07 marzo 2017
Terzo incontro del ciclo 2016-2017
Proseguiamo nella lettura della Lettera di Pietro; la volta scorsa siamo arrivati al v. 12 del cap. 1. Dopo i primi due versetti che contengono l'indirizzo della Lettera e il saluto, abbiamo letto la pagina che fa da apertura a questo scritto: una grande benedizione. Pietro scrive da Roma alle chiese dell'Asia assumendo il ruolo autorevole che gli compete senza preoccuparsi di definire gli elementi di ordine dottrinario di quella che è una catechesi ormai diffusa in tutte le chiese. Scrive per incoraggiare; dal v. 13 del cap. 1 quella nota di esortazione, che abbiamo già potuto mettere in evidenza fin dall'inizio, troverà sviluppi sempre più precisi, sempre meglio articolati e coinvolgenti. Vuole incoraggiare i cristiani a cui si rivolge in termini molto oggettivi perché personalmente non ha avuto a che fare con queste chiese; però nulla impedisce che sia proprio lui un interlocutore prestigioso, come certamente è riconosciuto da tutti; nelle chiese è un riferimento più che mai significativo e questa sua posizione valorizza l'importanza del suo modo di comunicare e, nello stesso tempo, oggettiva la sua relazione perché non ci sono di mezzo agganci di ordine empirico che potrebbero concentrare l'attenzione su situazioni di dettaglio. Il tema fondamentale che Pietro affronta nella prospettiva dell'esortazione è la vita nuova, la vita cristiana, come noi la chiamiamo. Pietro vuole incoraggiare i cristiani di quelle chiese che provengono dal paganesimo. Ci sono anche giudei che hanno alle spalle tutta la tradizione di Israele, ma ormai queste chiese sono costituite eminentemente da pagani che hanno accolto l'Evangelo e hanno avviato il cammino della vita nuova, la vita cristiana. Col passare degli anni si avverte una nota di stanchezza e di disagio (noi li comprendiamo bene: parecchi secoli dopo di loro sono presenti in casa nostra) per come il coraggio, lo slancio, l'intraprendenza dei primi tempi, in realtà, sembrano svaporare, disintegrarsi; e questa vita nuova resta come sprovveduta, abbandonata a se stessa, senza quel conforto che, all'inizio, tutti hanno sperimentato per come gli eventi hanno comportato tensioni emotive, fervore appassionato, scoperta di novità spirituali che il mondo pagano ignorava. E adesso non è più così. Ricordate la grande benedizione che funge da introduzione alla Lettera, fino al v. 12, e quell'immagine sulla quale ci siamo soffermati, sempre molto istruttiva per noi: l'immagine di coloro che, per il fatto stesso di aver accolto l'Evangelo e intrapreso il cammino della vita nuova, scoprono di essere forestieri in questo mondo: "scrivo a voi che siete stranieri e pellegrini, che, per il fatto stesso di essere entrati in questa nuova prospettiva di vita, sperimentate questa condizione di estraneità nei confronti dell'ambiente in cui pure vivete e nel quale avete familiarizzato per tutto il tempo pregresso della vostra vita, quel mondo che è il vostro mondo e la vostra storia. Vi sentite stranieri, diversi, con connotazioni che rendono la vita di coloro che hanno accolto l'Evangelo come un fenomeno strano, singolare, preoccupante e, per certi versi, addirittura pericoloso". E' un'immagine che sta sullo sfondo della Lettera e che Pietro acquisisce e rievoca come un dato scontato; non è un incidente, una disgrazia che è capitata: è la realtà, è proprio così. E Pietro, nella grande menzione introduttiva, ci ha offerto uno squarcio alla maniera di un affaccio contemplativo sul mistero della vita trinitaria. Coloro che sono spiantati, rispetto alle relazioni che strutturavano la loro esistenza in questo mondo, sono, in realtà, impiantati nella comunione con il Dio vivente e con la sua vita trinitaria. Questo impianto non è un fenomeno vago, una prospettiva ideale, un'elaborazione dell'immaginario: è il dato che determina quella ristrutturazione completa dell'esistenza umana che, adesso, in rapporto alle condizioni della vita precedente, è vita di forestieri, stranieri, pellegrini, randagi, vagabondi; ma, in rapporto al nuovo impianto, la vita nuova si apre a una possibilità di relazionamento, di apertura, di proiezione nel tempo e nello spazio, di comunione con la totalità delle creature di Dio, nell'intimo della vita di Dio che fa di coloro che hanno accolto l'Evangelo i veri abitanti di questo mondo. Pietro ne è convinto e quando parla di questo inserimento nella comunione trinitaria (peraltro noi tutti siamo stati battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo) invita a prendere sul serio questo radicale itinerario di trasformazione della vita, che ha tutte le caratteristiche di un espianto e di un trapianto; per coloro, poi, che hanno accolto l'Evangelo, significa trovare finalmente la loro oggettiva, concreta, operativa collocazione nel mondo: la pienezza della vita che sta nella ricchezza inesauribile delle relazioni.
Dal v. 13 affrontiamo le pagine che contengono cinque svolgimenti esortativi che sono concatenati fra di loro, ma possono anche essere presi ciascuno per quello che è. Primo svolgimento (da 1, 13 a 2, 10). Sono poche righe ma meditate, molto dense senza la presunzione del maestro che insegna dall'alto di una cattedra. Pietro è convinto che i cristiani a cui si rivolge sono stati adeguatamente catechizzati, sanno di che cosa sta parlando e quando cita abbondantemente i testi della sacra scrittura è convinto che i suoi interlocutori sono sufficientemente attrezzati: non perde tempo a sottolineare i percorsi di carattere istruttivo; non vuole propriamente istruire, vuole incoraggiare. Questo primo svolgimento ha come richiamo di fondo - ed è perfettamente connesso con quel che leggevamo nella grande benedizione introduttiva - il tema della trasformazione. Quale trasformazione è avvenuta? Questo cammino di conversione, per Pietro, non è un buon motivo per dubitare della qualità della vita cristiana, anzi è inevitabile; è proprio questo che è già avvenuto, ma si tratta di acquisirne, in modo sempre più consapevole, il valore in modo tale da inserirsi in quel processo di trasformazione con una crescente esperienza di gratitudine. Bisogna incoraggiarsi. Il testo che adesso leggeremo si può suddividere in tre momenti. Nel primo momento dal v. 13 al v. 21: il fatto di questa trasformazione che è avvenuta; nel secondo momento la modalità di questa trasformazione e, nel terzo momento, la meta finale di questa trasformazione.
La speranza di un popolo in cammino: la rivelazione gloriosa di Gesù
Cap. 1, vv. 13-14. "Perciò (il testo si connette perfettamente con i versetti che leggevamo), dopo aver preparato la vostra mente all'azione, siate vigilanti, fissate ogni speranza in quella grazia che vi sarà data quando Gesù Cristo si rivelerà. Come figli obbedienti, non conformatevi ai desideri d'un tempo, quando eravate nell'ignoranza, ma...". E' un'immagine che viene da lontano, ma che ci è familiare: coloro che si misero in marcia per uscire dall'Egitto, coloro che, come dice il Libro dell'Esodo nel cap. 12, v. 11 "coi fianchi cinti, in piedi, il bastone in mano", intrapresero il cammino. Abbiamo a che fare con coloro che "si sono cinti"; ed è una cintura che trattiene la tunica per poter camminare più speditamente; ma, in questo caso, c'è di mezzo - alla lettera - "i fianchi del vostro intimo". Siamo rimandati a quella scena che viene rievocata ogni giovedì santo: il popolo che si mette in marcia, ma quello che si prospetta è un movimento che implica una ristrutturazione dell'animo, della mente, dell'intimo, del nostro impianto interiore, del nostro sistema interiore. Questa marcia, che rievoca quello che fu l'avvio del cammino del popolo che era ancora schiavo in Egitto, è il quadro interpretativo di quella marcia nella quale è impegnato quel popolo cui noi apparteniamo; è il momento nel quale gli avvenimenti si svolgono con la massima sobrietà, come avvenne anticamente. E, quindi: "siate vigilanti, fissate ogni speranza in quella grazia che vi sarà data quando Gesù Cristo si rivelerà". Si tratta di partire con prontezza, ma con atteggiamenti interiori che vengono caratterizzati con un richiamo alla veglia - non solo perché non si dorme di notte - ma per quella particolare disponibilità, duttilità, trasparenza, generosità che sono prerogative di un animo in procinto di partire. Parla di speranza e, dunque, c'è un respiro che anima la vita di questo popolo di marciatori, di viandanti, di itineranti che non necessariamente devono spostarsi geograficamente da un posto ad un altro, tanto è vero che si tratta di "stringere ai fianchi" quella cintura che determina una ristrutturazione dell'atteggiamento interiore. In questo modo nuovo di respirare, che è proprio di chi si sta preparando al viaggio, la speranza è commisurata a quella grazia, a quel dono finale che coincide con l'Apocalisse di Gesù Cristo. Ci si mette in marcia in vista di una traguardo; noi ci stiamo attrezzando e siamo attrezzati per partire in vista di una meta che è la rivelazione gloriosa del Signore Nostro Gesù Cristo. E Pietro prosegue rimarcando l'identità di coloro che sono ormai orientati per affrontare il viaggio della vita (siamo noi i destinatari dello scritto) e subito ritiene necessario identificarli come figli, coloro che ormai hanno acquisito un'eredità filiale che Pietro dà già per scontata. "Come figli obbedienti, non conformatevi...". Questa identità filiale viene ulteriormente qualificata; c'è di mezzo il passaggio da quella che Pietro chiama "ignoranza" all'obbedienza. Questo passaggio dall'ignoranza all'obbedienza filiale implica tutta una rieducazione dei desideri: "non conformatevi ai desideri d'un tempo". E' proprio vero che è in gioco la radicale ristrutturazione del mondo interiore, l'impostazione dell'animo, l'orientamento dei desideri. Quando parla di "ignoranza" usa un'espressione che non può essere limitata alla mancanza di notizie, informazioni o di istruzione; è piuttosto una questione di coinvolgimento affettivo. Ẻ il tempo dell'"ignoranza" quello in cui i desideri erano coinvolti in situazioni affettive inceppate, deviate, inquinate, mentre ora è il "tempo dell'obbedienza filiale".
Santi perché figli del Padre
Vv. 15-17. Ora il fatto è avvenuto: "... ad immagine del Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta; poiché sta scritto: Voi sarete santi, perché io sono santo". Questo linguaggio proviene direttamente dagli scritti antico-testamentari, in particolare del Pentateuco e, più in particolare ancora, dal Libro del Levitico. "Siate santi perché io sono santo" è una citazione esplicita e quando si parla di santità non c'è da pensare all'aureola sul cranio; c'è da pensare alla vita, alla pienezza della vita, alla ricchezza, alla molteplicità, alla gratuità delle relazioni. Il Santo è il Dio vivente, il protagonista della vita; è l'inesauribile fecondità delle relazioni. E noi siamo chiamati alla vita, siamo stati creati per la vita, siamo venuti dal "Santo" per essere interlocutori fino alla pienezza della comunione con Lui che è il Vivente, attraverso tutte le creature che da Lui provengono e a Lui ritornano. Questa vocazione alla vita che Pietro rievoca è caratteristica inequivocabile di quella che fu la grande avventura pedagogica di un popolo, come il caso di Israele, che, nel rapporto di alleanza con il Signore, fu condotto lungo queste strade; un'educazione che non per nulla è depositata nei testi della Torah, la legge; un'educazione mirata a promuovere quell'itinerario di santificazione, di educazione alla vita, di ritorno alla conversione alla vita (siamo entrati in Quaresima: è il tempo della conversione per antonomasia). Si ritorna alla vocazione originaria, la vocazione alla vita. Era la prima lettura di domenica scorsa. Pietro rievoca questi elementi propri di una catechesi che ormai è stata accolta anche da pagani che sono nel cammino della vita nuova e che sono in sintonia con quella che fu la grandiosa esperienza, il cammino di ricerca, di permanente conversione per il quale fu convocato il popolo di Israele, impegnato in un rapporto di alleanza. Pietro sta dicendo che "siamo ormai coinvolti in una relazione filiale", dove dire questo significa che quel che leggiamo nel Libro del Levitico è quello che adesso investe in pienezza la nostra condizione d'esistenza. Adesso, in pieno, noi siamo in grado di affrontare il cammino della santificazione, della pienezza della vita (santità) perché siamo in grado di chiamare Dio, Padre nostro. Questa è la nota caratteristica della vita nuova, la vita cristiana. Lo sappiamo bene anche per altra via: dove ci sono cristiani la novità primaria è che essi si rivolgono a Dio chiamandolo Padre nostro. "E se pregando chiamate Padre colui che senza riguardi personali giudica ciascuno secondo le sue opere, comportatevi con timore nel tempo del vostro pellegrinaggio". Il "Santo" è il Padre nostro e noi siamo in relazione con il Santo in quanto coinvolti in un rapporto di alleanza che è santificante, rieducativo alla vita, pedagogico per ritornare alla sorgente; ma siamo in relazione con il Santo, che è il Padre, in quanto siamo figli e siamo costituiti in un rapporto di figliolanza che ci ha rigenerati intrinsecamente, strutturalmente dalle fondamenta del nostro essere, per quanto riguarda tutto il sistema del nostro rapporto con il mondo. Su questo Pietro vuole insistere: questa è la trasformazione che è avvenuta. Noi siamo quelli che si rivolgono al Santo come figli, che ormai sono organicamente inseriti in una comunione di vita che è la vita stessa del Santo, il Padre nostro. La paternità di Dio ridefinisce la nostra relazione con Lui, ma trasforma anche il nostro modo di stare nella vita: è l'impianto complessivo della nostra esistenza che ormai è ristrutturato e, dunque, la paternità di Dio comporta l'esclusione e il radicale filtraggio di ogni altra paternità.
Liberati dal sangue dell'Agnello
Vv. 18-20. "Voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili, come l'argento e l'oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia". L'affermazione di Pietro è piuttosto energica; l'accenno alla "vuota (vana) condotta ereditata dai vostri padri" è un accenno alquanto severo: ormai, afferma Pietro, non abbiamo più a che fare con quelle motivazioni che erano vane; adesso questo riferimento primario vitale, organico, alla paternità di Dio dipende dal fatto che c'è di mezzo quell'evento che ha segnato la nostra liberazione. Siamo ormai sottratti a tutte le altre forme di coinvolgimento, di ossequio, di assuefazione e anche di compromissione culturale nella tradizione ricevuta dai padri perché "non a prezzo di cose corruttibili, come l'argento e l'oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia". Siamo così rimandati, ancora una volta, alla situazione nella quale si trovano coloro che in Egitto, mentre sono ancora schiavi del faraone, si preparano al grande viaggio e le case nelle quali stanno celebrando per la prima volta il banchetto dell'Agnello sono state segnate con il sangue. Il riscatto redentivo che ha determinato la liberazione dalla schiavitù è stato attuato non in quella forma figurata, allusiva, indicativa, ma in virtù del sangue realmente versato, il sangue prezioso di Cristo, in quanto è Lui l'"agnello senza difetti e senza macchia".
"Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma si è manifestato negli ultimi tempi per voi". Cristo è il Figlio, è l'Agnello innocente il cui sangue è stato versato per noi, in quanto siamo adesso in grado di identificarci nella relazione con il Dio vivente, in virtù di questa misteriosa consanguineità con il Figlio. Noi siamo figli ed è Lui, allora, il protagonista del viaggio che ha realizzato in tutta la sua ampiezza, profondità, efficacia: il viaggio della discesa e della risalita, della Pasqua, della morte, della resurrezione; un viaggio predestinato fin dall'epoca eterna, "già prima della fondazione del mondo". Ẻ un viaggio che si è espresso con le forme proprie di un'esistenza che ha attraversato la scena del mondo; "già prima della fondazione del mondo", ma si è manifestato negli ultimi tempi per voi, per noi.
Per la sua resurrezione torniamo a casa
V. 21: "E voi per opera sua credete in Dio, che l'ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria e così la vostra fede e la vostra speranza sono fisse in Dio". Tutto questo è avvenuto per voi (per noi) e ora noi siamo coloro che Pietro definisce "i credenti in Dio"; e lo siamo in virtù di Lui, l'Agnello innocente, dato che è la sua resurrezione dai morti che ha realizzato in Lui quella novità piena e definitiva che costituisce per noi il varco di accesso all'intimo di Dio; "... per opera sua credete in Dio" che vuol dire essere abilitati a corrispondere all'iniziativa di Dio. Ẻ l'obbedienza dei figli che sono in grado di aderire all'iniziativa del Padre e condividere la vita del Santo. " E voi per opera sua credete in Dio, che l'ha risuscitato dai morti": la sua resurrezione che ha tracciato quel percorso è il viaggio che stiamo affrontando, nel quale siamo già incamminati, che già possiamo considerare in rapporto alla meta. "... e gli ha dato gloria e così la vostra fede e la vostra speranza sono fisse in Dio": siamo in grado adesso di accedere all'intimo della vita di Dio: Pietro ci dice che siamo figli che ritornano a casa. Quale trasformazione è avvenuta? Siamo figli che ritornano alla sorgente della vita: la casa. Ẻ il grembo del Dio vivente; è la paternità di Dio così come si è rivelata a noi attraverso il viaggio compiuto dal Figlio; ed è nella prospettiva che Lui ha tracciato e aperto per noi, in quel suo morire e risorgere, che noi siamo abilitati ad affrontare il viaggio della vita non allo sbaraglio, non abbandonati a noi stessi, ma ormai costituiti in questa novità di vita che ci identifica come figli che tornano a casa.
Primo momento. Il secondo momento va dal 22 del cap. 1 al v. 3 del cap. 2.
Rigenerati e inseminati dalla parola di Dio
Vv. 22-25. Pietro ci tiene a precisare le modalità caratteristiche. "Dopo aver santificato le vostre anime con l'obbedienza alla verità (quando dice "anime" intende la vita; e quando dice "santificato le vostre anime" intende "avendo reso casta la vostra vita", dove la castità è la virtù di chi è aperto alla pienezza della vita. Per questo San Francesco d'Assisi dice che l'acqua è "umile, preziosa e casta"; l'acqua è casta perché è fondamentale ed essenziale per la vita. "Dopo aver reso caste le vostre vite con l'obbedienza alla verità": la verità è l'Evangelo), per amarvi sinceramente come fratelli (è una nota caratteristica della vita nuova che Pietro mette in evidenza senza fare particolari moralismi, ma c'è un inconfondibile riscontro nell'amore fraterno), amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri, essendo stati rigenerati non da un seme corruttibile (Pietro vuole andare più avanti perché questo modo di vivere è l'effetto prodotto da una rigenerazione: "Benedetto il Padre che ci ha rigenerati"; e la modalità di questa nuova nascita avviene in quanto abbiamo ricevuto una semina, la semina della parola di Dio; "... amatevi intensamente, di vero cuore" in quanto avete preso sul serio la verità, l'Evangelo), essendo stati rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di Dio viva ed eterna". Ẻ una citazione del Libro di Daniele, cap. 6, v. 27: "il Dio vivo e vero" ha trasmesso a noi la sua Parola. E, di seguito, Pietro cita, in modo essenziale, il cap. 40, v. 9 di Isaia, il Deutero-Isaia: "Poiché
tutti i mortali sono come l'erba
e ogni loro splendore è come fiore d'erba.
L'erba inaridisce, i fiori cadono,
ma la parola del Signore rimane in eterno". Là dove i mortali seccano come l'erba, come fiori appassiti, le situazioni si consumano, le vicende si esauriscono, il vissuto della condizione umana conosce l'esperienza di una fatiscenza progressiva, la parola del Signore avanza, viene, rimane, irrompe, crea. "La parola di Dio vive in eterno".
V. 25: "E questa è la parola del vangelo che vi è stato annunziato"; quella verità a cui voi obbedite ormai, quella marcia è impostata: è il viaggio dei figli che ritornano a casa, è il viaggio della famiglia. Pietro ci tiene a mettere in chiara evidenza il valore di quella modalità operativa, a cui accennava precedentemente, che è intrinseca alla trasformazione avvenuta e di cui noi siamo chiamati a compiacerci e nella quale siamo invitati a confermarci, ad acquisirne tutta la fecondità e ad esplicitarla con crescente maturità. La modalità operativa di quella trasformazione sta nella Parola seminata, ricevuta, accolta; che è seme e germoglio; che seminata germoglia; che accolta diventa rivelazione nel nostro vissuto, nelle nostre vite, attuazione di quel che rimane in corrispondenza all'iniziativa del Dio vivente. Questa Parola rimane in eterno. Ẻ la Parola dell'Evangelo che vi è stato annunziato. Questo richiamo alla Parola seminata, ascoltata, ha subito risvolti di ordine pastorale nella vita di una comunità di cristiani, anche se Pietro non è preso dalla preoccupazione di arrivare a dettagli di ordine pratico; è necessario, per lui, maturare nella consapevolezza di questa modalità operativa per quanto riguarda quella trasformazione che ha cambiato la nostra vita: è la Parola seminata che germoglia, è l'Evangelo che è stato annunziato.
Come bambini
Cap. 2, vv. 1-3: "Deposta dunque ogni malizia e ogni frode e ipocrisia, le gelosie e ogni maldicenza, come bambini appena nati bramate il puro latte spirituale, per crescere con esso verso la salvezza: se davvero avete già gustato come è buono il Signore". La vita nuova acquista, stando alle parole di Pietro, le caratteristiche di quell'innocenza che siamo abituati ad attribuire alla condizione infantile; una condizione di vita che ci equipara a dei bambini senza malizia, frode, ipocrisia, gelosia, maldicenza: bambini appena nati, bisognosi del latte. C'è di mezzo la Parola; il latte spirituale è il latte della Parola e questa aspirazione alla Parola è come quella del bambino che trova nel latte tutto il nutrimento di cui ha bisogno per crescere con esso verso la salvezza, verso la pienezza della vita rinnovata. C'è un'aggiunta nel v. 3 che contiene un'altra citazione, il Salmo 34: "se davvero avete già gustato come è buono il Signore". Quando parla di condizione infantile non sta parlando di un rimbambimento; il fatto è che il latte è la Parola che noi stiamo ormai assumendo, acquisendo, di cui ci stiamo nutrendo per cui non c'è più gusto per i vizi della vita vecchia, per le abitudini, le situazioni ripetitive, le noiose elaborazioni mentali o soluzioni comportamentali compromettenti; non c'è più spazio, perché ormai il palato assapora la bontà del Signore. "Avete già gustato come è buono il Signore"; avete già gustato la bontà, la dolcezza e l'efficacia, la potenza, la pregnanza nutritiva di quella Parola.
Questo è il secondo momento di questa prima esortazione, dove determinante è questo passaggio attraverso la Parola; l'Evangelo e le citazioni che Pietro aggiunge sono una piccola illustrazione esemplare e indicativa, ma è la totalità del messaggio che, a partire dalla prima evangelizzazione, continua ad alimentarci e ad educare il nostro gusto.
Pietre vive per un edificio spirituale e per un sacerdozio santo
Nel terzo momento, dal v. 4 al v.10, Pietro ci dà una visione prospettica della meta finale a cui accennava già fin dall'inizio: l'Apocalisse di Gesù Cristo, la sua incoronazione gloriosa, l'instaurazione del Regno. "Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi (c'è l'immagine singolare di un edificio che viene da diverse citazioni di testi antico-testamentari. La pietra viva è il corpo glorioso del Signore, colui che è stato crocefisso e glorificato. Quel Figlio scartato è il fondamento di un nuovo edificio che si costruisce in modo tale che qualunque scarto possa caratterizzare la condizione umana, qualunque rifiuto, qualunque situazione di frantumazione, di condanna e di dispersione, di fallimento e di sconfitta, tutto torna utile per la costruzione di quell'edificio che è fondato sulla pietra scartata. Questa è l'autorità di Gesù) anche voi venite impiegati come pietre vive (in rapporto a questo edificio la nostra partecipazione è quella di pietre che trovano la loro collocazione adeguata perché quella pietra è collocata al suo posto. C'è di mezzo la corrente della vita che percorre tutte le componenti di un'architettura che più di una fisionomia di ordine logistico ha una fisionomia di natura corporea: è un corpo dove circolano tutti i canali di comunicazione che compongono un'unità organica; ma è il corpo glorioso del Signore l'edificio nel quale noi veniamo incastonati, inseriti. Sta parlando della meta del viaggio) per la costruzione di un edificio spirituale (è un edifico "pneumatico", animato; "pneuma" è il soffio, il respiro, è lo Spirito; è l'edificio vivente), per un sacerdozio santo (questo corpo vivente è in grado di esercitare quell'attività che, nel linguaggio dell'Antico Testamento, era riservata agli addetti al culto; il popolo intero, attraverso lo strumento adeguato che è stato già definito nei suoi elementi e nel suo funzionamento fino al tempo del Sinai. Ed ecco il sacerdozio, lo strumento, il culto per offrire a Dio la risposta che Egli merita. Ẻ questo edificio spirituale che viene costruito in maniera tale da esprimersi come quel soggetto vivo che è in grado di offrire il culto gradito a Dio; siamo noi, come pietre vive, incastonate nella pietra viva che è Cristo; siamo noi edificati in Lui, che cresciamo e viviamo in quella comunione per vivere e morire con Lui, per imparare a vivere e morire con Lui), per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo". Tutto quello che sta scritto nei Libri della Torah, dice Pietro, ci riguarda; tutto si realizza. Questa è la prospettiva che non è un'immagine aleatoria, una fantasia onirica, un miraggio per viandanti che sbandano in un deserto: questa è la nostra strada di figli che ritornano a casa; e la casa ci precede: non la stiamo inventando o costruendo noi.
"Si legge infatti nella Scrittura:
Ecco io pongo in Sion
una pietra angolare, scelta, preziosa
e chi crede in essa non resterà confuso (Isaia, cap. 28. L'aggettivo "preziosa" compariva già nel v. 4.). Onore dunque a voi che credete (è il prestigio della vita nuova dove "credere" rappresenta la caratteristica di quelle pietre che sono collocate nel processo di edificazione del corpo glorioso del Signore. La pietra angolare, viva, di fondazione è Lui; essere buttati su quella pietra con un accenno a procedure che sono piuttosto energiche, brusche, ruvide. Ricordate il famoso Salmo 137 che si conclude dicendo: "Maledetta Babilonia, beato chi prenderà i suoi bambini e li sbatterà sulla pietra". Questi versetti sono stati esclusi dal Libro delle Ore perché un popolo cristiano non può dire queste cose. Poi, però, arriva S. Benedetto che, nel prologo della sua regola - testo di fondamentale importanza per tutto l'occidente - cita il Salmo: "Che cosa vieni a fare qui, cosa vai cercando? Vedi che qui si tratta di essere sbattuto sulla pietra". Ẻ un valore prezioso che la pietra preziosa conferisce al popolo cristiano) ma per gli increduli
la pietra che i costruttori hanno scartato
è divenuta la pietra angolare,
sasso d'inciampo e pietra di scandalo". Quest'ultimo rigo è la citazione di Isaia, nel cap. 8. Quell'urto con la pietra provoca un discernimento che Pietro riduce all'alternativa per eccellenza; è nell'essere buttati su quella pietra che i credenti trovano la loro identità; e, d'altra parte, quella pietra diventa un inciampo, un fastidio, il rischio di uno smarrimento? Notate che questo accenno agli increduli rimane accompagnato da un'intima, profonda convinzione di come anche coloro che, buttati su quella pietra, reagiscono malamente, comunque inciampano. Per Pietro è un dato positivo, anche quando per qualcuno inciampare significa irrigidirsi in una posizione di incredulità. In questo contesto quella pietra è ormai inseparabile da tutte quelle pietre che sono i cosiddetti credenti, il popolo cristiano, siamo noi. "Loro v'inciampano perché non credono alla parola; a questo sono stati destinati (questo loro modo di inciampare sulla pietra non ci deve sorprendere perché il dato nuovo, rilevante e definitivo è che la pietra è al suo posto e ormai è fondazione di un edificio; e noi stessi siamo pietre vive di quell'edificio). Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce; voi (le pietre vive), che un tempo eravate non-popolo, ora invece siete il popolo di Dio; voi, un tempo esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia". Le citazioni antico-testamentarie sono numerose; siamo rimandati all'Esodo, cap. 19, quando il popolo si accampa ai piedi del Sinai; e la citazione di Isaia, cap. 9, la grande luce (era la prima lettura nella messa di mezzanotte a Natale). Sta parlando a coloro che provengono dal paganesimo. Sono citazioni una dopo l'altra a ritmo incalzante; Esodo, Isaia, Osea: "... non-popolo, ora invece siete il popolo di Dio"; "... esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia" sono ancora citazioni di Osea. Ed è la prospettiva che, in maniera essenziale, inquadra la missione del popolo cristiano nel corso della storia umana: quell'essere "pietre con la pietra, pietre sulla pietra, pietre edificate nell'appartenenza alla pietra", in quella visione nella quale l'edificio raccoglie in sé tutti gli scarti del mondo, significa essere esposti all'urto, all'impatto con tutte le incredulità di questo mondo. E, d'altra parte, è proprio questo il viaggio dei figli che ritornano a casa e che stanno porgendo a tutti coloro che ancora resistono, reagiscono, si sottraggono, si allontanano, rifiutano o comunque si possa esprimere l'incredulità umana, la fecondità inesauribile di quel dono di misericordia che hanno ricevuto.