Incontri di discernimento e solidarietà
 
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Gandhi in Europa su iniziativa di Louis Massignon

(Sandro Ammirata)


( testo della comunicazione svolta all’ incontro del 23 aprile .2004)



GANDHI IN EUROPA SU INIZIATIVA DI LOUIS MASSIGNON

 

Premessa.


Prima di entrare nell’argomento, mi sembra opportuno premettere due avvertenze relative al modo con cui accostarsi a questi due “profeti della pace” della prima metà del ‘900:

a) in entrambi, vita e pensiero, esistenza e idea sono indissolubilmente implicate: l’una è la scaturigine, la fonte dell’altro, e, viceversa, le idee, il pensiero, determinano e indirizzano la vita, i passi, le prese di posizione, le concrete iniziative della loro azione, religiosa, sociale, politica.

E’, dunque, fuorviante parlare del loro pensiero, prescindendo dai momenti salienti della loro biografia.

b) Il pensiero e la vita di Gandhi e di Massignon, d’altronde, non sono comprensibili, e si fraintenderebbero completamente, se non vengono considerati e capiti come l’espressione di una realizzazione religiosa. Tutto in loro parte e si sviluppa da una presa di posizione interiore nei confronti di Dio. Ogni loro parola, ogni loro atto, sono dettati da una maturata esperienza di Dio, e dalle risposte a un’iniziativa, ricevuta e accolta, del Dio in cui credono.

Gandhi, in modo dichiarato, si è sempre considerato un uomo religioso, non un politico, e ha escluso espressamente che il fine delle sue azioni fosse politico, sebbene, inevitabilmente, queste hanno dato dei frutti sociali e politici.


1) Gandhi prima dell’incontro con Massignon: 1869-1931.


Mohanda Karamchand Gandhi nasce nel 1869 a Portbandar, capitale di un piccolo stato omonimo della penisola del Kathiawar, nell’India nord-occidentale. Il padre è un commerciante, appartenente alla sottocasta dei bainya, la terza in ordine di importanza delle quattro di cui era composta la casta vaiçia.

La madre è una donna di grande e intima religiosità, praticante una strettissima osservanza degli obblighi cultuali religiosi della setta vishnuitica indù e di quella jainia, consistenti soprattutto in ascesi, digiuni severi e continui, aiuto agli ammalati e pratica dell’elemosina. La dottrina della setta era di austera moralità, fondata sulla rinuncia e sul sacrificio: la padronanza e la soppressione degli stimoli sensibili, delle passioni, soprattutto sensuali e materiali, è la via privilegiata che questa religione insegna per raggiungere la perfezione e, quindi, liberarsi dal ciclo delle esistenze ( samsara) e non rinascere più.

Gandhi assorbe sin dall’infanzia questa severa precettistica tramite l’educazione della madre.

Su tre punti soprattutto egli fonda la propria vita religiosa di adolescente:


1) insofferente del ritualismo, che lo allontana, per una sua predisposizione caratteriale, più che avvicinarlo alla religione, egli si dedica alla lettura dei testi sacri induisti, in special modo , in questo primo periodo, il Ramayana ( un poema epico in sette libri, che tratta dlle imprese del dio Rama, settima incarnazione di Visnu, scritto da un mitico Veggente, Valmiki, e risalente al VI sec. a.C.), e ha contatti quotidiani con fedeli di diverse altre religioni e sètte, per lo più amici del padre, sicchè elabora in modo naturale una estrema tolleranza per ogni religione: è proprio l’intolleranza religiosa che già sin da ora sente come il nemico principale di ogni vera fede in Dio;


2) a sèguito di una crisi di tutti i valori morali e religiosi, in cui cade subito dopo essere stato sposato dalla famiglia a 13 anni con una coetanea, Kasturbai, come si usava in India, e di una confessione scritta al padre di alcune trasgressioni commesse ( convinto da un amico, aveva fumato, mangiato carne, ed era caduto preda di tentazioni suicide ), il padre, di solito estremamente severo, reagisce ora con un lungo, amaro pianto e lo perdona, con espressione di profondo affetto e comprensione. Gandhi ricorda nella sua autobiografia: «Quelle lacrime d’amore mi mondarono il cuore, e cancellarono il mio peccato: solo colui che è stato oggetto di tanto amore può conoscerne il valore». E’ la prima esperienza dell’Ahimsa ( letteralmente non-violenza; ma con un significato più pieno e positivo, non semplicemente negativo ) che sarà il punto centrale della sua fede e della sua azione sociale e politica;


3) nella vita quotidiana, la cosa che più lo offende, sin da quando è fanciullo, è il dogma dell’intoccabilità, sul quale erano fondati le relazioni sociali- religiose dell’India. Ridotta al nucleo essenziale, la norma dell’intoccabilità derivava da un codice di comportamento fra gli appartenenti alle diverse caste in cui erano divisi gli indiani, la cui distinzione è basata sulla purità\impurità. Tutti gli indiani erano divisi in quattro caste ( varna = letter.: colore; derivate dallajati = letter.: nascita ): Sacerdoti; Guerrieri e Governanti; Commercianti e Lavoratori, a loro volta diversi in numerose e complesse sottocaste, la cui distinzione era basata sulla diversa nobiltà di nascita e condizione professionale e il cui aspetto centrale consisteva nella determinazione di chi doveva procurare il cibo e doveva fornirlo, a chi e da chi poteva prenderlo. Al di sotto delle caste, vi erano i Paria= Intoccabili, ritenuti impuri o per avere contratto un matrimonio misto, fra appartenenti a caste diverse, oppure per avere contravvenuto ai doveri di casta, e che erano al bando della società tradizionale e costituivano circa il 15% della popolazione indiana al tempo di Gandhi.

Essi avevano il grado più alto di impurità, erano costretti ai lavori più umilianti e gli appartenenti alle altre caste non potevano neanche toccarli per non essere contagiati dalla loro impurità. Gandhi sente come contrario a ogni morale questa regola, e sin da bambino la contravviene volutamente, toccando lo spazzino Uka, che veniva a casa sua per servizio.

 

Dopo la morte del padre, un amico di famiglia suggerisce alla madre di mandare Gandhi a Londra per completare la sua educazione, e diventare un avvocato. Nel settembre 1888 egli giunge a Londra, e, dopo un breve periodo di sbandamento, cerca di integrarsi alla cultura inglese e cerca di assumere sempre più le caratteristiche di un gentleman: «Mi lanciai in un’impresa assolutamente disperata, quella di tramutarmi in un gentiluomo inglese». ( Autobiografia )

Ma questo tentativo è di breve durata e, d’improvviso, comprende che sta fondando la propria formazione e la propria vita sulla menzogna, tradendo le sue origini, la sua stessa identità profonda.

Si ripiega su se stesso e riprende a leggere i testi religiosi indiani, in particolare lo avvince la Bhagavadgita e, attraverso di essa, comprende che la sua vita deve cambiare. Ritorna in India e da qui va per un incarico legale a Durban, nell’Africa sud-orientale, dove vi è una numerosa comunità indiana.

E’ qui, che, a contatto con l’intolleranza razziale dell’Unione sud-africana, vissuta sulla propria pelle attraverso esperienze di discriminazione e umiliazione brucianti, si approfondisce e si sviluppa il seme dell’Ahimsa, che egli aveva scoperto in sé allorquando il padre lo aveva perdonato per la sua crisi religiosa.

Si dedica allora all’assistenza materiale, legale e spirituale dei suoi connazionali, cominciando a far esperienza e ad applicare metodi di intervento politico basati sulla disobbedienza civile non violenta.

Nel 1914 viene decretata, alla fine di un periodo di forti tensioni sociali determinate dalle iniziative di disobbedienza propugnate da Gandhi, l’abolizione di alcune leggi discriminatorie nei confronti degli immigrati indiani.

Contemporaneamente comprende che la via maestra della sua ricerca interiore è quella che va in senso contrario alla menzogna, anzitutto la menzogna verso sé stessi e quindi la menzogna verso gli altri, la comunità, la società, il mondo. Dio. La dedizione alla Verità, per cui egli conia un nome composto – Satyagraha : letteralmente, Forza della Verità – diventa per Gandhi il fondamento della vita dell’individuo.

Egli la vede sotto l’aspetto del Voto a Dio. In uno scritto del 1933 dirà che

«Dio è l’immagine stessa del Voto di Verità», volendo significare che il Voto, e la fedeltà dell’individuo al voto, sono come una consacrazione pratica, concreta, carnale a Dio: chi fa il voto di aderire e vivere per la Verità dona tutta la propria esistenza a Dio.

Inizia così sotto il segno del Satyagraha e della Ahimsa la sua lotta per la tolleranza, la liberazione dell’India dalla dominazione inglese, la eliminazione della divisione in caste, e quindi dell’odioso dogma dell’intoccabilità, della società indiana.

Attraverso l’esperienza fatta in Occidente, Gandhi torna così alla fede dei suoi padri, riscoprendo nel suo popolo lo spirito della pace, dell’amore per tutte le creature, anche gli animali più vili (difenderà sempre la sacralità della vacca, come simbolo espressivo della sacralità del mondo degli esseri viventi muti, indifesi ), dell’unità e dell’universalità.

Mentre l’Occidente sviluppa i suoi valori sempre più nel senso della intolleranza, dell’esclusivismo, della sopraffazione, dissimulati dietro un velo di falsa religiosità e addirittura di sacralità ( siamo negli anni in cui si preparano e poi sorgono e si sviluppano le ideologie nazista e fascista ), Gandhi comprende che la Verità lo chiama verso la direzione opposta.


La sua dedizione alla Verità e alla Non violenza non sono da intendere, però, come un mezzo diretto, politico, per giungere alla democrazia, alla tolleranza e alla liberazione nazionale dell’India. Essi sgorgano da una pacificazione e da un’integrazione interiore dell’individuo e sono, secondo Gandhi, valori assoluti, non relativi e finalizzati a un fine politico, sociale, seppure buono e desiderabile ma comunque esterno all’individuo.

Anzi, se essi vengono utilizzati solo come un mezzo per l’azione politica, se ne snatura il profondo valore religioso. Quello a cui egli mira è la formazione di una morale superiore, derivante da una purificazione interiore degli individui, da un loro perfezionamento.

La rivoluzione politica, sociale seguirà inevitabilmente a questa rivoluzione interiore.

 

Tornato in India, senza partecipare alla vita politica, per due anni si dedica a viaggi all’interno della nazione per meglio conoscere le condizioni di vita del suo Paese.


Approfondisce così i due principi-guida di tutta la sua vita:


1) la Non violenza ( Ahimsa ), che egli giunge a ritenere la vera natura dell’uomo, la sua natura ontologica, fondamentale, mentre la violenza ne è il tradimento e la negazione. Poiché la violenza deriva da una condizione interiore di lacerazione e di squilibrio dell’uomo, per poter raggiungere lo stato di non violenza, bisogna purificarsi completamente, e ciò è possibile attraverso:

a) la riduzione dei bisogni sino a soddisfare soltanto quelli più elementari e necessari; ascesi che raggiunge la perfezione nel voto di castità – brahmacarya ( letteralmente: Via verso il Divino ) – che egli pronuncia, d’accordo con la moglie, nel 1906.

L’ascesi dai bisogni , che invece l’Occidente rifiuta per puntare sempre più verso una moltiplicazione dei bisogni, è parte costitutiva di questa riscoperta della coscienza religiosa dell’azione politica del popolo indiano, che si pone all’esatto opposto della «avidità organizzata» , che può portare soltanto all’oppressione e al terrorismo, che alla fine coincidono: ciò perché una società che vede nella moltiplicazione dei bisogni e nella incoercibile azione per soddisfarli l’unico suo fine, è in uno stato di disordine interiore e di totale confusione, che porta inevitabilmente verso l’autodistruzione.

b) la povertà, intesa come non-possesso di beni, salvo gli oggetti personali, e uso parsimonioso di quelli necessari,;

c) l’ascesi interiore, che assume la sua più perfetta espressione nella

«preghiera silenziosa», cioè nell’essere costantemente e silenziosamente in relazione con Dio nella proprio cuore e, quindi, dipendere totalmente da Lui nella propria esistenza e in ogni azione;

d) il lavoro manuale, umile, il cui modello praticato da Gandhi è il lavoro all’arcolaio e la tessitura al telaio a mano ( charka ). Questo tipo di lavoro, ripetitivo, lento, meditativo, viene contrapposto al lavoro “produttivo” che è diventato il fine dell’Occidente:

e) l’uso, per i momenti di patologia fisica, della medicina naturale.

 

Allorchè si è raggiunta la pratica della non violenza in sé stessi, allora, secondo Gandhi, si dispone della più potente forza che esiste nell’universo, poiché la non violenza è la radice della vita: Dio è essenzialmente Buono, quindi non violento.

Gandhi giunge così vicinissimo a identificare la non violenza con l’amore come predicato da Gesù, e definisce, infatti, Gesù come il più perfetto modello di non violenza apparso sulla terra, pur non diventando egli stesso cristiano perché ritiene che ciascuno debba vivere il rapporto con Dio nell’ambito della fede ricevuta dai suoi padri.


2) La non violenza è la legge della Verità: ne è l’aspetto pratico, di comportamento. Cosicchè il violento non può essere dalla parte della Verità, vive inevitabilmente nella menzogna; e, corrispondentemente, chi si è donato totalmente alla Verità, cioè a Dio, non può che praticare la non violenza.

«La mia ricerca religiosa ha dato come frutto questa massima rivelatrice: Verità è Dio, anziché la più consueta: Dio è Verità. Questo pensiero mi mette per così dire faccia a faccia con Dio. E sento che egli pervade ogni fibra del mio essere».

Solo attraverso la concreta azione ispirata da questi due principi è possibile, secondo Gandhi, raggiungere la pace universale.

 

Nel 1916 fonda il primo ashram, una comune agricola e, insieme, eremo per la meditazione, che in sèguito diventerà il centro ispiratore delle sue iniziative per la liberazione dell’India dalla dominazione britannica e dalle discriminazioni di casta.


Tutta la sua esistenza, da questo momento in poi, è una messa in pratica dei principi fondamentali, che formano le colonne della sua convinzione interiore, applicati soprattutto a due scopi: la liberazione dell’India e la sua unità, anche tra le due diverse etnie religiose, musulmani e indù.

Verso la fine della sua vita, egli confesserà di avere fallito quasi del tutto la sua azione, soprattutto riguardo a quest’ultimo punto.

Il grande continente indiano, infatti, si scinderà, con la formazione del Pakistan musulmano, e con la tragedia della migrazione di milioni di individui e le violenze degli indù contro i musulmani e viceversa.

Egli continuerà a battersi con la preghiera, il digiuno, la partecipazione a manifestazioni pacifiche, sin quando il 30-1-1948 un estremista indù lo uccide a Delhi, tre giorni dopo la sua partecipazione a un pellegrinaggio con le donne musulmane a Melhauri e mentre faceva un digiuno per ottenere l’evacuazione delle moschee musulmane che i suoi fratelli indù avevano occupato con la forza a Delhi, la città che egli avrebbe voluto diventasse la capitale dell’India unificata; muore pronunciando la parola Rama, Dio.

 

***


2) Louis Massignon sino all’incontro con Gandhi: 1883-1931.


Louis Massignon nasce in Francia, a Nogent-sur-Marne il 25\7\1883, è, quindi, più giovane di Gandhi di 14 anni. La sua educazione elementare e liceale è quella tipica di un figlio della borghesia colta della Parigi di fine secolo. Il padre è pittore e scultore. Egli segue gli studi di lettere, ma è attratto, già sin dal liceo, dall’Oriente, dalla lingua e dalla sua cultura.

Studia autonomamente il sanscrito e altre lingue orientali, semitiche.

E’ culturalmente e religiosamente influenzato da un amico del padre, Joris-Karl Huysmans, un esteta, simbolista, che si era convertito, dopo un periodo di radicale ateismo, al cattolicesimo e aveva scritto, dopo opere decadenti e simboliste ( À rebours ), dei romanzi che ripercorrevano la sua strada verso la fede ( Là-bas; En route; La cathédrale; L’oblat ). Il radicalismo cristiano di Huysmans lascerà un segno indelebile nella spiritualità di Massignon.

Una tesi sul Marocco del primo ‘500 come descritto nelle relazioni di viaggio di Leone l’Africano, lo orienta verso la civiltà islamica, e dopo un’esperienza infelice durante un viaggio in Africa, dovuta alla sua non conoscenza della lingua araba, fa giuramento di imparare l’arabo. Nel 1906 si diploma in arabo e indirizza integralmente i suoi interessi di studio verso l’Islam e la civiltà medio-orientale.

Nel 1906, al Cairo, si interessa a un mistico musulmano del X secolo, al-Hallag, che era stato crocifisso a Bagdad dai suoi stessi correligionari per avere ritenuto possibile l’unione mistica con Dio, e decide di fare delle ricerche sulla sua vita e scriverne una biografia.

Durante queste ricerche, nel 1908, presso Bagdad, sente improvvisamente di essere visitato da Dio, “ lo Straniero”, e da questo momento riacquista la fede smarrita. La sua idea dell’«ospitalità sacra», cioè dell’accoglienza che l’uomo che viene visitato da Dio deve darGli nel suo cuore, sull’esempio di Abramo, nasce da questa folgorante esperienza mistica.

 

Questo momento è di primaria importanza per poter comprendere la fratellanza spirituale che sentirà più tardi con Gandhi.

In una pagina che scriverà molti anni dopo, rispondendo a un’inchiesta su Dio e sulla fede, scrive, rievocando questo momento-chiave della sua vita:

 

«Una rottura interna delle nostre abitudini, un breve disturbo cardiaco, punto di partenza di un nuovo ordine dei nostri comportamenti personali, oppure, guardando dall’esterno, la presa di coscienza di un peccato, trasgressione della Legge: davanti al Signore che bussa, l’anima si ritrova donna, tace, acconsente, e la gelosia della sua primordiale verginità la dissuade dall’indagare sul “come” e “perché”. Essa si mette a commemorare in segreto quell’Annunciazione, quel viatico di speranza che ha concepito, per partorirlo immortale. Il fragile Ospite che porta in seno determina da allora tutti i suoi comportamenti. Non è un’idea inventata che fa evolvere a modo suo, secondo la propria natura: è uno Straniero misterioso che adora e che la orienta. Ed essa vi si vota » ( Visitazione dello Straniero, in “Parola data” ).


Negli anni successivi, si dedica a scrivere la tesi su al-Hallag, e conosce Charles de Foucauld, che spera di farne il suo compagno di missione in Africa. Ma dopo un periodo di incertezza, Massignon, durante la partecipazione a una messa officiata da Foucauld, nel 1913, sente che la sua vocazione è un’altra. Si sposa, partecipa alla I guerra mondiale, incontra T.H. Lawrence, è colpito dal tradimento degli arabi perpetrato dalle potenze occidentali nella questione medio-orientale, si dedica, dopo l’assassinio di Foucauld in Africa, a far conoscere il messaggio del suo amico e ne fa, dopo Huysmans e al-Hallag, un suo intercessore, un santo cui rivolgere la sua preghiera e affidarsi presso Dio.


Nel 1921 Massignon insegna sociologia musulmana all’Università di Parigi e qui riceve la visita dei capi della delegazione del Califfato in Francia ( il dr. Ansani e Suleiman Nadvi ), che gli consegnano l’impegno scritto di Gandhi per il satyagraha, testo che fu poi pubblicato sulla “Revue du monde musulman”: è il primo incontro di Massignon con Gandhi, e ne rimane impressionato profondamente.


Ciò che maggiormente lo segna è la scoperta di quanto l’idea della dedizione totale dell’individuo alla Verità, cioè a Dio, propugnata da Gandhi quale strada per la liberazione dalla schiavitù della coscienza dei singoli e dei popoli, sia simile all’ idea, che egli aveva maturato sin dal momento della sua conversione, della «Ospitalità sacra».

Chi apre la propria coscienza alla Verità, al Dio che chiede ospitalità nel nostro cuore, non sentirà più alcun essere umano come straniero, ma tutti sentirà come propri ospiti, a somiglianza di Dio. Sempre nel testo citato prima scrive: «L’anima non può nascondere il puro Testimone di cui è “incinta”, si sente marchiata, segnata dai colpi che offendono la Verità e provocano la Giustizia, in tutti gli oppressi, i prigionieri, gli schiavi, i forzati >>.


Egli comprende come questo senso della sacralità della vita dell’individuo, e quindi dei popoli, sia stato del tutto perso in Occidente, e viva invece ancora in Oriente.

Così Massignon riscopre la ricchezza spirituale dell’Oriente attraverso Gandhi: << A partire dal 1921, ho cercato con alcuni miei connazionali di rendere accessibile allo spirito francese l’impegno di verità del satyagraha: Gandhi poteva avere un influsso sulle masse. Voi indù non separate lo spirituale dal materiale. E’ una stessa realtà. Ma, in Europa, spirituale e materiale sono separati >>.

Così dirà nel 1953 in un intervento a un seminario dell’UNESCO tenutosi a Delhi.

 

Altro punto che Massignon ritiene fondamentale in Gandhi, e che sente profondamente suo in quanto radicalmente cristiano, sebbene obliterato nella religiosità occidentale, è la connotazione essenzialmente pratica della dedizione alla Verità: << Non si realizza il sacro custodendo soltanto il senso letterale delle parole. Lo si realizza personalmente con un voto di santità. Questo è il grande messaggio di Gandhi. …… Solo attraverso la fermezza dell’attaccamento personale all’impegno, al Voto, è possibile servire gli altri. In tal modo egli ( Gandhi ) attraversò il fiume della vita… E’ impossibile vivere da esseri umani se non si resta fedeli alla parola data >> ( Stesso intervento ). Bisogna partire da sé stessi, dalla propria purificazione, se si vuol purificare il mondo dalla violenza e dalla sopraffazione dell’uomo sull’uomo.

Perciò il Voto è quanto di più personale e proprio dell’uomo possa concepirsi: solo chi ha una dimensione spirituale dell’esistenza e cerca la Verità, verso cui orientare la propria vita, può fare un Voto.

Scrive Massignon, ricalcando Gandhi: << Ogni persona umana è essenzialmente un voto e la sua vita termina con l’esplosione della vocazione… Il destino è ciò che l’ambiente in cui viviamo ci impone, la vocazione è al di sopra…c’è in ognuno di noi una speranza, e tale speranza basta a distruggere l’idea che il destino suggelli la vocazione. La vocazione è aperta sull’al di là… La storia di una persona umana è l’emergenza graduale del suo voto segreto attraverso la sua vita pubblica >> ( “Il voto e il destino” – 1957 ).


Terzo aspetto dell’azione di Gandhi che colpisce Massignon è la sua posizione verso Dio. Gandhi non ha trovato Dio nella teologia, nelle parole, nelle prese di posizione teoriche, o nell’adesione a una particolare religione, bensì ha rotto lo schermo che ci separa da Lui ritrovandoLo,

< vedendoLo > negli uomini più poveri e più emarginati, gli “intoccabili”, i Paria.

La sua adesione ad essi è tale che egli si è fatto simile a loro, toccandoli e diventando così volontariamente un impuro. Per lui, Dio è, in questo senso, l’essere più emarginato e più povero, Colui che vive negli Intoccabili. Amando gli Intoccabili, si ama Dio.

Gandhi chiama gli Intoccabili, Harijan, che significa “Gente di Dio”.

E’ evidente la vicinanza, per non dire la similarità, che Massignon vede tra questa esperienza di scoperta di Dio da parte di Gandhi e l’assimilazione - da parte di Gesù - di Dio con i poveri e gli umili.

 

3) L’incontro con Gandhi: dicembre 1931.


Nel dicembre del 1931 Massignon e Gandhi si trovano entrambi a Parigi e qui si incontrano per due volte, per poche ore, unico incontro effettivo della loro vita, poiché per il resto si è trattato di un incontro e un dialogo spirituale.

( Nel 1945, tre anni prima della morte di Gandhi , Massignon voleva rivederlo a Nuova Delhi, prima che partisse per Simla, ma non gli fu possibile per un impedimento pratico ).


Anche da questo breve incontro, Massignon riceve un’impressione straordinaria, che si aggiunge, completandola, a quella maturata nei dieci anni trascorsi dalla prima notizia della sua personalità e della sua azione.

Ecco cosa ne dice egli stesso in uno scritto apparso su “Esprit” nel 1955 : « Il pensiero di Gandhi mi appariva come un pensiero di giustizia, ma vivo, un desiderio efficace di purificarsi e di purificare gli altri entrando in azione; il suo pensiero nudo di una ascetica nudità, penetrava nel fango di un mondo di peccato e di bruttura. Ed era tanto retto da non poter essere deformato da alcuna mistificazione. Perché era un voto che instaurava il sacro, mantenendo la parola data, senza spezzare il legame di ospitalità comunitaria» (“ L’esemplarità singolare della vita di Gandhi” - 1955 ).


Attraverso il suo pensiero fatto azione, Gandhi, secondo Massignon, rivela al mondo occidentale un segreto proprio della spiritualità indù, un segreto la cui rivelazione l’Occidente attende da sempre, e che consiste in questo:

«Prima di ogni dialettica e di ogni diritto romano, la vita umana, e persino la vita cosmica, è una universale pietà, una materna tenerezza, una grazia divina, che sacralizza ogni esistenza, contro la violenza e il male… … Al di sopra della Legge ( Dharma ) c’è la Grazia ( Bakhti ) che sola può approfondire il ritorno alle origini fino all’Uno » ( Ibidem ).

La Bakhti ( tradotto con un termine teologico cristiano Grazia ) è per l’Induismo il riconoscimento da parte dell’uomo della Presenza divina in ogni essere dell’universo; e l’uomo può raggiungere tale consapevolezza solo se aiutato da Dio stesso, che gliela conferisce come un dono.

Da questa consapevolezza, che l’Occidente ha smarrito e che deve reimparare dall’Oriente attraverso Gandhi, deriva quella modalità di porsi dinanzi agli oppressi, agli emarginati, ai poveri, che Massignon chiama «la scienza sperimentale della Compassione».


Sulla base di questo principio, che dovrebbe costituire la radice di ogni pensiero e di ogni azione sociale e politica, Massignon affronta il problema dei profughi e dei “rifugiati”, problema «che si pone sotto ogni latitudine: Europa centrale, Cina, India, Macedonia, persino Canada, e Israele popolo di cui «le persecuzioni millenarie hanno fatto il tipo esemplare del profugo» e che « adesso che si è reinsediato in Terra Santa, deve far di tutto perché giustizia venga resa ai rifugiati arabi, costretti all’espatrio da questo suo reinsediamento» ( “ Il problema dei rifugiati e la sua rilevanza in Medio-Oriente” -1949 ).

Perché chi ha una patria e si trova dinanzi a un profugo, assuma una posizione di giustizia e di compassione, dovrebbe riflettere a quel che Gandhi ha saputo essere e imitarne il pensiero e l’azione: «considerarsi come un espatriato volontario, uno straniero in mezzo ai suoi, senza preferenza tendenziosa per la propria famiglia, la propria classe, il proprio clan, la propria professione, il proprio rito confessionale» ( Ibidem ).

Così egli «ha insegnato a ascoltare il grido degli esclusi, dei paria, dei profughi. E’ un grido sovrumano di separazione. Questo grido ci separa dai nostri, dall’ambiente che amiamo e ci lega strettamente a questi sventurati che non erano niente per noi. Se comprendiamo bene questo grido di separazione, sappiamo che non potremo ritrovare in essi una famiglia, poiché sono ospiti sacri, sono stranieri. Non dobbiamo cercare di assimilarli, ma dobbiamo ssotituirci a Dio davanti a loro, alla loro carenza, perché è Dio che ci attira a sé tramite la nostra comune indigenza… … Come definire il profugo sotto questo aspetto del nostro esame di coscienza? Non dobbiamo amarlo come noi stessi, come il prossimo. Dobbiamo amarlo più di noi stessi. E’ l’ombra di Dio sulla nostra vita, un’ombra che ci appare spesso come il nemico; quest’ombra nera, sudicia, contagiosa di ogni sorta di epidemia, indesiderabile, persino inconsapevole dei nostri sforzi per salvarla » ( Ibidem ).


In questo passo dello scritto di Massignon è importante l’accenno al rifiuto dell’assimilazione religiosa ed etnica dei profughi. Egli, infatti, in un altro scritto (“ L’onore dei compagni di lavoro e la parola di verità” -1957 ) che riprende le idee di Gandhi e il loro valore per l’Occidente intollerante ed esclusivista, afferma con forza che «finchè non rispetteremo l’onore dei credenti non cristiani di cui, come dicono i missionologi, cerchiamo la conversione in modo meccanico, tradiremo Dio, e non troveremo la verità per noi stessi. La conversione … è un approfondimento di quanto vi è di meglio nella loro lealtà religiosa attuale… dobbiamo far sì che trovino in sé stessi la loro liberazione, immaginino in sé quel volto del Cristo oltraggiato, volto redentore, che ci ha tratto ad amarli, ad abbandonare per essi, se occorre, i nostri cari.».

«La Verità si trova solo in un’amicizia condivisa. E’ un pane di ospitalità che si guadagna e si mangia insieme. … Questo vorrei che facessero ebrei ed arabi» ( “Civilizzazione e cristianesimo” – 1957 ).

«Non viviamo quaggiù per conquistare, ma per testimoniare, e lasciare ai più giovani di noi l’esempio della testimonianza. Il genio malefico che possiede i violenti non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno, disse Gesù » ( “Messaggio agli ‘Amici di Gandhi’ “- 1961 ).


Per Massignon, che, cattolico, ha per tutta la sua vita cercato, con la passione dell’amante di Dio comunque Egli si manifesti nei diversi individui e nei popoli, la Verità presente nell’Islam e nelle altre religioni, la convinzione di Gandhi, secondo cui ognuno deve vivere nella fede in cui è stato educato e che gli viene dai suoi avi, è un punto fondamentale.

Egli ricorda come per Gandhi «i credenti delle diverse confessioni dovessero intensificare la loro partecipazione alle opere di misericordia verso tutti i loro fratelli umani, rinunciando una volta per tutte a ogni gelosia confessionale, che non è emulazione nel bene, scoprendo insieme il principio della loro unità finale nella trasparenza perfettamente leale delle loro parole di accoglienza, di ospitalità e di pace, ancorati nell’abbandono segreto della loro fede in Dio» ( “Il significato spirituale dell’ultimo pellegrinaggio di Gandhi” – 1956 ).

 

L’Unicità di Dio, che si manifesta ai diversi popoli e nei diversi momenti della storia in modi consentanei al loro spirito, fonda la tolleranza che ognuno deve avere verso tutte le religioni che sola può portare a ri-sacralizzare l’universo e ogni singolo essere vivente e condurre all’unità di tutti gli uomini.


Questi mezzi portano inevitabilmente al sacrificio di sé, ma sono l’unico modo, per Massignon ( che richiama come esempi, a tale proposito, Gandhi e Gesù ) di evitare «la violenza della non violenza», cioè l’imposizione mediante mezzi spirituali violenti - quali l’umiliazione degli altri, l’offesa dell’altrui dignità con un contegno di disprezzo e di esclusione ritenendoci gli unici depositari della verità, - della nostra “resistenza civica” all’oppressione: «Il miglior atteggiamento attuale per la difesa della santa verità, più disarmata che mai, consiste nel non servirci di essa come un manganello, ma di accettare con dolcezza di essere percossi per essa, di essere colpiti da essa, quale se la raffigurano contro di noi i nostri fratelli, nella loro esasperazione insensata. Non vogliamo infatti che diventino peggiori, ma vivano con noi nella pace che, un giorno, dovrà pur rifiorire » ( Lettera agli “Amici di Gandhi” da Binic -1961 ).

Nell’azione sociale e politica per la verità bisogna evitare ogni «astuzia o pressione spirituale ( per es.: paternalismo; autoritarismo pedagogico )» anche se esercitata in nome di idee nobili e in vista di un bene superiore. Le idee nobili e il bene finale ne risulterebbero inevitabilmente deformati.

Esempi concreti di mezzi “astuti” che fa Massignon sono: «utilizzare un falso stato civile per la Resistenza; retrodatare un certificato medico per essere accettato su un aereo in missione urgente » ( “Messaggio agli Amici di Gandhi” del 1961 ). «Ogni azione mascherata, diceva Gandhi, è un peccato. Non si può rendere la vita a moltitudini morte pensando con termini convenzionali, accessibili alle sole unità iniziate. Non si avanza verso il traguardo se non allo scoperto e scoprendosi, con il rischio di essere imprigionati. La disciplina del segreto è un sintomo di violenza » ( Ibidem ).


La volontaria contrazione dei bisogni indotti dal progresso e l’ascesi riguardo ai mezzi materiali della vita, che Gandhi ritenevauno dei capisaldi della sua testimonianza sociale della purificazione interiore, è visto da Massignon come una modalità di «castità dell’intenzione», che è in grado di spiritualizzare la vita moderna: «non si tratta di rinunciare ai progressi della tecnica, ma di usarne con ritegno e pudore, in modo non febbrile e senza accelerare i tempi … … è necessario ammettere che il mondo è guidato da appetiti materiali e da forze economiche, e che le masse racchiudono in sé efficaci forze spirituali malgrado le perverse ipocrisie che le sfruttano.» ( La Palestina e la pace nella giustizia -1948 ).

La razionale moderazione dell’uso dei progressi tecnici si pone così come una contestazione del materialismo e dell’efficientismo sotteso all’azione sociale, economica e politica della modernità e indirizza lo sguardo dell’uomo sulla forza dello spirito, apparentemente povera, incapace, ma in realtà più potente di ogni forza materiale.

 

La “riduzione” della azione per la verità e la pace ai soli “mezzi poveri” – la testimonianza della propria vita pacificata, l’uso “ascetico” dei mezzi della tecnica e del progresso materiale, la preghiera e il digiuno – che Massignon ha scoperto in Gandhi, viene messa in pratica e diffusa per la liberazione dell’Algeria dalla dominazione francese negli anni dal 1951 al 1962, data in cui finalmente l’Algeria diviene indipendente.

Egli stesso pratica lunghi periodi di “digiuno privato”, che distingue dallo sciopero della fame, ritenuto un mezzo violento di imposizione della non violenza, del quale Gandhi aveva detto poco prima di essere ucciso: «Il mio digiuno non è diretto contro nessuno. Si rivolge alla coscienza di tutti ».

Il digiuno privato è un mezzo di purificazione interiore che passa attraverso la carne, il corpo, una “sapienza del corpo”, pratica con cui si testimonia silenziosamente la propria compassione per il mondo in guerra e lo si invita, mediante la rinuncia al bene primario del cibo, all’accoglienza del bene, più che primario, radicale della pacificazione di sé, e della conseguente pace con tutti gli altri viventi, uomini, animali e vegetali.

Esso è «una purificazione preliminare all’esercizio della nostra ragione, rinuncia ad ogni fede assiomatica più o meno arbitraria, ascesi del composto umano in tutta la sua interezza, corpo e anima, che diventa una sorta di disponibilità offerta alla pace serena, quella che tutti gli uomini attendono >>

( “Appello al digiuno”rivolto agli “Amici di Gandhi” -1959 ).

 

Questi mezzi, così poveri e disprezzati dal mondo, sono destinati a iniziare gli uomini al raccoglimento, alla meditazione e all’orazione segreta e a creare in essi, e in tutti quelli che ne sono spettatori, la «fame e sete di Giustizia», che è l’unica forza che può portare la pace nel mondo.

Se si crede che essi siano mezzi inefficaci, si pensi allora, dice Massignon, che con essi, e solo con essi, «Gandhi aveva conquistato il 15 agosto 1947 l’indipendenza dell’India» ( Ibidem ).


Massignon, già sin da pochi mesi dopo la morte di Gandhi, lo assume fra i suoi “santi intercessori”, come Abramo, Huysmans, al-Hallag, Charles de Foucauld, Mèlanie di La Salette, «personalità religiose sante che sono alle origini o nei nodi dei fili di forza spirituale … che consolidano la tessitura degli eventi materiali dell’universo» e ne individua l’attualità e la universalità del messaggio: egli è «un uomo dei nostri giorni… un santo ucciso ieri per la causa dell'India ( dove ha pregato non solo per i suoi fratelli indù, ma anche per gli intoccabili e per i musulmani ). Credo che uomini simili siano predestinati a ispirarci il modo in cui dobbiamo cercare l’avvento del Regno di Dio, cioè della pace nella giustizia. E credo che il loro metodo sia valido non soltanto per il loro paese e la loro epoca, ma per tutti i paesi e per tutti i tempi» ( La Palestina e la pace nella giustizia -1948 ).



Nota bibliografica.

I testi di Gandhi citati nella relazione sono tratti da:

 

* La mia vita per la libertà ( Autobiografia )- Newton Compton – Roma -1973

* Teoria e pratica della non violenza – Einaudi – Torino – 1973

* Gandhi commenta la Bhagavad Gita – Edizioni Mediterranee –Roma -1988

* Gandhi: Per la pace – Aforismi scelti a cura di Thomas Merton – Feltrinelli – Milano 2002—


I testi di L. Massignon sono tratti dagli scritti volta per volta indicati dopo la singola citazione e pubblicati in:


* Parola data – Adelphi – Milano – 1995

* Massignon e Gandhi: il contagio della verità – Marietti – Casale Monferrato-1984-

* Gandhi e les femmes de l’Inde– di C.Drevet, Prefazione di L. Massignon – 1959 -