Incontri di discernimento e solidarietà
 
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Le Chiese evangeliche e la pace

( Paolo Ricca, 27 febbraio 2004)



(Estratto dal volume di P. Ricca, Le Chiese evangeliche e la pace, Ed. Cultura della pace, 1989, parte I, “Dalla riforma agli inizi del movimento ecumenico”, pp. 9-59)





Preludio

Se c’è un ambito in cui il cristianesimo storico nel suo insieme appare, dopo venti secoli di esistenza, largamente deficitario rispetto alle sue premesse e promesse, questo è certamente l”ambito dell” «evangelo della pace » (Efesini 6, 15), da annunciare ai lontani e ai vicini (Efesini 2, 17) e da vivere nella concretezza delle relazioni umane personali e sociali (Romani, 12, 18). Ma anziché essere annunciato e vissuto come ci si sarebbe potuto aspettare, questo evangelo è stato ben presto, da un lato spiritualizzato (e quindi ridotto a fatto puramente interiore) e dall'altro secolarizzato (cioè ridotto a fatto sostanzialmente politico), quindi affidato all' arte della diplomazia e,in extremis, agli argomenti delle armi. Il discorso nuovo della fede in un Dio ad un tempo forte e disarmato, :vittorioso con la sola forza dell' amore e la Parola come unica arma, per cui l' uomo creato a sua immagine avrebbe potuto e dovuto conoscere anch'egli e praticare nella vita e soprattutto nei conflitti una forza diversa da quella delle armi, è stato ben presto sopraffatto dalla vecchia logica secondo cui la forza in fin dei conti risolutiva, quella che ha l’ultima parola, è la forza armata. Anche la pace va conquistata tutelata con le armi. Alla logica del regno di Dio si è a poco a poco sostituita la logica del regno di Cesare, tanto più dal momento in cui quest'ultimo è diventato cristiano. Allora, non solo le ragioni dell' imperatore cristiano sono parse più plausibili di quelle del Dio cristiano ma le prime si sono sovrapposte alle seconde, assorbendole in sé: le ragioni di Cesare - ormai cristiano pure lui, anzi paladino del cristianesimo - sono quelle di Dio. L”Evangelo della pace è diventato tutt' uno con la volontà dell' imperatore cristiano.

L’eclisse dell' Evangelo della pace è stato ovviamente accompagnato dal rapido tramonto del pacifismo radicale che Gesù propose nel Sermone sul monte, spingendolo fino all'amore dei nemici (Matteo 5, 44) e suggellandolo con due beatitudini che riassumono bene il paradosso evangelico in questo campo: « Beati i mansueti, perché erediteranno la terra » e « Beati i costruttori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio » (Matteo 5, 5 e 9). Non si può dire che il cristianesimo sia stato fino ad oggi, nella sua storia, “ beato “ nel senso di queste due beatitudini. Cristianesimo storico e pacifismo non si sono ancora, fino a oggi, dati la mano.

Ma malgrado i tradimenti vistosi e le sottili mistificazioni che ha subito, l”Evangelo cristiano della pace non è mai del tutto scomparso dall'orizzonte della fede e della pratica dei cristiani, anche se ha vissuto per lo più, un”esistenza largamente minoritaria, precaria e non di rado semiclandestina. Nell'ambito della cristianità “ costantiniana “, in particolare fino alla Riforma del 16° secolo, sono stati rari i momenti in cui la coscienza cristiana si è ridestata alla sua originaria vocazione pacifista. Due in particolare, quasi contemporanei, devono essere ricordati. Nella seconda metà del 12° secolo e nella prima metà del 13° fioriscono e si affermano il movimento valdese e quello francescano. Il primo fu condannato quasi subito perché rivendicava la libertà di predicazione per i laici e visse per secoli nella clandestinità; il secondo fu approvato dopo non poche esitazioni e cospicue modifiche del progetto originario e visse come ordine particolare integrato nella “grande Chiesa”. Pur nel loro destino così diverso, essi avevano in comune, tra altre cose, un pacifismo radicale dettato dalla fede.
La pace come esperienza personale e progetto collettivo è parte integrante e qualificante dell'esistenza cristiana. Il cristiano è come tale un uomo di pace, che semina pace intorno a sé e la costruisce insieme agli altri

Il valdismo fu pacifista perché letteralista, ubbidiente cioè alla lettera della Scrittura e specialmente ad alcune parole di Gesù contenute nel Sermone sul Monte: il rifiuto del giuramento (fondamentale cemento giuridico-spirituale della società medioevale, della sua piramide sociale dall'ultimo servo della gleba su fino all”imperatore, e ovviamente della sua organizzazione militare, questo fino ai nostri giorni!),

Il rifiuto della violenza e di ogni spargimento di sangue e quindi della guerra, in ubbidienza al comandamento “ Non uccidere” ulteriormente radicalizzato da Gesù. Il francescanesimo fu pacifista in ubbidienza allo spirito dell' Evangelo, inteso e vissuto anzitutto come potenza di riconciliazione che trasforma - pacificandoli - non solo., i rapporti tra gli uomini ma anche quelli tra l”uomo” e gli animali, e tra l’uomo e il creato. La riconciliazione in Cristo crea un universo di fraternità, di cui l’evangelo della pace è l’anima Ma mentre il pacifismo valdese fu relegato nelle catacombe della storia, quello francescano perse progressivamente la forte carica utopica originaria fu sempre più circoscritto all'ambito religioso, subentrando una involuzione di segno clericale. Così sulla soglia dell'evo moderno la parola e la testimonianza cristiana di pace languivano e quasi se n”era persa la memoria.



1. II pacifismo anabattista

Nel grande risveglio della coscienza cristiana preparato almeno in parte dall'umanesimo cristiano e messo in moto dalla Riforma del 16° secolo, ci fu anche un revival consistente di pacifismo cristiano. La Riforma propriamente detta - quella più conosciuta di Lutero, Zwingli, Calvino, non fu programmaticamente pacifista. Lo furono invece da un lato l'anabattismo nonviolento e dall'altro - ma con caratteristiche notevolmente diverse - l'umanesimo cristiano .

L’anabattismo, nelle sue varie ramificazioni, fu un fenomeno di cristianesimo evangelico di base su scala europea, il cui significato teologico-politico non è forse ancora stato fatto proprio dalla coscienza cristiana comune. L”ostracismo decretato nei suoi confronti con uguale intransigenza da cattolici e protestanti nel 16° secolo e - finché fu possibile - in quelli successivi, dimostra quanto la sua proposta fosse temuta e temibile per l” establishment cristiano del tempo, di qualunque segno confessionale. L”anabattismo, che è stato chiamato “ Riforma radicale “ o “ ala sinistra della Riforma sollevava infatti un interrogativo che da solo minava, in sostanza, l”intera costruzione del corpus christianum lentamente edificata attraverso i secoli e considerata irrinunciabile sia dalla chiesa di Roma sia dalle chiese della Riforma. L”interrogativo riguardava la legittimità stessa del sistema che, da un lato induceva la chiesa a legittimare come cristiane realtà che difficilmente possono essere considerate tali (ad esempio l”uso delle armi, la pena di morte, e così via) e dall'altro induceva il potere politico a favorire il cristianesimo e al tempo stesso strumentalizzarlo servendosene come cemento dell'unità dell'impero. Il battesimo dei neonati riceveva, in questo quadro, un evidente significato politico: iniziava, sì, il bambino alla vita della comunità ecclesiale, ma allo stesso tempo lo integrava nell'organismo religioso-civile del corpus christianum. Rifiutando il battesimo dei bambini l'anabattismo in realtà delegittimava il corpus christianum e, con esso, il potere politico e religioso che lo gestiva. L”interrogativo posto dall'anabattismo era il seguente: la società in cui viviamo è davvero cristiana come pretende di essere? È seriamente ipotizzabile una società cristiana? Ma se la nostra società non può essere considerata cristiana, non può esserlo neppure la Chiesa che, per i privilegi che ne ricava, irresponsabilmente la legittima come tale. Si comprende che una critica così radicale rese gli anabattisti invisi al potere costituito tanto politico che religioso. Entrambi li perseguitarono senza pietà.

Il rifiuto di ogni compromissione col potere civile ammantato di cristianesimo implicava, a fortiori, il rifiuto di ogni forma di partecipazione al potere militare, all'universo delle armi e al loro uso: l'anabattismo ne rifugge, rifiuta di farvi ricorso, vive disarmato. Si potrebbe dire che l'anabattismo fu più pacifico che pacifista, si preoccupò più di testimoniare la pace che di costruirla.

L’acuta percezione di una segreta ma fortissima antinomia tra esercizio del potere e vocazione cristiana ha però indotto l'anabattismo a isolarsi dal mondo costituendosi in esso come comunità santa, rigorosamente contraria a ogni partecipazione cristiana alla gestione della cosa pubblica, tanto da attirarsi l”accusa non priva di fondamento) da parte di Lutero di “nuovo monachesimo,”. È un fatto che i Riformatori, - . ad eccezione, entro certi limiti, di Bucero si opposero tutti frontalmente all'anabattismo, ricorrendo anche alla violenza legale e fisica. Perché? Per ragioni politiche e teologiche insieme. La ragione politica è che i Riformatori vissero, operarono e pensarono all'interno del corpus christianum e della sua ideologia, .che essi non solo non misero in discussione ma considerarono conforme ai dati della Bibbia ed alle esigenze della fede. Desolidarizzarsi dal corpus christianum sembrava ai Riformatori un atto irresponsabileil cui esito finale non poteva essere altro che la secolarizzazione della politica, il suo abbandono agliincreduli da parte dei credenti. Una abdicazione ingiustificabile , perché l”autorità politica è istituita da Dio, da Dio riceve il suo potere, a Dio deve risponderne. Certo, sovente non è cristiana, ma questo non significa che non debba esserlo. La ragione teologica dell' opposizione dei Riformatori agli anabattisti è che la separazione dal mondo da essi predicata e praticata col suo ricco corollario di rifiuti (rifiuto di giurare, di prendere le armi, di ricoprire cariche pubbliche e in particolare di amministrare la giustizia) equivaleva a un sabotaggio sistematico dello Stato e perciò costituiva, secondo i Riformatori, una vera e propria eresia politica.

Come s’è detto, l'anabattismo è un fenomeno complesso e di vaste proporzioni, diffuso, malgrado le dure persecuzioni subite, in Svizzera (con Konrad Grebel e Felix Mantz), nella scia della predicazione di Zwingli; nel Tirolo e in Moravia al seguito di Jakob Hutter (morto nel 1536) da cui è sorta la comunità hutterita; nella Germania settentrionale e nei Paesi Bassi con Menno Simons (1496-1561) .da cui ha preso nome e ispirazione il movimento mennonita; in Polonia, specialmente nella città di Rakow presso Cracovia.

Il pacifismo anabattista poggia su due princìpi fondamentali; quello critico della separazione (Absonderung) tra comunità cristiana e comunità civile che ubbidiscono, secondo gli anabattisti, a due leggi diverse per non dire opposte; e quello propositivo dell'amore come segno distintivo della comunità cristiana, cui essa non può rinunciare senza rinnegarsi. Illustreremo sommariamente questi due princìpi con due testi classici dell'anabattismo del Cinquecento.

Il primo è tratto dai celebri Articoli di Schleitheim, redatti tra gli altri da michael sattler anabattista amico di Bucero e Capitone, discussi e approvati dal sinodo anabattista di Schleitheim del 1527 e pubblicati anonimi col titolo Fraterno accordo di alcuni figli di Dio concernente sette articoli. Il 6° articolo tratta della “ spada “, cioè del potere civile e del suo diritto a usare la forza (fino a infliggere la pena di morte) per tutelare la legge e le regole della vita collettiva. Vi si legge tra l”altro

La spada è un ordinamento divino fuori della perfezione di Cristo.Le autorità mondane sono istituite per usarla... Ora, molti che non conoscono la volontà di Cristo nei nostri confronti, chiedono se anche un cristiano possa e debba portare la spada contro il male, per proteggere e tutelare il bene e per amore. La risposta unanime è stata rivelata da lui, che è mite ed umile di cuore... Il governo dell'autorità costituita è secondo la carne, quello dei cristiani secondo lo Spirito... La sua cittadinanza è in questo mondo, quella dei cristiani nei cieli. Le armi del loro combattimento e della loro guerra sono carnali e combattono soltanto contro cose umane; le armi dei cristiani invece sono spirituali, contro le fortificazioni del diavolo. I mondani sono armati con ferro e pugnale; i cristiani invece con l’armatura di Dio, con verità, giustizia, pace, fede, salvezza e con la parola di Dio2.

Si tratta, come si vede, di un pacifismo radicale ma, per così dire, manicheo. Alla sua radice c”è la contrapposizione frontale tra il mondo, e in esso lo Stato, e la comunità santa, che è l’alternativa divina al mondo. L’autorità civile, istituita per usare la spada, è fuori della perfezione di Cristo : non è né può essere cristiana. Non c’è quindi solo il rifiuto della violenza , delle armi e della guerra, c”è anche il rifiuto religiosamente motivato della politica e di ogni partecipazione diretta alla gestione della cosa pubblica. Il valore dell'opzione pacifista degli anabattisti resta intatto, anche per il rigore con cui essi si sottomettono alla parola biblica affidandosi totalmente alla sua verità. Ma il quadro teologico e politico in cui il pacifismo anabattista si colloca può lasciare interdetti e si comprende che nel 16° secolo abbia suscitato l’irremovibile opposizione dei Riformatori: essi avvertirono lucidamente che il prezzo del pacifismo anabattista era la rinuncia dei cristiani alla vita politica attiva, un atto irresponsabile di infedeltà alla pro pria vocazione cristiana che esige non l”abbandono ma, nella misura del possibile, la trasformazione del mondo. Il cristiano non ha il diritto di sottrarsi alla fatica e ai rischi dell'esercizio del potere civile e dell'amministrazione della giustizia umana. Egli non ha il diritto di abbandonare a se stessa la città dell'uomo per mettere al riparo la propria anima. Certo, l’anabattista pacifico e nonviolento resta nella storia cristiana un modello evangelico che ha cercato di dare corpo al novum incomparabile di Cristo; ma lo ha fatto in un contesto di astinenza politica e di emigrazione spirituale fuori dal campo delle responsabilità storiche proprie di ogni uomo, anche cristiano, per cui l”incidenza effettiva della sua testimonianza resta problematica e la sua impostazione di fondo discutibile.

Si tratta però di una testimonianza caratterizzata da una trasparenza evangelica assoluta, come appare - ad esempio - da questo secondo testo anabattista, tratto dalla Risposta a false, accuse composta da menno simons nel 1552:

La Scrittura insegna che ci sono due prìncipi e due regni in opposizione tra loro: uno è il Principe della pace, l’altro è il principe della contesa. Ciascuno di questi prìncipi ha il suo regno particolare, e come è il principe così è anche il regno. Il Prìncipe della pace è Cristo Gesù; il suo regno è il regno della pace, che è la sua chiesa; i suoi messaggeri sono i messaggeri della pace; la sua parola è la parola della pace; il suo corpo è il corpo della pace; i suoi figli sono la semenza della pace; la sua eredità e ricompensa sono l”eredità e la ricompensa della pace. In breve, con questo Re e il suo regno e impero non c”è altro che pace. Ogni cosa udita, vista e fatta è pace...Questa sovrabbondante grazia di Dio è apparsa a noi, poveri, miseri peccatori che prima non eravamo affatto un popolo e non conoscevamo la pace, ora invece siamo stati chiamati a essere un glorioso popolo di Dio, una chiesa, un regno, un”eredità, un corpo e un possesso di pace. Perciò desideriamo non rompere questa pace, ma con la sua grande potenza per la quale ci ha chiamati a partecipare a questa pace, vogliamo camminare in questa grazia e pace, senza cambiare né esitare fino morte. A Pietro fu ordinato di riporre la spada. Tutti i cristiani ricevono l”ordine di amare i loro nemici, di far bene a quelli che commettono soprusi su di loro e li perseguitano, di dare il mantello quando la tunica viene loro presa, di offrire l”altra guancia quando una è colpita. Ditemi, come può un cristiano giustificare in base alla Scrittura la vendetta, la rivolta, la guerra, le percosse, le uccisioni, le torture, i furti, le rapine, i saccheggi e gli incendi delle città, e la conquista di paesi? Oh amato lettore, le nostre armi non sono spade e lance, ma pazienza, silenzio e speranza, e la parola di Dio. Con esse noi dobbiamo portare avanti la nostra faticosa guerra e combattere la nostra battaglia... Seguendo le dichiarazioni dei profeti, essi [i veri cristiani] hanno trasformatole loro spade in vomeri d”aratro e le loro lance in roncole... e non impareranno più la guerra3.

Il senso del discorso è chiaro: il cristiano è un uomo che si è convertito alla pace. Diventare cristiano significa entrare in un mondo di cui la pace è, per così dire, l”elemento vitale. Ferire la pace in qualunque modo significa profanare questo mondo, nel quale non c”è più spada. La guerra è in ogni caso peccato, un' impresa cristianamente illegittima. Essa appartiene all' universo pre-cristiano. Cristianesimo significa ripudio della guerra e di tutto ciò che essa presuppone e comporta. Il cristianesimo non può produrre altro che pace. Cristianesimo e pacifismo si danno la mano, si riconoscono come fratelli: stanno in piedi oppure cadono insieme. L’opzione pacifista non è facoltativa per il cristiano, è parte integrante della sua vocazione. Non essere uomini di pace, nel senso più elementare ma anche più radicale del termine, equivale a non essere ancora o a non essere più cristiani. Un cristianesimo che non significhi offrire i propri corpi individuali e il corpo collettivo della chiesa come “ corpi della pace “, cioè come luoghi umani e storici in cui la pace evangelica prende letteralmente corpo, è un cristianesimo mondanizzato che si vergogna della croce del suo Signore o semplicemente non ha la fede necessaria per assumerla come criterio della propria esistenza.

Ma ecco il paradosso: proprio questa comunità disarmata, pacifica e inoffensiva, che porta la croce e non la spada, subisce una persecuzione tanto iniqua quanto implacabile: un testimone irriducibile della pace è più temibile di qualunque nemico, per quanto agguerrito.

Di nuovo in Brabante, nelle Fiandre, in Frisia e nel Gelderland i cuori pii che temono Dio sono condotti ogni giorno al macello come pecore innocenti, e sono martirizzati in modo tirannico e disumano. I loro cuori sono pieni di spirito e forza... Né imperatore o re,fuoco o spada, vita o morte possono spaventarli e separarli dalla parola del Signore4.

Gli anabattisti sono coloro che, nella storia della chiesa, hanno offerto il maggior numero di martiri alla causa della pace. Il loro pacifismo è stato molto spesso suggellato dal martirio. Questo gli conferisce una qualità incomparabile e lo colloca in una posizione eminente nella storia della testimonianza cristiana a favore della pace.



2. Tra guerra e pace: la posizione di Lutero

Al polo opposto rispetto alla posizione degli anabattisti sta lutero e, con lui, la Riforma in genere. Mentre per gli anabattisti la guerra è peccato sempre, senza eccezioni e senza riserve, per Lutero essa non lo è sempre e comunque. È certo un”operazione dolorosa ma non necessariamente un”impresa malvagia o iniqua. È un male, va da sé, ma può essere il male minore. Molti ne abusano ma abusus non tollit usum. Soprattutto non bisogna guardare ad essa « con gli occhi limitati e ingenui » dei fanciulli ma con « occhio virile », senza sentimentalismi. Ci rifacciamo qui a una delle opere di Lutero dedicate espressamente al tema Se anche i soldati possano essere in stato di grazia (1526)5. La risposta, alla fine, è positiva ma il discorso è complesso e articolato. Eccone in breve le affermazioni centrali.

1 -. Secondo Lutero la guerra è fondamentalmente una estensione della funzione del magistrato. La spada del magistrato che amministra la giustizia si prolunga nella spada del soldato che, se necessario, la fa valere con la forza. È la visione classica, tradizionale, della guerra giusta. «Che altro è la guerra se non un castigare torti e ingiustizie? Perché si combatte se non per avere pace e concordia? » (534). - come afferma Paolo in Romani 13, 1 ss - la spada del magistrato è istituita da Dio, lo è anche quella del soldato, nella misura in cui svolge, con altri mezzi la medesima funzione.

2. Certamente ogni guerra è una calamità ma non necessariamente la calamità peggiore. Come un medico può dover amputare un arto per salvare il corpo, così la guerra può essere il rimedio estremo e doloroso , ma salutare, la medicina amara ma alla fine benefica per il corpo sociale nel suo insieme. La guarigione del corpo vale più dell'arto perduto o della sofferenza patita. È la guarigione, in fin dei conti, che legittima l”amputazione. Così è il ristabilimento della giustizia che giustifica, in extremis, la guerra. Essa è giusta “ se grazie ad essa vince la giustizia. Non ci sarebbe guerra giusta se non ci fosse pace iniqua. Ma siccome ci può essere pace iniqua, ci può anche essere una guerra giusta. La seconda può essere preferibile alla prima.

3. Pur non dubitando della possibilità di una guerra giusta, Lutero ritiene che le guerre giuste sono rare. Non sono giuste — per principio, dato che, secondo lui, l”autorità anche se diventa tirannica resta istituita da Dio — le guerre di rivolta dei sudditi contro le autorità costituite sopra di loro a ogni livello (dei contadini contro i principi o dei principi contro l”imperatore), non perché l”autorità malvagia meriti clemenza o indulgenza ma al contrario perché « il suo castigo e la sua sventura le stanno più prossimi di quel che potresti desiderare » (449). Dio stesso infatti provvede ad abbattere il tiranno, quando lo ritiene opportuno. Nell'orizzonte politico di Lutero Dio non è sullo sfondo ma in primo piano, non è spettatore ma attore, è il soggetto politico per eccellenza. Perciò i tiranni devono tremare e i sudditi devono confidare in quella che potremmo chiamare una “ rivolta dall'alto “, la rivolta di Dio, senza anticiparla temerariamente dal basso.

4. Guerra ingiusta è anche quella che, pur essendo mossa da pari contro pari, è fatta per iniziativa propria anziché essere imposta dall'altro. « Dio è ostile a quelli che cominciano la guerra e rompono la pace » (559). Anche e soprattutto se uno ha ottime ragioni, non sia precipitoso, non inizi la guerra affidandone l”esito alle sue buone ragioni, soppesi « con la bilancia che si usa per pesare l”oro » ogni circostanza, cerchi con ogni mezzo il dialogo e l”accordo piuttosto che lo scontro. In altre, parole: non basta che una guerra sia giustificata perché diventi eo ipso giusta. « Chi comincia la guerra, ha torto » (557). Non basta aver ragione per avere il diritto di muover guerra. La guerra è un “ diritto “ solo quando è una ineluttabile necessità, non scelta ma subita.

5. In fin dei conti “ giusta “ è solo la guerra di difesa. Lo è perché è legittima la difesa di chi è stato ingiustamente aggredito. Importante è il principio affermato da Lutero per cui non basta la volontà del principe a legittimare una guerra. Se il tuo signore ti vuole coinvolgere in una guerra che tu in coscienza davanti a Dio consideri ingiusta, segui la coscienza e disubbidisci al tuo signore: è infatti meglio ubbidire a Dio che agli uomini (571). È in sostanza il principio dell'obiezione di coscienza che viene affermato , non alla guerra e all'esercito in generale ma a questa o a quella iniziativa bellica in particolare.

6. Se però giungi alla conclusione e convinzione, davanti a Dio e nel suo timore,che una guerra è giusta e va combattuta, allora non tirarti indietro, non esitare, partecipa con buona coscienza, «essendo certi e sicuri di servire Dio stesso con il nostro servizio militare) e la nostra obbedienza » (574). Lutero compone una preghiera del soldato in cui questi dice tra l”altro: « Ti ringrazio d”avermi assegnato tale opera, perché sono certo che non è peccato ma giustizia, ed una lodevole obbedienza alla tua volontà » (577). Ultimata la preghiera, il soldato può « aggiungere il Credo e il Padre Nostro », dopodiché « confida anima e corpo alle Sue mani, e sguaina la spada e vigorosamente combatte nel nome di Dio » (577). In altri termini,se la guerra è giusta, è anche santa, e come tale va combattuta. Non è giusta perché è santa, è santa perché è giusta. Abbiamo visto con quanta cautela Lutero ipotizza l”eventualità di una guerra giusta. Se però essa effettivamente si verifica, bisogna combatterla senza complessi di colpa e lacerazioni interiori perché malgrado le apparenze contrarie essa è paradossalmente un”opera di giustizia. Ma appunto: le guerre giuste sono molto rare.

Che dire in conclusione? Gli anabattisti rifiutano la spada del soldato perché rifiutano la spada del magistrato. Lutero accetta entrambe, e chiaramente accetta la prima perché accetta la seconda. All'interno della sua visione dei due regni, o governi, quindi delle due giustizie, temporale e spirituale (la prima esercitata con la spada — cioè con la forza — senza l”Evangelo; la seconda esercitata con l’Evangelo, senza la spada, « ma di ambedue Dio stesso è fondatore, signore, promotore e rimuneratore, ne vi sono ordinamenti o poteri umani ma solo divini ») (539), Lutero non concepisce né giustifica la rivolta dei sudditi contro le loro autorità, di cui pure denuncia con veemenza il carattere sovente iniquo e tirannico. Dio stesso farà prontamente giustizia. Per il resto, solo se e quando è di difesa la guerra può essere considerata giusta e quindi combattuta con buona coscienza davanti a Dio. Contro guerre non giuste, anche se dichiarate dall'autorità costituita, il cristiano deve opporre obiezione di coscienza.

È inutile dire che oggi il problema della “ guerra giusta “ si pone in termini totalmente diversi che nel 16° secolo, anzi in un certo senso non si pone neppure più.



3. Il pacifismo utopico

Nel corso di quello che è stato chiamato « il secolo di ferro »6 fiorì, per una coincidenza singolare ma non casuale, il pensiero utopico, che da un lato costituisce una confessione di impotenza nei confronti della società reale e una fuga da essa, dall'altro si cimenta nell'elaborazione di un progetto e modello di società possibile. Le “ utopie “ più note, oltre a quella fondamentale di Tommaso Moro (1516), sono La città del Sole di Tommaso Campanella (1602), la Nova Atlantis di Francesco Bacone (1627), la Descrizione del famoso regno di Macaria di Samuele Hartiib (1641) e la Descrizione della Repubblica di Cristianopoli (1619) di johann valentin andreÄ, pastore luterano. È di quest' opera che ora brevemente ci occupiamo, come documento, in ambito evangelico, di quello che si può chiamare il pacifismo utopico.

Gli studiosi sono oggi ancora divisi sull'interpretazione dell'opera: per alcuni essa condensa e raffigura nientemeno che « l”ideale sociale luterano » (così E. Troeltsch) mentre per altri è un « romanzo di educazione diretto a promuovere la formazione dell'individuo piuttosto che della società (P. Joachimsen), e per altri ancora è una sorta di « lezionario della vita spirituale » che non intende fornire il quadro di una società perfetta ma quello di una grande istituzione religiosa (R. De Mattei)8. Così pure oggi ancora non chiari e restano controversi sia i rapporti tra l”utopia di Andreä e la vicenda politica ed ecclesiastica del momento sia l”esatta fisionomia spirituale dell'autore, familiare con il pensiero utopico e l'umanesimo rinascimentale, con tradizioni esoteriche dedite a speculazioni astrologiche e computi cabalistici (i Rosacroce ma anche fervido esponente della più limpida ortodossia luterana! Malgrado queste zone d”ombra un : : è chiaro, ed è che « l”ispirazione di fondo della narrazione utopico-scientifica di Andreä... va cercata... nel non celato desiderio di avvalorare la grande forza morale delle virtù cristiane e la straordinaria capacità terapeutica della carità fraterna, quando essa sia fatta propria dagli stessi governanti a seguito di un”opera rinnovata e continuamente rinnovantesi di riforma religiosa» 9.

Si tratta in altre parole di concepire e presentare il cristianesimo non soltanto come religione di salvezza ma anche come forza spirituale in grado di plasmare una città (dunque non solo delle anime) - una città che per quanto tutta pervasa di spirito religioso resta città e non diventa convento, città ideale ma non irreale, utopica ma non impossibile. L”Evangelo non è più soltanto Parola che redime e spalanca le porte del cielo ma anche Parola che forma e ri-forma l”uomo e il mondo, che “ rifà la gente “; è una Parola capace di suscitare una nuova cultura, che dia vita a nuovi rapporti personali e sociali, e quindi inauguri una pagina nuova della storia umana. Solo in apparenza l'utopia destoricizza il messaggio: descrivendo un “ altrove “ che non può essere localizzato, l”autore pensa al suo mondo e ai suoi giorni. Certo, il messaggio diventa un sistema impeccabile, un ordine perfetto: l”utopia è senza trascendenza avendola tutta risucchiata in sé; in questo senso potremmo dire che l”utopia è atea in quanto Dio fa ormai parte integrante del sistema. Nell' utopia non c'è posto per il giudizio di Dio. Esso è superato. L’utopia addomestica il messaggio. Eppure, leggendo le pagine di Crìstianopoli ci si accorge che l’utopia di Andreä trova nell'amore la sua forza motrice e la sua ragione più profonda e che essa vuoi essere un”opera più di profezia che di fantasia: descrizione non già di un “ altrove “ irraggiungibile quanto piuttosto di un futuro possibile.

Questo futuro possibile è un futuro di pace. La nuova cultura prefigurata e proposta nell’ utopia è anche, tra le altre cose, una cultura di pace. Uno dei cento capitoletti che compongono l’opera dedicata alla « armeria ». Vi si legge che

mentre il mondo si gloria molto .degli strumenti bellici, delle catapulte, delle altre macchine e delle armi da guerra, costoro [gli abitanti di Cristianopoli] guardano con orrore a ogni genere di strumenti ferali e mortali, qui raccolti in grandissima quantità, e li mostrano ai visitatori...10.

L’armeria sembra qui trasformata in museo: è oggetto di visite, come si visitano monumenti e cimeli di una storia ormai passata. L”utopia della pace rende vetusti e arcaici gli universi militari e gli arsenali bellici. Ma sorprendentemente l”utopia di Andreä non prevede una città del tutto disarmata. L”autore, pastore luterano, sa che anche un”ipotetica “ città di cristiani” non è ancora una città di angeli. C”è chi nella città porta armi «sebbene malvolentieri, per respingere una violenza più iniqua »; inoltre ai singoli cittadini vengono distribuiti « mezzi di difesa privati che servono nelle case per qualche caso imprevisto» u.

L’utopia luterana resta, si direbbe, con i piedi per terra: non prevede un mondo disarmato perché non prevede un mondo totalmente libero dal male, né d”altra parte sembra in grado di immaginare, e quindi di proporre, un sistema di difesa unicamente nonviolento. Il valore del pacifismo evangelico di tipo utopico sta dunque essenzialmente nella prospettiva che dischiude e già in qualche modo anticipa: trasformare gli arsenali in musei.



4. Il pacifismo pedagogico

C' è un'altra pagina interessante della storia della pace nella tradizione evangelica: è quella scritta dal pastore, teologo e vescovo dell' Unitas Fratrum boema .johann n amos comenius (1592-1670). Noto soprattutto per le sue iniziative e dottrine pedagogiche (i suoi scritti al riguardo restano pietre miliari della storia della pedagogia moderna), Comenius si occupò con passione anche di problemi sociali e politici, soprattutto su scala internazionale. In questo quadro si colloca una delle sue opere maggiori, alla quale dedicò gli ultimi 25 anni di vita, la De rerum humanarum emendatione consultalo catholica, in sette volumi, di cui solo i primi due furono da lui dati alle stampe; degli altri cinque, lasciati in forma manoscritta, si perse ogni traccia fino a quando, quasi tre secoli più tardi,nel 1935, furono fortunosamente ritrovati a Halle. Da soli vent'anni l”opera è, per la prima volta nella storia, di pubblico dominio "12

La Consultatio è destinata « al genere umano » ma anzitutto « agli uomini di scienza, ai responsabili religiosi, ai capi di Stati dell'Europa ». Il titolo rivela il contenuto dell'opera e il suo respiro universale: un progetto di riforma (emendatio} generale dell'umanità come premessa e fondamento di un futuro di pace. Ciò che colpisce subito è l”universalità dell'orizzonte. Val la pena di descrivere sommariamente l' architettura dell' opera, per comprendere come Comenius imposta ed articola il suo discorso di pace.

L’opera è composta di sette libri. Il primo (Panegersìa = « risveglio universale ») è un vivo appello a intraprendere la riforma generale dell'umanità, « ma per vie non ancora tentate », cioè quelle dell'unità, della semplicità e della spontaneità. Il secondo libro (Panaugìa = « irradiamento universale ») pone il fondamento teorico del programma di riforma: c”è una luce diffusa nel mondo e nell'uomo, che all'origine procede da Dio e a lui conduce, e che, se accesa nelle coscienze, libera lo sguardo della mente « dal glaucoma dei pregiudizi » e dispone gli animi al cambiamento personale e collettivo. Il terzo libro (Pansophìa = « sapienza universale »), di gran lunga il più voluminoso, è una vera e propria enciclopedia del sapere del tempo su tutta la realtà: terrena è celeste, naturale e artificiale, scientifica ed artistica, umana ed angelica, materiale, morale e spirituale, temporale ed eterna. È un vasto panorama suggestivo ed armonico in cui fede e ragione, scienza umana e rivelazione divina, si fondono in una sintesi superiore. Il quarto libro (Pampaedìa = « educazione universale ») contiene un compendio delle dottrine pedagogiche di Comenius e indica nella socializzazione della cultura la via maestra per la riforma generale dell'umanità. Il quinto libro (Panglottìa = « lingua universale ») affronta il problema della varietà delle lingue, afferma la necessità di una lingua comune a tutti i popoli (pur conservando ciascuno la propria) ed offre un primo, interessantissimo « tentativo » (come lo chiama Comenius) al riguardo. Il sesto libro (Panorthosìa = « riforma -versale ») è il coronamento di tutta l”opera e contiene le proposte di Comenius per la emendatio auspicata: ci torneremo tra breve perché è qui che egli sviluppa in maniera più organica il suo discorso di pace 13. L'ultimo libro {Pannuthesìa=« ammonimento universale ») è costituito da una lunga serie di esortazioni rivolte a diversi destinatari perché tutti concorrano, facendo ciascuno la sua parte, al rinnovamento del mondo intero.

Nella Panorthosìa troviamo, come s’è detto, l' essenziale del discorso di Comenius sulla pace. Nel qua-dro di questa presentazione forzatamente sommaria possiamo solo metterne in luce tre tratti salienti.

1. -. Il primo è l’intima correlazione tra ecumenismo e pace, tra pacificazione tra le chiese e pace tra i popoli, tra unità della chiesa e unità dell' umanità. Proprio perché c'è interdipendenza tra riforma della chiesa e rinnovamento del mondo, le chiese contribuiscono nel modo più efficace al rinnovamento del mondo rinnovando se stesse. Se le chiese sapessero superare le loro divisioni e costituire un unico popolo formato però da gente di nazioni, culture, razze, lingue, ceti sociali, confessioni diverse, dimostrerebbero che l”unità tra gli uomini è possibile, che quindi la pace è possibile, in quanto è possibile vivere nella diversità senza vivere negli antagonismi, nei conflitti, nella divisione e alla fine nella guerra, sia essa armata no, “ fredda “ o “ calda “. La chiesa, come comunità di diversi unificati in Cristo, come “ diversità riconciliata”, fornirebbe all'umanità in cerca di pace un modello prezioso e diventerebbe in mezzo ad essa una comunità esemplare.

2. L’educazione è secondo Comenius il mezzo decisivo per formare una umanità pacifica e così giungere a un mondo di pace. C’è nella Consultatio una fondamentale fiducia non tanto nell'uomo quanto nella sua perfettibilità, nella possibilità di una sua crescita e maturazione, tramite appunto l”educazione. Comenius non crede tanto nella bontà dell'uomo quanto nella possibilità che diventi buono, non da solo ma aiutato da altri, grazie alla forza persuasiva e formativa di una paziente e perseverante pedagogia di pace. Ecco perché il pacifismo di Comenius può a buon diritto essere chiamato “ pacifismo pedagogico “. Ma per Comenius l' educazione è solo strumento, non fondamento di un” umanità pacifica: il fondamento sta in Dio e precisamente nell'opera di riconciliazione compiuta da Cristo. Perciò Comenius si appella all'uomo e intende responsabilizzarlo al massimo per la costruzione di un mondo nuovo (non dimentichiamo che tutta la riflessione di Comenius si svolge sullo sfondo di un”Europa da poco dilaniata e devastata dalla guerra dei Trent'anni!), ma allo stesso tempo si appella a Dio e conclude ogni libro con una vibrante invocazione e implorazione a Lui rivolta, ravvisando così non nell'uomo ma in Dio colui sul quale soltanto può essere fondato e costruito un mondo di pace.

3. La pace universale ha bisogno di strutture, cioè di istituzioni apposite che la custodiscano e la favoriscano. Un mondo di pace nasce grazie a una cultura di pace, ma perché esso cresca e duri nel tempo occorrono strutture ad hoc, create dalla "volontà collettiva dei popoli. La pace non nasce senza una cultura di pace ma non dura senza strutture di pace. Nella Panorthosìa Comenius propone la creazione di tre strutture di. questo genere: una culturale, il « Collegio della luce »; una politica, il « Dicastero della pace »; una religiosa, il « Concistoro ecumenico » (capp.16-18). Nel Collegio della luce, responsabile della promozione culturale dei popoli e delle persone, deve aver luogo uno scambio continuo di informazioni e conoscenze: esso è luogo e strumento di socializzazione e internazionalizzazione di tutto il sapere umano. Il Dicastero della pace funge da spazio di dialogo politico tra popoli e nazioni e da organo di mediazione in caso di conflitti: la pace non è solo profezia religiosa e operazione culturale, è anche transazione politica, frutto di paziente tessitura di rapporti amichevoli tra governi e nazioni, Il Concistoro ecumenico, infine, avrà cura della vita religiosa dell'umanità e in particolar opererà affinché la signoria di Cristo su ciascuno e su tutti sia mantenuta e vissuta. Il Concistoro potrebbe diventare il perno istituzionale dell' unità di tutte le chiese.

In sostanza, il contributo maggiore di Comenius alla storia della pace nella tradizione evangelica sembra essere questo: la pace non appartiene, come in Andreä all' orizzonte sfuggente dell'utopia, non ha bisogno di essere immaginata quanto piuttosto progettata

Essa può essere costruita con un lavoro paziente e capillare di educazione alla pace e con la creazione di apposite strutture in grado di assicurare durata e continuità alla pace conseguita. In altre parole: per Comenius non c’è pace senza politica. Ma anche, e soprattutto – l’abbiamo già detto - non c”è pace senza Dio,fonte viva e perenne di ogni pace. Lo specifico del discorso di Comenius sta proprio nell'affermare le due cose insieme: la pace non è solo frutto della fede ma anche della politica e della cultura, e, inversamente, non è solo frutto della politica e della cultura,ma anche della fede. Meglio ancora: la fede pone il fondamento della pace, politica e cultura vi costruiscono sopra.



5. Il pacifismo quacchero

I quaccheri (chiamati anche “ Società degli Amici “ - s”intende amici della verità o della luce o di Gesù stesso, secondo la parola di Giovanni 15, 15, non semplicemente amici fra di loro costituiscono insieme ai mennoniti e alla Church o! Brethren ( = Chiesa dei Fratelli, diversa però da quella che in Europa porta questo nome, anche se entrambe appartengono all'area evangelica) l”esigua pattuglia di chiese cristiane che, sorte in seno al protestantesimo, vengono comunemente designate come “ chiese pacifiste storiche “ (Historical Peace Churches), chiese cioè che fin dall'inizio della loro storia hanno praticato un pacifismo radicale, facendo della non violenza un punto qualificante dell'identità cristiana, un aspetto irrinunciabile dell'esistenza cristiana. Queste chiese sono poco conosciute, sia perché sono di proporzioni relativamente modeste, sia perché le “ grandi chiese “, nella loro ottusità, non le hanno mai prese veramente sul serio, non di rado anzi le hanno derise. Ma oggi le cose stanno cambiando. Il tempo dello scherno è finito. I mennoniti, i quaccheri, i pochi pacifisti cristiani nonviolenti di cui ci si prendeva gioco appaiono sempre più come gli unici che, in questo ambito, hanno preso sul serio fino in fondo l”evangelo di Cristo. Non c”è più da ridere dei quaccheri e degli altri cristiani come loro; dovremmo piuttosto piangere su noi stessi per non aver capito prima che avevano ragione.

Il nome Quakers (translitterato in italiano con “ quaccheri “) è in realtà un nomignolo dato dagli avversari e ricavato dal verbo to quake che significa “ tremare “. Probabilmente esso allude a fenomeni estatici che si verificavano talvolta nelle assemblee culturali di questa comunità. Il suo tratto più caratteristico era ed è di abbinare una vita religiosa molto intensa, centrata sulla illuminazione interiore, sulla sua attesa paziente, silenziosa, nel raccoglimento profondo del proprio “ io “ fino alla congiunzione mistica con Dio nello Spirito, con un impegno storico-politico molto energico e coraggioso nel nome di una santificazione totale della vita secondo la linea del Sermone sul monte, col conseguente rifiuto della violenza, della guerra, del giuramento e di ogni forma di complicità con la violenza delle istituzioni politiche o religiose, comunque essa si esprima.

Duramente perseguitati nei primi quarant'anni della loro esistenza, fino all' Editto di tolleranza del 1689, i quaccheri si diffusero soprattutto nelle colonie inglesi del Nuovo Mondo in cui i margini di libertà erano maggiori che in Inghilterra. I due rappresentanti più noti del quaccherismo sono george fox (1624-1691) fondatore del movimento e william penn (1644-1718) fondatore della Pennsylvania, regione d”America che egli chiamò così in onore di suo : padre e che costituì e organizzò come Stato quacchero. Questo Stato fu la prima vera patria della libertà di coscienza nel mondo occidentale: esso riveste dunque nella storia politica e civile dell' Occidente un”importanza unica. La Carta costituzionale dello Stato risale al 1681. Ha una base religiosa che consiste in una dichiarazione di fede in Dio creatore e guida dell'umanità, da cui consegue che tutti gli uomini sono tra loro fratelli e devono trattarsi come tali:: è questo il principio politico-religioso ispiratore del quaccherismo. Lo Stato quacchero durò circa settant'anni,al termine dei quali il «santo esperimento, come lo stesso Penn l'ha chiamato) si conchiuse perché praticando la Pennsylvania la libertà d”immigrazione, i quaccheri finirono per diventare minoranza nel loro stesso Stato e nel suo parlamento, che a un certo punto decise - tra le altre cose - l’ istituzione di un contingente militare, rinnegando il tradizionale pacifismo dei quaccheri e così snaturando irrimediabilmente la fisionomia dello Stato da essi fondato.

Questa fisionomia può essere ricondotta a quattro tratti fondamentali. Il primo è una piena e incondizionata libertà di coscienza, religione e culto. Il secondo è l”avvio di un processo di liberazione degli schiavi, che sfociò più tardi, nell' abolizione della schiavitù, per la quale i quaccheri svolsero un ruolo decisivo. Il terzo è il rapporto nuovo instaurato con gli indiani: si sa che Penn stipulò con essi un celebre “ accordo “, mai infranto, in cui, contrariamente alle abitudini del tempo, gli indigeni venivano considerati e trattati come partners aventi gli stessi diritti e doveri. Il quarto tratto caratteristico dello Stato quacchero è che esso « è il primo e unico Stato che sia stato fondato senza un esercito, che abbia quindi rinunciato all'uso della violenza e alla sicurezza dello Stato mediante la violenza » 14. È su questo particolare aspetto dell'esperienza quacchera che dobbiamo ora soffermarci.

Anche se il pacifismo è di gran lunga il comportamento più conosciuto (e in passato, come s'è detto, sovente ridicolizzato) del quaccherismo, esso non caratterizzò il movimento nei suoi primi anni di esistenza. All'inizio non pochi quaccheri erano mèmbri dell' esercito (di Cromwell in particolare) e anche tra i civili non tutti condividevano una scelta pacifista radicale. « Ci vollero nove anni prima che i quaccheri divenissero decisamente pacifisti » 15. Le ragioni di questa evoluzione furono da un lato un approfondimento della loro esperienza religiosa e delle sue implicazioni, e dall' altro alcune circostanze storiche di cui un paio, almeno, vanno ricordate. La prima è che non pochi quaccheri erano stati protagonisti delle vicende rivoluzionarie del 1640 e degli anni successivi, ed avevano maturato una posizione molto più problematica di prima - per non dire apertamente critica - nei confronti dell'idea di una violenza purificatrice e liberatrice. Emblematico, al riguardo, l' itinerario di John Lilburne che da capo dei levellers, cioè dei rivoluzionari radicali, divenne quacchero, fece un”esperienza di conversione che lo indusse a rinunciare alla violenza, anzitutto militare, e a lottare con altre armi.

Ho veramente ed effettivamente trovato quello che la mia anima ha cercato per tanti anni... e perciò sono ora sono fermamente convinto che da ora in poi non userò mai più una spada temporale né mi unirò a coloro che agiscono in questo modo.16.

.La seconda ragione della transizione del quaccherismo al pacifismo fu la delusione provata da molti quaccheri per l”involuzione del regime di Cromwell, da cui risultava evidente l”impossibilità che l”impossibilità « che le “ armi carnali” possano offrire un mezzo per far progredire il regno di Dio » 17: tanto valeva abbandonarle. Emerge qui un punto nevralgico della coscienza quacchero e, in generale, di tutto il pacifismo la necessità che il mezzo sia congruo con il fine, che non lo contraddica, anzi ne sia già una manifestazione.

Ma per quanto favorito da particolari circostanze storiche, è chiaro che il pacifismo è diventato parte integrante del quaccherismo principalmente per ragioni religiose. Le più importanti sono tre18 ed è importante osservare subito che fra queste non si trova quella quella frequentemente addotta da altri gruppi, movimenti o chiese cristiane a sostegno di una posizione di pacifismo integrale, e cioè l'etica del Sermone sul monte (Matteo 5-7) e in particolare alcune celebri parole di Gesù sull'amore dei nemici e la non resistenza al malvagio.Le radici spirituali del pacifismo quacchero sono altre; esso non è tanto un atto di ubbidienza incondizionata a questa o quella parola di Gesù scritta nel vangelo, quanto un comportamento dettato dallo spirito di Gesù all' opera del credente: è un pacifismo che nasce non da fuori ma da dentro. In che modo? Su che base? Tre linee possono essere indicate.

1. Anzitutto è fondamentale il ruolo della “ luce interiore” (Light within) che non è semplicemente la luce della coscienza morale individuale o della ragione universale ma è la luce di Dio e di Cristo, più concretamente è lo Spirito che ha animato la vita e l'opera di Gesù di Nazareth e che continua ad agire nei suoi amici o discepoli. Tra il Cristo dentro di noi, presente nello Spirito, e il Cristo fuori di noi descritto dai vangeli, c”è continuità: non si può separare il Cristo delle anime dal Cristo della storia, e viceversa, come non si. può separare la luce dal sole. La dottrina della luce o del Cristo interiore si intreccia costantemente nella teologia quacchera con quella del “ seme “ (Seed) o principio divino o vehiculum Dei, una forma comunque di presenza divina nell'anima umana, la cui manifestazione non è innata ma donata, per cui va attesa e ricevuta. È questo “ seme “ la radice del nuovo essere, dell'umanità rimodellata secondo il Cristo interiore. Il “ seme “ divino, di cui ogni uomo è destinato ad essere portatore, è la matrice di una nuova umanità, la radice della sua unità e la ragione vera di una scelta di vita nonviolenta, non aggressiva, pacifista e pacificatrice w.

2. Su questo terreno - quello della “ luce interiore “ del “ seme divino “, del “ Cristo delle anime “ - affonda le sue radici l'altro principio costitutivo del pacifismo quacchero: la fraternità universale. “Questa fraternità è fondata non sulla comune condizione umana ma sulla comune vocazione di ogni uomo a essere illuminato dalla luce divina. La fraternità per i quaccheri non è soltanto una categoria spirituale o una disposizione psicologica nei rapporti interpersonali, ma investe l”ambito dei rapporti politici e diventa struttura fondante una nuova comunità civile, oltre che religiosa. La convinzione profonda che ogni uomo reca in sé effettivamente o potenzialmente qualcosa di divino determina una fraternizzazione di tutti i rapporti, che a sua volta ha due conseguenze di grande rilievo. La prima è il rifiuto della violenza e della guerra e di ogni aggressione all'integrità fisica o psichica del prossimo. La seconda è una forte esigenza di democrazia che comporta da un lato una relativizzazione dei poteri costituiti pur nel riconoscimento e rispetto loro dovuto (il rifiuto di togliersi il cappello davanti alle autorità e l’uso costante del “ tu“ anche nei riguardi dei ”superiori “ sono i segni di questo atteggiamento non necessariamente eversivo ma sicuramente smitizzante: non stupisce che non pochi quaccheri furono condannati perché sospettati di coltivare simpatie anarchiche o di complottare contro il governo.

3. Proprio questo atteggiamento di libertà interiore nei confronti delle autorità costituite è il terzo caposaldo del pacifismo quacchero. È il presupposto di quella che oggi si chiama “disubbidienza civile”, che i quaccheri hanno praticato oltre tre secoli or sono là dove lo esigeva la loro coscienza cristiana. Certo, il cristiano deve dare a Cesare quel che è di Cesare, ma chi stabilisce “quel che è di Cesare”? Non può essere Cesare soltanto! Occorre stabilirlo insieme. Nella complessa e controversa questione dei rapporti tra chiesa e Stato «il loro [dei quaccheri] più nobile contributo sta nella costanza e fermezza della loro protesta contro l'invasione della coscienza del cristiano da parte dello Stato»20. L”intransigente e costosa affermazione del primato della coscienza indusse i quaccheri a violare apertamente e pubblicamente le leggi ritenute contrarie a princìpi morali irrinunciabili (ad esempio tutta la legislazione militare), accettando di pagare il prezzo di questa trasgressione.

I quaccheri hanno dato un contributo decisivo alla storia dell' obiezione di coscienza in generale e a quella dell' obiezione di coscienza al servizio militare in particolare.«Se oggi in molti paesi coloro che rifiutano di prestare il servizio militare per motivi di coscienza vengono legalmente riconosciuti, ciò è dovuto in gran parte alla risolutezza e perseveranza di quei primi obiettori»21: i quaccheri.

Una delle prime e più limpide espressioni del pacifismo quacchero risale al 21 novembre 1660. È una dichiarazione pubblica presentata al re Carlo II e da allora rimasta in vigore fino a oggi. Eccone il contenuto:

Noi ripudiamo energicamente tutte le guerre e le contese ed ogni combattimento con armi materiali, quale ne sia lo scopo e quale ne sia il pretesto: questa è la testimonianza che rendiamo al mondo intero. E se ci si obietta: «Voi ora dite che non potete combattere, ma se lo Spirito vi muovesse, voi dovreste allora mutare il vostro principio e combattere per il regno di Cristo », rispondiamo che lo spirito di Cristo, dal quale siamo guidati, non può mutare comandandoci di fuggire oggi come male una cosa che domani, invece, ci comanderà di compiere. Sappiamo per certo, e lo dichiariamo dinanzi al mondo, che lo spirito di Cristo, che ci guida alla conoscenza di ogni verità, non ci indurrà mai a partecipare ai combattimenti ed alle guerre, con armi materiali, contro chi che sia, e ciò né per il regno di Cristo né per i regni di questa terra22.

Questo rifiuto della guerra e della violenza è stato ribadito innumerevoli volte. Particolarmente vibrante fu L”appello alle chiese cristiane di tutto il mondo rivolto dai quaccheri nel 1923 nel ricordo ancora bruciante della I" guerra mondiale. Vi si legge tra l’altro:

Sembra a noi che il cristianesimo si trovi attualmente di fronte a una grave crisi e ad un dovere divino. Nelle odierne convulsioni, effetto della più terribile guerra della storia, due vie ci si parano davanti. Una conduce inevitabilmente a una nuova guerra... L”altra inizia con un assoluto ripudio della guerra. Queste due vie si volgono in direzioni assolutamente opposte. Sappiamo troppo bene su quale delle due vie troveremo le orme e le tracce del nostro Signor Gesù Cristo... La più urgente delle riforme del nostro tempo è di abolire la guerra, di stabilire, ad esclusione di qualsiasi altro mezzo, misure pacifiche per regolare le vertenze e promuovere la cooperazione tra le nazioni. Questi mezzi pacifici non potranno riuscire fino a che le nazioni non avranno trasformato le loro spade in vomeri e non avranno cessato di imparare la guerra... Quale più grande messaggio di gioia e di ricostruzione potrebbe oggi essere annunziato all'umanità che l'assicurazione che tutti coloro che portano il nome di Cristo hanno deciso solennemente di non prendere mai più parte alle guerre né ai suoi preparativi, ma di lavorare d”ora innanzi collettivamente a favore della pace con mezzi esclusivamente pacifici?...23.

L’ originalità e la forza del pacifismo quacchero risiedono da un lato nel suo radicamento in un’ esperienza religiosa di tipo mistico e dall'altra - soprattutto nel nostro secolo - nella concretezza e nell' efficacia specifica dei loro interventi specifici nei luoghi di alta conflittualità o di guerra vera e propria, prospettando soluzioni dei conflitti che non siano la vittoria dell'uno o dell'altro ma una vittoria per entrambi. Che si tratti di Una proposta per la pace presente e futura d”Europa mediante l' istituzione di una Dieta o di un Parlamento di Stati europei (1693) fatta da William Penn 24, o di iniziative di conciliazione e pace tra l”Inghilterra e il Pakistan nel 1965, o nella guerra civile nigeriana del 1967-70, o nella guerra del Vietnam o in altre analoghe situazioni di conflitto, l’obbiettivo è sempre lo stesso: indurre i contendenti o belligeranti a fare la pace,sulla base di piani che li aiutino a vedere aldilà degli interessi propri anche quelli comuni25. Ma per poter far questo è indispensabile una conoscenza approfondita dei problemi che soggiacciono ai conflitti, occorre cioè una competenza politica di prim' ordine associata ad altre virtù quali un realismo che non degeneri mai in cinismo, un coraggio che non sfoci nell' avventatezza, una creatività che non sia figlia dell' improvvisazione. .

In conclusione, nel pacifismo quacchero convergono un' alta ispirazione religiosa e una lucida intelligenza politica. La motivazione religiosa li rende ideologicamente liberi; essi vivono questa libertà come indipendenza ma non come neutralità. Con la loro secolare esperienza e testimonianza i quaccheri dimostrano che una posizione religiosa intimamente vissuta e un”iniziativa politica altamente qualificata non solo possono ma devono coesistere e fecondarsi a vicenda.



6. Il pacifismo filosofico

Se in questa panoramica sulle tappe principali della storia della pace nella cristianità evangelica ci soffermiamo qualche istante sul pacifismo di immanuel kant non è solo perché egli apparteneva alla chiesa luterana e ricevette una formazione religiosa di stampo pietista, ma per ragioni più sostanziali. Molti si sono chiesti fino a che punto Kant possa essere considerato un filosofo protestante e in quanto tale anche cristiano. I pareri divergono. C”è chi sottolinea che la religione di Kant « è sostanzialmente rimasta una religione della legge », estranea quindi al cuore stesso della comprensione protestante (e luterana in particolare) del cristianesimo come religione della grazia immeritata, immotivata, incondizionata, per cui « è escluso definire Kant un filosofo del protestantesimo nel senso che avrebbe cercato di esprimere con purezza nel suo pensiero i tratti essenziali dell'uomo protestante » 26. Ma c”è anche chi ha dato della “ teologia “ di Kant un’interpretazione che la rende meno distante dall’ortodossia cristiana e dal nucleo centrale della fede protestante.

È vero, ad esempio, che Kant parla della grazia con un certo imbarazzo e qualche reticenza e non gli è facile integrarla nella sua comprensione della religione; ma non perché egli la consideri superflua o irrilevante ma per il timore che la sua invocazione sia un modo raffinato - perché altamente spirituale - per coprire negligenze e pigrizie in campo etico. Kant teme che la grazia allenti la tensione morale, teme cioè la grazia a buon mercato. « L’intenzione di Kant... non è tanto di rifiutare la grazia... quanto di volere che questa grazia sia accolta nel cuore stesso del soggetto etico, che gli sia incorporata »27. Analogamente, è vero che il Cristo di Kant è essenzialmente un modello, “ l’archetipo dell’umanità “, ma come tale esso suscita in noi « riconoscenza e non solo ammirazione » e «in qualche modo penetra in noi», per cui Kant parla non solo di imitazione ma anche di fede – s’intende fede pratica- in lui.28.

Certo, tutto l’orizzonte religioso kantiano è dominato dalla ragione pratica e la stessa giustificazione del peccatore per grazia vale nella misura in cui innesca il processo della sua santificazione. La religione originaria e autentica è quella della ragione morale. L’essenza della religione è moralità. Rispetto ad essa, la religione positiva, rivelata, ecclesiastica è, a posteriori, un fenomeno secondario e sussidiario, è l’involucro rispetto al nucleo, il mezzo rispetto al fine, il veicolo rispetto alla meta. Non è la morale che nasce dalla religione, è la religione che nasce dalla morale.

Ora è ovvio che questa intronizzazione kantiana dell’ uomo morale non è, propriamente, la quintessenza dell’ Evangelo cristiano e - meno ancora – della sua comprensione protestante, imperniata sulla polarità «l’uomo colpevole e perduto - Dio giustificante o salvatore » 29. È un fatto che nell'Evangelo lo stupore della fede non è destato dalla moralità dell'uomo ma dalla misericordia di Dio. In Kant invece Dio diventa un postulato della moralità dell'uomo. È l’impostazione stessa del rapporto uomo-Dio che è molto diversa per non dire inversa, in Kant rispetto alla Bibbia, e viceversa.

Detto questo però non si può non rilevare che - sia pur elaborandola in un contesto totalmente diverso da quello biblico originario - Kant ha colto una delle strutture portanti dell’antropologia cristiana: è il fare dell'uomo che qualifica la sua umanità, è sul terreno della “ragion pratica” che si misura la consistenza della sua umanità. L’uomo prende coscienza della sua umanità prendendo coscienza della sua moralità. Abdicazione dalla moralità significa caduta nella barbarie. La dignità dell' uomo consiste propriamente nella sua moralità, come risulta dalla celebre conclusione della Critica della ragion pratica

Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me... La prima comincia dal posto che occupo nel mondo sensibile esterno... La seconda comincia dal mio io invisibile... Il primo spettacolo annulla la mia importanza... Il secondo invece eleva infinitamente il mio valore 30.

Questa valorizzazione dell’uomo a partire dalla legge morale che, secondo Kant, reca in sé, quindi questa valorizzazione dell'uomo in quanto soggetto morale, anche se non trova riscontro immediato (così come Kant la presenta ,cioè in fin dei conti come una religione del dovere) nel messaggio evangelico, pure ne reca in qualche modo il segno e l’impronta. Certo, l’evangelo non è legge ma grazia. Ma la grazia trascende la legge senza annullarla, È vero che siamo giustificati gratuitamente per fede, ma è anche vero che saremo giudicati secondo le opere. Insomma: la “ragione pratica “, la moralità, la persona morale, così centrali nell'universo kantiano, lo sono anche - sia pure contestualizzate in maniera totalmente diversa - nel messaggio cristiano. L”Evangelo - si sa - non è una morale e non è neppure l’annuncio esaltante della moralità dell' uomo o la sua intronizzazione come soggetto morale. Ma non c’è Evangelo senza morale, non c”è cristianesimo senza “ ragion pratica “, non c”è l’indicativo della grazia senza l’imperativo categorico.

Questa lunga premessa intende situare il discorso di Kant sulla pace nel quadro suo proprio, che è quello di una politica che tragga dalla morale ispirazione e orientamento.

La vera politica non può fare alcun passo senza aver prima reso omaggio alla morale, e quantunque la politica per se stessa sia un’arte difficile, tuttavia l’unione di essa con la morale non è affatto un’arte... Il diritto degli uomini dev’essere tenuto come cosa sacra, anche se ciò possa costare grandi sacrifici al potere dominante. Qui non è possibile via di mezzo...31.

Lo scritto Per la pace perpetua (1795) reca il sottotitolo Progetto filosofico, cioè piano di pace fondato sulla ragione, elaborato e proposto dalla ragione e, come tale vincolante per la coscienza morale degli individui e dei popoli: la pace non è solo un bene da desiderare, è un dovere da praticare. Il “ progetto filosofico “chiama dunque in causa la ragione morale.

La ragione, dal suo trono di suprema potenza morale legislatrice, condanna in modo assoluto la guerra... impone invece come dovere immediato lo stato di pace, che tuttavia non può essere creato e assicurato senza un trattato fra i popoli32.

La pace come dovere, anzi come dovere immediato. Come conseguirla? Con

una lega di natura speciale, che si potrebbe chiamare Lega della pace (foedus pacificum), il quale differirebbe dal Trattato di pace (pactum pacis) in quanto questo vuol porre termine semplicemente a una guerra, quello invece per sempre a tutte le guerre33.

Questa lega della pace fra i popoli sarebbe dunque lo strumento giuridico-politico della pace perpetua.

Qual’è la sostanza del progetto kantiano di pace? Vi si possono individuare tre temi di fondo: il fondamento della pace perpetua, i presupposti per instaurarla, lo strumento per realizzarla.

Il fondamento ultimo della pace per Kant sta nel corso stesso della Natura (com’egli la chiama, preferendo questo termine a quello di Provvidenza « per noi inconoscibile, la quale spingerebbe l”uomo a temerari voli icarici, per accostarsi più dappresso al mistero dei suoi inscrutabili disegni » 34), non certo nel senso che l’uomo sia, per sua natura, una creatura pacifica ( al contrario « lo stato di pace tra uomini che vivono gli uni accanto agli altri non è uno stato di natura - status naturalis - il quale è anzi piuttosto uno stato di guerra... » 35), ma nel senso che la Natura si serve della conflittualità umana e delle sue tristi conseguenze per convincere gli uomini ad adottare forme di convivenza regolate da leggi riconosciute da tutti. Attraverso guerre e sofferenze, la Natura ha indotto gli uomini a fare quello che la ragione - se fosse stata ascoltata - avrebbe da tempo consigliato loro, senza tante dolorose esperienze, e cioè che per vivere in pace tra individui, per superare lo stato selvaggio della guerra di tutti contro tutti, occorre vincere l’anarchismo originario dei singoli, costituirsi in società e darsi una legge comune che ne regoli l’esistenza; occorre in altri termini superare quella che Kant chiama la “libertà pazza“, cioè la “libertà senza legge “ e accedere alla “ libertà ragionevole “, quella che si sottomette a una legge comune liberamente adottata come tale 36. Un processo analogo è oggi necessario tra i popoli e gli Stati. Come la Natura « vuole irresistibilmente che il diritto finisca col trionfare »37 sulla forza e sull'anarchia degli individui, così vuole la stessa cosa nei rapporti tra gli Stati; e come essa si è già imposta sugli individui, così si imporrà pure sugli Stati. Perciò la pace perpetua è una prospettiva non solo realistica ma relativamente sicura:

sicurezza che, certo, non è sufficiente a farcene (teoricamente) predire l”avvento, ma che tuttavia basta per gli scopi pratici, e ci fa un dovere di adoperarci per questo scopo, come per uno scopo che non è puramente chimerico 38.

2. La pace è possibile, ma non è automatica. È iscritta nella volontà della Natura che verso essa sospinge l”umanità, ma non è l’approdo inevitabile della complessa vicenda umana: voluta dalla Natura, la pace dev’essere voluta anche dagli uomini e dai popoli. E una volta voluta, dev’essere stabilita. « È necessario che lo stato di pace sia stabilito »39. Quali sono i presupposti per instaurare la pace? Quello fondamentale è che « la costituzione civile d’ogni Stato dev’essere repubblicana» 40. Ogni Stato cioè dev’essere un libero stato di diritto fondato sulla libertà e uguaglianza dei cittadini e sulla dipendenza di tutti da una legge comune.

Kant è consapevole dell'intima correlazione esistente tra i rapporti di libertà e diritto esistente all’interno di uno Stato e quelli istituiti tra quest’ultimo ed altri Stati. Ci può essere pace perpetuta tra gli Stati solo se i singoli soggetti politici che la stipulano e garantiscono sanno organizzare al loro interno una vita associata conforme ai criteri di libertà e uguaglianza che ogni vera pace presuppone e reclama. Qui appare la differenza profonda tra il progetto di Kant e quello, poniamo, dell' Abbé de Saint-Pierre (1658-1743) , del 1713: quest’ultimo considera i prìncipi come soggetti politici della pace, Kant invece i popoli; l’Abate si appella alla saggezza dei capi degli Stati, Kant a una politica che “ pieghi le ginocchia, com’egli dice, davanti alla morale; l’Abate pensa all’immediata istituzione della pace perpetua, Kant si limita a stabilire i suoi presupposti41.

3. Qual è infine lo strumento in grado di stabilire e mantenere la pace? Come il singolo individuo « benché non sia moralmente buono, viene costretto ad essere un buon cittadino »42 dalla legge comune, così gli Stati potranno imparare a convivere pacificamente mediante lo strumento politico-giuridico di una «federazione di liberi Stati»43.

Che dire in conclusione? Tre sono i contributi principali di Kant alla storia dell’idea di pace e della sua realizzazione. Il primo e fondamentale è aver postulato la pace come imperativo morale dell'uomo in quanto tale, indipendentemente dalle circostanze storiche in cui vive. L”umanizzazione dell'umanità comporta la sua smilitarizzazione. La legge morale è quella davanti alla quale la politica deve “ piegare le ginocchia “. Il secondo contributo è aver messo in luce l'intima connessione tra la pace interna ai singoli Stati e la pace esterna nei rapporti internazionali: non ci può esser la seconda senza la prima. Non c' è pace senza democrazia. Il terzo contributo è l’insistenza sul fatto che la pace esige non soltanto impegni e iniziative ma un quadro stabile di rapporti politici e giuridici.

In che misura poi il “ progetto filosofico “ di Kant possa esser considerato un progetto religioso e, a modo suo, teologico, abbiamo già detto44. Si tratta di una religione che ha il suo epicentro nella moralità dell’uomo intesa come dovere supremo, cioè come il vero contenuto della sua vocazione umana e cristiana. Certo, il cristianesimo non è una morale e l’evangelo non è una legge, ma morale e legge restano parte integrante dell’uno e dell'altro. E poiché il Nuovo Testamento conosce « la legge perfetta, che è la legge della libertà » (Giacomo 1, 25), è possibile leggere in questa chiave anche la moralità kantiana.



7. Bellicismo delle chiese e pacifismo dei gruppi

Non è inutile ricordare che il progetto kantiano di pace perpetua è stato duramente criticato in certi ambienti ecclesiastici del tempo, stranamente convinti che la pace perpetua avrebbe causato una diffusa dimenticanza di Dio e un conseguente declino della pratica religiosa. In questo senso è sintomatico il titolo di un libro del 1797: L”idolatria del nostro secolo filosofico. Prima idolatria: la pace perpetua, scritto da J. V. embser. È la replica di alcuni settori della religione ufficiale al “ progetto filosofico “ di Kant. Una replica "paradossale che rivela il grado di alienazione spirituale cui certi ambienti cristiani erano giunti e giungeranno in seguito sul problema della pace. Questa viene addirittura criminalizzata come l’insidia maggiore, il pericolo più temibile per l”umanità. Non la guerra ma la pace dev”essere a tutti i costi scongiurata! non la guerra ma la pace dev’essere proscritta! Non la guerra ma la pace è idolatria!

Nell’opera di Embser si trova già l'intero armamentario ideologico «di cui si nutrirà il bellicismo che percorre tutto il 19° secolo: una costruzione storico-filosofica del progresso della cultura (favorito dalla guerra), un accentuato statalismo che più tardi diventerà particolarmente virulento quando si collegò al nazionalismo; un rigorismo e soggettivismo religioso di aria provenienza. Le diverse combinazioni cui questi insiemi di motivi hanno dato luogo intrecciandosi gli uni con gli altri, determinano i vari tipi di bellicismo che il 19° secolo ha prodotto»45. In questo quadro non è edificante constatare che le grandi storiche - quelle protestanti non meno di altre - hanno in generale fatto propria e, in misura e modi diversi, alimentato questa visione romantica della guerra come fenomeno doloroso, certo, ma in fondo naturale, necessario, e addirittura benefico (Hegel) favorendo una sorta di sua trasfigurazione con un’azione condotta a due livelli: ideologico e pratico. Sul piano ideologico le grandi chiese hanno particolarmente istituito un rapporto particolarmente stretto tra Dio e patria, facendo del servizio alla patria ( in particolare nell' esercito) un aspetto importante della vita cristiana. Il servizio militare, in pace ma soprattutto in guerra, non è solo un dovere civile né un obbligo morale, è un compito religioso.

Sul piano pratico-operativo l’azione delle chiese è condotto soprattutto nel dotare gli eserciti di cappellani religiosi perfettamente integrati nell’apparato militare. Il risultato è stato che in innumerevoli cristiani a cominciare dai livelli più alti (teologi, vescovi, direttivi delle chiese) la coscienza nazionale ha sovente preso il sopravvento, offuscando o mettendo a tacere la coscienza cristiana. Nel nome di un patriottismo impregnato di nazionalismo, le chiese si sono in generale identificate con la politica dei loro governi e in caso di guerra hanno fatto proprie acriticamente le giustificazioni che essi ne davano. La prima guerra mondiale ha offerto una riprova eloquente dello stato di cattività ideologica in cui versavano le grandi chiese rispetto agli interessi e ai destini delle rispettive nazioni.

La “ nazionalizzazione “ della coscienza cristiana ha avuto come corollario la sua - più o meno -spinta - militarizzazione. Le conseguenze sono state nefaste. Alcune realtà cristiane fondamentali sono diventate evanescenti, prive di mordente, o sono state rimosse: così, ad esempio, il carattere internazionale della chiesa; o l”Evangelo del regno di Dio, così diverso dal regno delle nazioni umane; o l’esigenza elementare della fraternità fra gli uomini e quella tipicamente evangelica dell’amore per i nemici.

Si potrebbero citare innumerevoli documenti, tanto eloquenti quanto sconcertanti. Ci limitiamo a tre testi. Ecco il primo: nell’ottobre del 1915, in una comunicazione del Direttivo della Chiesa evangelica in Prussia al Sinodo generale a proposito delle misure prese in relazione alla guerra in corso, si legge che la guerra sta avendo effetti positivi non solo sul morale del popolo ma anche sulla vita della chiesa. Prima della guerra, infatti, la chiesa era divisa e quasi disamorata dell’evangelo. Ma ecco,

la grande guerra ha creato una situazione totalmente diversa. La discordia è stata dimenticata. Il sentimento religioso profondamente radicato nell’essere [Wesen] tedesco è venuto fuori prorompendo con forza. A migliaia si sono di nuovo rivolti a Dio. Alla scuola di un”indicibile sofferenza, che questa guerra ha portato quasi in ogni casa tedesca, la vita religiosa di nuovo rifiorita ha dovuto essere messa alla prova. Ma Dio Signore ha guidato il nostro popolo non solo nella profondità della sofferenza ma anche sulle altezze di più grandi vittorie e successi. Ci è stata donata la benedizione di una guerra giusta. Con. la forte coscienza del nostro diritto morale si è congiunta nel nostro popolo la fiducia ridestatasi dappertutto che l’Iddio vivente, che agisce nella storia del popolo, procurerà a questo la vittoria..."46.

Come si vede, la guerra è vista come l’agente principale di un risveglio delle energie religiose del popolo tedesco; in quanto “guerra giusta” essa è considerata una benedizione e come tale non può che concludersi con la vittoria. È letteralmente una guerra che Dio stesso conduce, una guerra santa, si direbbe. La fede non è scandalizzata ma, al contrario, rianimata, edificata dalla guerra. Il cristiano non può che fare la guerra. Non ci sono alternative tanto meno di pace.

Il secondo testo è altrettanto significativo. Nel settembre del 1914 l’arcivescovo luterano svedese Nathan Söderblom aveva preparato una bozza di appello per la pace che avrebbe dovuto essere sottoscritto dai capi delle chiese dei paesi belligeranti e di quelli rimasti neutrali. Nell’appello si chiedeva a tutti coloro che avevano potere e possibilità di farsi ascoltare, di « prendere in seria considerazione il pensiero della pace, in modo da porre presto fine allo spargimento di sangue». Inoltre, i cristiani appartenenti ai vari popoli dovevano ricordare «che la guerra non può rompere i legami con i quali Cristo ci unisce gli uni con gli altri... Tutti i cristiani sono uno »47. A questa bozza di appello rispose tra gli altri Franz Wilhelm Dibelius, predicatore di corte a Dresda, il quale dopo ribadito che la responsabilità della guerra ricade «esclusivamente » sui « nostri nemici », respinge l’appello di Söderblom per una fine della guerra a breve scadenza, giudicandolo « intempestivo e inopportuno » e dichiara che i pensieri di pace di Dio verranno «glorificati anche per mezzo di questa guerra »48. Qui la guerra è vista addirittura come mezzo per glorificare i “ pensieri di pace “ di Dio. Il paradosso sfiora la sfrontatezza. La militarizzazione della fede cristiana fino nella militarizzazione di Dio.

Il terzo testo è dell’ottobre 1917, un anno prima della fine della guerra e della sconfitta della Germania. Si tratta della risposta data da 160 pastori di Berlino, il 31 ottobre, giorno di commemorazione della Riforma, ad altri 5 pastori berlinesi i quali avevano poco prima dichiarato pubblicamente, proprio pensando alla celebrazione del giorno della Riforma, di volere come protestanti tedeschi « tendere di cuore la mano della fraternità a tutti i correligionari, anche a quegli nei paesi nemici, nella consapevolezza dei beni e degli obiettivi cristiani comuni », e di considerare « una pace della comprensione e riconciliazione » degna di essere perseguita. Nella loro replica i 160 pastori di Berlino affermano che « come uomini tedeschi che tengono alto l’onore della loro patria non sono in grado... di chiedere [ai nemici] riconciliazione né di “ tendere di cuore la mano della fraternità “ [ai protestanti dei paesi nemici] ». E aggiungono:

Ci sono ora soltanto due possibilità per il popolo tedesco: vittoria o disfatta. Solo dopo aver conseguito la vittoria, sarà il momento di comunicare a inglesi e francesi la nostra disponibilità alla riconciliazione. Per ora abbiamo ancora il diritto a una santa ira. Questo diritto ce l”hanno dato i nostri nemici, in piena misura, davanti a Dio e agli uomini. Lo vogliamo custodire e aspettare a offrire riconciliazione fino a quando, lottando e soffrendo, avremo vinto i nemici...49.

Anche qui, l’infeudamento della coscienza religiosa al sentimento patriottico-nazionale appare totale. La collera contro i nemici è senz’altro santa, come la guerra in cui si manifesta. La riconciliazione è rimandata a ”dopo la vittoria”: parlarne prima significa smobilitare gli animi e seminare il disfattismo. L”Evangelo cristiano, per il quale la riconciliazione è la vittoria, appare davvero molto lontano.

I testi citati bastano a documentare fino a che punto le grandi chiese, con il loro entusiasmo patriottico, hanno immesso una forte dose di pathos religioso nella loro dedizione alla Nazione e in particolare alle sue guerre. Questo bellicismo ecclesiastico ha avuto la sua suprema manifestazione in occasione della prima guerra mondiale ma è stato preparato durante tutto il 19° secolo. Non basta perciò dire che « il contributo delle grandi chiese alla pace manca anche nel 19° secolo»50 Questo è vero ma non è tutta la verità. Che è questa: ”le grandi chiese - oltre a far mancare il loro contributo alla pace - hanno fornito alla guerra un supporto ideologico tutt’altro che trascurabile. Durante il 19° secolo e fino alla prima guerra mondiale , le grandi chiese non hanno solo un deficit di azione per la pace, hanno purtroppo un attivo di azione per la .guerra.

Eppure anche nel 19° secolo il pacifismo cristiano ed evangelico ha dato segni di vitalità – non però nelle grandi chiese ma in piccoli gruppi molto attivi e decisi, per lo più di ispirazione quacchera. È per iniziativa di questi ultimi che nascono le prime “società per la pace”, a New York nel 1815 e a Londra nel 1816 e verso la metà del secolo hanno luogo i primi congressi per la pace ( Bruxelles 1848, Parigi 1849). Anche in altri paesi europei sorgono associazioni pacifiste di vario tipo , i cui membri appartengono per lo più al ceto liberal-borghese nelle sue diverse articolazioni. Una caratteristica di questo tipo di pacifismo dell' Ottocento è una certa «carenza di fondamento etico »51, sostituito da un insieme di motivazioni che oscillano dall' umanitarismo all' utilitarismo. L’originaria ispirazione religiosa di matrice quacchera ,là dove c”era, si volatilizza, e non è facile stabilire fino a che punto ciò è causa oppure effetto del disinteresse, della diffidenza e talvolta persino della ostilità manifestata dalle grandi chiese nei confronti del movimento per la pace. Quello che accade in Germania, dove fino alla prima guerra mondiale « la risonanza del movimento per la pace nelle chiese protestanti fu molto scarsa. Ancora più scarsa fu l’eco che la società per la pace trovò presso i cattolici tedeschi »52 vale per molte altre chiese d”Europa, se non per tutte, con l”unica eccezione di quelle di Alsazia e Lorena, dove il movimento per la pace ebbe notevole séguito :”53.



8. Il pacifismo cristiano-socialista

Si sa che l”Ottocento ha visto sorgere, accanto al pacifismo liberal-borghese, un pacifismo di nuovo tipo socialista, generato dal movimento operaio e sostanziato di internazionalismo proletario. Si sa anche che il cristianesimo storico, e in esso il protestantesimo, hanno in genere assunto una posizione negativa nei:confronti del socialismo ed hanno agito in conseguenza. Fa eccezione, nell' Europa dei primi del secolo - ed è un'eccezione notevole per qualità e consistenza - il movimento del socialismo religioso, sorto e fiorito nell' ambito del protestantesimo nel primo trentennio del nostro secolo.

Ispirato dal pastore e poi deputato socialdemocratico (di allora!) tedesco Christoph Blumhardt, il movimento fu fondato da alcuni pastori svizzeri tra i quali spiccano Hermann Kutter e Leonhard Ragaz, e si allargò poi al protestantesimo tedesco con una folta schiera di seguaci. Aderì anche Paul Tillich, che diede al movimento un forte contributo di pensiero.

Il programma dei socialisti religiosi era in sostanza questo: superamento dell' individualismo religioso in favore di un cristianesimo socialmente responsabile, ossia solidale con il proletariato oppresso; lotta contro il capitalismo e per il socialismo; lotta contro il nazionalismo, il militarismo e la guerra, per l’internazionalismo, la comprensione e la pace fra i popoli 54

Con il socialismo religioso si apre una nuova pagina nella riflessione e azione per la pace nell'ambito delle evangeliche. La novità consiste in questo: la questione della pace e della guerra non viene più vista e trattata come questione a sé stante ma come un aspetto di un fenomeno molto più vasto e inquietante che è la possessione e dominazione capitalistica nel mondo. La guerra, in conseguenza, non è più ricondotta genericamente al “peccato” dell’ uomo ( individuato, altrettanto genericamente come “orgoglio” o “ egoismo “); essa viene spiegata anche come fatto strutturale del sistema capitalistico, cioè dell’ organizzazione capitalistica dei rapporti di lavoro e dei rapporti tra le nazioni. È grazie al socialismo religioso che per la prima volta in ambienti ecclesiastici e teologici vengono messe chiaramente in luce le radici economiche delle guerre, sempre presenti e sovente determinanti.

Ma pur sottolineando questo aspetto, il socialismo religioso non dimentica gli altri, si sforza anzi di tenerli tutti presenti, evitando scorciatoie e semplificazioni. leonhard ragaz (forse il socialista religioso che più di tutti gli altri ha tematizzato con passione e rigore la questione della pace) scriveva in un saggio del 1914 intitolato La via che conduce alla pace:

vorrei preservare la parola della pace e la via che ad essa ci conduce da ogni superficialità. La profondità in cui dobbiamo penetrare per trovare le radici della guerra (e della pace) è con ciò torse raggiunta ma non ancora attraversata. È un mondo intero quello che scatena la guerra. Possiamo chiamarlo il mondo non redento. È il mondo governato non da Dio ma dai demoni55.

E’ il mondo indemoniato, in cui il dèmone capitalista è uno dei più influenti ma non è certamente l’unico. Il socialismo e il proletariato, che hanno una fondamentale missione di pace nella nostra epoca, devono per poterla adempiere, liberarsi dall' illusione infantile che una volta vinto il capitalismo la guerra scomparirà dal mondo. Diagnosi così superficiali non sono consentite. Proprio la guerra è una sorta di sinistra rivelazione della reale condizione del mondo che è insieme civile e barbaro, umano e belluino, progredito e selvaggio. La guerra smentisce e cancella tutte le illusioni sulle magnifiche sorti progressive dell’umanità e sulla fondamentale bontà dell' uomo. La guerra rivela la malattia profonda e mortale di cui soffre l’umanità. La cura dovrà essere altrettanto radicale. Come ai tempi del profeta Geremia, la piaga non potrà essere curata alla leggera, « dicendo: Pace, pace, mentre pace non c”è » {Geremia 6, 14). Bisogna andare alla radice del male. Per quanto essenziale sia, soprattutto per la chiesa, prendere coscienza delle cause e implicazioni economiche del fenomeno della guerra, lo è altrettanto non fermarsi ad esse e continuare a predicare Dio come fondamento ultimo e insostituibile della pace. E questo in due sensi: anzitutto nel senso che per avere pace bisogna averla anche e in primis con Dio; poi nel senso che per costruire la pace bisogna partire dal fatto che Dio è un grande e instancabile costruttore di pace.

Dio è pacifista nel senso letterale del termine (pacem facere). Non soltanto Dio vuole la pace, egli la fa. Chi vuole costruire un mondo di pace deve sapere che Dio è già all’opera. Si tratterà allora di

coordinare e subordinare la nostra azione a quella di Dio, in modo da non ostacolarla ma piuttosto servirla. Questo è fondamentalmente il giusto rapporto tra l”agire divino e quello umano... L’agire di Dio non annulla quello umano né l”agire umano annulla quello divino. Piuttosto il rapporto è questo, che l’agire di Dio vuole sempre più diventare agire dell' uomo e inversamente l”agire dell' uomo diventa reale nella misura in cui sgorga dalla vita e dall' impulso di Dio56.

Lavorare per la pace significa dunque sostanzialmente partecipare al lavoro di Dio per la pace. Ma proprio il fatto che Dio lavora per la pace dimostra che essa non è solo meta storica, è anche traguardo escatologico: un mondo di pace confina e sconfina nel regno di Dio. Perciò « la lotta per la pace è l’ambito in cui emergono i problemi e compiti ultimi e supremi del regno di Dio » 57. Chi lavora per la pace, lavora per il bene dell’umanità e per la manifestazione del regno di Dio.

Il pacifismo di Ragaz e, in generale, dei socialisti religiosi, può essere caratterizzato così: assoluto nella sua motivazione (il regno di Dio) e relativo nelle forme che assume nelle mutevoli situazioni storiche in cui via via cerca di prendere corpo. Religiosa è la sua ispirazione e ragione profonda; politico è il modo in cui si esprime: mentre la religione è il mondo degli assoluti, la politica è l”ambito del relativoss. La pace è un assoluto come dato di fede o imperativo morale, ma sono relative le scelte concrete fatte per realizzarla. Ad esempio, l’obiezione di coscienza e quindi

il rifiuto del servizio militare, che pure Ragaz apprezza e loda,non va considerato una regola assoluta, valida in ogni circostanza e in qualsiasi contesto storico. Il rifiuto categorico di ogni azione militare non è sempre necessariamente sempre il miglior servizio alla pace.

Ragaz menziona espressamente la politica aggressiva del nazionalsocialismo hitleriano e sostiene il dovere di resistervi , anche con le armi se necessario. Insomma: la pace è un assoluto, come lo è l’opzione pacifista: le prassi di pace invece sono relative, devono anzi esserlo, per essere di volta in volta adeguate al mutare delle situazioni.

Ragaz insiste sul fatto che vivere nel relativo della politica non significa tradire l’assoluto della fede. Del resto per il credente l’assoluto non è un dogma, uno schema, un modello fìsso, è il Dio vivente, che

non conosce differenza tra assoluto e relativo. Egli va avanti come Dio vivente, e noi lo incontriamo in questa azione viva. Con la sua chiamata ci coglie nell' attimo in cui si incontrano tempo e eternità, nell’attimo in cui una decisione viene presa. Ubbidiamo a lui a un dogma dell' assoluto creato da noi stessi. Lui seguiamo, a lui ubbidiamo. Forse posso esprimermi con un paradosso: fare la volontà di Dio nel relativo significa servire il vero assoluto59.

I socialisti religiosi danno dunque all' iniziativa politica sulla pace un fondamento religioso senza però clericalizzare la politica, e danno al discorso religioso sulla pace uno sbocco politico senza però politicizzare la religione. I piani non vengono confusi, evitando così sia una politica integrista sia una religione politicizzata L’assoluto religioso si invera così nel relativo politico serbando intatta la sua integrità e carica ideale.II relativo politico si àncora nell' assoluto religioso mantenendo tutta la sua concretezza (e anche la sua discutibilità).

In questo quadro si colloca l’opzione per il socialismo. Per giungere alla pace è indispensabile superare il capitalismo, spezzare la sua logica, cacciare il suo “ demone “. Il socialismo di Ragaz non è quello “ scientifico “ dei teorici marxisti, è quello “ messianico “ dei profeti biblici. Ma è socialismo, non qualcos' altro. È il progetto del movimento operaio, della sua emancipazione sociale e culturale e della conseguente rifondazione della società su basi nuove. È “ legge del fratello “ (come la chiama Ragaz) che prevale sulla legge del capitale. È la creazione di una nuova coscienza internazionalista che smantelli le basi anzitutto ideologiche del nazionalismo e del militarismo. È la pace nella giustizia.

Ragaz e i socialisti religiosi hanno dunque combattuto la loro battaglia per la pace su due versanti II primo è quello dei “ cristiani “, cioè della gente di chiesa: a loro hanno detto che per lavorare per la pace non basta impegnarsi moralmente, bisogna anche agire politicamente; non basta correggere i difetti della società borghese, occorre cambiarla. L”azione politica più costruttiva in vista della pace è quella che favorisce, in un cammino verso il socialismo, la creazione di strutture nuove al servizio del diritto internazionale, la ricerca di strumenti collettivi di tutela della pace, la partecipazione attiva alla Lega delle Nazioni. Il secondo versante è quello delle forze pacifiste laiche più o meno politicizzate, e in particolare del movimento operaio e della progettata società socialista. Qui abbiamo da parte dei socialisti religiosi da un lato l’adesione cordiale e convinta al punto di vista del movimento operaio per il superamento del capitalismo e la creazione di una nuova società internazionalista, socialista e pacifica dall’altro l’insistenza sulla necessità di fondare in Dio il discorso e la prassi di pace: senza Dio la pace ( e anche il socialismo) o non nasce o non dura.Il pacifismo dei socialisti religiosi presenta dunque questi due tratti fondamentali: radicamento religioso nel Dio della Bibbia e articolazione politica nella direzione del socialismo. Quest’ ultima conferisce al pacifismo concretezza e incisività, il primo gli conferisce saldezza e perseveranza.



9. Il pacifismo ecumenico

E’ certamente singolare il fatto che proprio nei giorni in cui scoppiava la prima guerra mondiale - primi di agosto del 1914 - fu fondata a Costanza l’Alleanza mondiale per l’opera di amicizia internazionale delle chiese “. La coincidenza delle date acquista un significato simbolico. Mentre le nazioni si dichiarano guerra, le chiese (anche se non tutte e, al loro interno, non unanimemente) si impegnano a costruire la pace; mentre dilaga l’inimicizia tra i popoli, le chiese (anche se non tutte e, al loro interno, non unanimemente ) promuovono l’amicizia, almeno tra loro. E’ il segno evidente che qualcosa si sta muovendo nelle chiese a proposito della pace e che esse non sono più semplicemente e acriticamente allineate con il nazionalismo e militarismo dei loro governi. Circa 90 delegati di 12 paesi diversi e di 30 diverse denominazioni protestanti si ritrovarono a Costanza con questo obbiettivo preciso: porre l’internazionalismo cristiano al servizio della pace. Ecumenismo e pacifismo si danno la mano. Comincia una nuova pagina della storia della chiesa e della storia della pace.

L’importanza della conferenza di Costanza suggerisce di accennare ai suoi precedenti. Essi vanno ricercati in una serie di iniziative prese da responsabili delle chiese evangeliche in Inghilterra, negli Stati Uniti e in Germania per sollecitare le chiese stesse a prendere finalmente a cuore, in prima persona, la causa della pace. I primi sforzi ebbero carattere bilaterale e sfociarono nella creazione, nel 1910, di comitati ecclesiastici permanenti « per promuovere i rapporti amichevoli tra Gran Bretagna e Germania ». Parallelamente negli Stati Uniti molte chiese protestanti raccolte in un Consiglio Federale si riunirono nel 1911 e decisero che « il compito della riconciliazione e della pace tra le nazioni è di un valore etico e religioso così grande da diventare la responsabilità prioritaria delle chiese » 60. Nel 1914 fu fondata la Church Peace Union con gli stessi obbiettivi, che per essere attuati esigevano tra l’altro la convocazione di una « conferenza mondiale con rappresentanti di tutte le chiese delle diverse nazioni ».

Intanto, nel gennaio dello stesso anno, i riformati svizzeri avevano lanciato un “ Appello alle chiese cristiane d”Europa “ in cui, dopo aver segnalato la pericolosità della situazione con un’Europa armata fino ai denti, si lanciava la proposta di un « congresso di delegati ufficiali delle chiese d”Europa, per verificare quel che le chiese in quanto chiese possono fare per promuovere tra i popoli lo spirito della giustizia e della pace, e così giungere a poco a poco a una riduzione degli oneri militari e dei pericoli di guerra.» 61

Il progetto era troppo ambizioso nel senso che non ci si poteva aspettare la presenza di delegati ufficiali delle chiese a una conferenza internazionale sulla pace nel clima di patriottismo e nazionalismo che regnava anche in esse e le rendeva allergiche ,per non dire ostili, alla tematica della pace e dell’ internazionalismo cristiano. La conferenza fu convocata (su base non solo europea ma mondiale, nei limiti, s’intende, che questo termine aveva allora) ma gli inviti avevano carattere individuale, ad eccezione della delegazione americana, che rappresentava ufficialmente il Consiglio Federale delle Chiese di Cristo in America62. Tutto questo dà un’idea delle contraddizioni e dei conflitti interni vissuti dalle Chiese nel loro lento e faticoso cammino di conversione alla pace.

Gli invitati furono 153 ma il precipitare della situazione politica indusse un certo numero a non mettersi in viraggio verso Costanza. I presenti, furono, come si è detto, una novantina. I lavori della conferenza, previsti dal 1° al 5 agosto, furono interrotti il 3 mattina con la partenza anticipata dei delegati che, altrimenti sarebbero rimasti bloccati in Germania per la chiusura delle frontiere a motivo dello scoppio della guerra. Malgrado l’interruzione e chiusura anticipata, la conferenza, che visse diversi e intensi momenti di preghiera, raggiunse il suo obbiettivo. Nelle quattro mozioni finali, approvate all' unanimità, si afferma tra l’altro che « l”opera della riconciliazione e promozione dell’amicizia è un compito cristiano essenziale» e che nei diversi paesi rappresentati occorre creare dei comitati « che convincano le chiese a promuovere, nella loro qualità corporativa [cioè come " corpo collettivo"] e con sforzi congiunti, l’amicizia internazionale e a patrocinare l”allontanamento del pericolo di guerra » 63. Ma la guerra era già scoppiata. Discorso patetico, allora? No, piuttosto è il primo balbettìo, in mezzo ai rumori e fragori di guerra, di una nuova civiltà di pace. Il fatto che quelle le parole furono scritte e votate da persone appartenenti a paesi ormai in guerra l’uno contro l’altro non ne annulla il valore, al contrario lo accresce.

Ci siamo soffermati un po’ sulla conferenza di Costanza sia perché è poco conosciuta sia perché è una primizia. È lì che per la prima volta è emerso con forza il nesso profondo tra ecumenismo e pace. È lì che per la prima volta il potenziale fattore di pace costituito dall’internazionalismo cristiano è venuto chiaramente alla luce. È lì, ancora, che il problema della pace è stato vissuto non solo come questione politica ma come realtà della fede. È lì, infine, che le chiese, pur non essendo ufficialmente rappresentate (tranne quelle americane), sono state invitate a farsi strumenti di pace « nella loro qualità corporativa », cioè come soggetti collettivi che impegnano l’intero corpo ecclesiale. In questo senso la conferenza di Costanza chiude un’epoca e ne apre un’ altra: chiude l”epoca del pacifismo dei gruppi e apre quella del pacifismo delle chiese. Nella realtà della vicenda storica, il primo tipo di pacifismo è continuato fino a oggi e il secondo stenta oggi ancora a decollare Eppure Costanza anticipa - pur in mezzo a molte contraddizioni - questa transizione, che è fondamentale per la storia dei rapporti tra chiese evangeliche e pace.

Ma la conferenza di Costanza riveste particolare importanza anche per aver dato vita - come s’è detto - alla “Alleanza mondiale per l’opera di amicizia internazionale delle chiese “. Il fatto stesso che un organismo di questo genere abbia visto la luce nel momento in cui l”Europa si accingeva a vivere una delle massime manifestazioni di odio, violenza, guerra : e morte di tutta la sua storia, dev’essere considerato un miracolo e un segno: il segno che una pagina nuova -veramente nuova - si apriva nella storia delle chiese evangeliche e della cristianità in generale per quanto concerne i loro rapporti con la pace. Non è un caso che proprio nel quadro di un convegno dell’Alleanza avvenuto in Olanda nell' autunno del 1919 è stato fondato l’ organismo ecumenico Life and Work “ ( ‘Vita e azione’) che più di ogni altro orienterà l’intero movimento ecumenico (e, al suo interno, le chiese evangeliche) verso una coraggiosa e incisiva azione per la pace. 64

Il movimento ecumenico e, a partire dal 1948, il Consiglio Ecumenico delle Chiese che ne è la più cospicua e autorevole espressione istituzionale, sono stati e continuano ad essere il luogo in cui, con notevole anticipo rispetto a tutte le chiese e confessioni particolari e con maggiore rigore e coerenza evangelica rispetto a quanto accade altrove in ambito cristiano ( fatta eccezione per le chiese pacifiste storiche), il discorso cristiano sulla pace ha raggiunto il grado più alto di maturità e le iniziative di pace sono state coraggiose, perfino arrischiate, comunque ispiratrici per molti. Il Consiglio Ecumenico delle Chiese è, nella cristianità del 20° secolo, l’organismo ecclesiale (così lo si può definire) nel quale il pacifismo d”ispirazione evangelica ha fatto maggiori progressi. Anche le singole chiese evangeliche hanno ricevuto, su questo terreno ( come su altri) impulsi decisivi dal Consiglio Si può anzi dire che nel 20° secolo il tema :”le chiese evangeliche e la pace “ si identifica in larga misura con il tema “ il movimento ecumenico e la pace” senza esaurirsi in esso. Ma tutto questo ha cominciato a prendere forma, corpo, visibilità e movimento con la conferenza di Costanza dell’ agosto 1914.



NOTE



1 Non ci occuperemo in queste pagine del pacifismo umanista, in particolare erasmiano perché non rientra, propriamente, nel nostro tema. Per una buona introduzione al problema si veda E. Balducci - L. Grassi, La pace. Realismo di un' utopia, Principato, Milano 1983, 20 s., 31-34; M. Toschi, Pace e Vangelo. La tradi zione cristiana di fronte alla guerra, Queriniana, Brescia 1980, 58-64, 215-223; e naturalmente Erasmo da Rotterdam, Contro la guerra, Japadre, L'Aquila 1969, con l'ampia e istruttiva introduzione di Franco Gaeta. L'umanesimo cristiano, pur rifacendosi assiduamente alle fonti bibliche e specialmente neotestamentarie, ne diede una lettura diversa da quella adottata dai Riformatori. Malgrado la nobile tensione morale che anima in Erasmo la deprecazione della guerra, malgrado il suo accorato richiamo alla philosophia Christi, all'esempio della sua vita e in generale a tutto il messaggio cristiano secondo il quale ogni violenza è incompatibile, e malgrado, infine, nel Dulce bellum inexpertis la sua coraggiosa (e impopolare) condanna anche della guerra contro i «Turchi», pure il plaidoyer di Erasmo a favore della pace non suscita, come il discorso anabattista, un popolo di martiri, non riesce a innervarsi in una confessione di fede, non supera insomma il livello di una fervida ammonizione morale. Se rispetto agli. anabattisti il pacifismo erasmiano non si qualifica abbastanza come scelta di fede, rispetto a Lutero esso sembra eludere il problema politico del potere e dell' uso della forza. Il discorso di Erasmo sulla pace resta dunque, a confronto con quello degli anabattisti, al di qua della fede, e a confronto con quello di Lutero, al di qua della politica.

2 Der linke Flügel der Reformation, a cura di H. Fast, Schünemann, Bremen 1962, 66 e 67.

3 The Complete Writings of Menno Simons, a cura di J. Ch. Wenger, Herald Press, Scottdale (Pennsylvania) 1956, 554 s.

4 Ivi, 556.

5 In: M. Lutero, Scritti politici, a cura di G. Panzieri Saija, Utet, Torino 19783, 529-578. L'altro scritto di Lutero fondamentale sull'argomento è Sull'autorità secolare (1523), nella stessa raccolta, pp. 393-442.

6 H. Kamen, II secolo di ferro 1556-1660, Laterza, Bari 1975.

7 Si veda al riguardo l'introduzione e, in particolare, la ricca rassegna bibliografica di E. De Mas, preposte alla prima versione italiana dell'opera, curata dallo stesso De Mas e pubblicata da Guida Editori, Napoli, 1983. L'originale è in latino: Reipublicae Christianopolitanae Descriptio, e apparve a Strasburgo nel 1619, come s'è detto.

8 Ivi, 74 e 75.

9 Ivi, 10.

10 Ivi, 135.

11 Ibid.

12 Nel 1966 l'Accademia cecoslovacca delle scienze ha curato l'editto princeps in due volumi, pubblicati a Praga.

13 Altre due opere di Comenius trattano la questione della pace: La via della pace e L'angelo della pace del 1667.

14 P. Meinhold, Ökumenische Kirchenkunde, Kreuz-Verlag. Stuttgart 1962, 452.

15 J. Sykes, Storia dei quaccheri. Sansoni, Firenze 1966, 85.

16 Ivi, 86.

17 Ivi, 87.

18 E. Grubb, L'essenza del quaccherismo. Bocca, Torino 1926, 133-139.

19 Sulla dottrina del ' seme ' cfr. W. C. Braithwaite - H. J, Cadbury, The Second Period of Quakerism, University Press, Cam- bridge 1961, 388-398.

20 Ivi, 599.

21 Ökumene Lexikon. Kirchen - Religionen - Beivegungen, Lembeck-Knecht, Frankfurt a. M. 1983, 995.

22 E. Grubb [Nota 18], 131.

23 Ivi, 149-151.

24 Ampi stralci di quest'opera si possono leggere in I Quaccheri. Eversione e nonviolenza (1650-1700), a cura di G. Vola, Claudiana, Torino 1980, 182-200.

25 C. H. Mike Yarrow, Quaker Experiences in International Conciliation, Yale University Press, New Haven and London 1978.

26 V. Schuitz, Kant als Philosoph des Protestantismus, H.Reich, Hamburg-Bergstedt I960, 59.

27 R. Mehl, Kant est-il un théologien chrétien? in: "In necessariis unitas” a cura di. R. Stauffer, Cerf, . Paris, 1984,

28 b., 260..

29 Secondo Lutero, questo è propriamente il tema della teologia cristiana (la formula originaria è in latino e suona così: homo reus est perditus, et Deus iustificans vel salvator: WA 40/11, 328, 1-2.

30 E. Kant, Critica della ragion pratica. Brani scelti, tradotti e collegati da G. Vidari, Paravia, Torino, 1924, 141.

31 Kant, Per la pace perpetua. Progetto filosofico, in: Scritti politici, a cura di E. P. Lamanna, Carabba, Lanciano 1917, p.145 s.

32 Ivi, 109.

33 Ibid.

34 Ivi, 118.

35 Ivi, 99.

36 Ivi, 107.

37 Ivi, 125.

38 Ivi. 127.

39 Ivi, 99.

40 Ivi, 101.

41 K. Jaspers, Plato - Augustin - Kant, Deutscher Bücherbund, Stuttgart-Hamburg 1957, 341.

42 E.. Kant [Nota 31], 123.

43 Ivi, 106 e 111.

44 .Aggiungiamo una considerazione di R. Meh, tratta dall'articolo citato [Nota 27]. Mehl rileva il fatto che nella Critica della ragion pura riserva alla religione un ruolo importante perché ad essa a corrisponde l'ultima delle tre domande in cui « si concentra - dice Kant - ogni interesse della mia ragione: 1- Che cosa posso sapere, 2 - Che cosa devo fare? 3 - Che cosa posso sperare? ( E. Kant, Critica della ragion pura, parte II, Laterza, Bari, 1949, 628). Mehl osserva: «Questa semplice parola ' speranza ' ci colloca già in una prospettiva cristiana, indipendentemente da ogni considerazione sulle origini luterano-pietiste di Kant » (p. 251). A noi pare legittimo collegare il discorso kantiano sulla pace perpetua alla sua domanda: che cosa posso sperare? e considerare il primo come parte precipua della risposta alla seconda.

45 W.Janssen, Krieg und Frieden in der Geschichte des europisches Denkens, in: Kirche zwischen Krieg und frieden. Studien zur Geschichte des deutschen Protestantismus, a cura di W. Huber und J. Schwerdtfeger, Klett, Stuttgart 1976, 105. Sul rapporto tra chiese evangeliche e nazionalismo in Germania cfr, H. Zilessen [a cura di], Volk - Nation – Vaterland . Der deutscbe Protestantismus und der Nationalismus,Mohn, Gütersloh 19702, soprattutto le pagine 49-212.

46 R. Huber - W. Huber, Staat und Kirche ìm 19. und 20Jahrhundert. Dokumente zur Geschichte des deutschen Staats-kirchenrechtes,III, Duncker & Humblot, Berlin 1983, 827.

47 Ivi, 830.

48 Ivi, 831.

49 Ivi, 850.

50 Art. «Friede, in RGG, 1138.

51 Ibid.

52 D. Riesenberger, Geschichte des Friedensbewegung in Deutschland. Von den Anfängen bis 1933, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen,1985, 84.

53 Ivi, 67.

54 La fede dei socialisti religiosi, a cura di W. Deresch, Jaca Book, Milano, 1974, 49.

55 L. Ragaz, Weltreich, Religion und Gottesherrschaft, II, Rotapfel-Verlag, Erlenbach-Zürich, 1922, 145

56 Ib,151 s.

57 Ivi, 159.

58 « Pacifismo relativo » :così viene descritta la posizione di Ragaz sulla pace nella monumentale biografia di M. Mattmüller, Leonhard Ragaz und der religiöse Sozialismus, II, EVZ Verlag, Zürich 1922, 145.

59 L. Ragaz, Die Botschaft vom Reiche Gottes, Herbert Lang, Bern 1942, 59.

60 K.Ch. Epting, Die erste internationale Konferenz der Kirchen für Frieden und Freundschaft in Konstanz 1914, Christliche Verlansanstalt, Konstanz 1988, 6.

61 Ivi,7.

62 Ivi,9.

63 Ivi, 19.

64 art. «Frieden» in Theologische Realenzykläpedie, 11, 633.