Incontri di discernimento e solidarietà
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07 maggio 2019

Primo e Secondo Libro di Samuele - sesta parte

Dio protagonista della storia umana: è Lui l'artefice della stabilità del Regno di Davide

Sesto incontro del ciclo 2018-2019


Il mese scorso siamo arrivati al cap. 19, vv. 16-31. Stasera faremo un altro pezzo di strada e poi avremo a disposizione l'ultimo incontro, all'inizio di giugno, per completare la lettura di questo Libro. Non sono pagine facili quelle che leggeremo stasera perché si tratta di tirare le somme di tutta una composizione letteraria motivata da un'intenzione teologica che ci ha condotto ad affrontare passaggi impegnativi. Non è il resoconto dei fatti o la narrazione riguardante un personaggio imponente dal punto di vista storico nel contesto della storia del suo popolo; è il frutto di una riflessione teologica su come Dio opera nella storia di un popolo e dell'umanità intera.

Abbiamo accompagnato Davide, a partire da Samuele, profeta, nell'istituzione della monarchia e abbiamo constatato la debolezza che l'istituzione come tale esplicita in maniera evidente; e, d'altra parte, la conferma di come la misericordia del Signore sia vittoriosa in modo tale da piegare, in obbedienza alla sua finalità redentiva per promuovere positivamente il cammino della conversione alla vita, tutte le fragilità umane ad un disegno che apre dinanzi a noi gli orizzonti gloriosi della salvezza. Salvezza vuol dire la strada che è aperta perché l'umanità ritorni alla sorgente della vita ed è esattamente il Mistero che stiamo celebrando nel tempo di Pasqua, fondamento della nostra vita cristiana in tutto il suo contenuto essenziale; ciò che è superfluo, marginale, periferico si disperde in una certa nebbia, ma ciò che è essenziale emerge, in questo tempo pasquale, in maniera evidente. È sempre attuale l'essenzialità della nostra vita nuova, laddove l'opera redentiva del Signore ha aperto per noi le strade del ritorno a una pienezza della vita attraverso una stretta d'amore che ha preso in braccio la miseria della nostra condizione umana.

Ed ecco Davide re, dal cap. 2 fino al cap. 20; l'ascesa al trono e la maturità di Davide re. Poi ci sono appendici alle quali già ci accosteremo questa sera. Stiamo affrontando pagine che meriterebbero un'attenzione più meditata e incisiva di quello che sarà possibile a me. Nel contesto di quelle pagine è emersa in maniera evidentissima la realtà di un personaggio che, pur grande, imponente, affascinante com'è, è un peccatore, e lo è proprio all'interno del suo modo di essere re, di esercitare la funzione di sovrano di cui il popolo ha bisogno e dal quale il popolo trae un beneficio consolante. E questo nella prospettiva di una stabilità del regno che deve corrispondere alle aspettative della grande comunità; stabilità che dipende dalla presenza di un erede che dia continuità alla dinastia. Davide, che sembra così sicuro di sé, è stato, a suo tempo, già smentito tramite l'intervento del Signore che, attraverso il profeta Natan, ha mandato a dire che proprio Lui, il Signore, si è preso la briga di rendere stabile il trono di Davide e di generare per lui quel discendente che regnerà sul trono. È la promessa messianica contenuta nel cap. 7 del Secondo Libro di Samuele: una delle grandi pagine dell'Antico Testamento di cui è meglio non dimenticarsi mai: "Io renderò stabile il tuo trono". La stabilità del regno, la continuità della discendenza, la dinastia, il figlio: quel figlio - che dimostrerà come per davvero Davide è re e svolge pienamente la funzione sacramentale del sovrano - è identificato in virtù della promessa del Signore. Non è Davide (che pure è convinto di aver già messo in piedi una famiglia quanto mai influente oltre che massiccia nei suoi aspetti quantitativi), ma è il Signore. È la storia di un re peccatore e, dal cap. 13 fino al cap. 20, assistiamo a quello che capita nella famiglia di Davide, laddove la stabilità è più che mai fatiscente. Davide è alle prese con il fallimento della sua paternità: Amnon, il primogenito e una serie di vicissitudini estremamente squallide; Assalonne, l'altro figlio è capo di una ribellione di un movimento popolare guidato da lui e progettato per costringere il padre ad abbandonare il trono; addirittura Davide deve essere eliminato fisicamente. Assalonne, il figlio amato, perdonato, accolto e il conflitto terribile fino allo scontro nel corso del quale è ucciso.

Davide piange (cap. 19): "Figlio mio, figlio mio, figlio mio, fossi morto io invece che tu". Le pagine che abbiamo letto il mese scorso ci danno l'immagine del personaggio che sta maturando nella regalità; sta imparando a esercitare la funzione del sovrano ora che pure è anziano, maturo ed è passato attraverso tante avventure, ha dato tante prove grandiose di sé e delle sue capacità. "Oggi sto diventando re" dice Davide nel cap. 19 quando ormai sta intraprendendo il viaggio per ritornare a Gerusalemme da cui era fuggito piangendo. "Davide disse: «Che ho io in comune con voi (v. 23)". Simei ha maledetto il re a suo tempo e ora Davide sta precisando qual è il valore dell'evento che ormai è maturato passando attraverso questo travaglio dolorosissimo: l'esperienza della sua paternità delusa, ferita, aggredita, rifiutata, fallita. È morto suo figlio, e la sua paternità ha subito un trauma inconsolabile. "Voi, oggi, siete i miei avversari perché mi suggerite, come strumento di rivendicazione della mia posizione di sovrano, la vendetta nei confronti di colui che mi ha maledetto. "Voi siete oggi Satana per me". "Si può mettere a morte oggi qualcuno in Israele? Non so dunque che oggi divento re di Israele?». "Oggi io sono re quando il dolore della mia paternità fallita mi consente di scoprire come si apre nell'animo lo spazio che accoglie, compatisce, elargisce misericordia al di là di tutti i limiti a cui ero forse anche umanamente predisposto. Ma è il Signore che oggi fa di me il re". Davide rientra a Gerusalemme per regnare, siede sul trono portando con sé questo dolore inconsolabile. «Tu non morirai!» (dice a Simei); "questo è il giorno della vita" perché Davide regna non in quanto esercita il potere, ma in quanto è testimone nei confronti del suo popolo e dell'umanità intera di come la presenza gloriosa del Signore sia protagonista della storia umana; è Lui che apre le strade della vita attraverso le drammatiche evoluzioni di un cuore umano che si piega e si viene frantumando, spalancando a misura di un'opera d'amore che è feconda per la vita e che è, in tutto e per tutto, rivelazione della santità di Dio.

Da questo momento in poi Davide torna a Gerusalemme ed è in quella condizione che abbiamo messo a fuoco un atteggiamento dolente; si guarda attorno, incontra persone che stanno testimoniando come la regalità che gli è stata conferita adesso viene esercitata in questa capacità di aprire il cuore a misura di una compassione universale perché è la rivelazione stessa del mistero di Dio. Davide è re, il suo dolore e la sua pena; la sua casa, la famiglia, la stabilità del trono, della dinastia e tutto quello dovrebbe dimostrare che davvero esercita la sua sovranità in maniera benefica; ma la famiglia è frantumata, in dissoluzione, fatiscente, tanto è vero che nelle pagine che seguono non apprendiamo nulla circa il discendente di Davide. C'è stata un'informazione al tempo di un episodio che leggemmo nel cap. 11 e poi nel 12, di quel figlio che si chiama Salomone ma che è rimasta là e di cui non si sa niente; bisogna aspettare il Libro dei Re per renderci conto di quello che succede quando Davide sta per morire. Ma in questo libro, di questo discendente di Davide non si dice nulla. Resta la promessa messianica, la promessa del Signore; il Signore ha promesso ed è garante di quel futuro rispetto al quale Davide è spettatore dolente, sconfitto.

Nel v. 25 l'incontro con Merib-Bàal, figlio di Giònata, il servo, e Davide è alle prese con situazioni che potrebbero subito ripiegarsi nella dimensione della rissa, del conflitto, della polemica. Ma Davide non ne vuol sapere di aver a che fare con chi si difende e accusa; con chi per accusare si difende e per difendersi accusa. È una decisione serena la sua: "spartitevi quello che è a vostra disposizione e tutto per ritornare in pace a casa". Vv. 30-31: "Il re gli disse: «Non occorre che tu aggiunga altre parole. Ho deciso: tu e Zibà vi dividerete i campi». Merib-Bàal rispose al re: «Se li prenda pure tutti lui, dato che ormai il re mio signore è tornato in pace a casa!»".


Davide incontra Barzillài e impara ad essere re

Cap. 19, vv. 32-44. Lungo il percorso verso Gerusalemme Davide incontra Barzillài, un ricco sceicco, commerciante di notevole importanza, che dimora nelle regioni orientali e che ha sostenuto Davide rifornendo le truppe del re di tutto il necessario per affrontare la resistenza fino al conflitto decisivo contro l'esercito messo in piedi da Assalonne. È un uomo molto pacifico. Davide gli dice: "vieni con me", ma lui gli risponde che ormai ha già ottant'anni e vuole tornare a casa. È una figura che meriterebbe una certa riflessione. Davide è attento a non lasciarsi catturare dal gusto del litigio e ammira e apprezza il caso di Barzillài che gratuitamente si è messo a disposizione nel tempo difficile del dramma. Barzillài torna indietro e accanto a Davide rimane uno dei suoi figli. V. 40: "Poi tutto il popolo passò il Giordano; il re l'aveva già passato. Allora il re baciò Barzillài e lo benedisse; quegli tornò a casa". Questo tornare a casa diventa un ritornello: la casa è un edificio, una località, un ambiente domestico, un insieme di relazioni; esattamente quella casa che, per quanto riguarda l'esperienza di Davide, si è dimostrata una rovina. È la promessa del Signore che rimane valida, autentica, incontaminata; è il Signore che farà di quella rovina una dimostrazione indefettibile e irrevocabile di come la storia futura del popolo sarà in grado di accogliere il dono di cui ha bisogno. Il dono è il figlio promesso a Davide: la promessa messianica.

Nei vv. 41-44, alla fine del cap. 19, di nuovo un conflitto tra quelli della tribù di Giuda, accorsa per prima perché Davide li ha sollecitati per favorire il suo rientro a Gerusalemme e quelli delle altre tribù del nord che vanno sotto il nome di Israele. Quelli di Israele protestano: "Perché non siamo stati informati?". Si erano coalizzati contro Davide e adesso sono pronti a dire: "Vogliamo essere qui, pronti, solleciti a dimostrare come siamo favorevoli al rientro". Davide ha a che fare con personaggi abituati a protestare, a vantare titoli quando in realtà sono fasulle mascherature. È una divisione che viene da lontano quella tra le tribù del sud e del nord; fenomeni ricorrenti nella storia: c'è sempre un sud e un nord. Tutta l'opera di Davide è un'opera pacificatrice; ha fatto di questa pacificazione un programma del suo regno con tutte le contraddizioni di cui ci siamo poi resi conto. Gerusalemme è scelta proprio per la sua posizione geografica strategica per favorire la convergenza di tutte le tribù e dare un unico disegno istituzionale. Gerusalemme è la città della pace, la sua casa, la sua famiglia, il programma del suo regno ed è l'esperienza di un fallimento che si ripropone anche attraverso queste beghe che continuamente lo assillano. Ciascuna componente rivendica titoli di particolare prestigio e tutto va a depositarsi nel cuore invecchiato, dolente di Davide che, nel dolore della sua paternità segnata da un fallimento così evidente, sta imparando a esercitare la funzione regale. "Oggi divento re per come nell'animo mi si apre lo spazio che accoglie la miseria umana". L'ultimo versetto chiude il cap. 19: "Ma il parlare degli uomini di Giuda fu più violento di quello degli Israeliti".


La rivolta di Sèba e le vedove recluse

Cap. 20, vv. 1-3. Questa rissa tra quelli del nord e del sud ha uno strascico poi nel cap. 20 a cui diamo uno sguardo dal momento che, se è vero che l'insurrezione promossa da Assalonne è stata decisamente sconfitta, c'è ancora qualcuno che si illude di poter contrastare il rientro di Davide a Gerusalemme e la restaurazione del regno. In questo contesto emerge un personaggio, Sèba. "Ora si trovava là un uomo iniquo (un uomo di poco conto) chiamato Sèba, figlio di Bicrì, un Beniaminita, il quale suonò la tromba e disse: «Non abbiamo alcuna parte con Davide

e non abbiamo un'eredità con il figlio di Iesse.

Ognuno alle proprie tende, Israele!»". Vuole promuovere lo strascico di una vicenda tormentosa che sembra ancora non finire e bisogna intervenire per reprimere questo ultimo focolaio di rivolta. Descrive certi fatti, ma quello che è importante per noi è tener conto di come questi avvenimenti si ripercuotano nell'animo di Davide invecchiato, tornato a Gerusalemme, che sta raccogliendo i frammenti di questa rovina. Sèba non riesce ad organizzare una resistenza significativa, però i fatti hanno preso questa piega che, ancora una volta, comporta un conflitto a cui bisogna far fronte in maniera tale da dimostrare che il rientro di Davide a Gerusalemme cancelli, elimini, escluda tutti gli aspetti trionfali. Davide è in un atteggiamento molto dimesso. "Tutti gli Israeliti si allontanarono da Davide per seguire Sèba, figlio di Bicrì; ma gli uomini di Giuda rimasero attaccati al loro re e lo accompagnarono dal Giordano fino a Gerusalemme". C'è una relazione indissolubile tra Davide e Gerusalemme, la sua città, la sua casa; un'immagine di quella famiglia su cui contava e che non sta in piedi se non per il fatto che c'è una promessa. "Davide entrò nella reggia a Gerusalemme. Il re prese le dieci concubine che aveva lasciate a custodia della reggia e le mise in un domicilio sorvegliato; egli somministrava loro gli alimenti, ma non si accostava loro; rimasero così recluse fino al giorno della loro morte, in stato di vedovanza perenne". Sono vedove perenni di un vivente: è una memoria dolorosa quella di queste concubine a cui poi si è unito Assalonne spudoratamente. Una memoria che rimane incancellabile; "hanno custodito la casa di Davide" e ora sono recluse in un atteggiamento che ha a che fare con quello di chi, nella vedovanza, non ha più uno sposo ma è in attesa di un altro incontro; obbedienza in vista di uno sposo promesso. Una notizia come questa rientra in una prospettiva di ricerca e di contemplazione che stiamo man mano decifrando; un'attesa messianica questa reclusione delle concubine che non hanno più uno sposo se non in vista di quella promessa che il Signore - Lui e solo Lui - realizzerà secondo quanto annunciato.


Assassinio di Amasà

Vv. 4-13. Ora la repressione della rivolta guidata da Sèba, che però non ci sa tanto fare. Davide vorrebbe conferire il titolo di comandante ad Amasà. È un parente anche lui che, però, si era schierato dalla parte di Assalonne, in modo tale da ridimensionare la figura di Ioab che ha trucidato Assalonne. Durante la fase organizzativa dell'impresa che deve cancellare la presenza di Sèba, Ioab uccide Amasà: lo saluta come se volesse dargli una carezza; fa finta che gli sia caduta la spada e la pianta nel ventre di Amasà. Tutto questo avviene attorno a Davide. Ioab nell'opinione di Davide poteva diventare una figura di mediazione; è stato comandante delle truppe di Assalonne; recupera un ruolo positivo accanto a Davide e consente anche a coloro che si sono schierati dalla parte di Assalonne di ritrovarsi pacificamente ricomposti all'interno di un'unica obbedienza. Ma non è così: Ioab interviene ferocemente e uccide il suo contendente.


Si placa la rivolta; interviene una donna "madre"

Vv. 14-22. "Attraversarono il territorio di tutte le tribù d'Israele fino ad Abel-Bet-Maacà, dove tutti quelli della famiglia di Bicrì erano stati convocati ed erano entrati al seguito di Sèba. Vennero dunque, assediarono Sèba in Abel-Bet-Maacà e innalzarono contro la città un terrapieno; tutto il popolo che era con Ioab scavava per demolire le mura. Allora una donna saggia gridò dalla città: «Ascoltate, ascoltate! Dite a Ioab di avvicinarsi, gli voglio parlare!». Quando egli si fu avvicinato, la donna gli chiese: «Sei tu Ioab?». Egli rispose: «Sì». Allora essa gli disse: «Ascolta la parola della tua schiava». Egli rispose: «Ascolto». Riprese: «Una volta si soleva dire: Si interroghi bene ad Abèl e a Dan per sapere se sono venute meno le costumanze stabilite dai fedeli d'Israele (usanze antiche). Tu cerchi di far perire una città (metropoli) che è una madre in Israele. Perché vuoi distruggere l'eredità del Signore?».". Questa città è madre ed è lei stessa che sta assumendo un ruolo materno. Questo richiamo è illuminante per noi nel contesto in cui Davide è rientrato a Gerusalemme. La maternità di Gerusalemme, laddove la sua paternità è fallimentare, è quella maternità confermata, secondo quanto Dio ha promesso, in rapporto alla città, al popolo, alla storia futura, al figlio che nascerà nella discendenza. Gerusalemme è madre e questo richiamo trova un riscontro successivamente quando dice: “. Tu cerchi di far perire una città (metropoli) che è una madre in Israele. Perché vuoi distruggere l'eredità del Signore?». Ioab rispose: «Lungi, lungi da me l'idea di distruggere e di rovinare. La questione è diversa: un uomo delle montagne di Efraim, chiamato Sèba, figlio di Bicrì, ha alzato la mano contro il re Davide. Consegnatemi lui solo e io mi allontanerò dalla città». La donna disse a Ioab: «Ecco, la sua testa ti sarà gettata dall'alto delle mura». Allora la donna rientrò in città e parlò a tutto il popolo con saggezza; così quelli tagliarono la testa a Sèba, figlio di Bicrì, e la gettarono a Ioab".

È la città che rifiuta la presenza dell'occupante che voleva strumentalizzarla nel suo progetto di potere alternativo alla regalità di Davide in un momento di radicale conversione per quel che significa il suo essere re. "Egli fece suonare la tromba; tutti si dispersero lontano dalla città e ognuno andò alla propria tenda. Poi Ioab tornò a Gerusalemme presso il re".


Davide re a Gerusalemme

Negli ultimi versetti del cap. 20 (23-25) il governo svolge la sua funzione di amministrazione e collaborazione con Davide. Siamo ritornati a Gerusalemme dove Davide è re; quel che adesso riusciamo a cogliere è da intendere in rapporto all'esercizio della maternità: è la fecondità della vita che è stata rivendicata da quella donna come prerogativa della città che Ioab e il suo esercito stavano assediando: questa città è per la vita. Davide ha a che fare con una novità che è rivelazione di come Dio opera nel contesto di quella storia dove la miseria ormai è stata sperimentata senza possibilità di mascherature. Dio opera in modo tale da suscitare frutti della fecondità che corrisponde alla sua Parola, alla sua volontà d'amore, alla sua promessa.

Con il cap. 20 il Secondo Libro di Samuele sarebbe finito, senza una conclusione, senza sapere come si chiude questa storia. La conclusione che rimane in sospeso è caratteristica di un linguaggio teologico. L'esito di questa storia non spetta a Davide; spetta a Colui che ha promesso. Intanto Davide deve maturare in questa ultima tappa del suo cammino di uomo, della sua funzione di sovrano in rapporto alla sua città, alla fecondità della vita che è custodita da una madre.


Supplementi


Dal cap. 21 al cap. 24 la Bibbia inserisce dei Supplementi; sono sei appendici messe insieme per coppie con uno schema concentrico (la geometria di questa composizione letteraria semplifica la nostra lettura). Sono presenti due racconti che contengono due pagine di aneddoti di carattere eroico e due pagine centrali che sono due composizioni poetiche. Le due composizioni poetiche le leggeremo il 4 giugno; stasera leggiamo le pagine che fanno da cornice, una più ampia e una più ristretta.


La carestia e l'uccisione di sette discendenti di Davide

Cap. 21, vv. 1-14. Queste appendici non rispettano l'ordine cronologico dei fatti; hanno il valore ricapitolativi in sé e per sé perché esprimono indicazioni che si tratta di accogliere, ancora una volta, in una dimensione che favorisce il discernimento teologico della vicenda. "Al tempo di Davide ci fu una carestia per tre anni; Davide cercò il volto del Signore (Davide cerca un responso in un contesto liturgico) e il Signore gli disse: «Su Saul e sulla sua casa pesa un fatto di sangue, perché egli ha fatto morire i Gabaoniti»". Saul ha agito con violenza prepotente nei confronti dei Gabaoniti, popolazione dell'antica terra di Canaan, che sono stati riconosciuti come presenze che bisogna rispettare (cap. 8 del Libro di Giosuè). Tra l'altro hanno anche svolto costantemente, nel corso delle generazioni, una funzione di servizio, di collaborazione; ma Saul ha esercitato nei loro confronti una funzione repressiva e ha sbagliato. "Allora il re chiamò i Gabaoniti e parlò loro. I Gabaoniti non erano del numero degli Israeliti, ma un resto degli Amorrei, e gli Israeliti avevano giurato loro; Saul però, nel suo zelo per gli Israeliti e per quelli di Giuda, aveva cercato di sterminarli. Davide disse ai Gabaoniti: «Che devo fare per voi? In che modo espierò, perché voi benediciate l'eredità del Signore?»". Quale riparazione bisogna fare per ottenere quell'espiazione che cancellerà la maledizione in atto? "I Gabaoniti gli risposero: «Fra noi e Saul e la sua casa non è questione d'argento o d'oro, né ci riguarda l'uccidere qualcuno in Israele»". Non si tratta di compensi economici, né di una vendetta generica. "Il re disse: «Quello che voi direte io lo farò per voi». Quelli risposero al re: «Di quell'uomo che ci ha distrutti e aveva fatto il piano di sterminarci, perché più non sopravvivessimo entro alcun confine d'Israele, ci siano consegnati sette uomini tra i suoi figli e noi li impiccheremo davanti al Signore in Gàbaon, sul monte del Signore». Il re disse: «Ve li consegnerò»". Bisogna scegliere sette discendenti di Davide. "Il re risparmiò Merib-Bàal figlio di Giònata, figlio di Saul, per il giuramento che Davide e Giònata, figlio di Saul, si erano fatto davanti al Signore; ma il re prese i due figli che Rizpà figlia di Aià aveva partoriti a Saul, Armonì e Merib-Bàal e i cinque figli che Meràb figlia di Saul aveva partoriti ad Adrièl il Mecolatita figlio di Barzillài (che non è il Barzillài che abbiamo incontrato prima). Li consegnò ai Gabaoniti che li impiccarono sul monte, davanti al Signore. Tutti e sette perirono insieme. Furono messi a morte nei primi giorni della mietitura, quando si cominciava a mietere l'orzo". Ecco il punto; qui bisognava arrivare. "Allora Rizpà, figlia di Aià (la madre di due di loro, concubina di Saul) prese il mantello di sacco e lo tese, fissandolo alla roccia, e stette là dal principio della mietitura dell'orzo finché dal cielo non cadde su di loro la pioggia (da aprile a ottobre resta lì). Essa non permise agli uccelli del cielo di posarsi su di essi di giorno e alle bestie selvatiche di accostarsi di notte". È madre fin dentro la realtà così spietata della morte e di una morte violenta, straziante; è una dolente fecondità che custodisce la vita fin dentro la morte. Questo è il punto: "finché pioverà dal cielo". "Fu riferito a Davide quello che Rizpà, figlia di Aià, concubina di Saul, aveva fatto". Il problema non sono più i sette che sono stati impalati; il problema è la maternità di Rizpà. E Davide sta registrando come la sua funzione regale è chiamata ad assumere in pieno il proprio valore alla scuola di quella madre: la custodia della vita fin dentro la morte. "Davide andò a prendere le ossa di Saul e quelle di Giònata (Davide ora si occupa dei cadaveri) suo figlio presso i cittadini di Iabès di Gàlaad, i quali le avevano portate via dalla piazza di Beisan, dove i Filistei avevano appeso i cadaveri quando avevano sconfitto Saul sul Gelboe. Egli riportò le ossa di Saul e quelle di Giònata suo figlio; poi si raccolsero anche le ossa di quelli che erano stati impiccati. Le ossa di Saul e di Giònata suo figlio, come anche le ossa degli impiccati furono sepolte nel paese di Beniamino a Zela, nel sepolcro di Kis, padre di Saul; fu fatto quanto il re aveva ordinato. Dopo, Dio si mostrò placato verso il paese". La sepoltura dei cadaveri e il rispetto per la vita. Potremmo dire: "bisognava pensarci prima al rispetto della vita", ma dobbiamo leggere il racconto cogliendo l'intenzione che assume un valore didattico veramente illuminante per Davide e per noi; la regalità di Davide alla scuola di quella madre che è custode della vita fin dentro la morte. Ricordate come si era concluso il racconto nel cap. 20 con quella donna che ha assunto una responsabilità materna dicendo: "tu non puoi aggredire, demolire, distruggere la nostra città". Davide re, a Gerusalemme, obbedisce per quelle che sono le motivazioni profonde della sua attività di governo e tutte le espressioni articolate, strutturate, politicamente gestite del suo governo in quel contesto che sappiamo fallimentare; ma c'è la madre che custodisce la vita. Questo è un messaggio rispetto al quale Davide si comporta come un discepolo.


Davide è amato, ma non è un eroe

Vv. 15-22. La seconda appendice contiene la reminiscenza di alcuni episodi di guerra ed è interessante perché compaiono personaggi che hanno compiuto imprese singolari e tutto sembra costruito appositamente per dimostrare che Davide non è stato un eroe. È stato molto amato, ma tante imprese che vengono attribuite a Davide, in realtà, sono state compiute da qualcun altro; qualcuno dei suoi, come se fosse stato sempre lui il protagonista, ma non è stato così. Anche l'episodio di Golia probabilmente è stato attribuito a Davide, ma in realtà è stato qualcun altro perché Davide non è un eroe. È interessante un brano come questo - su cui non mi soffermo - scritto per demolire la figura eroica del personaggio.


I prodi di Davide

Saltando il cap. 22 e il cap. 23 fino al v. 7 (su cui ci soffermeremo la prossima volta, a giugno), dal v. 8 del cap. 23 fino al v. 39 c'è la quinta appendice. E ancora in questo caso i nomi dei personaggi che costituivano la guardia del corpo di Davide a conferma del fatto che Davide è molto amato, ma non è un guerriero poderoso; non è lui che ha abbattuto Golia (anzi, in certi momenti sono intervenuti altri, non rispettando le regole, perché non facesse una brutta fine. E qui troviamo l'elenco dei nomi dei trenta prodi di Davide (poi diventano 37). Ne sono menzionati tre, fino al v. 12. Interessante quel che leggiamo nei vv. da 13 a 17 a proposito di questi tre devotissimi a Davide che hanno compiuto un'impresa. "Tre dei Trenta scesero al tempo della mietitura e vennero da Davide nella caverna di Adullàm (al tempo in cui c'era ancora la guerra con i Filistei), mentre una schiera di Filistei era accampata nella valle dei Rèfaim. Davide era allora nella fortezza e c'era un appostamento di Filistei a Betlemme (la città di Davide). Davide espresse un desiderio e disse: «Se qualcuno mi desse da bere l'acqua del pozzo che è vicino alla porta di Betlemme!» (la sete di Davide che ha nostalgia dell'acqua di casa). I tre prodi si aprirono un varco attraverso il campo filisteo (riescono a trovare dei varchi, forse di notte, rocambolescamente), attinsero l'acqua dal pozzo di Betlemme, vicino alla porta, la presero e la presentarono a Davide (un mascalzone Davide, ma molto amato certamente); il quale però non ne volle bere, ma la sparse davanti al Signore (apprezza il gesto di costoro), dicendo: «Lungi da me, Signore, il fare tal cosa! E' il sangue di questi uomini, che sono andati là a rischio della loro vita!». Non la volle bere. Questo fecero quei tre prodi". Di seguito, dal v. 18, altre prodezze di questi guerrieri e un lungo elenco di nomi (sono i 37), dal v. 24 al v. 39. I prodi di Davide vengono citati uno per uno perché Davide, da solo, sarebbe stato spazzato via con uno starnuto di Golia; Davide regna non perché è risultato vincitore in tutti i duelli. È un altro il valore che i contemporanei gli hanno riconosciuto; è quel valore che passa attraverso la sapienza di una testimonianza d'amore che è maturata nel dolore più straziante, laddove è fallita la sua paternità. La sua regalità è intrinsecamente fatiscente e contraddittoria. L'ultimo nome dell'elenco (v. 39) è quello di Uria l'Hittita, marito di Betsabea che Davide ha voluto sposare e dalla quale ha avuto un figlio, Salomone. Davide è re alla scuola di quella madre che custodisce la vita, anche la vita di Uria l'Ittita che Davide ha fatto uccidere.


Il censimento del popolo

Cap. 24, vv. 1-9. Sesta appendice, un altro episodio. "La collera del Signore si accese di nuovo contro Israele e incitò Davide contro il popolo in questo modo (un comportamento di Davide che implica la complicità del popolo; è una situazione negativa dove il governante e i governati sono conniventi): «Su, fa il censimento d'Israele e di Giuda»". Fare il censimento è un esercizio di potere che per quanto riguarda il popolo nessuno può permettere; solo il Signore può contare i suoi (Libro dei Numeri). Anche Gesù nasce nel contesto di un censimento che ha una duplice finalità: il gettito fiscale e la leva militare; ma è un atto di potere che spetta solo a Dio. Il peccato di Davide è proprio questo: esercitare il potere per dimostrare di essere lui il protagonista. L'episodio è molto istruttivo per noi perché si rivolge a Ioab dicendogli: "«Percorri tutte le tribù d'Israele, da Dan fino a Bersabea, e fate il censimento del popolo, perché io conosca il numero della popolazione». Ioab rispose al re: «Il Signore tuo Dio moltiplichi il popolo cento volte più di quello che è, e gli occhi del re mio signore possano vederlo! Ma perché il re mio signore desidera questa cosa?». Ma l'ordine del re prevalse su Ioab e sui capi dell'esercito e Ioab e i capi dell'esercito si allontanarono dal re per fare il censimento del popolo d'Israele". Il censimento viene eseguito con estrema meticolosità, rispettando una scadenza temporale. "Passarono il Giordano e cominciarono da Aroer e dalla città che è in mezzo al torrente di Gad e presso Iazer". Si spostarono verso occidente, poi verso nord e sud. V. 9: "Ioab consegnò al re la cifra del censimento del popolo: c'erano in Israele ottocentomila guerrieri che maneggiavano la spada; in Giuda cinquecentomila". Sono cifre assai ingigantite per esaltare la grandezza della posizione di sovrano che Davide è in grado di esercitare dal momento che ha a che fare con sudditi così numerosi tenendo conto anche di coloro che non sono guerrieri. Anche i confini territoriali sono stati allargati.


La peste

Vv. 10-17. Questo è il fatto; adesso la conseguenza, la peste. "Ma dopo che Davide ebbe fatto il censimento del popolo, si sentì battere il cuore (Davide si rende conto. A suo tempo abbiamo conosciuto il fatto di Betsabea e Uria. È un fallimento all'interno dell'esercizio del governo) e disse al Signore: «Ho peccato molto per quanto ho fatto; ma ora, Signore, perdona l'iniquità del tuo servo, poiché io ho commesso una grande stoltezza». Quando Davide si fu alzato il mattino dopo, questa parola del Signore fu rivolta al profeta Gad, il veggente di David: «Va' a riferire a Davide: Dice il Signore: Io ti propongo tre cose: scegline una e quella ti farò»". "Scegli una carestia o una sconfitta militare o la peste" e Davide sceglie la peste. V. 14: "Davide rispose a Gad: «Sono in grande angoscia!»" perché comunque è inevitabile la pena non perché Dio è punitivo, severo, vendicativo, ma perché questa pena è intrinseca al fallimento dell'esercizio del potere. È questo modo di governare che provoca un danno che investe la comunità, il popolo, la storia di una generazione; è un danno pubblico; non è soltanto un peccato di Davide che riguarda lui stesso. C'è una pena conseguenza del peccato. "Ebbene cadiamo nelle mani del Signore, perché la sua misericordia è grande, ma che io non cada nelle mani degli uomini!»". È meglio la peste che significa cadere nelle mani del Signore, nel grembo della sua misericordia. E la calamità imperversa. V. 15: "Così il Signore mandò la peste in Israele, da quella mattina fino al tempo fissato; da Dan a Bersabea morirono settantamila persone del popolo (una cifra simbolica)". Fate un salto perché bisogna inserire qui il v. 17: "Davide, vedendo l'angelo che colpiva il popolo, disse al Signore: «Io ho peccato; io ho agito da iniquo; ma queste pecore che hanno fatto? (Davide assume un atteggiamento pastorale). La tua mano venga contro di me e contro la casa di mio padre!»". Torniamo al v. 16: "E quando l'angelo ebbe stesa la mano su Gerusalemme per distruggerla, il Signore si pentì di quel male". È quello che il Signore andava cercando: la responsabilità di Davide in rapporto al danno patito dalle pecore; ma è un segno pastorale di coerenza e dignità che Davide sta assumendo nel momento in cui confessa di essere peccatore responsabile del danno che è patito dalle pecore, dal popolo, dalla gente. "... il Signore si pentì di quel male e disse all'angelo che distruggeva il popolo: «Basta; ritira ora la mano!».

Ora l'angelo del Signore si trovava presso l'aia di Araunà il Gebuseo". Gerusalemme; lambita dall'epidemia, non viene distrutta; c'è di mezzo l'aia di Araunà che sta sulla collina, a nord della città di Davide dove verrà costruito il tempio.


Davide costruisce un altare su ordine del Signore

Vv. 18-25. V. 18: "Quel giorno Gad venne da Davide e gli disse: «Sali, innalza un altare al Signore sull'aia di Araunà il Gebuseo»". Davide deve acquistare quel terreno e costruirvi un altare che è una predizione rispetto a quello che sarà il tempio costruito da Salomone, suo figlio (ma ancora non ne sappiamo niente).

"Davide salì, secondo la parola di Gad, come il Signore aveva comandato. Araunà guardò e vide il re e i suoi ministri dirigersi verso di lui. Araunà uscì e si prostrò davanti al re con la faccia a terra.

Poi Araunà disse: «Perché il re mio signore viene dal suo servo?». Davide rispose: «Per acquistare da te quest'aia e innalzarvi un altare al Signore, perché il flagello cessi di colpire il popolo»". Questo è il compito del re: un altare al Signore, luogo dove si terranno i sacrifici; è il culto espiatorio. L'altare è l'elemento centrale di quello che sarà poi il tempio, il grande sacramento della presenza del Signore nella relazione con il suo popolo; il sacramento dell'Alleanza confermata nel tempo, di generazione in generazione. C'è di mezzo esattamente un sacramento che rinvia alla presenza santissima del Signore nella storia del suo popolo e dell'umanità.

Il primo Libro di Samuele si è aperto là dove c'era l'Arca Santa spostata poi fino ai confini con la frontiera e torna a Gerusalemme quando Davide diventa re, sotto una tenda (cap. 6 del Secondo Libro di Samuele). Intanto costruisce l'altare: è la presenza santa del Signore che Davide sta riconoscendo attraverso tutto il dramma di questa sua vicenda che è corale, pubblica, del suo popolo, in rapporto all'esercizio del potere nella funzione del sovrano. È la regalità di Davide con le sue grandezze e con le sue miserie irreparabili se non fosse vero che il Santo ha rivelato la sua presenza nella storia umana. Nel prologo del Vangelo secondo Giovanni l'evangelista dice: "Abbiamo visto la gloria di Dio perché il Verbo si è fatto carne e il Verbo è crocefisso e glorificato". È il Logos, il Santo, il Dio Vivente".

La regalità di Davide è illustrata, insieme a tutte le competenze che bisogna pure riconoscergli, non per come ha esercitato il potere, ma per come si è reso testimone della fecondità materna che genera per la vita e per come Davide, nel contesto di questo disastro storico che viene rimediato in qualche modo, è testimone che annuncia la santità del Dio Vivente. Anche il fallimento della sua regalità e del suo apparato istituzionale, del suo modo di governare, di esercitare il potere diviene sacramento della presenza santa di Dio che porta a compimento l'opera della misericordia in attesa del Messia.

Davide contratta con Araunà: "Ma il re rispose ad Araunà: «No, io acquisterò da te queste cose per il loro prezzo e non offrirò al Signore mio Dio olocausti che non mi costino nulla». Davide acquistò l'aia e i buoi per cinquanta sicli d'argento; edificò in quel luogo un altare al Signore e offrì olocausti e sacrifici di comunione. Il Signore si mostrò placato verso il paese e il flagello cessò di colpire il popolo". È la presenza del Santo, il Dio vivente che sta costruendo il suo sacramento nella storia dell'umanità che diventa storia di salvezza. "Abbiamo visto la gloria di Dio". "Sei tu il re?" domanda Pilato a Gesù. "Chi te l'ha detto?" risponde Gesù.

Lectio divina


2018-2019 - Libri di Samuele


  • 07 maggio 2019
    Primo e Secondo Libro di Samuele - sesta parte
    Dio protagonista della storia umana: è Lui l'artefice della stabilità del Regno di Davide