02 maggio 2017
Quinto incontro del ciclo 2016-2017
Riprendiamo la lettura della prima Lettera di Pietro a partire dal v. 13 del cap. 3; lettura che dovremmo portare a compimento nel mese di giugno. Sono solo cinque capitoli, ma il testo contiene in abbondanza sollecitazioni che ci hanno aiutato a riflettere sulla vita nuova, la vita cristiana, quella "vita" che coloro che provengono dal paganesimo (i destinatari della Lettera) e che appartengono alle chiese della regione asiatica, hanno intrapreso avendo accolto l'Evangelo ed essendo stati consacrati mediante il battesimo. Come ricordate, questi cristiani si sentono smarriti, sprovveduti e anche segnati da esperienze significative; avvertono un senso di stanchezza, di avvilimento e non sono in grado di elaborare un linguaggio che li aiuti a prendere posizione; non tanto un linguaggio di ordine dottrinario che, più o meno, nelle chiese sta assumendo una sua configurazione catechetica sufficientemente ampia, corretta, incisiva, ma un linguaggio adatto ad interpretare i movimenti profondi dell'animo, il vissuto nelle sue dimensioni più esistenziali e concrete. Pietro scrive da Roma a questi cristiani in difficoltà, in atteggiamento di autorevole benevolenza; scrive a cristiani che appartengono a chiese che direttamente e personalmente non conosce, facendo appello a quelli che sono i dati ormai acquisiti della dottrina ufficiale e sviluppa temi di esortazione. Noi siamo alle prese con il terzo svolgimento esortativo. La Lettera si è aperta con una benedizione introduttiva e procede con cinque svolgimenti esortativi concatenati e incrociati, nell'impianto di uno scritto che non ha le caratteristiche di un trattato che parta da alcune premesse e arrivi a specifiche conclusioni; sono spunti, slanci, motivi di incoraggiamento che si accompagnano l'uno con l'altro sostenendosi vicendevolmente; si interpretano anche man mano che le pagine danno forma e vigore ad un linguaggio parenetico, esortativo che non segue sempre esattamente le linee della logica, dell'argomentazione deduttiva, ma segue piuttosto le onde dello slancio che vuole sostenere il fervore degli animi.
Un primo svolgimento esortativo aiuta i cristiani di quelle chiese a prendere atto della trasformazione avvenuta e a valorizzarne le tensioni, le motivazioni profonde; la nuova vita è una vita dotata, inconfondibilmente, di una fisionomia alternativa rispetto alle consuetudini del passato, anche se i dati oggettivi, nella visibilità esterna dell'esistenza umana, sembrano essere rimasti tali e quali; in realtà è la tensione interiore, la motivazione profonda che Pietro vuole in tutti i modi valorizzare.
Un secondo svolgimento riguarda la vita nuova come epifania della bellezza della vita cristiana. Pietro si è soffermato su diversi elementi che concorrono a qualificare questa bellezza e ha preso in considerazione, in modo estremamente sommario, ma anche penetrante, per quanto delicatissimo, le diverse posizioni e condizioni di vita che caratterizzano l'esistenza umana, che Pietro sa interpretare incoraggiando i cristiani destinatari del suo scritto a recepirli come momenti epifanici, rivelativi di una bellezza nuova.
Al terzo svolgimento esortativo (dal v. 13 del cap. 3 al v. 11 del cap. 4) diamo subito un titolo che può sembrarci un po' pretenzioso, ma che a me sembra del tutto pertinente: "La vita nuova come passione d'amore". Mi esprimo così tenendo conto del fatto che nei versetti che ora leggeremo compare a più riprese il verbo "patire o soffrire" e il sostantivo "patema". In realtà il verbo ha un significato polivalente e, d'altra parte, vi facevo osservare che anche in italiano quando diciamo "passione" intendiamo un patimento, ma anche una tensione amorosa superlativa, traboccante, sovrabbondante. Pietro usa questo verbo - che ricompare nel Nuovo Testamento e nella tradizione dei primi testimoni e maestri della vita cristiana nel corso dei secoli - con un'accezione che tiene conto del dato oggettivo penoso e dolente della vicenda che qui viene rievocata, ma è necessario cogliere la vibrazione affettiva, la tensione amorosa, l'intensità patetica della motivazione interiore che conferisce a questo modo di patire, a questo modo di vivere appassionato, una fecondità d'amore travolgente, soverchiante. Bisogna che ne parliamo, che ne prendiamo atto e che ci rendiamo conto di come la novità della vita cristiana per Pietro si configura inconfondibilmente come un frutto maturo in una prospettiva di inesauribile crescita lungo l'onda di questa passione d'amore.
La beatitudine di una vita appassionata
Il testo che leggiamo si suddivide in quattro paragrafi. Il primo va dal v. 13 al v. 17 del cap. 3: "E chi vi potrà fare del male, se sarete ferventi (zelanti) nel bene? (in questo essere "zelanti nel bene" è necessario cogliere un'intransigenza d'amore) E se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi! (Pietro non sta dicendo: "beato te che soffri". Sta indicando un carisma, una beatitudine: quella di una vita appassionata. Pietro si rivolge a cristiani che stanno raggiungendo questo livello di maturità, che non è riservato agli specialisti, ma è il livello della vita nuova, che si svolge, cresce e si esprime con il linguaggio dell'amore appassionato, che porterà frutti d'inesauribile fecondità. C'è di mezzo questa scoperta di come sia possibile riempire d'amore il patimento che, comunque, non manca nella nostra esistenza; e come tutto ciò che è penoso e che, in un modo o nell'altro, ci affligge, ci condiziona, ci limita, sia tutto impregnato di questa tensione, vibrazione, energia vulcanica che, in modo magmatico, erompe come una passione d'amore. "Beati voi, noi!" quando si è alle prese con gli impegni della vita rispetto ai quali si vuole restare coerenti in obbedienza ad un annuncio ricevuto (il Vangelo) ad un insegnamento acquisito, ad una catechesi, agli impegni presi (il battesimo). "E se anche doveste soffrire per la giustizia"... C'è di mezzo l'esperienza di una vita disarmata che rende testimonianza alla giustizia di Dio, all'innocenza di Dio, a quella volontà d'amore per cui il Dio vivente ha preso posizione nella storia umana schierandosi dalla parte delle sue creature sconfitte, derelitte, perdute. La giustizia di Dio si è rivelata così. È una vicenda che per Pietro è totalmente iscritta all'interno di questa testimonianza d'amore, recepita in tutta la sua gratuita innocenza, e riemerge dal fondo del nostro vissuto come l'ispirazione che trasfigura dall'interno tutto ciò che, in un modo o nell'altro, ci è dato da affrontare sperimentando dolori di qualunque genere). "Non vi sgomentate per paura di loro, né vi turbate, ma adorate (santificate) il Signore, Cristo (è una citazione di Isaia), nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi". Questa vita che si svolge nella testimonianza resa alla giustizia di Dio, in quel contesto beatificante per cui ci è dato sperimentare come sia possibile fare di ogni contrarietà un'occasione di fecondità nell'amore, è un atto di "consacrazione" che proclama la santità del Signore, Cristo. C'è di mezzo un coinvolgimento pieno, a partire dall'intimo del cuore, di tutto il nostro vissuto e la santità del Signore (è la voce del profeta Isaia che nel cap. 6 descrive la sua visione nel tempio: "Santo, santo, santo il Signore, Dio dell'universo; i cieli e la terra sono pieni della sua gloria"). Pietro ci ricorda di santificare il Signore: "siete testimoni della santità del Dio vivente; siete consacrati in corrispondenza alla Sua santità in quanto il Signore è Cristo, come noi l'abbiamo conosciuto, come si è presentato a noi: il Figlio nella carne umana fino al compimento di quella sua missione che è passata attraverso la Pasqua redentiva di morte e resurrezione". La nostra esistenza umana - dice Pietro - in seguito all'evangelizzazione che abbiamo accolto e per come siamo stati consacrati nel battesimo, è ristrutturata proprio in maniera da reinterpretare tutto il nostro vissuto a partire dall'intimo dei cuori.
E Pietro aggiunge una nota caratteristica a cui accennava inizialmente: l'atteggiamento di disponibilità positiva alla conversazione con gli estranei e con tutti: "sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto (un atteggiamento mite e rispettoso; tutto quello di cui Pietro ci sta parlando è l'esplicitazione di quel modo di stare al mondo che, in tutte le contrarietà, trova modo di esprimersi con il linguaggio dell'amore gratuito; e, senza andare a pensare a manifestazioni spettacolari, ma con mitezza, accoglienza, rispetto, capacità di comprendere la posizione altrui, è in diretta continuità con quella "passione" d'amore di cui ci parlava precedentemente. Ẻ passione d'amore non perché cerchi lo spettacolo e in esso si compiaccia, ma perché è puntuale, paziente, metodica nel rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in noi), con una retta (buona) coscienza, perché nel momento stesso in cui si parla male di voi rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo". Ẻ proprio in virtù di questo modo di rendersi disponibili a qualunque relazione, a qualunque contatto, a qualunque incontro; e proprio a partire da questa disposizione dell'animo, che è aperto per accogliere e comprendere, che sarà possibile suscitare una vergogna benefica nei contestatori. Pietro parla di una vergogna non nel senso che "finalmente i mascalzoni li abbiamo messi alla gogna", ma di quella vergogna che è componente intrinseca della nostra stessa vita nuova, man mano che maturiamo in relazione all'Evangelo che è stato annunciato e che abbiamo accolto. Ed ecco come la vergogna della nostra condizione umana si illumina dall'interno con modalità di comunione, di intesa, di solidarietà, di comprensione vicendevole. Quel che conta è quella certa "passione" d'amore che ha come suo linguaggio operativo la pazienza e il coraggio del bene, quali che siano le congiunture del male nelle quali ci si imbatte. "È meglio infatti, se così vuole Dio, soffrire operando il bene che facendo il male". Una passione d'amore che, in obbedienza alla volontà di Dio (non è una fantasia, un'illusione o una presunzione nostra), rende vittoriosa nel bene questa nostra posizione sulla scena del mondo, nel rapporto con gli altri, laddove l'operosità nel bene è alle prese con tutte le aggressioni e incomprensioni di cui facciamo larga esperienza. Se così vuole Dio; Pietro ci sta richiamando e ci esorta con molta pazienza e confidenza a operare il bene non facendo il male.
Anche Cristo ha attraversato, vittoriosamente, la passione e la morte
Vv. 18-22. Un secondo paragrafo nel quale l'attenzione si concentra sul protagonista dell'evento redentivo, Cristo. "Anche Cristo è morto ("patì"; questa espressione ritorna nel Credo. Non vuol dire semplicemente che gli è capitata una disgrazia, che ha subito un'aggressione ed è stato ucciso, ma significa che, in quel suo modo di affrontare il rifiuto che lo ha fisicamente ucciso, Lui ha investito una passione d'amore vittoriosa. Pietro riparte esattamente da questo richiamo alla passione di Cristo) una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti (l'evento redentivo di cui è stato autore Lui, l'innocente, il giusto che ha fatto sua la morte dei peccatori), per ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito". Pietro sintetizza tutto facendo appello a un atto d'amore che ha dimostrato la propria potenza vittoriosa sulla morte; e sulla morte subita in maniera così straziante, drammatica, ingiusta. Questo suo atto d'amore ha fatto sì che quel suo modo di morire diventasse una testimonianza di comunione universale. Ẻ una comunione ormai indissolubile che è stata instaurata tra Lui, che è morto, e tutti gli uomini peccatori che muoiono. Ma Lui è morto innocente e tutti gli uomini peccatori muoiono; quel suo modo di morire ha fatto di Lui, innocente, l'amico dei peccatori, l'autore di quell'impresa che apre per tutti i peccatori che muoiono la strada della redenzione. C'è un modo di morire, ormai, che non è per giungere all'inevitabile conseguenza del peccato, ma è attivato, in forza della comunione con Lui, come accesso a quella vittoria nell'amore di cui Egli è stato protagonista per tutti gli uomini che muoiono.
... "messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito". Ẻ il suo percorso nell'evento redentivo ricapitolato in quei due movimenti di discesa e di risalita, di morte e di resurrezione; è il suo itinerario di sprofondamento nell'abisso fino in fondo alle conseguenze del peccato umano, condividendo la morte di tutti gli uomini che sono responsabili del loro fallimento e di quello della storia umana. Da quell'abisso è risalito e questo itinerario redentivo (di discesa e di risalita, di morte e resurrezione) viene contemplato da Pietro come un abbraccio cosmico che ricapitola tutte le creature dell'universo ovunque esse siano collocate. Le creature umane, in questo contesto, sono destinatarie per eccellenza di questa novità di cui Egli è protagonista, ma è un abbraccio che sincronizza il tempo della storia umana: tutto quel che è stato, che è, che sarà è ricapitolato nell'evento unico di cui Egli è stato protagonista una volta per tutte.
V. 19: "E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione (quella che noi chiamiamo la discesa agli inferi); essi avevano un tempo rifiutato di credere (Pietro ricapitola tutto lo svolgimento della storia nel corso della quale gli uomini sono perduti. Un riferimento esemplare riguardo a questa perdizione è il diluvio e il racconto che leggiamo nei capp. 6-7-8 del Genesi; tutti gli uomini perduti nel corso del tempo e tutti gli uomini ritrovati in virtù di questa sua discesa che ha raggiunto quella profondità che consente a Lui, nel momento in cui si solleva, di afferrare, abbracciare, trascinare con sé la totalità delle creature umane che, nello spazio e nel tempo, sono state coinvolte nel disastro, nel fallimento, nelle conseguenze del peccato) quando la magnanimità di Dio pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l'arca (i giorni della pazienza di Dio) nella quale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell'acqua" (Noè e sua moglie, i suoi tre figli e le loro mogli). La salvezza che, secondo l'antico racconto fu di Noè e dei suoi famigliari, oggi è salvezza per tutti i peccatori che muoiono perché, adesso, la salvezza non riguarda più soltanto coloro che galleggiano sulla superficie dell'abisso, ma anche coloro che vi sono sprofondati. Quello era soltanto un segno, un'indicazione, una visione allusiva di quello che, nel corso della storia della salvezza, la volontà di Dio ha voluto portare a compimento: la sua volontà d'amore. Ecco l'opera redentiva del Figlio che è disceso e ha raccolto tutti. Per questo il "battesimo" è un affogamento che già si traduce in un sollevamento; il battesimo è uno sprofondamento anticipato nell'abisso della morte; nel battesimo già moriamo, siamo già degli affogati, dei naufraghi buttati in fondo al mare e di là siamo sollevati; per questo apparteniamo a Cristo che "patì" per noi ed è morto e risorto per noi. L'esempio di Noè serve a dire che la perdizione non è l'ultima parola, ma adesso abbiamo a che fare con l'evento finale, decisivo e determinante. Nel battesimo non galleggiamo sulla superficie; siamo buttati in fondo ed è un affogamento che significa non restare prigioniero, ma scoprire come siamo stati liberati a partire da quella profondità dell'abisso che, visitato da Lui, è diventato il principio di una nuova modalità di vita. Il fondo dell'abisso è diventato il grembo; gli inferi sono stati evangelizzati. "Figura, questa, del battesimo, che ora salva voi (noi); esso non è rimozione di sporcizia del corpo, ma invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo (il termine "invocazione" serviva, nell'amministrazione dell'impero, a indicare l'atto con cui qualcuno faceva una richiesta; una procedura impegnativa che restaura la relazione vitale con Dio in virtù di un titolo che rende efficace la procedura: la resurrezione di Gesù Cristo. Ẻ riaperta quella strada; è finalmente possibile varcare quella soglia che ci consente di ritrovare la relazione vitale con Dio. C'è quel modo di morire che è il modo di nascere alla vita restaurata nella relazione con il Dio vivente. E tutto questo in virtù della resurrezione di Gesù Cristo, di questa sua vittoria sulla morte che è una passione d'amore), il quale è alla destra di Dio, dopo essere salito al cielo e aver ottenuto la sovranità sugli angeli, i Principati e le Potenze". L'intronizzazione gloriosa è il principio della nostra vita nuova che si trova incastonata nell'economia di tutta una creazione restaurata.
Armatevi dei sentimenti di Gesù e rompete con il peccato
Terzo paragrafo, cap. 4, vv. 1-6. I paragrafi non sono proprio coordinati secondo la logica di un trattato, però sono quadri che si sostengono e si rispecchiano l'uno con l'altro e noi siamo aiutati a guardarci attorno e a scoprire che, dovunque giriamo lo sguardo, è sempre la medesima novità che ci viene incontro; ed è quella novità che dice tutto di me, di noi, della nostra vita cristiana. "Poiché dunque Cristo soffrì (patì) nella carne, anche voi armatevi (il paragrafo che leggiamo è sostenuto da questo imperativo che fa riferimento a una militanza) degli stessi sentimenti; chi ha sofferto nel suo corpo ha rotto definitivamente col peccato (Pietro ci parla di questa sintonia interiore con quelli che sono stati gli atteggiamenti dell'animo e del cuore di Cristo come Egli stesso si è rivelato a noi; questa sintonia affettiva implica, nel nostro vissuto, una ristrutturazione dell'impianto interiore per scoprire, sempre in maniera parziale, ancora insufficiente, come è possibile amare nella fatica del cammino, nelle contrarietà che ci assalgono, negli sgambetti che ci fanno barcollare. Quel tanto che abbiamo scoperto e che ci qualifica man mano e progressivamente ci introduce in una prospettiva di maturazione della vita cristiana, dipende da tutta una rielaborazione del nostro mondo interiore), per non servire più alle passioni umane, ma alla volontà di Dio, nel tempo che gli rimane in questa vita mortale. Basta col tempo trascorso nel soddisfare le passioni del paganesimo (le voglie), vivendo nelle dissolutezze, nelle passioni, nelle crapule, nei bagordi, nelle ubriachezze e nel culto illecito degli idoli". Ormai, dice Pietro, siamo stati intimamente strappati dalle voglie del paganesimo, da quel modo di gestire gli animi, i pensieri, i progetti, gli affetti, i desideri per servire i sentimenti di Cristo appassionato. E questo a partire dal battesimo che si appoggia sull'evangelizzazione che abbiamo ricevuto. Ẻ proprio nel battesimo che è già stata anticipata la nostra morte e in quella morte anticipata già è stata segnata la liberazione dagli ingorghi dell'egoismo umano, dal vortice ossessivo e distruttivo che ci risucchia, ci imprigiona, ci distrugge, ci consuma in una situazione di perdizione: da tutto ciò siamo stati sollevati. Ẻ proprio questa morte anticipata, che abbiamo celebrato nel battesimo, ci identifica come i militanti disarmati alle prese con il cammino di una vita che non dà più spazio, non presta più orecchio, non conferisce più importanza a tutte le "voglie" del paganesimo.
V. 4: "Per questo trovano strano che voi non corriate insieme con loro verso questo torrente di perdizione e vi oltraggiano". Pietro è perfettamente consapevole dell'obiezione di molti, in rapporto a coloro che arrancano, con tanti limiti, con sincerità nella militanza della vita cristiana e sono considerati degli anticonformisti; un anticonformismo che disturba quella che dovrebbe essere una presunta normalità della dissolutezza. "Trovano strano che non viviate come loro, che non siate motivati dagli stessi desideri, le stesse intenzioni; che non abbiate gli stessi progetti, gli stessi comportamenti". D'altra parte è tutta una vicenda che precipita in un luogo di perdizione; e pure vi oltraggiano. "Ma renderanno conto a colui che è pronto a giudicare i vivi e i morti; infatti è stata annunziata la buona novella anche ai morti, perché pur avendo subìto, perdendo la vita del corpo, la condanna comune a tutti gli uomini, vivano secondo Dio nello spirito". I versetti 5 e 6 sono veramente dotati di una ricchezza teologica e di una fecondità pastorale inesauribile. Pietro sta dicendo che proprio nell'impatto con quella contestazione, che può assumere aspetti a volte sarcastici a volte aspri e violenti, passa la vita cristiana disarmata, accogliente, sempre disponibile a condividere. Ẻ un percorso di vita che, attraverso il cammino di coloro che arrancano per essere coerenti con la vocazione ricevuta, suggerisce nuove possibilità di vita a tutti; proprio ai morti per i quali è efficace l'Evangelo. Pietro sta dicendo che questo modo di affrontare, con una coerenza militante, la vita nuova è costante suggerimento di vita capillare, permanente, inesauribile, sempre aperto a tutti coloro che muoiono (perché l'Evangelo di Cristo paziente, nel suo cuore umano, ha realizzato un atto d'amore di potenza universale) per i quali è attivo il dono della vita. Questa militanza è costantemente rivolta a tutti i contestatori, i cultori dei vizi privati; in quanto muoiono, sono creature che vanno incontro alla morte, ma per loro è aperta la strada della vita. Al di là di tutta la prepotenza dimostrata, l'invadenza, le contestazioni feroci, ingiuste e blasfeme con cui si esprimono, sono e rimangono sempre meritevoli di quell'attenzione con cui coloro che sono militanti nella vita cristiana si rivolgono non per essere giudici, ma in quanto chiamati a militare come testimoni della vita nuova. "... infatti è stata annunziata la buona novella anche ai morti (l'Evangelo è stato annunziato ai morti, non a quelli che se lo sono meritato, ma proprio ai morti), perché pur avendo subìto, perdendo la vita del corpo, la condanna comune a tutti gli uomini, vivano secondo Dio nello spirito". La militanza cristiana non è autorizzata a pronunciare sentenze di condanna, ma è esortata a rendere testimonianza della potenza inesauribile della passione d'amore del Signore Gesù Cristo per tutti gli uomini, per tutti i peccatori, per tutti i disgraziati, per tutti i pagani che muoiono.
La carità fra voi sia stabile, a servizio di tutti
Nei vv. 7-11 il quarto paragrafo. Pietro è preso da un sussulto di commozione nella prospettiva del fine e nell'esperienza di questa novità straordinaria che è la possibilità di vivere stabilmente nella gratuità dell'amore. Si commuove Pietro; chi avrebbe mai potuto immaginare che la vita cristiana fosse adeguata a questa novità: la possibilità di vivere stabilmente nella gratuità dell'amore. "La fine di tutte le cose è vicina. Siate dunque moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera. Soprattutto conservate tra voi una grande carità (più che "grande", una carità costante, stabile), perché la carità copre una moltitudine di peccati". In vista della parusia, di quel fine che si è avvicinato, siamo già segnati e caratterizzati in maniera inconfondibile; in virtù del battesimo, del fatto che già siamo passati attraverso la morte e già apparteniamo a quella pienezza finale, siamo già "i figli della luce" dice Paolo nella prima Lettera ai Tessalonicesi; questa novità è già presente e documentata nel fatto che è una carità stabile, continua, coerente, costante tra di noi. "La carità copre una moltitudine di peccati. Praticate l'ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare (ci parla di una vigilanza nella vita comunitaria nelle sue due dimensioni: preghiera e ospitalità vicendevole in un senso molto ampio). Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta (c'è una varietà di carismi, innumerevoli doni disseminati di cui, avanzando nel cammino della vita, man mano prendiamo consapevolezza; e sono tutti doni da valorizzare per un servizio reciproco), mettendola a servizio degli altri come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio. Chi parla (tutte le tipologie carismatiche vengono sintetizzate da Pietro in due modalità: l'uso della parola e la diaconia) lo faccia come con parole di Dio; chi esercita un ufficio, lo compia con l'energia ricevuta da Dio, perché in tutto venga glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartiene la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen!". Pietro non riesce più ad usare il linguaggio della normale comunicazione; stiamo varcando la soglia che ci introduce nel definitivo, quel che appartiene a Dio; e quella vita, nella gratuità dell'amore, è la vita nuova della quale noi già siamo depositari. Un rito di entusiasmo: vivere per la gloria di Dio in quanto la nostra vita si consuma nell'esperienza sempre urgente, paziente, capillare, continua, modestissima, invisibile forse, nascosta di un amore costante. Queste sono cose di cui possiamo parlare ogni tanto in qualche predica che lascia il tempo che trova. Pietro, invece, ce ne parla aiutandoci a scoprire quel che non è un dovere che cala dall'alto, ma è una novità che deve essere valorizzata per come è donata, strutturata, vivificata in noi dal basso.
Rallegratevi sempre
Vv. 12-14. C'è una quarta esortazione, un quarto svolgimento esortativo molto più breve; in maniera più diretta, Pietro prende in considerazione la vita nuova come esperienza di persecuzione. Pietro scrive da Roma poco prima di essere lui stesso oggetto di una sentenza di condanna a morte. I criteri interpretativi sono veramente trasformati; quel che conta è l'atteggiamento interiore, quale passione d'amore ci muove, ci struttura, ci identifica e diventa motivo ispiratore di tutto il nostro vissuto nelle parole, nelle opere, nelle relazioni, nel modo di rendere la nostra vita, minuscola come è, un servizio per il mondo. "Carissimi, non siate sorpresi per l'incendio di persecuzione (ricordate la fornace di cui si parla nel Libro di Daniele; Pietro ci dice che quella fornace è normale) che si è acceso in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano". La fornace è una condizione normale della vita nuova - ci dice Pietro - in conformità con quel che dicevamo sull'anticonformismo della vita cristiana, stando al giudizio di coloro che ritengono di essere maestri della vita "normale". " Ma nella misura in cui partecipate alle sofferenze (i patimenti) di Cristo (c'è un'allegrezza che Pietro coglie come nota tipica, caratteristica e costitutiva della vita cristiana; un'allegrezza che anticipa quella festa gloriosa che è prerogativa di Cristo, il Figlio, di cui Dio si è compiaciuto. Ricordate nel Vangelo secondo Luca quando dice: "Io ti rendo lode, o Padre che hai rivelato queste cose ai piccoli"; e lo stesso evangelista disse che Gesù sorrise: "esultò nello Spirito Santo"), rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare. Beati voi, se venite insultati per il nome di Cristo, perché lo Spirito della gloria e lo Spirito di Dio riposa su di voi". Ẻ la beatitudine di chi non ha più niente da perdere e questo avviene in virtù dell'appartenenza a Cristo al punto che, finalmente, dice Pietro, lo Spirito può riposare su di voi e sul mondo. Ẻ una visione delle cose che proviene dall'Antico Testamento; Libro dei Numeri, cap. 11, quando Mosè dice: "tutti nel popolo magari fossero mossi dallo Spirito di Dio" e In Isaia, cap. 11, "lo Spirito che riposa". "Beati voi" perché siete in sintonia con la passione d'amore di Cristo, con quella manifestazione gloriosa che affiora sul volto luminoso, splendente, sorridente di Cristo.
Non vergognatevi nella prova, perché in Cristo siete vincenti
Vv. 15-19. Nel secondo paragrafo la beatitudine di cui Pietro ci parla si impone dal di dentro delle nostre prove; è inutile che andiamo a cercare una beatitudine altrove; è dal di dentro delle difficoltà che lo Spirito creatore di Dio si manifesta in tutta la sua potenza vivificante e glorificante. "Nessuno di voi abbia a soffrire (patire) come omicida o ladro o malfattore o delatore (sono rischi ancora attuali, anche nella condizione nuova di vita cristiana; c'è chi patisce perché è un ladro, un malfattore, un omicida, un delatore e viene arrestato e condannato. Non così, però, dice Pietro; quella sofferenza è sempre occasione per incontrare i patimenti di Cristo, il patema di Cristo, l'amore di Cristo). Ma se uno soffre come cristiano (in quanto è di Cristo, segnato dall'appartenenza a Lui), non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome". Una vita radicata e strutturata nell'onestà è esposta a derisione, calunnie di ogni genere, ma quel che conta è la coerenza con il nome "cristiano"; e allora la vergogna diventa motivo per glorificare Dio; quella vergogna che l'opposizione generale vorrebbe imporre a coloro che hanno impegnato la vita nell'appartenenza al Signore Gesù Cristo acquista una valenza sacramentale, è un segno rivelativo della gloria di Dio. Questa è la vergogna di Cristo crocifisso, nudo, svergognato che ha condiviso la vergogna degli uomini peccatori. La famosa conversazione tra Gesù e i due cosiddetti ladroni sulla croce, nel Vangelo secondo Luca: "siamo sottoposti alla stessa vergogna" perché uno dei due dice: "se tu sei il Cristo, il Messia, l'Unto, il Consacrato, il Re salvati e noi ci salveremo dietro a te". E l'altro dice: "Non hai capito una cosa: noi siamo colpevoli, Lui è innocente e ci è toccata la stessa vergogna; stiamo morendo insieme e noi ci salviamo non perché Lui si salva, ma perché si perde con noi". E lo chiama per nome: "Gesù ricordati di me". "Oggi sarai con me nel giardino della vita".
E Pietro ci dice: Ma se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca". Ẻ una vergogna che fa tutt'uno con la glorificazione, con il rivelarsi glorioso di Dio in virtù di quel titolo di appartenenza al Figlio crocifisso, svergognato, denudato, esposto, rifiutato, buttato; ma la sua passione d'amore è stata vittoriosa; e alla vittoria della sua passione d'amore nessuna creatura umana può più sfuggire; nessuna svergognata, perduta creatura umana che abbia voluto rifiutarlo, contestarlo eliminarlo sfugge alla potenza creativa della sua vittoria d'amore. Noi siamo inseriti dentro questa testimonianza e missione. "È giunto infatti il momento in cui inizia il giudizio dalla casa di Dio; e se inizia da noi, quale sarà la fine di coloro che rifiutano di credere al vangelo di Dio?". Siamo tutti coinvolti nella stessa storia, non ci sono storie diverse. È l'unica storia, quella nella quale ormai è introdotto il segno della vittoria che raccoglie tutto nello spazio e nel tempo in obbedienza all'amore primigenio, eterno, irrevocabile; l'amore inesauribile, l'amore del Dio vivente.
"E se il giusto a stento si salverà,
che ne sarà dell'empio e del peccatore?
Perciò anche quelli che soffrono secondo il volere di Dio, si mettano nelle mani del loro Creatore fedele e continuino a fare il bene".
Noi siamo inseriti in una storia umana dove nessuno può sottrarsi a un disegno di comunione, a un disegno di solidarietà universale così come di solidarietà universale è stato protagonista Lui, il Figlio redentore; e questa solidarietà universale fa sì che nessuno di noi, in queste condizioni di vita nuova, che Pietro vuole valorizzare con tanta energia, sapienza, sollecitudine pastorale, si separi dalla storia dell'umanità; anzi, questa vita nuova ci rende interpreti dal di dentro, attraverso l'esperienza della vergogna e della solidarietà paziente che compatisce il dramma della storia umana, testimoni di quell'opera redentiva che si è compiuta una volta per tutte per raggiungere e coinvolgere tutti coloro che, altrimenti, sono perduti. Ed ecco la strada drammatica e dolorosa di questa pena; ma è la strada della morte; è strada rispetto alla quale noi siamo testimoni della nuova creazione.
L'ultimo versetto fa riferimento a qualcosa che potremmo chiamare martirio d'amore - senza andare a pensare a chissà quali personaggi costruiti dalla fantasia degli agiografi - che è il nostro modo di stare al mondo per rendere testimonianza a quell'opera creativa di Dio che sta raccogliendo quel che del disastro della nostra storia umana noi sperimentiamo come spreco, abuso e distruzione. Ẻ una nuova creazione che si sta configurando? Quel nostro essere incastonati nella passione di morte e risurrezione del Figlio di Dio ci colloca nelle mani del Creatore e il martirio d'amore della vita cristiana è atto di confidenza piena, definitiva, aperta alla fecondità inesauribile dell'amore di Dio per la salvezza dell'uomo.