Achis, figlio di Moach, re di Gat. Davide rimase presso Achis in Gat, lui e i suoi uomini, ciascuno con la famiglia; Davide con le due mogli, Achinoàm di Izreèl e Abigail, già moglie di Nabal da Carmel. Fu riferito a Saul che Davide si era rifugiato in Gat e non lo cercò più". Saul non si dedica più all'inseguimento di Davide che ormai viene inquadrato come un alleato del re filisteo, alla maniera di un feudatario che viene sistemato in un territorio dipendente dal re filisteo, dotato di una certa sua autonomia. Ed è quello che Davide vuole ottenere. Infatti anche in una situazione così incresciosa Davide è molto intelligente. Si rende conto di essere esposto al rischio gravissimo di trovarsi in radicale contraddizione con quello che è stato il cammino della sua vita nella coerenza con l'appartenenza al suo popolo e la vocazione che Dio stesso ha conferito al popolo dell'alleanza. Le pagine che ora leggiamo possiamo inquadrarle all'interno di un'immagine che appartiene al nostro linguaggio corrente per quanto riguarda la rivelazione dell'opera compiuta da Dio per la salvezza dell'umanità. Questa espressione è: discesa all'inferno. Possiamo inquadrare queste pagine in rapporto a questa immagine di una discesa sempre più compromettente, coinvolgente, rischiosa per Davide nell'essere esposto a tutte le miserie, le meschinità, le cattiverie, le contraddizioni che compromettono radicalmente la sua identità. Noi ormai ci siamo resi conto di aver a che fare con l'identità di un uomo di Dio. E discese agli inferi. Il percorso che Davide adesso sta affrontando sarà, ancora una volta, rivelazione dell'iniziativa fedele e gratuita con cui Dio conserva - Lui, il Dio Vivente - la purezza di quella creatura umana che a Lui, al Dio Vivente si è affidata. E il passaggio attraverso l'inferno, questa discesa e corrispondentemente risalita, come rivelazione ultima di una maturità che è propria dell'uomo di Dio che passa attraverso tutte le contraddizioni, anche le più sconvolgenti e insopportabili, e rimane puro in modo che questa discesa e corrispondente risalita per Davide adesso si viene configurando come la testimonianza di una suprema, totale capacità di comunione. Là dove l'evidenza dei fatti dimostrerebbe il fallimento, il disastro interiore, la corruzione del personaggio che si inabissa nel vortice infernale della vicenda umana e ne è catturato con tutte le sue forze, capacità e responsabilità, ci fa scoprire che il cuore di Davide è puro. Questo suo modo di scendere agli inferi è in realtà rivelazione di questa capacità del cuore liberato di Davide di farsi carico di una miseria universale; risalire da quell'abisso è segno di una comunione d'amore che è vittoriosa sull'inferno.
Davide intelligentemente chiede al re filisteo di essere collocato in uno dei territori di frontiera e infatti gli viene assegnata una località di nome Ziklàg dove si insedia con i suoi uomini. Là porta a compimento operazioni che, per come riferisce al re filisteo, dovrebbero essere azioni dannose nei confronti del regno di Israele, mentre invece Davide realizza operazioni di rappresaglia nei confronti delle altre popolazioni che sono alleate con il re filisteo. E così si barcamena in una maniera che a noi sembra pericolosissima: il rischio di trovarsi coinvolto in una contraddizione insopportabile è prossimo; eppure Davide si muove attraverso queste vicende con una agilità che a qualcuno può sembrare furbizia, una strategia perversa; inganna, imbroglia, è un furfante. Il racconto è costruito in modo tale da conferire a questa vicenda di Davide il valore di una rivelazione che sempre riguarda il vero protagonista delle vicende umane. Ed è proprio Lui, il Dio Vivente, che sta dimostrando come si apre una strada laddove le contraddizioni di cui sono responsabili gli uomini si stringono come una morsa spietata che produce la morte. Di là passa Davide e rimane indenne. Ẻ opera di Dio.
Il re filisteo è convinto che ormai Davide è fedelissimo perché sta compiendo queste operazioni a danno dei suoi, tanto è vero che poi Davide verrà nominato nientemeno comandante della guardia del corpo del re filisteo. D'altronde è sempre vero che l'imperatore cerca pretoriani fedelissimi a lui tra i forestieri perché quelli più vicini a lui sono pericolosi.
Torna in scena Saul
Cap. 28: "In quei giorni i Filistei radunarono l'esercito per combattere contro Israele (adesso è guerra aperta come già in passato tra Israele e i Filistei) e Achis disse a Davide: «Tieni bene a mente che devi uscire in campo con me insieme con i tuoi uomini»". Adesso non si può più tergiversare: Davide non può più far finta di essere il nemico di Israele a favore dei Filistei quando invece sta operando in maniera tale da garantire dei vantaggi per quelli del suo popolo aggredendo, colpendo, reprimendo popolazioni confinanti che sono alleate con i Filistei. Adesso non è più possibile perché bisogna schierarsi su un campo di battaglia. "Davide rispose ad Achis: «Tu sai già quello che farà il tuo servo» (una risposta ambigua). Achis disse: «Bene! Ti faccio per sempre mia guardia del corpo»".
Nel cap. 28 si inserisce una pagina che rimette in scena Saul. Ẻ invecchiato. Questa campagna militare che probabilmente lo stesso Saul ha voluto contro i Filistei in realtà è già da intendere come un'impresa autodistruttiva. Saul è prigioniero delle sue fobie, delle sue angosce, dei suoi terrori e delle sue superstizioni. Ẻ schierato sul campo di battaglia, ma questa campagna militare sarà tutta un suicidio. Saul, preso dai suoi incubi, dalle ombre di morte che lo avvolgono e lo agitano nell'animo, cerca il contatto con una negromante (negromanti e indovini sono stati tutti espulsi secondo la legislazione mosaica); gli riferiscono che ce n'è una di là della valle e, di notte, accompagnato da due scudieri, attraversa la valle e va a cercare questa negromante. Le dice: "Voglio che tu evochi lo spirito di Samuele" che nel frattempo è morto. Questa negromante è molto restia ma poi si arrende e cede; si accorge di avere a che fare con il re, ma il re è in una situazione che è proprio il segno di una sua devastazione interiore, di un ripiegamento senza respiro in un'angoscia mortale che lo domina e che vuole incontrare Samuele morto. La pagina diventa estremamente drammatica: Samuele gli dice: "guarda che per te è finita". Cap. 28, v. 16: "Samuele rispose: «Perché mi vuoi consultare, quando il Signore si è allontanato da te ed è divenuto tuo nemico? Il Signore ha fatto nei tuoi riguardi quello che ha detto per mia bocca. Il Signore ha strappato da te il regno e l'ha dato al tuo prossimo, a Davide" (in questa rivelazione così nascosta Samuele fa riferimento a Davide come futuro re). Poiché non hai ascoltato il comando del Signore e non hai dato effetto alla sua ira contro Amalek, per questo il Signore ti ha trattato oggi in questo modo. Il Signore abbandonerà inoltre Israele insieme con te nelle mani dei Filistei (una sconfitta clamorosa). Domani tu e i tuoi figli sarete con me; il Signore consegnerà anche l'accampamento d'Israele in mano ai Filistei»". Poi preparano da mangiare, un segno di vita in un contesto in cui l'annuncio della morte incombe come potenza dominante invincibile. Saul ritorna all'accampamento e il giorno dopo avviene la battaglia.
La costruzione letterale di queste pagine è disposta in maniera tale da rendere sempre testimonianza all'intreccio tra le figure di Saul e Davide; non si tratta semplicemente di prendere atto del fallimento di Saul e poi finalmente arriverà Davide, ma Davide è la figura che sarà in grado di recuperare anche il fallimento di Saul. Così come d'altronde non ci sarebbe Davide senza Saul, senza il dramma che Saul ha patito, debole, sprovveduto, impreparato come egli era. Sono le due facce dell'unico mistero pasquale; il mistero del fallimento e della vittoria, della morte e della vita; mistero del disastro, della sconfitta e mistero di questa larghezza del cuore umano che si apre per offrirsi come spazio d'amore.
Saul sta precipitando nel suo abisso e Davide sta marciando insieme con l'esercito filisteo con i suoi uomini.
I capi dei Filistei si ribellano a Davide
Cap. 29: "I Filistei avevano concentrato tutte le forze in Afek (c'è una sorgente), mentre gli Israeliti erano accampati presso la sorgente che si trova in Izreèl (fondamentale il riferimento all'acqua). I capi dei Filistei marciavano con le loro centinaia e le migliaia. Davide e i suoi uomini marciavano alla retroguardia con Achis. I capi dei Filistei domandarono: «Che cosa fanno questi Ebrei?». Achis rispose ai capi dei Filistei: «Non è forse costui Davide servo di Saul re d'Israele? È stato con me un anno o due e non ho trovato in lui nulla da ridire dal giorno della sua venuta fino ad oggi»". Il filisteo è convinto che Davide sia fedelissimo e invece "I capi dei Filistei furono tutti contro di lui e gli intimarono: «Rimanda quest'uomo: torni al luogo che gli hai assegnato. Non venga con noi in guerra, perché non diventi nostro nemico durante il combattimento". E il re dice a Davide: "mi dispiace, ma devi tornare indietro". E Davide, per una congiuntura provvidenziale sfugge ad ogni sua programmazione; di fatto il Signore gli apre la strada della liberazione rispetto all'imbroglio tragico nel quale stava sprofondando: il passaggio attraverso l'inferno. Davide è incoraggiato a tornarsene al suo luogo di dimora; è un attore, sa recitare, sa fare il pazzo - lo ha già dimostrato - e si muove con l'agilità di chi scende e risale; il salto del danzatore che passa attraverso le catastrofi della vicenda umana e assume, con una limpidezza cristallina, il valore di un testimone della misericordia di Dio che è sempre vittorioso. "Il mattino dopo Davide e i suoi uomini si alzarono presto per partire e tornarono nel territorio dei Filistei. I Filistei salirono ad Izreèl". Davide non partecipa in alcun modo alla battaglia.
Gli Amaleciti vogliono lapidare Davide, ma il Signore lo salva
Cap. 30. Le avventure non finiscono mai. "Quando Davide e i suoi uomini arrivarono a Ziklàg il terzo giorno, gli Amaleciti avevano fatto una razzia nel Negheb e a Ziklàg. Avevano distrutto Ziklàg appiccandole il fuoco". Ẻ una specie di fortino con l'accampamento dove dimorava Davide con la sua gente e le sue attrezzature. Tutto è devastato: gli abitanti deportati, le mogli, i figli, gli animali sono il bottino degli Amaleciti e tutto è distrutto dal fuoco. "Avevano condotto via le donne e quanti vi erano, piccoli e grandi; non avevano ucciso nessuno, ma li avevano fatti prigionieri e se n'erano andati". Gli Amaleciti hanno dei buoni motivi per vendicarsi nei confronti di Davide che li ha disturbati a più riprese. "Tornò dunque Davide e gli uomini che erano con lui ed ecco la città era in preda alle fiamme; le loro donne, i loro figli e le loro figlie erano stati condotti via. Davide e la sua gente alzarono la voce e piansero finché ne ebbero forza (dinanzi all'evidenza di questo fatto così terribile il pianto è generale). Le due mogli di Davide, Achinoàm di Izrèel e Abigail, già moglie di Nabal da Carmel, erano state condotte via.
Davide fu in grande angoscia perché tutta quella gente parlava di lapidarlo". Davide è alle prese con questa contestazione che viene da parte dei suoi fedelissimi, coloro che hanno condiviso le sue vicende, le sue sventure, le sue avventure. Davide è più che mai intrappolato dentro la morsa di una solitudine senza consolazione. "Ma Davide ritrovò forza e coraggio nel Signore suo Dio". Non è un'espressione che possiamo banalizzare: la forza di Davide sta nell'appartenenza al Signore. E che cosa fa Davide affidandosi al Signore suo Dio? Davide convoca il sacerdote, chiede, con l'attrezzatura che è affidata alla sua competenza, di interpretare la volontà del Signore: "Debbo inseguirlo? Si". E Davide parte all'inseguimento con questi suoi fedelissimi che però sono pronti a lapidarlo. Lungo il loro percorso non sanno come orientarsi, dove sono andati gli Amaleciti. Arrivano a un torrente e ci sono quelli che non vogliono proseguire: "noi non veniamo"; una diserzione diremmo noi. E altri, invece, seguono Davide al di là del torrente; trovano un egiziano mezzo morto, ammalato; lo raccolgono, lo curano, lo interrogano. "Ma questo è il servo di un amalecita" e li conduce fino ad arrivare all'accampamento degli Amaleciti che stanno gozzovigliando perché hanno tutto il bottino. All'alba, Davide sferra un colpo di mano abilissimo condotto da coloro che lo hanno seguito. Cap. 30, dal v. 16: "Così fece da guida ed ecco, erano sparsi sulla distesa di quella regione a mangiare e a bere e a far festa con tutto l'ingente bottino che avevano preso dal paese dei Filistei e dal paese di Giuda. Davide li batté dalle prime luci dell'alba fino alla sera del giorno dopo e non sfuggì alcuno di essi, se non quattrocento giovani, che montarono sui cammelli e fuggirono. Davide liberò tutti coloro che gli Amaleciti avevano preso e in particolare Davide liberò le sue due mogli. Non mancò nessuno tra di essi, né piccolo né grande, né figli né figlie, né la preda né ogni altra cosa che era stata presa loro: Davide ricuperò tutto". Attenzione però perché il passaggio decisivo di questa vicenda ancora non è arrivato: allo spuntare del giorno questo attacco, del tutto inatteso da parte degli Amaleciti, consente a Davide il recupero di tutto il bottino, quello appartenente ai suoi oltre a quel che riguarda lui personalmente. "Davide prese tutto il bestiame minuto e grosso: spingevano davanti a lui tutto questo bestiame e gridavano: «Questo è il bottino di Davide»". I suoi, che erano pronti a disertare e volevano addirittura lapidarlo, sono pronti ad acclamare Davide come il vincitore. Ma c'è poco da fidarsi di questa dichiarazione, di questa acclamazione. Ora bisogna incontrare gli altri che sono rimasti per strada. "Davide poi giunse ai duecento uomini che erano troppo sfiniti per seguire Davide e aveva fatto rimanere al torrente di Besor. Essi andarono incontro a Davide e a tutta la sua gente: Davide con la truppa si accostò (è Davide che fa il primo passo; sono molto imbarazzati e ora quelli che sono andati con Davide adesso vorrebbero ferocemente punire i ribelli) e domandò loro come stavano le cose (è un saluto di pace. Davide fa il primo passo per aprire un discorso di pace con quelli che sono rimasti, che hanno rifiutato di accompagnarlo nell'impresa). Ma tutti i cattivi e gli iniqui tra gli uomini che erano andati con Davide si misero a dire: «Poiché non sono venuti con noi, non si dia loro niente della preda, eccetto le mogli e i figli di ciascuno; li conducano via e se ne vadano». Davide rispose: «Non fate così, fratelli miei...".
Abbiamo incontrato quell'inferno che ci ha fornito l'immagine in grado di interpretare la discesa di Davide nella condizione di alleato o apparentemente alleato del re filisteo in quella condizione che lo aveva condotto fino al rischio di ritrovarsi schierato sul campo di battaglia contro i suoi; e adesso è ancora l'inferno, ma è l'inferno in casa sua, tra la sua gente, laddove l'animo dei suoi è pronto a propagare la vittoria in quanto prodotto del protagonismo umano, mentre, invece, "è stato il Signore". Proclamano Davide vittorioso ma è un'acclamazione infernale anche questa. Ẻ ancora l'inferno ed è l'inferno in casa propria. Ed è proprio questo il momento in cui Davide si rivolge ai suoi e li chiama "fratelli miei". Non è un'espressione banale questa, non possiamo trascurarla: la risalita dall'inferno coincide con il riconoscimento dei propri fratelli laddove la testimonianza che è orientata a celebrare l'autentica vittoria è una testimonianza rivolta al protagonismo di Dio, là dove è Dio il protagonista della vittoria. "Fratelli miei"... Davide sta risalendo dall'inferno. Ricordate che nel Vangelo secondo Matteo il Signore risorto appare alle donne e dice: "andate a dire ai miei fratelli". Non ha mai usato questo linguaggio Gesù. Lo dice Lui dopo che è passato attraverso la morte. Ẻ quel Suo passaggio attraverso la morte del Figlio innocente - che è la morte degli uomini peccatori, sconfitti, falliti, disastrati, alle prese con le conseguenze della ribellione - che ha instaurato un rapporto di fraternità. Il suo risalire dall'abisso è rivelazione di una fraternità universale che costituisce ormai il criterio determinante per interpretare la vocazione alla vita di ogni essere umano, in ogni luogo e per tutti i tempi della storia. Ẻ il linguaggio che incontriamo anche nel Vangelo secondo Giovanni quando dice a Maria di Magdala che piange: "Va a dire ai miei fratelli...". Gesù non ha mai usato questo linguaggio prima: è il linguaggio del Risorto, del Vivente, di Colui che ha vinto la morte, che è disceso e la risalita non è una manifestazione spettacolare tanto per incantare gli sguardi; la risalita è rivelazione di quel vincolo di comunione fraterna che ormai è instaurato in una dimensione di universalità assoluta, totale, inesauribile.
"Davide rispose: «Non fate così, fratelli miei, con quello che il Signore ci ha dato, salvandoci tutti e mettendo nelle nostre mani quella torma che era venuta contro di noi. Chi vorrà seguire questo vostro parere? Perché quale la parte di chi scende a battaglia, tale è la parte di chi fa la guardia ai bagagli: insieme faranno le parti». Da quel giorno in poi stabilì questo come regola". Il bottino viene diviso equamente tra quelli che sono andati in battaglia e quelli che sono rimasti custodi delle salmerie.
Questo percorso di Davide adesso viene esplicitato, in tutte le sue diverse movenze, nel rapporto con i Filistei e con i suoi; e per come l'inferno si spalanca nel cuore umano laddove il cuore umano - che è un abisso infernale - viene trasformato. Ecco come interviene, come si rivela, come opera la misericordia di Dio: il cuore umano viene tramutato in uno spazio capiente in grado di accogliere in sé la moltitudine umana in nome di un vincolo di parentela indissolubile come indissolubile e incancellabile è la parentela tra fratelli. Posso litigare con mio fratello, ma non posso negare che sia mio fratello.
La morte di Saul.
Cap. 31. Davide si sta avvicinando al momento in cui si apre per lui la strada dell'ascesa al trono, ma ne parleremo la volta prossima. Diamo uno sguardo invece a quello che avviene. Ritorniamo a Saul e alla battaglia tra gli Israeliti e i Filistei, battaglia che si trasforma in una disfatta: gli Israeliti sgominati; muoiono i figli di Saul e anche Saul chiede allo scudiero di ucciderlo, ma lo scudiero si rifiuta: "Mai potrò colpire il consacrato del Signore". E allora Saul si getta sulla spada e si toglie la vita. Ẻ uno dei pochi suicidi della storia della salvezza. Ma tutta questa campagna militare è stata un suicidio, dall'inizio. E adesso i Filistei sono vittoriosi, occupano il territorio; la salma di Saul viene decapitata, il capo viene mandato in giro per il territorio dei Filistei come un evangelo, un annuncio di trionfo; il corpo, decapitato, viene appeso alle mura della città di Beisan.
Secondo Libro di Samuele. Lamento di Davide e l'Arco di una nuova Alleanza universale
Cap. 1. L'annuncio della morte di Saul viene riferito a Davide. "Dopo la morte di Saul, Davide tornò dalla strage degli Amaleciti e rimase in Ziklàg due giorni. Al terzo giorno ecco arrivare un uomo dal campo di Saul" che gli annuncia la sua morte ed è convinto che Davide lo premierà. "Ma come è avvenuto?". È avvenuto che io l'ho ucciso perché lui me l'ha chiesto e io sono intervenuto". Ẻ stato spettatore di quella scena; è rimasto indenne ed è riuscito a sottrarsi alla furia della battaglia. In due giorni di cammino è giunto presso Davide e si aspetta un premio.
V. 11: "Davide afferrò le sue vesti e le stracciò (Davide piange, è in lutto, si lamenta); così fecero tutti gli uomini che erano con lui. Essi alzarono gemiti e pianti e digiunarono fino a sera per Saul e Giònata suo figlio (è morto Giònata, l'amico, e Saul, il re), per il popolo del Signore e per la casa d'Israele, perché erano caduti colpiti di spada. Davide chiese poi al giovane che aveva portato la notizia: «Di dove sei tu?». Rispose: «Sono figlio di un forestiero amalecita». Davide gli disse allora: «Come non hai provato timore nello stendere la mano per uccidere il consacrato del Signore?». Davide chiamò uno dei suoi giovani e gli disse: «Accostati e ammazzalo» (non vi spaventate per la soluzione così brusca e feroce. Ha dichiarato di aver ucciso lui Saul e pensava di meritare un premio). Egli lo colpì subito e quegli morì. Davide gridò a lui: «Il tuo sangue ricada sul tuo capo. Attesta contro di te la tua bocca che ha detto: Io ho ucciso il consacrato del Signore!»". "Hai ucciso il consacrato del Signore: una scelta di morte". In rapporto a questa scelta di morte adesso Davide proclama il suo lamento, dal v. 17. Ẻ un testo antichissimo; ci sono studiosi che sostengono con buoni motivi che forse risale proprio a Davide, alla voce, al pianto, al lamento, al dolore, alle lacrime di Davide. Ẻ uno di quei testi (pochissimi, dell'Antico Testamento) che possono essere datati a un'epoca così remota che potrebbe essere quella nella quale per l'appunto Davide ha dato testimonianza dei suoi sentimenti più profondi.
"Allora Davide intonò questo lamento su Saul e suo figlio Giònata e ordinò che fosse insegnato ai figli di Giuda. Ecco, si trova scritto nel Libro del Giusto". Fate attenzione perché c'è una nota riguardo al v. 18 che dice: "ordinò che fosse insegnato l'uso dell'arco". Che cosa c'entra l'arco? Adesso, il lamento è testimonianza non semplicemente del dolore che pure è urgente, penetrante, intimo nell'animo di Davide, ma è espressione dell'animo aperto, liberato, purificato, rieducato di Davide che è disceso e risalito, come abbiamo intravisto prima, in modo tale da diventare, con lo spalancamento del cuore colui che contempla l'arco deposto tra le nubi. L'arco di cui leggiamo nel cap. 9 del Libro del Genesi dopo il diluvio; l'arco del guerriero deposto; l'arco del guerriero che ha disarmato. Quell'arco è l'arco deposto tra cielo e terra; è divenuto segno di una volontà di pace che è vittoriosa su tutte le catastrofi della creazione e tutte le catastrofi della storia umana. E il lamento di Davide non è semplicemente l'espressione del dolore: è testimonianza resa a questo disegno di pace che governa quell'accumulo continuo di disastri che stiamo registrando nel corso degli eventi. "E dimorò nel dolore per rendere testimonianza all'arco", per ritrovarci sotto l'arco, per ritrovarci ricomposti, nel dolore, in un'economia di misericordia che è vittoriosa sulla morte. Ẻ una pagina poderosa, la leggiamo. Il testo del lamento va dal v. 19 al v. 25; i due versetti aggiuntivi (26 e 27) costituiscono una coda. Il lamento ha una costruzione concentrica, ce ne renderemo conto facilmente.
V. 19: "«Il tuo vanto, Israele,
sulle tue alture giace trafitto!
Perché sono caduti gli eroi?". Un'antifona dolente. Se spostate lo sguardo al v. 25: "Perché son caduti gli eroi
in mezzo alla battaglia?
Giònata, per la tua morte sento dolore (nella nota si dice: "sulle tue alture perito" perché i vv. 19 e 25 sono la cornice del lamento. "Che dolore per come sulle alture giace trafitto il vanto di Israele e l'eroe che è caduto; e Giònata, il grande amico che è perito in battaglia"). All'interno della cornice, v. 20: "Non fatelo sapere in Gat (il giubilo insopportabile dei Filistei)
non l'annunziate per le vie di Ascalon,
non ne faccian festa le figlie dei Filistei,
non ne esultino le figlie dei non circoncisi!". Spostiamo lo sguardo al v. 24: "Figlie d'Israele, piangete su Saul (adesso il pianto inconsolabile delle donne di Israele. Il giubilo delle donne filistee, inaccettabile. Il lamento delle donne di Israele, un lamento inconsolabile. Voci lamentose che avvolgono la scena che si sta man mano delineando) che vi vestiva di porpora e di delizie,
che appendeva gioielli d'oro sulle vostre vesti".
Dal v. 21 al v. 23 il centro del lamento; qui l'attenzione è rivolta ai due personaggi, Saul e Giònata, che sono inseparabili nell'unica missione che li accomuna per quanto così diversi tra loro. Questa contemplazione, attraverso l'esperienza del lamento e del dolore profondissimo per come questa storia si sta realizzando come rivelazione di una volontà d'amore che costruisce comunione tra i lontani, i diversi, travolge qualunque inimicizia, qualunque barriera di separazione, qualunque incomprensione e smarrimento. V. 21: " O monti di Gelboe, non più rugiada né pioggia su
di voi
né campi di primizie,
perché qui fu avvilito lo scudo degli eroi". Ẻ in questione adesso lo scudo di Saul. Se guardiamo il v. 23: "Saul e Giònata, amabili e gentili,
né in vita né in morte furon divisi;
erano più veloci delle aquile,
più forti dei leoni". (i due insieme che si muovevano nel loro territorio come garanzia di benessere cosmico).
Ritorniamo al v. 21: "... perché qui fu avvilito lo scudo degli eroi, lo scudo di Saul, non unto di olio,
ma col sangue dei trafitti, col grasso degli eroi". Se tenete conto del v. 22, vedete che, spostando lo sguardo all'ultimo rigo, dice: "la spada di Saul non tornava mai a vuoto". Le armi di Saul: lo scudo e la spada. Al centro del v. 22, che è il centro del lamento, ecco l'arco: "L'arco di Giònata non tornò mai indietro". Il segno della pace cosmica ed universale. Ecco dove il lamento di Davide orienta il suo pianto e il pianto universale, il pianto del dolore umano.
La coda che chiude il lamento (vv. 26 e 27): "... l'angoscia mi stringe per te,
fratello mio Giònata!
Tu mi eri molto caro;
la tua amicizia era per me preziosa
più che amore di donna.
Perché son caduti gli eroi,
son periti quei fulmini di guerra?". Ẻ un'unica storia; la storia di un'amicizia è la storia dell'umanità derelitta che va incontro alla morte conseguenza del peccato. Ma è nel corso di questa vicenda così dolorosa che la moltitudine umana si sta ricomponendo come famiglia di fratelli. Il cuore umano è in grado di riconoscere nel dolore la presenza altrui e questa derelitta vicenda umana è il contesto nel quale l'esperienza di una possibilità di comunione, di solidarietà, di vicinanza, di accoglienza nella gratuità dell'amore è l'arco di volta di un disegno di pace nel quale sono inseparabili i fallimenti e la vittoria, la morte e la vita in obbedienza a un'intenzione di misericordia che è più forte della violenza umana.
Davide adesso è maturo; dal cap. 2 comincia l'ascesa al trono. Non prima; non è possibile prima diventare uomini che governano.