06 dicembre 2016
Primo incontro del ciclo 2016-2017
Riprendiamo la lettura del Libro di Tobia che ci ha impegnato l'anno scorso. Abbiamo letto fino al capitolo 12 e stasera dovremmo arrivare in fondo. È un racconto didattico, una grande parabola; abbiamo conosciuto personaggi che sono figure emblematiche della ricerca sapienziale nella sua forma primaria: imparare a vivere. La ricerca sapienziale riguarda, appunto, il mestiere di vivere; come imparare a vivere e, più esattamente qui, abbiamo a che fare con figure che rappresentano il popolo dei credenti in tempo di diaspora, di esilio; un popolo smarrito, in giro per il mondo, disperso presso i popoli pagani. Il mestiere di vivere e, più specificamente, la presenza del popolo dei credenti in un contesto certamente sfavorevole che, d'altra parte, è il contesto nel quale si svolge la storia dell'umanità nelle sue espressioni più universali. Due personaggi, il vecchio Tobi e la giovane Sara, con tutta la problematica che viene sintetizzata in un unico grande disegno di rivelazione tramite il viaggio di Tobia, figlio di Tobi, che poi sposa Sara. Le due figure raffigurano emblematicamente posizioni di smarrimento, senza più un passato, senza prospettive per il futuro; una testimonianza di povertà espressa in maniera esemplare. Ed ecco il viaggio di Tobia; un viaggio che assume l'efficacia di una rivelazione. È il mistero stesso di Dio che si rivela così, che è all'opera nella storia umana, che accoglie le testimonianze dei derelitti della terra e le ricompone all'interno di un disegno che, ora, nel capitolo dove siamo arrivati, emerge in tutta la sua gratuità e potenza di promozione della vocazione alla vita. Ecco come la vocazione alla vita, attraverso le vicissitudini più amare e le contraddizioni più spietate, viene ricomposta in obbedienza a un ordine determinato dalla misericordia di Dio. Tobia: "Dio, Il Signore è buono".
Alla fine del cap. 12 il compagno, il collaboratore che ha svolto un ruolo determinante accanto a Tobia nel viaggio, si rivela come l'angelo Raffaele che agisce sotto il nome di Azaria e ricorda che non è possibile offrire una ricompensa che corrisponda al dono ricevuto; "piuttosto imparate a benedire e fate della benedizione il vostro modo di affrontare la vita, procedendo in mezzo alle cose di questo mondo nella risposta alla vostra vocazione": la vocazione di ogni persona e di ognuno di noi; la vocazione del popolo dei credenti sulla scena del mondo. La prospettiva che qui viene individuata, con grande slancio e intenso fervore, è riconducibile a questo impegno, a questa nota caratteristica e costitutiva dell'identità del popolo dei credenti nel corso della storia umana; "Coloro che benedicono Dio". Questa benedizione - leggevamo a suo tempo - si sviluppa in due visioni che sono strettamente intrecciate fra di loro, anzi inseparabili in una prospettiva eucaristica. "Benedire Dio" nel senso di esercitarsi nel ringraziamento, una modalità che riguarda proprio il modo di stare al mondo. "Ringraziate Dio dinanzi ai viventi, alle situazioni di questo mondo, dinanzi al mondo" è una prima direttrice, una prima linea di sviluppo di quella benedizione su cui l'angelo insiste. La seconda (che, a suo tempo ho caratterizzato ricorrendo all'aggettivo "memoriale") è una benedizione che si sviluppa alla maniera di una "memoria", di un ricordo che diventa un'intercessione continua, aperta alla relazione con tutte le creature di questo mondo, dinanzi a Dio. Ringraziare Dio dinanzi al mondo e fare memoria del mondo dinanzi a Dio; "benedizione" nel senso del ringraziamento, dell'eucarestia indirizzata al Dio vivente; nel senso di questo impegno continuo e capillare a riconoscere in ogni creatura il dono prezioso che merita di essere ricordato alla presenza di Dio. Benedire Dio è benedire le sue creature in quanto sono costante e puntuale rivelazione di quella provvidenza misericordiosa mediante la quale Dio stesso si rivela ed è quindi di nuovo a lui che viene indirizzata la benedizione in un atto di gratitudine illimitata.
A questo punto l'angelo si ritira. Ed ecco il cap. 13 dove ci siamo fermati nello scorso ciclo.
Ora Tobi obbedisce puntualmente all'incarico che ha ricevuto e proclama il suo cantico. È uno dei grandi cantici dell'Antico Testamento (ricompare due volte nella Liturgia delle Ore nelle quattro settimane del Salterio). Poi daremo uno sguardo al cap. 14 che chiude il racconto. Ci sono alcuni problemi di carattere critico per quel che concerne la sistemazione del testo; noi seguiamo la sistemazione dei versetti così come ci viene proposta. Nelle note qualche osservazione può essere utile per registrare meglio la situazione del testo tenendo conto di quelle due redazioni di cui vi parlavo a suo tempo che sono state recepite come un'eredità che viene dalla traduzione di un testo ebraico in greco e traduzioni che si accompagnano tra loro, ma anche si distinguono; due traduzioni testuali. Noi abbiamo seguito prevalentemente il codice cosiddetto "sinaitico"; nel cap. 13, la mescolanza tra i due codici è più evidente che mai, ma questo ci riguarda in modo molto relativo.
Il cantico si sviluppa in due sezioni; la prima dal v. 2 al v. 9 e il v. 1 che fa da esordio; la seconda sezione dal v. 10 al v. 18. La prima sezione ha le caratteristiche di un canto penitenziale che, però, è proprio intrinsecamente percorso da una tensione eucaristica per cui, in realtà, assume inconfondibilmente la forma di un canto di ringraziamento; anche in un atto di confessione penitenziale emerge inconfondibile la tensione eucaristica, l'urgenza della gratitudine che deve essere proclamata nella relazione con il Dio vivente. La seconda sezione consiste in una contemplazione di Gerusalemme. Sappiamo, dall'inizio della lettura, che Gerusalemme sta sempre sullo sfondo anche se, fisicamente e geograficamente, i personaggi implicati in questa vicenda si allontanano sempre più, ma la meta è sempre più individuata con chiarezza, con una precisione che non ammette possibilità di confusione. Poco importa che i dati di fatto dimostrino come la distanza sia crescente nei dati fisici dell'esperienza umana, ma la meta è sempre più messa a fuoco e contemplata.
Tobi ringrazia ed esulta
Cap. 13, vv. 1-9.
Prima sezione del cantico, v. 1: "Allora Tobi scrisse questa preghiera di esultanza e disse...". Tobi obbedisce all'incarico che ha ricevuto dall'angelo e se scrive è perché il cantico non soltanto esprime immediatamente la sua felicità, ma rimane come strumento che consentirà ad altri di approfittare di quanto Tobi mette a nostra disposizione per rilanciare, con questo linguaggio, l'esperienza di un'esultanza che andrà svolgendosi nel tempo, come se già qui venisse anticipata l'eco di altri che canteranno e manifesteranno la loro gioia. E il termine "esultanza" non ha soltanto una rilevanza di ordine sonoro, ma è un termine che ha a che fare con quella testimonianza di un sentimento di letizia che affiora sul volto di una persona che sorride; esultanza nel senso non solo del suono prodotto da una voce che canta, ma della luce che brilla sul volto di un uomo che sorride. Tobi era cieco; ha recuperato la vista; piangeva nel momento in cui ha rivisto la luce e il suo volto piangente è illuminato come epifania di un sorriso che diventa esso stesso celebrazione del ringraziamento che è necessario offrire al Dio vivente. Dal v. 2 la prima sezione del cantico si sviluppa in tre strofe. La prima coincide con il v. 2:
"Benedetto
Dio che vive in eterno
e il cui regno dura per tutti i
secoli;
poiché egli stesso castiga e usa
misericordia,
fa scendere fino all'abisso più
profondo della terra,
fa risalire dalla Grande Perdizione
e
nulla sfugge alla sua mano".
È la regola generale dell'operare di Dio nella storia umana e Tobi è in grado di ricapitolare tutto ciò attraverso la descrizione di un itinerario redentivo per cui ogni dolore viene ricapitolato nel contesto di una rivelazione d'amore. "Benedetto Dio" è la regola generale che consente a Tobi di descrivere un'economia universale che adesso è in grado di interpretare come attuazione di un disegno che assorbe in sé tutte le disgrazie, le calamità, le tribolazioni, i disastri di cui la storia umana è un accumulo continuo, in obbedienza ad una provvidenza d'amore.
Seconda strofa, dal v. 3 al v. 7. Tobi si rivolge direttamente a quelli di Israele, quelli del suo popolo, il popolo dell'Alleanza: "Dategli lode (questo verbo viene tradotto per lo più con "ringraziare", ma non soltanto; qualche volta con proclamare, manifestare. Qui è "dar lode". E' un verbo che qualche volta viene tradotto con "confessare" - stando alla traduzione in latino di S. Gerolamo - che indica l'atto di coinvolgimento totale, diretto; il mettersi in gioco in un contesto nel quale c'è di mezzo la pesantezza della nostra condizione umana che si esprime, si consegna, si offre; e c'è di mezzo, proprio nel momento in cui il nostro vissuto viene depositato così come esso è nei suoi dati oggettivi, la possibilità di fare di questo gesto di consegna un atto di gratitudine, di ringraziamento, una vera e propria offerta di lode. Questo verbo fa da cornice, nella strofa che leggiamo, perché ricompare tale e quale nel v. 7, dove leggo "ringraziatelo con tutta la voce". Quella che è dunque la posizione che adesso viene assegnata da Tobi, come caratteristica di un'identità inconfondibile nella storia umana, al popolo di Israele, al popolo dell'Alleanza che di fatto è alle prese con l'esperienza comunque drammatica e più che mai sofferta della diaspora, in esilio, alle prese con situazioni impervie e drammatiche) davanti alle genti;", dinanzi alla moltitudine dei popoli, nel mondo dei pagani) perché "Egli vi ha disperso in mezzo ad esse
e vi ha dimostrato la sua grandezza
Esaltatelo davanti ad ogni vivente;
(perché) è lui il Signore, il nostro Dio,
lui il nostro Padre, il Dio per tutti i secoli".
Parlare di esilio, diaspora, frantumazione per cui il popolo dell'Alleanza vive in contatto con il mondo dei pagani significa rievocare un fallimento storico che ha un'evidenza macroscopica pubblica. Il popolo che è alle prese con i dati empirici che dimostrano questa responsabilità di un fallimento storico è incaricato di svolgere questa funzione pubblica di testimonianza eucaristica: "ringraziate Dio, dategli lode, celebrate sempre e dappertutto, sulla scena del mondo, in mezzo ai popoli dove siete dispersi, la sua signoria e addirittura, la sua paternità. V. 4: "Esaltatelo davanti ad ogni vivente;
è lui il Signore, il nostro Dio,
lui il nostro Padre, il Dio per tutti i secoli": la celebrazione della paternità di Dio. Un'espressione che non è affatto casuale e non è minimamente trascurabile.
"Vi castiga per le vostre ingiustizie (non c'è alcuna incertezza: se le cose vanno in questo modo è perché il popolo dell'Alleanza è responsabile di un tradimento), ma userà misericordia a tutti voi.
Vi raduna da tutte le genti,
fra le quali siete stati dispersi". Quel che capita al popolo dell'Alleanza, quel che riguarda Israele, che è alle prese con le conseguenze del proprio fallimento storico, diventa un evangelo, l'annuncio di una novità, un segnale che vale come un criterio interpretativo della storia universale dinanzi al mondo, alle genti, ai pagani perché "li castiga, ma userà misericordia". E il fatto che il popolo dell'Alleanza sia alle prese con le conseguenze del proprio disastro storico non cancella la sua missione sulla scena del mondo nel corso della storia umana; anzi, è proprio attraverso questa catastrofe che appare così evidente nel corso di una vicenda che porta in sé le conseguenze di una vocazione tradita. È una storia che diventa rivelazione di una scelta d'amore confermata, di una volontà d'amore che è fedele alla sua Parola. Questo essere "peccatori confessi" che rendono testimonianza alla gratuità della misericordia di Dio diventa la maniera più efficace per evangelizzare dinanzi alle genti la paternità di Dio.
V. 6: "Quando vi sarete convertiti a lui con tutto il cuore e con tutta l'anima,
per operare la giustizia davanti a Lui,
allora Egli si volgerà a voi
e non vi nasconderà più il suo volto.
Ora contemplate ciò che ha operato con voi
e ringraziatelo con tutta la voce;
benedite il Signore della giustizia
ed esaltate il re dei secoli". Tobi interpreta questa dispersione di Israele in mezzo alle genti, questo tempo di esilio, questa esperienza drammatica del fallimento, come l'occasione propizia per affrontare l'itinerario di conversione che testimonierà al mondo il volto del Dio vivente, la paternità di Dio e la sua attenzione premurosa (in questo sta la giustizia del Signore) per tutte le creature derelitte, sconfitte e fallite che sono esuli rispetto alla propria vocazione alla vita.
Nella terza strofa, vv. 8-9, Tobi si dichiara in prima persona singolare: " Io gli do lode nel paese del mio esilio (assume personalmente una responsabilità - in rapporto a tutti quelli che abitano in quella regione, in quel territorio, in quel pezzo di mondo, in quella città, in quell'impero - nei confronti del suo popolo) e manifesto la sua forza e grandezza a un popolo di peccatori (il popolo dei peccatori è Israele di cui fa parte e Tobi assume un impegno diretto, personalissimo). Convertitevi, o peccatori, e operate la giustizia davanti a lui;
chi sa che non torni ad amarvi e vi usi misericordia?
Io esalto il mio Dio e celebro il re del cielo
ed esulto per la sua grandezza".
Finisce qui la prima sezione del cantico. Condividere l'esilio con un popolo di peccatori per Tobi non è più una disgrazia, ma un'occasione propizia per assumere in pieno la responsabilità di una testimonianza che celebra la forza e la grandezza, la novità assoluta, la gratuità perfetta dell'iniziativa di Dio che è fedele alle sue promesse. Notate, nel v. 8, quella formula interrogativa: "chi sa che non torni ad amarvi e vi usi misericordia?". Ẻ una formula che ritorna anche in altri testi dell'Antico Testamento; per esempio nel Libro di Giona, il profeta. Ricordate a proposito del re di Ninive: "Chissà che Dio non cambi, che non sia diverso da come ce lo siamo immaginato noi?". Ẻ la fondamentale domanda religiosa: "chissà che Dio non sia diverso da me; chissà che Dio sia qualcun altro rispetto a quella proiezione di me stesso per cui io ingigantisco le mie negatività e faccio di Dio un idolo a mia immagine. E se Dio fosse diverso? Se Dio non fosse come me? E se Dio fosse veramente buono? Chissà! E se Dio fosse Dio... Questo per Tobi è il motivo ormai per cui già è in grado di offrire una risposta che vale per lui, ma anche per il popolo dei peccatori a cui appartiene; il popolo dei peccatori ai quali è in grado di offrire una testimonianza finalmente credibile, autentica e documentata laddove il peccato comunque imperversa a modo suo e l'idolatria stringe le vicende di questo mondo dentro orizzonti cupi ed infernali. C'è un documento nuovo, depositato negli snodi della vicenda umana a cui partecipano tutte le creature; c'è una novità: un peccatore che condivide la sorte di un popolo di peccatori ed esalta e celebra la gratuita iniziativa di Dio che è fedele alla sua volontà d'amore. "Esulto per la sua grandezza"; una grande festa. La misericordia di Dio fa brillare di gioia le lacrime di chi aveva perso la vista.
Questa è la prima sezione del cantico, un cantico penitenziale, ma ci rendiamo conto di come è la stessa confessione di peccato che si trasforma dall'interno in confessione di lode, di gratitudine, in una vera e propria eucarestia che celebra il mistero di Dio per come si rivela con inconfondibile potenza e con delicatissima grandezza nelle cose di questo mondo e nella storia dell'umanità. La sua forza e la sua grandezza; una forza intrattenibile e, d'altra parte, una delicatezza estremamente raffinata, attenta a tutti i risvolti, i particolari, le componenti di un quadro sempre complesso e, comunque, disastrato. "Io esalto il mio Dio, faccio festa, celebro il Re del Cielo ed esulto per la sua grandezza". Sorride Tobi, il vecchio cieco.
Contemplazione di Gerusalemme
Seconda sezione, dal v. 10 al v.18. Il cantico si trasforma in una contemplazione di Gerusalemme, una meta geografica che ha una sua configurazione nella storia; nello spazio, ma anche nel tempo. Ma qui è proprio la meta della storia umana; in questo suo modo di contemplare Gerusalemme, Tobi è in grado di passare in rassegna tutto quello che nella storia umana sta avvenendo, deve avvenire e avverrà perché ormai è precisata la meta del viaggio sulla scena del mondo, la meta di una vicenda che passa attraverso le generazioni fino a date che Dio solo conosce. Guardare verso Gerusalemme per Tobi diventa, ancora una volta, esercizio di quella memoria che intercede, raccogliendo l'immagine di tutte le creature di questo mondo che sono in cammino, che sono presenti e dislocate lungo le strade che si diramano nello spazio e strade che conducono ad affacci su scenografie storiche sempre più imprevedibili. Tutta la storia umana si svolge secondo criteri che Tobi non può certo programmare a modo suo; guardare verso Gerusalemme per Tobi significa essere in grado di fare memoria di tutto e di tutti. Intercedere è quella connotazione memoriale di benedizione di cui vi parlavo poco fa, rifacendomi al cap. 12: ringraziare Dio davanti al mondo e fare memoria di tutto nel mondo e nella storia umana dinanzi a Dio.
Il cantico si sviluppa in tre strofe. Contempliamo anche noi Gerusalemme insieme con Tobi.
Gerusalemme madre universale
Prima strofa, vv. 10-12: " Tutti ne parlino
e diano lode a lui in Gerusalemme (verso Gerusalemme. Che cosa vuol dire orientarsi verso Gerusalemme? L'invito ha come destinatari tutti. È una scena ecumenica quella che si dispiega sotto i nostri occhi così come Tobi, in qualità di deportato in qualche periferia del mondo, si presenta a noi divenuto ora spettatore di questa scenografia universale). Gerusalemme, città santa,
ti ha castigata per le opere dei tuoi figli,
ma di nuovo userà misericordia per i figli dei giusti". È in gioco la maternità di Gerusalemme, città santa, segno sacramentale che Dio stesso ha collocato nel contesto della storia umana, attribuendo a questo segno sacramentale il valore di una fecondità materna. Gerusalemme è madre di figli; figli perduti? Figli che ritornano a lei nel contesto di una ricomposizione della famiglia umana. Quel che vale per Israele, in quella prospettiva di conversione a cui accennavo nei versetti precedenti, diventa un sacramento rivelativo di quella maternità di Gerusalemme che ha una fecondità universale. A questo riguardo, nel Salterio, i cosiddetti canti di Sion già sono estremamente precisi e ci aiutano a renderci conto della straordinaria ricchezza teologica di questa visione della città; la città santa, Gerusalemme, sacramento non riducibile a quelle sue misure di ordine civile, politico, amministrativo, istituzionale. È Gerusalemme madre, madre di popoli, madre dei popoli stranieri. È il popolo di Dio che, nel corso della sua storia, va scoprendo come quella figliolanza, che di per sé è motivo di lamento per Gerusalemme, si sta man mano ricomponendo come scoperta di fraternità universale. Val sempre la pena tornare al Salmo 87: Gerusalemme ricorda i nomi di tutti i popoli della terra che sono a casa loro, collocati nel grembo di Gerusalemme come componenti di un'unica famiglia. Il popolo disperso guarda verso Gerusalemme e sta scoprendo di essere alle prese con una madre che porge figli e fratelli. "Mia madre non è esattamente colei che mi ha generato"; questo è un dato empirico inconfutabile. Ma lo sguardo puntato verso Gerusalemme è in grado di contemplare una maternità piena, definitiva, dotata di una fecondità che non è più condizionata, limitata, contestata dall'evidenza dei fallimenti fino alla morte perché "mia madre è il grembo che genera dei fratelli per me". E andare verso Gerusalemme significa inserirsi in questo disegno che, nella storia umana, si sta componendo come riconciliazione di una famiglia universale, una famiglia ecumenica. Stiamo leggendo anche alcuni oracoli, in questo tempo di Avvento, che usano il medesimo linguaggio: siamo partiti da Isaia, cap. 2 nella prima domenica di Avvento: i popoli che salgono verso Gerusalemme in un pellegrinaggio universale. È una maternità che sta davanti a noi, una maternità attrattiva più di una presenza che sta alle nostre spalle, nel passato; una prospettiva escatologica, ultima, definitiva che ricapitola e contiene tutto lo svolgimento della storia umana all'interno di un unico grembo che sta partorendo una famiglia. Il travaglio patito dal grembo che perde il Figlio, in realtà è il travaglio della madre che sta generando una moltitudine di figli. Quel dolore è il dolore fecondo della madre che sta generando che poi è il Mistero della Madonna Addolorata. È addolorata perché sta perdendo il Figlio, ma quel morire del Figlio è l'attuazione, in quella madre, di una fecondità universale per tutti gli uomini che muoiono e che ormai sono coinvolti in quella novità di cui è protagonista il Figlio vittorioso sulla morte. Sta partorendo il Figlio che vince, che è glorioso, che resuscita: è il dolore della storia umana che è tutto ormai ridotto alle misure proprie di un travaglio da cui è generata la famiglia umana.
"Gerusalemme, città santa,
ti ha castigata per le opere dei tuoi figli,
ma di nuovo userà misericordia per i figli dei giusti
Dà lode degnamente al Signore
e benedici il re dei secoli;
egli ricostruirà in te il suo tempio con gioia (è la presenza santa del Dio vivente. Tobi sta incoraggiando quella madre dolente a essere madre nell'allegrezza. È quella scena che viene rappresentata ogni anno in certi luoghi, qui in Calabria: l'affrontata. È la madre del dolore che è madre nell'allegrezza. E' madre portatrice di un travaglio che corrisponde a una fecondità universale per la vita dell'umanità redenta che appartiene a quel Figlio, che è in comunione con quel Figlio, che è ormai ricapitolata in obbedienza alla sua vittoria sulla morte), per allietare in te tutti i deportati (è la maternità contemplata da Tobi in rapporto a quella presenza santa del Dio vivente; ecco l'afflusso di tutta l'umanità derelitta per partecipare ad un'unica festa), per far contenti in te tutti gli sventurati,
per tutte le generazioni dei secoli".
Gerusalemme luce del mondo
Seconda strofa, dal v. 13 a metà del v. 16: "Come luce splendida (la prima strofa, la "maternità"; la seconda strofa, la "luminosità" di Gerusalemme) brillerai sino ai confini della terra (luminosità nel senso di un segnale che manifesta la meta di un pellegrinaggio universale. Il valore di Gerusalemme madre, come è stata contemplata in quella visione istantanea, è come il momento in cui in quel rito sacramentale il manto nero della Madonna Addolorata cade; è un colpo al cuore, un sussulto, un'emozione intensa, potente, è una folla che corre. Nella seconda strofa Tobi osserva meglio la scena perché quella maternità viene contemplata da lui come un punto di luce in rapporto al quale si sta orientando lo svolgimento della storia umana); nazioni numerose verranno a te da lontano;
gli abitanti di tutti i confini della terra
verranno verso la dimora del tuo santo nome,
portando in mano i doni per il re del cielo". La storia dell'uomo si viene svolgendo in virtù di questa convergenza degli itinerari del vissuto umano dove tutto quello che è avvenuto, sta avvenendo e ancora avverrà diventa un dono che finalmente può essere offerto. Tutto diventa dono da offrire: il lavoro, la fatica che esso comporta, le culture, le relazioni, le dinamiche interiori; il vissuto, con tutto il carico di scorie che man mano si è accumulato, viene disperso, filtrato, illuminato in maniera tale che questo percorso così faticoso, farraginoso, complesso, finisce per esprimere le tante evoluzioni sorprendenti e, qualche volta, compromettenti, questo inesauribile subbuglio che caratterizza la sequenza delle generazioni e dell'attività umana, delle costruzioni e delle distruzioni. Ecco come finalmente questa storia, attraverso la presenza della creatura umana, degli uomini con la loro fatica e genialità (e anche con i momenti di corruzione che compromettono apparentemente ogni cosa) viene recuperata, restaurata, rilanciata portando in mano i doni per il Re del Cielo. E' la storia che giunge alla meta; e tutti gli spazi del cosmo, tutti i momenti che misurano le vicende degli uomini, tutto concorre a questa offerta, perché c'è il punto di luce: Gerusalemme che, in quel suo essere luce, ci consente di interpretare il valore di quel che sta avvenendo nella storia umana; di come, in questo accumulo di vicende, con tutte le incertezze di cui siamo più che mai consapevoli, gli aspetti visibili della presenza umana sulla scena del mondo e anche quelli invisibili - ci sono in gioco anche i pensieri, gli affetti, i movimenti dell'anima - questa presenza, dicevo, diventi una processione nella quale si preparano i doni da offrire. " verranno a te da lontano;
gli abitanti di tutti i confini della terra
verranno verso la dimora del tuo santo nome,
portando in mano i doni per il re del cielo.
Generazioni e generazioni esprimeranno in te l'esultanza
e il nome della città eletta durerà nei secoli.
Maledetti coloro che ti malediranno (la luminosità di Gerusalemme dà l'orientamento per coloro che sono alle prese con la fatica del cammino, la fatica della storia, della nostra storia, della nostra generazione, del nostro momento. E, d'altra parte, è l'espressione più che mai visibile e significativa di tutto ciò che l'attività umana sta realizzando, alla quale stiamo partecipando e nella quale ci stiamo arrabattando. E questa maledizione è esattamente l'effetto di un discernimento che chiarisce qual è l'alternativa determinante nella prospettiva della "luce". I maledetti sono i disperati.), maledetti saranno quanti ti distruggono (coloro che vogliono cancellare Gerusalemme),
demoliscono le tue mura,
rovinano le tue torri
e incendiano le tue abitazioni! (coloro che vogliono spegnere la luce, renderla invisibile, irriconoscibile. Ma questo significa rimuovere il senso della fatica che stiamo dedicando anche noi per partecipare alla storia del nostro tempo. Maledetti coloro che vogliono distruggere la speranza che viene da Gerusalemme. Essa stessa è luce, uno specchio nel nostro vissuto umano che già accoglie in sé i segnali provenienti da quella luce. Ed è la speranza che dall'interno sostiene la fatica del cammino. Maledetti coloro che vogliono chiuderci dentro l'orizzonte della nostra disperazione in una storia senza senso).
Ma benedetti sempre quelli che ti ricostruiranno (dove ricostruire Gerusalemme non vuol dire semplicemente partecipare a un'impresa che mette in movimento architetti e ingegneri, ma significa ridare fiato alla speranza, custodire quel riflesso di luce che nell'animo umano è specchio di Gerusalemme). Sorgi ed esulta per i figli dei giusti,
tutti presso di te si raduneranno
e benediranno il Signore dei secoli.
Beati coloro che ti amano
beati coloro che gioiscono per la tua pace". In quel segnale luminoso che Tobi contempla, senza stabilire date e distanza, c'è di mezzo tutto, ci siamo di mezzo tutti, nel visibile e nell'invisibile della storia umana. E quel segnale di luce diventa un saluto, un modo di salutare il mondo, un modo di annunciare "shalom" a tutti coloro che sono in viaggio nello spazio e a tutti coloro che sono collocati, nel corso della storia umana, secondo le particolari misure del loro tempo.
"...beati coloro che gioiscono per la tua pace"; ricordate il Salmo 122. L'abbiamo letto e riletto in questo primo periodo d'Avvento: "E ora i nostri piedi si fermano
alle tue porte, Gerusalemme!
Per i miei fratelli e i miei amici
io dirò: "Su di te sia pace!". "Pace per quelli che ti amano, per quelli che si avvicinano a te, pace per quelli che sono in viaggio verso te, pace perché in te è il segno dell'ospitalità universale". E questo è il Salmo con cui prega Gesù quando arriva a Gerusalemme: "Se avessi compreso anche tu il saluto di pace che oggi ti viene rivolto" (Lc. cap. 19).
"Beati tutti gli uomini che avranno fatto lutto per te
a causa di tutti i flagelli che ti hanno colpito
perché gioiranno per te e vedranno tutta la tua gioia per sempre".
Questa beatitudine interpreta il passaggio dalla condivisione del lutto alla condivisione della gioia. Lo leggiamo anche in Isaia, cap. 66. Ed è la beatitudine che accompagna la conversione dell'animo quando si manifesta quella novità per cui esso si apre alla gratuità dell'amore. È il tempo della storia umana. Quanto dura questa storia, quanto ancora avremo da aspettare? Intanto, vedete, "beati gli uomini che avranno fatto lutto per te" e che in rapporto a Te finalmente si renderanno conto di come la pena dell'esistenza dell'uomo è impregnata di questa corrente d'amore che adesso sta raccogliendo anche le componenti più meschine di questa nostra unica, grande, immensa vicenda, in vista di quell'apprezzamento per cui ogni esistenza, ogni sospiro, ogni gemito, ogni momento anche apparentemente meschino e insignificante viene ricapitolato là dove, nella pace, alla luce che splende e non tramonta più, tutto viene valorizzato come un dono, una risposta d'amore al dono d'amore che ci è stato elargito. Questo modo di vedere la storia umana dove sembra che tutto si disperda, vada a rotoli, si consumi con le generazioni che passano, il lutto per i morti che succedono, l'esistenza stessa ridotta in polvere e cenere, tutta questa fatica di vivere è interpretata ormai come risposta d'amore al dono d'amore che ci è stato rivelato. Ed ecco la beatitudine di coloro che si stanno logorando, nella povertà di creature derelitte man mano che sono in viaggio. Ed ecco la "pace" e la scoperta di come questa nostra miseria che si sta consumando può essere offerta. Possiamo offrirci, affidarci, consegnarci, fare di questo nostro vissuto che si sta disperdendo nelle vicende di una storia che ci travolge, un dono che trova la sua collocazione nell'inesauribile abbraccio d'amore mediante il quale Dio si è rivelato a noi.
Gerusalemme sacramento di bellezza
Dalla fine del v. 16 al v. 18: " Anima mia, benedici il Signore, il gran re,
Gerusalemme sarà ricostruita (Tobi contempla Gerusalemme ricostruita in quella prospettiva che abbiamo potuto già cogliere precedentemente. Non sono i dati architettonici che emergono in prima evidenza, ma è l'epifania della bellezza che viene segnalata: Gerusalemme e la bellezza di cui è segno inconfondibile; un sacramento di bellezza) come città della sua residenza per sempre.
Beato sarò io, se rimarrà un resto della mia discendenza
per vedere la tua gloria e dar lode al re del cielo". "Vedere la tua gloria, la bellezza di Gerusalemme"; è la dimora del "gran re", ma là dove il "gran re", il Dio vivente trova dimora, si presenta a noi e si insedia vittorioso e glorioso ci è offerta una manifestazione di bellezza che ci avvolge, ci conquista, ci attrae. È quello che Tobi ha già annunciato nelle strofe precedenti, ma che ora viene totalmente, integralmente ricapitolato in questo sguardo veramente contemplativo; la bellezza di Gerusalemme che ci avvolge in maniera tale per cui siamo introdotti in un disegno di comunione universale e di fraternità ecumenica. I popoli, tutte le creature umane, tutto il cosmo vengono resi obbedienti a questo unico, immenso abbraccio che conferma la nostra originaria vocazione alla vita che trova dimora là dove il Dio vivente ha trovato dimora presso di noi; e noi presso di lui. È un'immagine (siamo nei giorni della novena all'Immacolata) che viene ripresa e valorizzata nella tradizione del popolo cristiano che contempla la Madre del Signore.
Non dimenticate mai che il primo fondatore di città fu Caino dopo aver ucciso il fratello (espressione ricorrente nell'Antico Testamento per indicare la città di Caino che può assumere nomi diversi nel corso delle vicende della storia della salvezza), città che assume un aspetto mostruoso che mangia, divora, inghiotte; la città che vuole imporsi come emblema della forza umana che domina il mondo e che, nello stesso tempo, prescinde dalla relazione fraterna, anzi la esclude.
La bellezza di Gerusalemme ci affascina come rivelazione di una modalità di stare al mondo, nello spazio e nel tempo, che è abilitata alla ricomposizione della fraternità, un modo di stare al mondo.
Beato sarò io, se rimarrà un resto della mia discendenza
per vedere la tua gloria e dar lode al re del cielo
Le porte di Gerusalemme
saranno ricostruite di zaffiro e di smeraldo
e tutte le sue mura di pietre preziose.
Le torri di Gerusalemme si costruiranno con l'oro
e i loro baluardi con oro finissimo.
Le strade di Gerusalemme saranno lastricate
con turchese e pietra di Ofir".
È una città murata, ma le porte sono aperte; le mura non sono più strumento di distinzione per difendere e aggredire, ma sono trasparenti. Questa bellezza di Gerusalemme ce la descrive come il luogo dell'accoglienza, della condivisione, del riconoscimento fraterno; la bellezza di Gerusalemme non è riconducibile a criteri di ordine estetico, ma a questa rivelazione gloriosa di come la nostra storia umana è mossa dall'interno in virtù di questa rivelazione che ci attrae. E noi ci stiamo collocando all'interno di questo abbraccio dove tutto si ricompone come il mondo reso abitazione domestica per l'unica famiglia umana. Tobi considera questa rivelazione non come un messaggio che mi aiuta a capire qualche cosa. Anche questo, ma è secondario; questa rivelazione è una manifestazione di bellezza. "Le porte di Gerusalemme risuoneranno di canti di
esultanza, e in tutte le sue case canteranno: «Alleluia!". Uno spettacolo splendido che Tobi contempla in anticipo. Dice: "non io ma uno dei miei discendenti", ma è come se potesse già contemplare, partecipare al coro di coloro che canteranno "alleluia" percorrendo quelle strade, attraversando quelle porte; e in questa partecipazione Gerusalemme ha un'architettura del tutto caratteristica, l'architettura dell'accoglienza. Tra l'altro, ricordate che "alleluia" è nel cap. 19 dell'Apocalisse: "Ecco la Gerusalemme che scende dall'alto, la sposa dell'Agnello; beati coloro che sono invitati al banchetto delle nozze dell'Agnello" (Ap. 19). In tutto il Nuovo Testamento non risuona mai l'alleluia fino alla fine dell'Apocalisse; "Gerusalemme, adornata come la sposa per il suo sposo". È la storia umana che è riconosciuta nella bellezza della creatura che corrisponde al Creatore; e in quella creatura è ricapitolato tutto nel tempo e nello spazio: tutto il passato, le componenti visibili e invisibili, tutte le creature.
Tobi conclude il suo cantico: "Benedetto il Dio d'Israele
e benedetti coloro che benedicono il suo santo nome
per sempre e nei secoli!".
Ecco il cantico di Tobi (o di Tobia come dice il linguaggio della Chiesa nell'uso di questo testo per la sua preghiera liturgica) nelle sue due sezioni: la benedizione come ringraziamento a Dio davanti alle creature di questo mondo e la benedizione come capacità di guardare e benedire tutte le realtà di questo mondo nel tempo e nello spazio alla presenza del Dio vivente.
Conclusione del racconto: il cantico di Tobi continua
Cap. 14. Si conclude il racconto, la grande parabola con queste notizie: "Tobi morì in pace all'età di centododici anni e fu sepolto con onore a Ninive. Egli aveva sessantadue anni quando divenne cieco; dopo la sua guarigione visse nella felicità, praticò l'elemosina e continuò sempre a benedire Dio e a celebrare la sua grandezza". Il cantico di Tobi continua; finisce Tobi che muore a centododici anni, ma c'è un modo di morire che si prolunga attraverso l'eredità del cantico, di questo modo di benedire Dio e di celebrare la sua grandezza. Dal v. 3 al v. 11 veniamo a sapere che Tobi fa testamento: Aveva già fatto un testamento nel cap. 4; ora ne fa un altro. "Quando stava per morire, fece venire il figlio Tobia e gli diede queste istruzioni: «Figlio, porta via i tuoi figli e rifugiati in Media, perché io credo alla parola di Dio, che Nahum ha pronunziato su Ninive. Tutto dovrà accadere, tutto si realizzerà sull'Assiria e su Ninive, come hanno predetto i profeti d'Israele, che Dio ha inviati; non una delle loro parole cadrà. Ogni cosa capiterà a suo tempo. Vi sarà maggior sicurezza in Media che in Assiria o in Babilonia. Perché io so e credo che quanto Dio ha detto si compirà e avverrà e non cadrà una sola parola delle profezie»". Tobi muore, ma lascia un'eredità e la sua morte viene descritta alla maniera di una prospettiva che illumina lo svolgimento degli eventi futuri e parla a suo figlio Tobia dell'inevitabile sorte dell'Assiria e di Ninive; poi si aggiunge anche Babilonia, si passa attraverso i secoli da un impero all'altro con una certa disinvoltura, ma questo non ci spaventa affatto. C'è di mezzo la parola dei profeti: Nahum che annunziava la distruzione di Ninive e altri profeti nel contesto in cui la storia fatta dagli uomini va incontro a una decadenza progressiva, ripetitiva con diverse manifestazioni, ma in questo contesto una progressiva emarginazione dei credenti verso oriente. "Vattene da Ninive, verso la Media, allontanati". E gli eventi di cui Tobi parla con suo figlio si compiono comunque in obbedienza alla parola del Signore; attraverso i profeti ci ha dato il criterio valido per interpretare questi avvenimenti con tutti i drammi che comporteranno. "«Vi sarà maggior sicurezza in Media che in Assiria o in Babilonia. Perché io so e credo che quanto Dio ha detto si compirà e avverrà e non cadrà una sola parola delle profezie. I nostri fratelli che abitano il paese d'Israele saranno tutti dispersi e deportati lontano dal loro bel paese e tutto il paese d'Israele sarà ridotto a un deserto. Anche Samaria e Gerusalemme diventeranno un deserto e il tempio di Dio sarà nell'afflizione e resterà bruciato fino ad un certo tempo»". In questa deportazione c'è un disegno provvidenziale, redentivo: è il mistero di Dio che si rivela, è la sua presenza viva, la sua iniziativa fedele, la sua volontà d'amore che si manifesta proprio attraverso questa catastrofe che sconvolge la storia del popolo dell'Alleanza che è un popolo di peccatori, come già sappiamo. E questo è il criterio interpretativo di tutto quello che avviene, è avvenuto, avverrà nel corso della storia universale.
V. 5: "Poi di nuovo Dio avrà pietà di loro (il passaggio attraverso l'esilio è un passaggio che ha l'efficacia di un travaglio redentivo; è un itinerario di conversione, quella conversione di cui c'è bisogno più che mai perché finalmente l'intenzione d'amore del Dio vivente trovi il riscontro di cui andava in cerca e che gli è stato rifiutato. E, finalmente, proprio coloro che ritorneranno dall'esilio saranno in grado di interpretare questo sviluppo pieno e definitivo della storia umana verso l'incontro con il Dio vivente. Si va per tappe e qui c'è un primo ritorno con una temporanea ricostruzione del tempio). Essi ricostruiranno il tempio, ma non uguale al primo, finché sarà completo il computo dei tempi (un ritorno temporaneo). Dopo, torneranno tutti dall'esilio e ricostruiranno Gerusalemme nella sua magnificenza e il tempio di Dio sarà ricostruito, come hanno preannunziato i profeti di Israele. Tutte le genti che si trovano (questo secondo ritorno che comporta, spiega Tobi, la ricostruzione definitiva del tempio avverrà con la concomitanza della conversione dei pagani) su tutta la terra si convertiranno e temeranno Dio nella verità". "Si volgeranno verso Gerusalemme". Non si tratta esattamente di un pellegrinaggio, ma un convertirsi, orientarsi verso Gerusalemme. "Tutti abbandoneranno i loro idoli che li hanno fatti errare nella menzogna, e benediranno il Dio dei secoli nella giustizia". "Anche i pagani benediranno Dio". Il disegno è veramente ecumenico.
V. 7: "Tutti gli Israeliti che saranno scampati in quei giorni e si ricorderanno di Dio con sincerità, si raduneranno e verranno a Gerusalemme e per sempre abiteranno tranquilli il paese di Abramo, che sarà dato in loro possesso. Coloro che amano Dio nella verità gioiranno; coloro invece che commettono il peccato e l'ingiustizia spariranno da tutta la terra". Si compiono le promesse che furono rivolte anticamente, all'inizio della storia della salvezza, ad Abramo; il compimento delle promesse, in virtù del nuovo insediamento di Israele nella terra che fu anticamente promessa ad Abramo, coincide con il discernimento del cuore umano che è liberato, purificato; e questo nuovo impianto dell'animo umano, questa ristrutturazione dell'intimo umano, questa conversione del cuore umano è il fondamento della comunione che costituisce adesso il criterio identificativo di una famiglia universale, la famiglia dei popoli. "Coloro che amano Dio nella verità gioiranno". Il ritorno alla terra, la ricostruzione di Israele fa tutt'uno con la conversione dei popoli laddove il dato che Tobi mostra con molta lucidità teologica è il dato essenziale e determinante: la conversione del cuore umano per cui la comunione che raccoglie la moltitudine dei popoli in un'unica famiglia è il patrimonio che Tobi lascia in eredità a Tobia: Ed è un patrimonio che non è documentabile nel senso dei beni accumulati, ma è il patrimonio della speranza; una speranza forte, ineccepibile, incontestabile, vittoriosa, efficace.
V. 8, le ultime raccomandazioni: "Ora, figli, vi comando: servite Dio nella verità e fate ciò che a lui piace. Anche ai vostri figli insegnate (un'eredità che dovete trasmettere anche voi ai vostri figli) l'obbligo di fare la giustizia e l'elemosina, di ricordarsi di Dio, di benedire il suo nome sempre, nella verità e con tutte le forze. Tu dunque, figlio, parti da Ninive, non restare più qui. Dopo aver sepolto tua madre presso di me, quel giorno stesso non devi più restare entro i confini di Ninive. Vedo infatti trionfare in essa molta ingiustizia e grande perfidia e neppure se ne vergognano. Vedi, figlio, quanto ha fatto Nadab al padre adottivo Achikar. Non è stato egli costretto a scendere vivente sotto terra? Ma Dio ha rigettato l'infamia in faccia al colpevole: Achikar ritornò alla luce mentre invece Nadab entrò nelle tenebre eterne, perché aveva cercato di far morire Achikar. Per aver praticato l'elemosina, Achikar sfuggì al laccio mortale che gli aveva teso Nadab, Nadab invece cadde in quel laccio, che lo fece perire. Così, figli miei, vedete dove conduce l'elemosina e dove conduce l'iniquità: essa conduce alla morte. Ma ecco, mi sfugge il respiro!». Essi lo distesero sul letto; morì e fu sepolto con onore". L'iniquità conduce alla morte; intanto lui muore. È un modo di morire che è coerente con quel modo di vivere che è il modo di consumarsi nella speranza, di immergersi nell'abbraccio della misericordia di Dio. È il nome del nostro personaggio, Tobi: "il Signore è buono". E tutto rivela l'operare di Dio.
"Quando morì la madre, Tobia la seppellì vicino al padre, poi partì per la Media con la moglie e i figli. Abitò in Ecbàtana, presso Raguele suo suocero. Curò con onore i suoceri nella loro vecchiaia e li seppellì a Ecbàtana in Media. Tobia ereditò il patrimonio di Raguele come ereditò quello del padre Tobi. Morì da tutti stimato all'età di centodiciassette anni. Prima di morire sentì parlare della rovina di Ninive e vide i prigionieri che venivano deportati in Media per opera di Achiacar re della Media. Benedisse allora Dio per quanto aveva fatto nei confronti degli abitanti di Ninive e dell'Assiria. Prima di morire poté dunque gioire della sorte di Ninive e benedisse il Signore Dio nei secoli dei secoli". Gli avvenimenti si svolgono esattamente come Tobi aveva annunciato. Non c'è da rilevare semplicemente il compiacimento (anche gli Assiri vanno in esilio); è la regola che, ancora una volta, trova l'incontro. Quello che è capitato a Israele è da offrire alla moltitudine dei popoli umani come una testimonianza circa la strada che si apre. La strada della deportazione si apre per Israele, ma anche per gli Assiri. Se gli Assiri vanno in esilio è perché capita anche a loro quel che è capitato a Israele. E non c'è da gioire: "abbiamo distrutto Ninive".
È questa la prospettiva redentiva di cui Dio stesso è protagonista; e Israele è il segno rappresentativo di questa novità per cui nel protagonismo di Dio la storia umana, la storia di una tragica sconfitta, è diventata storia di una gratuita conversione alla vita, un ritorno alla pienezza della vita, di relazioni, di comunione. E allora la gioia di Tobia: "È proprio vero, è un'unica storia la nostra"; è una storia a cui nessuno si sottrae e non c'è un privilegio che sia esclusivo, ma ogni dono è relativo alla composizione di un unico disegno perché il Signore, Dio dei secoli dei secoli, è buono. C'è di mezzo la chiave interpretativa di questa vicenda che è di Israele, ma come testimonianza che illustra il significato della vicenda universale. È la povertà della nostra condizione umana che, nel disegno misericordioso di Dio, è diventata l'occasione propizia ed efficace per incontrare l'abbraccio della misericordia del Dio vivente che finalmente trova nell'umanità derelitta, resa consapevole del proprio fallimento, il riscontro di quella relazione d'amore che era la sua intenzione originaria. Imparare a vivere è il tema dominante di tutta la tradizione sapienziale; imparare a benedire. La presenza dei credenti nel corso della storia umana sulla scena del mondo; ed ecco questa presenza che benedice e che tra l'eucarestia e l'intercessione diventa il sacramento che segnala - perché nessuno sia più escluso - qual è la strada del ritorno alla sorgente della vita. E, intanto, Gerusalemme si illumina dinanzi a noi.