Nella visita di Dio
Luca, autore del Vangelo e degli Atti degli apostoli, è teologo della storia, gode della rivelazione di Dio che nella storia degli uomini si è manifestato in modo da realizzare le sue intenzioni di salvezza. La storia umana è storia di salvezza, perché è storia si visitata da Dio, per questo il figlio è stato inviato fino alla sua Pasqua di morte e di resurrezione e lo spirito Santo è stato diffuso in modo tale che la storia e gli uomini sia ricondotta a quella intenzione di amore che costituisce il principio di tutto.
Dio si è rivelato nella storia degli uomini per riportare le sue creature a quel disegno di amore che costituisce da sempre dalla profondità del suo mistero di vita eterna. L'evangelo è il rivelarsi di Dio come protagonista della storia umana, l'evangelo può essere inteso da noi come quella novità di cui gli uomini fanno esperienza nel corso della storia. Quella novità per cui noi ci troviamo inseriti nella opera che Dio ha compiuto per la salvezza degli uomini. Per dirla con un termine dotato di una singolare pregnanza teologica nel linguaggio di Luca, ci troviamo inseriti nella visita di Dio, quella visita che determina il giorno della salvezza, il giorno in cui l'opera di Dio si è compiuta. Noi siamo messi in grado di condividere la attualità eterna oramai, piena e definitiva, di quel giorno nel quale la visita di Dio si è compiuta. L'evangelo è dunque la novità che emerge e si impone nella storia umana per cui noi, creature disperse, sbandate, disorientate, schiacciate nel circuito di tanti compromessi, siamo inseriti nel regno. La visita di Dio si è compiuta. Il Figlio si è presentato, è disceso, è risalito, morendo e risorgendo ha determinato nella storia degli uomini il giorno in cui tra cielo e terra è stata ristabilita la comunione. Il cielo ha baciato la terra e la terra è stata sollevata fino al cielo. Ora, proprio all'inizio degli Atti degli apostoli, Luca ci presenta Gesù che dialoga con i suoi discepoli e annuncia loro che avranno forza dallo Spirito Santo che scenderà su di loro, «su di voi - dice il testo - e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria fino agli estremi confini della terra» (1,8). Anzi prima ancora Gesù si rivolge ai discepoli, dichiarando: «Giovanni ha battezzato con acqua. Voi invece sarete battezzati in Spirito Santo tra non molti giorni» (1,5). Si tratta dell'immersione in una corrente misteriosa e potentissima che pervade tutta la creazione e che sostiene dall'interno la storia umana. E' la potenza di Dio, lo Spirito del Dio vivente che trascina nel suo corso la totalità degli eventi e li orienta, ma senza che sia chiarita la modalità. Quel certo inserimento nostro nella visita di Dio è qui prospettato come realtà non solo annunciata, ma oramai realizzata.
Ora, in modo ancora più esplicito che nel cap. 1, dove si leggeva dell’ascensione, rimangono i discepoli, la convocazione di quel primo nucleo di discepoli incerti, frastornati, smarriti, disorientati dopo che l'evento si è compiuto in modo pieno ed inequivocabile. Si ritrovano alle prese con la loro solitudine, spettatori di una realtà che si espande senza limiti attorno a loro, dinanzi al loro: il mondo, la storia, di cui non controllano minimamente i dati oggettivi, sulla sponda di questo avvenire a cui non erano preparati, dal momento che l'evento risolutivo, di per sé, si è già compiuto.
Dice Pietro: bisogna scegliere uno che sostituisca Giuda. Sono 11 e non 12, bisogna inserire nel posto lasciato vuoto da Giuda, un dodicesimo, in modo tale che la compagine dei discepoli sia ricomposta, ma ricomposta in una situazione che rimane segnata da una intrinseca precarietà.
Bisogna che uno sia scelto a questo scopo, «uno di coloro che ci furono compagni per tutto il tempo in cui il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi incominciando dal battesimo di Giovanni, fino al giorno in cui…». Si tratta di entrare in quell'oggi definitivo e intramontabile. L'evangelo consiste per l'appunto nel nostro inserimento in quel giorno .. Ma quello è il giorno in cui è stato sottratto al contatto con noi! Come può avvenire che noi siamo inseriti in quel giorno, quando quel giorno lui è stato separato da noi? Il Figlio è intronizzato nella gloria , il suo giorno rimane intramontabile, ma come potrà mai avvenire nella nostra realtà, condizionata da limiti di tempo e di spazio, che noi siamo inseriti in quell'oggi? D'altra parte, da quell’inserimento in quell'oggi, dipende la novità piena e risolutiva, la novità che si chiama evangelo. L'evangelo è questo nostro inserimento, ma come? L'evangelo non è un discorso, un proclama, un qualche pensiero geniale che brilla nella mente di qualcuno, l'evangelo è il nostro inserimento in quel giorno, proprio il giorno in cui Lui è stato separato da noi.
Bisogna che noi ritorniamo a questo dato sconcertante che è il punto di partenza di tutta la narrazione che l'evangelista Luca ci fornisce nel suo libro.
Dice qui Pietro nel v. 22, «bisogna che uno divenga assieme a noi testimone della sua resurrezione>>. La modalità del nostro inserimento nella visita di Dio, nel giorno della salvezza, nel regno del Figlio che è intronizzato presso il Padre, si attua come testimonianza resa alla resurrezione del Signore Gesù. La testimonianza resa alla resurrezione del Signore Gesù viene prospettata come il modo che ci consentirà quell'inserimento nell'evento, nella novità realizzata una volta per tutte, nel regno del Figlio. Ma come può funzionare questo?
La Pentecoste: la distanza colmata
Al posto di Giuda viene scelto Mattia e adesso non sono più 11, ma 11+1, sono di nuovo 12, sempre nel contesto di estrema precarietà di cui ci siamo resi conto. Qui c'è il racconto della Pentecoste. E' la festa di pentecoste. Ci siamo. Questa festa rievoca per Israele il dono della legge dato da Dio al suo popolo. La festa di pasqua è memoriale dell'esodo, dall'uscita dall'Egitto. 50 giorni dopo, 7 settimane dopo, ecco, la festa di pentecoste: il dono della legge. Il Signore che ha tirato fuori coloro che erano schiavi in Egitto, li ha liberati per instaurare con loro un rapporto di alleanza, una comunicazione diretta, una intesa di amore. Questo è il proposito che egli perseguiva fin dall'inizio, un evento che si è compiuto una volta per tutte in maniera energica e dirompente: l'esodo e l’alleanza. Non soltanto, dunque, Dio ha salvato coloro che erano schiavi, ma Dio instaura un rapporto stabile, un rapporto di vita, un rapporto di comunione, nella libertà. Per questo era necessario che fossero liberati dall'Egitto, perché solo nella libertà si può instaurare una relazione di amore, stabilmente. Tra colui che è santo e coloro che sono stati tirati fuori dall'Egitto permane una distanza che nell'antico racconto è evidenziata dal fatto che non ci si può accostare alla montagna. Chi si fa avanti corre dei rischi. Ci sono dei recinti, delle barriere, dei fossati che contrassegnano del limiti invalicabili. Come si potrà entrare in relazione con il santo, come potrà mai realizzarsi questa sua intenzione di fare alleanza con un popolo che, per quanto liberato dall'Egitto, rimane un popolo sproporzionato alla relazione con Dio, rimane un popolo di peccatori? D'altra parte è bastata già l'esperienza di quel breve tragitto attraverso il deserto! Quanta nostalgia dell'Egitto! Quanto desiderio di tornare indietro, quanta pesantezza, quanta durezza, quanta fragilità! Come è possibile che si realizzi questo progetto? Come è possibile che questa distanza venga colmata? La festa di Pentecoste rievoca il dono della legge, perché è proprio donando la legge al suo popolo che quella distanza è stata riempita. E' Dio stesso che ha edificato un ponte, uno strumento di congiunzione. Il dono della legge, un dono così prezioso di cui noi non ci rendiamo conto perché abbiamo tutte le nostre deviazioni mentali e qualche volta anche tutti i nostri spiritualismi ideologici. Proprio in quanto il Signore dona la legge al popolo è possibile instaurare una relazione di alleanza stabile. E’ il Signore che apre la strada, che consente di superare la distanza che separa due interlocutori, così assolutamente eterogenei come è Dio santo e l'umanità condizionata e inquinata dal peccato. La legge è un ponte, una strada. E' Dio stesso che ha inventato la soluzione, ha inventato un trucco divino, la legge. Dio è venuto incontro al suo popolo in modo tale da indicargli qual è la strada che il popolo potrà percorrere per ritornare esso stesso, attraverso tutte le vicende che dovrà affrontare in ogni luogo e in ogni tempo, a realizzare l'incontro con il vivente. La strada è aperta perché Dio ha donato la legge, la distanza che separa è una distanza che in questo modo è stata riempita.
Tra l'altro quelle immagini che leggiamo qui nel cap. 2 rinviano inconfondibilmente a quelle del cap. 19 dell'Esodo, la grande teofania sul Sinai: lampi, vento, terremoto, tuoni. I discepoli stanno celebrando la festa di pentecoste, Esodo 19. Il Signore si serve di Mosè per donare la legge al popolo e sulla base della legge donata ecco che l'alleanza potrà essere sancita, ed ecco che il popolo potrà intraprendere la strada del ritorno alla vita, la strada che gli consentirà di ristabilire il contatto con il Dio vivente, in modo positivo, in modo da ritrovare la pienezza della vita. E’ proprio nel contesto della celebrazione della festa di pentecoste che i discepoli furono tutti pieni di Spirito Santo, dice il v. 4: «E cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi».
La festa di pentecoste è la festa della distanza colmata. In forza della legge? Quella indicazione che sta in quella fase ancora iniziale della storia della salvezza, è una indicazione che è stata a più riprese confermata, man mano che si sono manifestati ulteriori interrogativi nel corso della storia della salvezza. E' una impostazione, è un orientamento. Adesso è lo Spirito del Dio vivente che si manifesta come sigillo della comunione che ci fa capaci di condividere la vita gloriosa di Gesù, il Figlio di Dio. La distanza è colmata, la distanza tra lui innalzato, lui glorioso, lui intronizzato, lui il Figlio asceso e noi che siamo rimasti. La distanza è colmata. Non è più semplicemente il dono della legge, quella prospettiva consolante, commovente che imposta tutta la storia del popolo di Dio; adesso è la presenza misteriosa di Dio stesso che si manifesta dal di dentro della nostra vicenda umana, è la presenza stessa del Dio vivente che ci coinvolge in una relazione di vita con colui che è risorto dai morti ed è asceso al cielo. Noi siamo sigillati nella comunione con lui. La distanza è colmata!
Lo Spirito Santo è presenza misteriosissima e potentissima del Dio vivente che riempie di sé tutta la realtà creata, tutto ciò che è nel tempo e nello spazio. Tutto ciò che nella nostra esperienza umana, di per sé, è motivo per sperimentare tristemente, tragicamente, la distanza, diventa ora sigillo di comunione. E' la nuova e definitiva alleanza.
Pietro spiega. Il discorso di Pietro si articola in 3 sezioni: prima sezione, vv. 14-21; seconda sezione vv. 22-31; terza sezione vv. 32-36. Ciascuna delle 3 sezioni del discorso è caratterizzata dalla presenza di una citazione anticotestamentaria piuttosto ampia e prestigiosa. Naturalmente poi sono molteplici le citazioni implicite, quelle allusive. Che cosa è successo? E' successo che noi siamo in comunione con Gesù. E' successo che noi siamo in grado di condividere la vita di colui che è lontano, separato, intronizzato, glorificato. Noi condividiamo. Siamo in grado di una condivisione vitale, condivisione di uno stesso patrimonio di storia, di esperienze, di intenzioni. Siamo parenti di Gesù. E' accaduto questo. Quelli che si trovano a Gerusalemme in quella occasione chiedono conto e Pietro spiega.
Quanto aveva detto Gioele
Prima sezione: «Uomini di Giudea, e voi tutti che vi trovate a Gerusalemme, vi sia ben noto questo e fate attenzione alle mie parole». Quel che è avvenuto non dipende dal fatto che questi miei amici si sono ubriacati, ma dipende dal fatto che si compie quanto aveva già preannunciato il profeta Gioele. Ecco la prima citazione, un testo famoso di Gioele 3, piccolo libro ma autorevole e dotato di una sua capacità di impatto davvero travolgente:
«Negli ultimi giorni, dice il Signore, Io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona».
Non siamo, non sono ubriachi. Si compie l'annuncio di Gioele, lo Spirito di Dio è stato effuso in modo tale che per i giovani e per gli anziani, per gli uomini e per le donne, per coloro che sono liberi e per coloro che sono schiavi, per tutti gli uomini sempre e dappertutto è realizzata quella particolare possibilità di contatto con Gesù risorto dai morti, che costituisce la sua novità e la novità del nostro inserimento nell'evento suo: l'evangelo. Il testo di Gioele qui si conclude al v. 21: «Allora chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato». Chiunque invocherà il nome del Signore. E’ esattamente questa invocazione del nome che è resa possibile dalla effusione dello Spirito Santo. E’ l'effusione dello Spirito Santo che conferirà una capacità profetica agli uomini e alle donne, ai giovani e agli anziani, a coloro che sono liberi e agli schiavi. Tutti diventeranno profeti: «in quei giorni effonderò il mio Spirito ed essi profeteranno. Farò prodigi in alto nel cielo e segni in basso sulla terra, sangue, fuoco e nuvole di fumo. Il sole di muterà in tenebra e la luna in sangue, prima che giunga il giorno del Signore». Essi profeteranno. E' quello che Pietro sta dichiarando. Noi non siamo ubriachi, siamo profeti, siamo profeti in quanto invochiamo il nome. E invocare il nome significa esprimere la consapevolezza vitale di un vincolo di parentela che ci congiunge a Gesù. Invocare il nome del Signore significa chiamarlo per nome, come è possibile tra conoscenti, tra coloro che condividono lo stesso patrimonio di intenzioni, di aspirazioni. E' un patrimonio di famiglia, è una eredità di famiglia, è una parentela di vita. Noi siamo parenti di Gesù, lo chiamiamo per nome. Questo chiamarlo per nome è proprio dei profeti, è lo Spirito di Dio effuso che ha determinato tutto questo: ci ha sigillati nella comunione con il Signore Gesù, intronizzato, salito al cielo, lontano da noi, ma in comunione con lui, in quanto lo Spirito di Dio ha abolito la distanza. Ma come? E' lo Spirito di Dio che ci conferisce quella capacità profetica di invocare il nome. Non si tratta di gridare un vocabolo raffinato o segreto, invocare il nome significa aderire ad una relazione di vita nel nome di Gesù. Questa relazione di vita è opera di Spirito.
Nel vangelo secondo Luca il ladro che è accanto al Signore mentre stanno entrambi morendo, lo chiama per nome: Gesù ricordati di me nel tuo regno. E il Signore gli risponde: oggi sarai con me nel paradiso. Nel nome di Gesù noi entriamo nell'oggi, in forza di questo riferimento a Gesù, di questa adesione a lui, di questa comunione con lui, noi entriamo nell'oggi della visita della salvezza, nell'evento che si è compiuto una vota per tutte e questo perché lo Spirito che è stato effuso ci conferisce una capacità profetica.
Nel nome di Gesù
Pietro insiste, poi il suo discorso si sviluppa nelle due sezioni che seguono a partire, in entrambi i casi, dalla invocazione del nome di Gesù: «Uomini d'Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret…». Noi chiamiamo per nome Gesù. Noi siamo in grado testimoniare l'intimità della vita che ci lega a lui. La nostra testimonianza resa alla resurrezione funziona in quanto siamo profeti, e siamo profeti in quanto lo Spirito di Dio è stato profuso. Questa è la logica in base alla quale la storia della salvezza era già stata impostata fin dall'alleanza sinaitica, fin dal dono della legge. Adesso non è soltanto una premonizione, un'allusione, adesso è la realtà compiuta. L'alleanza è sancita in modo irrevocabile e per tutti gli uomini, in ogni luogo e in ogni tempo. V. 22: Gesù di Nazaret.
La terza sezione inizia in modo analogo al v. 32: questo Gesù Dio l'ha resuscitato… In entrambe le sezioni Pietro fa appello al nome di Gesù per esplicitare la nostra adesione a colui che è risorto dai morti. Chiamandolo per nome, Gesù, noi siamo testimoni della sua resurrezione. E' attraverso questa invocazione del nome che noi accediamo all’evento glorioso della sua vittoria sulla morte. Questo accesso viene esplicitato mediante l'attribuzione a Gesù di due titoli, che sono veramente ricapitolativi di tutto.
Salmo 16: Messia
Nella seconda sezione Gesù è il Cristo, il Messia. E’ la citazione del salmo 16, in cui il Messia non è Davide. Il salmo parla di un personaggio che non vede la corruzione, ma Davide è morto, il cadavere di Davide vide la corruzione. Il salmo non parlava di Davide ma del Messia , che è passato attraverso la morte ed è risorto dai morti. Noi che chiamiamo Gesù chiamiamo colui che è risorto dai morti: Cristo. Quando Pietro dice Cristo, ossia Messia, dice colui che è passato in mezzo a noi ed è stato inchiodato sulla croce, v. 23. Poi, v. 24, Dio lo ha resuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte. Quel Gesù di Nazaret che è stato rifiutato, contestato, aggredito, ucciso, colui che da noi è stato crocifisso, è proprio lui che ha portato a compimento le promesse. Tutte le promesse attraverso di lui, Messia, Cristo, come preannunciava il salmo 16, che ha vinto la morte. E tutte le promesse si compiono nella resurrezione di Cristo Messia. Lui è quel Gesù che noi abbiamo crocifisso. Noi come voi, come loro, come quelli del passato, come altri ancora nell'avvenire. Noi lo abbiamo crocifisso. E' Gesù di Nazaret, proprio lui.
E’ il Messia che compie le promesse e compie le promesse in quanto risorge dai morti e noi che chiamiamo Gesù, abbiamo a che fare con quel personaggio che abbiamo rifiutato e che, attraverso il rifiuto subito da noi, ci ha trascinati nell'evento di cui egli è stato protagonista, ossia il compimento delle promesse. Noi lo chiamiamo Gesù, lui è il Cristo resuscitato.
Salmo 110: Kurios
Terza sezione, v. 32: un secondo titolo viene attribuito a Gesù in quanto è risorto dai morti, ed è il titolo di Kurios, Signore. «Questo Gesù dio l'ha resuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire».
Pietro cita il salmo 110, altro testo famosissimo: «Disse il Signore al mio Signore: siedi alla mia destra». Viene attribuito a Gesù il titolo di Signore. Egli viene riconosciuto come il sovrano della storia ed è proprio lui che effonde lo Spirito Santo per noi. E’ risorto dai morti ed è l'autore di quella effusione di Spirito Santo che adesso ci riempie, ci impregna, ci travolge, ci conduce in quella corrente misteriosa che, dilagando in ogni luogo e coinvolgendo ogni momento della storia umana, ci rende profeti, ci rende capaci di entrare in comunione con lui. Per vivere nella condivisione della sua gloria, della sua figliolanza, della sua santità. Questo vuol dire rendere testimonianza alla resurrezione del Signore Gesù. Ci chiedevamo prima: come può funzionare questo? Pietro ci viene incontro e ci spiega: noi siamo testimoni della resurrezione del Signore Gesù in quanto lo Spirito di Dio ci rende profeti. Noi invochiamo il nome di Gesù, ma il nome di Gesù è il nome di quel Messia che noi abbiamo rifiutato, e che ha compiuto le promesse, Gesù è il nome del Signore onnipotente, sovrano della storia e dell'universo intero, che effonde su di noi lo Spirito della vita.
Proprio quel Messia che abbiamo rifiutato e che ha compiuto le promesse risorgendo dai morti, è proprio lui intronizzato come sovrano. Egli ci ha riversato addosso questa sovrabbondante ricchezza di forza, di luce, di pazienza, di fedeltà, di coraggio. Tutto quello che vedete lo vediamo grazie al potere indecifrabile, invisibile e impalpabile e inafferrabile dello Spirito Santo. Noi siamo oramai presi dentro questo circuito, siamo profeti che chiamano, invocano il nome di Gesù. Invocare il suo nome significa trovarci risucchiati dentro la corrente dello Spirito Santo che riversata da lui, risorto dai morti, gloriosamente intronizzato su di noi, ci rende profeti. Non è possibile stabilire un prima e un poi: prima siamo profeti e poi riceviamo lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo è stato effuso e noi siamo resi profeti. Siamo coinvolti in questa relazione così straordinaria, così irriducibile ai calcoli, alle misure. Noi siamo profeti nel nome di Gesù, che invochiamo. Questo esprime il nostro modo di testimoniare la sua resurrezione. E' il tramite di quella comunione con lui per cui non siamo più noi che viviamo ma è la sua stessa vita, ed è la stessa vita di Dio, che si manifesta in noi, che irrompe in noi. Il v. 36 conclude il discorso di Pietro: «Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!».
Quel Gesù che noi chiamiamo per nome è quel Gesù che noi abbiamo crocifisso, quel Gesù è presenza da cui siamo accolti nella possibilità inesauribile oramai di condividere la sua vita. La distanza tra lui e noi è colmata, non siamo più separati da lui, siamo entrati nel suo giorno unico ed eterno. Gesù, proprio lui, il rifiutato, ci ha legati a sé, ci ha coinvolti in una relazione indissolubile di comunione nella vita con lui, ci ha sigillati nella parentela. Dio ha costituito Signore quel Gesù che voi avete crocifisso. Il nostro averlo crocifisso ci crocifigge a lui, ci lega a lui, ci stringe in una comunione indissolubile con lui Signore e Cristo. Qui sta la nostra profezia, in questo chiamare per nome colui che da noi è stato crocifisso e che è risorto dai morti, come Cristo e come Signore. E’ la presenza a cui oramai appartiene la nostra vita e da cui oramai la nostra vita è definitivamente trasformata, convertita, siamo ritornati alla vita.
«All'udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: Che cosa dobbiamo fare, fratelli?. E Pietro disse: Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo».
Tutti profeti
Da questo momento tutto avviene nel nome di Gesù. Pietro ha esercitato, lui e gli altri insieme con lui, il suo servizio di profeta: ha reso testimonianza al Signore Gesù risorto dai morti, ha manifestato la profezia che lo Spirito di Dio gli ha conferito a lui, Pietro, agli altri con lui. Questa profezia è costitutiva della vita cristiana, interseca la vita degli uomini e chiama gli uomini, vicini e lontani, qui e dappertutto, adesso e per sempre, a diventare profeti. La comunione con Gesù, il Signore, è realizzata in forza di questa circolazione di Spirito, potenza di vita che da lui diventa nostra e in noi diventa profezia, che gli offre testimonianza.
Questa profezia, elemento costitutivo della vita nuova, evangelizza. Qui è l'inizio della evangelizzazione. Questa profezia incrocia la vita degli uomini e trasmette agli uomini l'invito a divenire profeti. Quei tali che hanno ascoltato si sentirono trafiggere il cuore. La trafittura del cuore. Il discorso di Pietro trafigge il cuore, la profezia trafigge il cuore. E' manifestazione di Spirito Santo, è l'invocazione del nome di Gesù, è la consegna della vita umana a quel crocifisso che è stato rifiutato da tutti e che per tutti è divenuto sorgente di vita. Si sentirono trafiggere il cuore e chiedono consiglio: che dobbiamo fare? E Pietro: convertitevi. E' il primo accenno a un coinvolgimento di quanti hanno ascoltato nella esperienza profetica dei discepoli. La trafittura del cuore, e adesso la conversione della vita: “pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro». Qui l'accenno è a Israele e attraverso Israele ai pagani: Israele e i pagani, e tutti gli uomini, a qualunque popolo appartengono, qui e dappertutto.
Per adesso siamo qui, a Gerusalemme, abbiamo a che fare con Israele. Le prime pagine degli Atti degli apostoli sono dedicate alla prima evangelizzazione che coinvolge il popolo d'Israele.
L’evangelizzazione di Israele
Cap. 3 «Un giorno Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera verso le tre del pomeriggio». Siamo alle prese con il popolo d'Israele, con la sua storia, la sua esperienza, con le sue grandezze, con la sua dignità. Il tempio è il grande sacramento della presenza di Dio. Lì sulla porta del tempio uno storpio non può entrare perché è storpio. Sta li e chiede l'elemosina. La gente passa, lo aiuta come può. Pietro e Giovanni salgono al tempio. C'è uno scambio di sguardi tra loro e quello storpio. Egli attende un poco di elemosina. Pietro posa lo sguardo su di lui «Ma Pietro gli disse: Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!».
Nel nome di Gesù entra con noi nel tempio. Qui Pietro non sta compiendo semplicemente un atto prodigioso, per cui quel tale che era storpio adesso guarisce, qui Pietro sta introducendo nel tempio lo storpio per il quale l'ingresso del tempio era precluso. Pietro sta evangelizzando lo storpio, ma sta evangelizzando Israele dal momento che il tempio è il sacramento dell'alleanza, il punto di riferimento, il luogo che raffigura in maniera inconfondibilmente emblematica la coscienza che Israele ha della propria identità. Nel nome di Gesù entra con noi. Cammina e lo prende per mano e se lo trascina dietro. Da questo momento sono insieme loro due, Pietro e Giovanni e lo storpio. Sembra che se lo carichi sulle spalle, se lo porta in braccio, gli sta addosso. E tutti erano stupiti e meravigliati per quello che era accaduto, perché quel tale era seduto fuori della porta e adesso invece è entrato nel tempio. E come mai è entrato nel tempio?
Il racconto prosegue con altri discorsi di Pietro. «Tutto il popolo fuor di sé per lo stupore accorse verso di loro al portico detto di Salomone. Vedendo ciò, Pietro disse al popolo: Uomini d'Israele». Ha inizio il secondo discorso di Pietro «perché vi meravigliate di questo e continuate a fissarci come se per nostro potere e nostra pietà avessimo fatto camminare quest'uomo?». Quest'uomo non è entrato per opera nostra ma «Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù». Il servo glorificato, il crocifisso innalzato, Gesù il rifiutato, è vittorioso. Qui una citazione del quarto canto del servo del Signore in Isaia 53. Ebbene il servo «che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto… ». Ebbene quel servo è stato glorificato da Dio. Ecco come prosegue: «voi avete ucciso l'autore della vita». «Ma Dio l'ha risuscitato dai morti».
Pietro spiega ancora una volta che noi siamo agganciati a lui. Noi abbiamo ucciso il protagonista della vita e Dio l'ha resuscitato dai morti: «e di questo noi siamo testimoni, proprio per la fede riposta in lui il nome (di Gesù) ha dato vigore a quest'uomo che voi vedete e conoscete». E' nel nome di Gesù che quest'uomo cammina, è nel nome di Gesù che quest'uomo è entrato nel tempio, è nel nome di Gesù che non ci sono più ostacoli, impedimenti, preclusioni, è nel nome di Gesù che quest'uomo è introdotto oramai nella pienezza della vita nuova, è nel nome di Gesù che Israele è evangelizzato. Israele è introdotto nella novità definitiva dell'alleanza: nel nome di Gesù. Pietro si rivolge a quel tale, si rivolge a Israele. E' la prima evangelizzazione a Gerusalemme, la evangelizzazione d'Israele. Da un lato c'è lo storpio, lo storpio poi è inseparabile dai due discepoli, Pietro e Giovanni. Fanno addirittura un gruppo unico, un corpo unico, è come un unico ammasso, sono inconfondibili: quel che vale per lui vale per noi, non si sa più chi è lo storpio e chi è invece il personaggio saltellante. Quel servo glorificato è risorto dai morti per voi e voi oggi nel nome di Gesù siete invitati a divenire profeti, siete invitati a invocare voi il nome di Gesù, a entrare voi in comunione con Gesù, quel servo glorificato. Come? Vedete lo storpio? Siamo noi oggi qui, un segno per Gerusalemme. «E' nel nome di Gesù di Nazaret che è il Messia, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, che costui vi sta innanzi sano e salvo»..