Incontri di discernimento e solidarietà
 
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NEL CROGIUOLO DELL’AFFLIZIONE

IL DEUTEROISAIA

di Pino Stancari

Un profeta senza nome

Siamo ormai dentro l’esilio. Adesso il popolo di Dio è disperso, frantumato, schiacciato, travolto: in esilio. Nel corso del secolo VI a.C. a Babilonia un profeta svolge un singolare ministero di incoraggiamento, di riconciliazione a vantaggio di quei gruppi di esuli che, qua e là sopravvissuti, ancora conservano reminiscenza di un passato remoto, che tende a sfumare sempre di più, insieme con l’inevitabile assimilazione alla nuova realtà storica e religiosa. Questo profeta probabilmente è nato a Babilonia, è nato nell’esilio ed ha l’esilio nel sangue, lo ha succhiato nel momento in cui sua madre lo ha messo al mondo. A metà del VI secolo a.C. a Babilonia, un profeta anonimo, e tale rimane. Motivo di sorpresa questo per gli studiosi. Il personaggio con cui abbiamo a che fare è una figura di primo piano, una personalità di alto livello, eppure il suo nome non è stato memorizzato. Sembra del tutto inimmaginabile un’eventualità del genere. Si dice di lui che è il Deuteroisaiaperché l’eredità della sua predicazione messa per iscritto è stata inserita nella composizione redazionale del libro di Isaia, che è una grande antologia di voci profetiche. I capp. 40-55 di Isaia contengono i canti, i poemi, gli oracoli, le testimonianze della predicazione di quel profeta che rimanendo anonimo viene identificato con il titolo di Deuteroisaia.
Se un personaggio del genere è rimasto anonimo, questo significa che la sua personalità, dotata di un’identità originalissima, è pienamente fusa nella comunione con tutta una comunità. Il popolo in esilio si riconosce in modo così immediato, viscerale con la testimonianza espressa da quel profeta che di lui si perde addirittura la memoria anagrafica. E’ così intimamente legato alla storia del suo popolo, è così radicalmente fuso con il vissuto della sua gente, dove svolge un ministero profetico di altissimo significato, che di lui personalmente non si ricorda più nemmeno il nome. L’esperienza dell’esilio è esperienza di immersione, di sprofondamento in un crogiolo di vicende, di linguaggi, di esperienze culturali e spirituali, in cui l‘originalità dei testimoni diventa testimonianza affascinante di comunione. I grandi sono esemplari proprio perché scompaiono in un contesto di coralità vissuta con tale partecipazione che del grande non ci si ricorda più nemmeno come si chiamava. E’ il caso del nostro Deuteroisaia, chiamiamolo così convenzionalmente anche noi.

Il libro della consolazione

I capp. 40-55 di Isaia, secondo la tradizione ebraica costituiscono il cosiddetto libro della consolazione di Israele. La consolazione è la nota caratteristica, dominante. La predicazione del Deuteroisaia è il libro della consolazione per eccellenza. Ogni teologia della consolazione fa capo a questi capitoli.
Questo è il libro della consolazione per coloro che sono in esilio, coloro che in esilio hanno sperimentato l’abbattimento, l’avvilimento, la sconfitta, la delusione, l’amarezza; coloro che nell’esilio stanno sperimentando il fallimento di una storia sbagliata che conduce un popolo intero a disperdersi nelle vicende del mondo, lungo strade impervie e sempre più dispersive. Eppure il tempo dell’esilio costituisce il contesto della grande consolazione. Un’opera nuova si compie di cui Dio è protagonista: attraverso l’esperienza drammatica dell’esilio il popolo è guidato su strade di conversione. Proprio quando lo strazio stritola le coscienze la consolazione irrompe e si impone come criterio risolutivo per quel che riguarda l’interpretazione del passato e dell’avvenire.
L’intero libro della consolazione può essere diviso in due parti principali: capp. 40-48 e 49-55. I versetti 40,1-11 risuonano familiari alle orecchie di tutti. Il poema introduttivo è stato collocato qui non casualmente. Questo poema imposta la redazione successiva che ci consente di inquadrare lo sviluppo della prima parte come testimonianza della predicazione rivolta dal profeta a coloro che ancora risiedono a Babilonia e coloro che da Babilonia sono invitati ad uscire. Nella seconda parte leggiamo testi relativi alla predicazione del profeta che invita tutti coloro che sono destinatari della consolazione che egli sta annunciando ad orientare il proprio sguardo verso Gerusalemme. La prima parte guarda verso Babilonia, da cui bisogna uscire, la seconda parte guarda verso Gerusalemme a cui bisogna tornare.
Prima parte del nostro libro della consolazione: l’esilio come uscita da Babilonia; seconda parte del nostro libro della consolazione: l’esilio come ritorno a Gerusalemme.

Una voce impercettibile

Il Poema introduttivo, 40,1-11, si può dividere in quattro strofe. Prima strofa, vv. 1-2.
«Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù, è stata scontata la sua iniquità, perché ha ricevuto dalla mano del Signore doppio castigo per tutti i suoi peccati».
Così si apre il poema, così si apre anche il libro della consolazione: consolate, consolate il mio popolo. Questa voce viene da Dio: è il vostro Dio che dice questo. E’ una voce che affiora quasi impercettibilmente: consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme. Gerusalemme è un ammasso di rovine, eppure ha ancora un cuore. Gerusalemme è il ricordo di un tragico fallimento storico che ancora è conservato nel cuore di coloro che sono in esilio a Babilonia e che forse già appartengono a una seconda generazione di esuli. Questa generazione non ha un’immagine di Gerusalemme abitata, intatta. Eppure questa voce che trapela, irrompe nei cuori di coloro che a Babilonia ancora si ritrovano.
«Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù»
. E’ finito il tempo della oppressione, «è stata scontata la sua iniquità», anzi «ha ricevuto dalla mano del Signore doppio castigo per tutti i suoi peccati».
Doppia era la porzione dei primogeniti in un’eredità, e il fatto che Gerusalemme abbia ricevuto un doppio castigo, viene immediatamente spiegato come un privilegio. E’ ancora una volta una primogenitura confermata. Gridatele, fate in modo che nel cuore, là dove l’esperienza della desolazione è patita in modo così schiacciante, si imprima questo messaggio: se le cose sono andate in questo modo, è perché il privilegio in forza del quale il Signore ti ha chiamato per nome, ti ha scelto, ti ha coinvolto in una relazione di amore, questo privilegio è confermato. La storia dell’esilio è la storia di un disastro che conferma l’irriducibile volontà di amore in forza della quale il Signore si è rivelato, ha chiamato, ha scelto Gerusalemme. Sei in esilio non perché sei abbandonato alla tua desolazione, sei in esilio perché la mia scelta di amore è irrevocabile. Oltretutto in questo v. 2, quell’imperativo, "parlate", rievoca un testo famoso del profeta Osea. Osea si rivolge a sua moglie, la quale si è prostituita così come Israele ha tradito la relazione di amore del Signore: "la condurrò nel deserto, parlerò al suo cuore". Due secoli dopo il nostro profeta a Babilonia dice quel che Osea aveva annunciato: parlate al cuore di Gerusalemme; "la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore".

Una via nel deserto

Seconda strofa, vv. 3-5.
«Una voce grida: Nel deserto preparate la via al Signore».
Questa voce da espressione a quel messaggio che era venuto man mano emergendo negli animi di quanti in esilio condividevano tristezze e memorie. Proprio loro hanno avvertito l’urgenza di una spinta consolatrice, dotata di una singolare eloquenza nell’interpretare i sentimenti di un animo desolato e trasformati in aspirazione di vita. Questi versetti risuonano nella fase di ingresso nel NT, nella predicazione di Giovanni Battista, che fa sua la predicazione dell’antico profeta in esilio a Babilonia. «Una voce grida: Nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura. Allora si rivelerà la gloria del Signore e ogni uomo la vedrà, poiché la bocca del Signore ha parlato».
Nel deserto una strada. Questa strada dal punto di vista tecnico è del tutto inimmaginabile. Chi mai può costruire una strada nel deserto che conduca direttamente da Babilonia a Gerusalemme? Qesta strada in realtà si apre perché è il Signore che viene. In modo sorprendente, gratuito, travolgente, la gloria del Signore viene, si rivela, si manifesta. La parola del Signore si realizza e ogni carne vedrà questa manifestazione gloriosa. La bocca del Signore ha parlato e quel che il Signore dice realizza. Il Signore apre strade nel deserto. E’ il deserto nel senso fisico, geografico, del termine; è il deserto di una storia di desolazione, di sconfitta, di smarrimento; è il deserto che coincide con lo smarrimento dei cuori, con l’esilio come punto di arrivo di una storia sbagliata, senza ritorno. Ecco, proprio là dove il deserto si imponeva come limite invalicabile, come luogo e tempo di scomparsa, il deserto è percorso da una strada: viene la gloria del Signore! Ogni carne la vedrà, la bocca del Signore ha parlato. E siccome parla lui gli eventi si compiono.

Come un fiore di campo

Terza strofa, vv. 6-8.
«Una voce dice: Grida»
. Adesso è il nostro profeta interpellato lui in prima persona. Fino a questo momento il profeta non è comparso, compare adesso: «Una voce dice: Grida, e io rispondo: Che dovrò gridare?». Il profeta si tira indietro, si schermisce, non vede perché debba lui, proprio lui, esporsi in questo modo: che dovrò mai gridare io?
«Ogni uomo è come l'erba e tutta la sua gloria è come un fiore del campo. Secca l'erba, il fiore appassisce quando il soffio del Signore spira su di essi. Secca l'erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura sempre. Veramente il popolo è come l'erba».
Il profeta è ben consapevole della precarietà del suo vissuto, della insufficienza delle sue forze. Sa bene di essere fragile come un filo d’erba che già è appassito, come il fiore del campo che già si è seccato. Ogni uomo è come l’erba, tutta la sua gloria è come un fiore del campo. Che devo mai gridare io? E invece proprio qui è il punto. Quella voce dice: grida. Lo dice proprio al nostro profeta in prima persona, a quell’uomo che è fragile. Proprio di quell’uomo adesso viene sollecitata la testimonianza. Tutto questo avviene perché la parola del Signore si manifesta, perché il soffio del Signore spira su di essi. Quel venir meno del filo d’erba, del fiore campestre sta lì a dimostrare che non è venuto meno solo un filo d’erba o un fiore campestre, ma che la parola del Signore si impone. E’ il soffio del Signore che spira. Tu sei profeta non perché avrai da dire chi sa quali novità o perché avrai da affermare chi sa quale impresa. Lo sappiamo: il nostro profeta rimane anonimo, attraverso quel suo anonimato è la parola che risuona, attraverso quella sua scomparsa è il soffio che spira. Tu sei un filo d’erba appassito, un fiore campestre seccato, ma questi non sono buoni motivi per cui tu ti tiri indietro, anzi, confermano la necessità che tu ti metta a gridare. La parola del Signore dura sempre, il suo soffio spira con potenza.

Da babilonia alla città di Giuda

E adesso quarta strofa, il nostro profeta grida, vv. 9-11.
«Sali su un alto monte, tu che rechi liete notizie in Sion», tu che sei evangelizzatore, che rechi liete notizie, evangelizzatore di Sion. «Alza la voce con forza, tu che rechi liete notizie in Gerusalemme. Alza la voce, non temere».
Il nostro profeta dovrebbe salire in una posizione così elevata che gli consenta di gridare fino ad essere ascoltato da Gerusalemme. Lui sta a Babilonia e alza il canto in modo tale da arrivare con la voce "alle città di Giuda". Da Babilonia annunzia a Gerusalemme, che è un cumulo di rovine che sta sepolto nel cuore di coloro che sono in esilio. L’esilio ormai è stato assorbito nell’intimo della desolazione di una vita, di molte vite, nella storia di un popolo. Grida. Annuncia alle città di Giuda: ecco il vostro Dio. Ecco che cosa deve annunciare il profeta: il vostro Dio viene, è lui che avanza, è la gloria del Signore, la parola di Dio che riempie la storia.
v. 10, «Ecco, il Signore Dio viene con potenza, con il braccio egli detiene il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e i suoi trofei lo precedono».
E’ l’immagine di un sovrano che, dopo aver riportato la vittoria, avanza con il corteo per il trionfo e trascina dietro di sé il bottino, il premio. I suoi trofei lo precedono. Muove il braccio ed è il braccio energico, risoluto del sovrano vincitore che manifesta così la sua potenza. Seconda immagine, v. 11:
«Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri»
.
Il Signore che viene qui si identifica con il pastore che modera l’andatura del gregge, premuroso nei confronti degli agnellini deboli e delicati, il pastore che rallenta l’andatura perché bisogna tenere conto delle pecore che hanno appena partorito e che non possono accelerare il passo. Prima il braccio del sovrano con il quale manifestava la sua vittoriosa travolgente presenza nel corso del trionfo, ora il braccio del pastore che raccoglie, che solleva, che stringe, custodisce. E’ il Signore che viene con potenza e dolcezza, viene con potenza dolcissima, con soavità poderosa. E’ travolgente nella dolcezza e allo stesso tempo delicatissimo nella potenza. Viene il vostro Dio.
Tre blocchi di testi che ci aiutano a focalizzare meglio il tema dell’esilio nella predicazione del Deuteroisaia. Cap. 41,8-20.

Israele mio servo

L’esperienza dell’esilio come esperienza di un dolore che converte. Tre svolgimenti nella evoluzione del canto. vv. 8-13, primo svolgimento:
«
Ma tu, Israele mio servo, tu Giacobbe, che ho scelto, discendente di Abramo mio amico».
E’ un linguaggio affettuoso, premuroso: tu, mio servo, tu che io ho scelto, tu discendente di Abramo, mio amico, «sei tu che io ho preso dall'estremità della terra e ho chiamato dalle regioni più lontane». «Io ti ho detto: Mio servo tu sei ti ho scelto, non ti ho rigettato». C’è la necessità di convincerlo a riguardo di queste affermazioni. Forse se ne era dimenticato, schiacciato sotto il peso di una delusione irreparabile, convinto di essere responsabile di una storia sbagliata e ormai destinata alla condanna irrevocabile. «Non temere perché io sono con te». E’ un linguaggio tipico del Deuteroisaia. «Non smarrirti, perché io sono il tuo Dio». Questo è il tempo dell’esilio, tempo di terrore, di smarrimento? Questo è il tempo in cui io sono con te, è il tempo della vicinanza, dell’intimità, è il tempo della rivelazione per te che sei chiamato a scoprire che io sono il tuo Dio.
«Ti rendo forte e anche ti vengo in aiuto e ti sostengo con la destra vittoriosa».

Questo è il tempo nel quale io ti tengo in mano, ti prendo in braccio, ti sto sollevando, non ti accorgi che sono io che ti stringo? Già, ti lamenti perché sei stretto dentro chissà a quali morse, sei stritolato da chissà quali forze, sei travolto da chissà quali potenze mortificanti per te: stai attento, è la mia mano che ti tiene stretto. Se intanto ti agiti e ti senti abbandonato e sprofondi nella disperazione, sappi che è la mia mano che ti stringe, è la mia destra, io ti sostengo con la destra vittoriosa, poderosa. Ti senti oppresso da forze che ti dominano? Stai attento, è la mia mano destra, la mano destra, la mano del favore.
v. 13: «Poiché io sono il Signore tuo Dio che ti tengo per la destra e ti dico: Non temere, io ti vengo in aiuto».

Vermiciattolo di Giacobbe

Secondo svolgimento, vv. 14-6: «Non temere, vermiciattolo di Giacobbe, larva di Israele; io vengo in tuo aiuto oracolo del Signore tuo redentore è il Santo di Israele». «Ecco, ti rendo come una trebbia acuminata, nuova, munita di molte punte; tu trebbierai i monti e li stritolerai, ridurrai i colli in pula».
Succede questo: da vermiciattolo quale tu sei, tu sei trasformato in un’immensa trebbia, in un immenso erpice, munito di molte punte, capace di stritolare le montagne:

«Li vaglierai e il vento li porterà via, il turbine li disperderà. Tu, invece, gioirai nel Signore, ti vanterai del Santo di Israele»

non ti abbandonerò

Terzo svolgimento, vv. 17-20: «I miseri e i poveri cercano acqua ma non ce n'è». «La loro lingua è riarsa per la sete; io, il Signore, li ascolterò».
Nel canto che stiamo leggendo è puntuale la sottolineatura della prima persona singolare. Il Signore si fa avanti: io il Signore per te, e tu sei il mio servo, e tu sei stretto nella mia mano, e tu sei quel verme che sfonda le montagne, e tu sei quel miserabile assetato di cui io ascolto i rantoli, e il tuo dolore è l’espressione di una storia che si apre, di una storia feconda, di una storia che diviene per te tempo e luogo di conversione, di ritorno. Io, il Signore, ascolterò gli assetati, che per adesso non hanno trovato acqua da bere.
«Io, Dio di Israele, non li abbandonerò. Farò scaturire fiumi su brulle colline, fontane in mezzo alle valli; cambierò il deserto in un lago d'acqua, la terra arida in sorgenti
».
«Pianterò cedri nel deserto, acacie, mirti e ulivi; porrò nella steppa cipressi, olmi insieme con abeti;

perché vedano e sappiano, considerino e comprendano a un tempo che questo ha fatto la mano del Signore, lo ha creato il Santo di Israele».


Esilio come dolore che converte

cap. 48, vv. 1-11: l’esperienza dell’esilio come esperienza di un dolore che converte, di un dolore fecondo. Tre strofe. Prima, vv. 1-2:
«Ascoltate ciò, casa di Giacobbe, voi che siete chiamati Israele e che traete origine dalla stirpe di Giuda, voi che giurate nel nome del Signore e invocate il Dio di Israele, ma senza sincerità e senza rettitudine, anche se prendete il nome dalla città santa e vi appoggiate sul Dio di Israele che si chiama Signore degli eserciti»
.
E’ una rievocazione della storia passata, una storia di abusi: voi avete abusato, avete approfittato richiamandovi al nome del Signore, avete anche fatto appello al nome della città santa, Gerusalemme, e attraverso questi riferimenti, che ritenevate garanzie irrevocabili a vostro vantaggio, voi avete manifestato la vostra mancanza di sincerità e di rettitudine e infatti le cose sono andate in modo tragico.
E allora la seconda strofa, vv. 3-6: «Io avevo annunziato da tempo le cose passate». Le cose sono andate tragicamente come vi avevo annunziato. E’ la parola del Signore che si è realizzata. Se voi oggi siete in esilio è perché la parola del Signore è una parola che realizza quanto afferma.
«Io avevo annunziato da tempo le cose passate, erano uscite dalla mia bocca, le avevo fatte udire. D'improvviso io ho agito e sono accadute. Poiché sapevo che tu sei ostinato e che la tua nuca è una sbarra di ferro e la tua fronte è di bronzo, io te le annunziai da tempo, prima che avvenissero te le feci udire». Io ti parlai in questo modo fin dall’inizio: «per timore che dicessi: Il mio idolo le ha fatte, la mia statua e il dio da me fuso le hanno ordinate». «Tutto questo hai udito e visto; non vorresti testimoniarlo? Ora ti faccio udire cose nuove e segrete che tu nemmeno sospetti».
Quella parola che si è realizzata là dove tu sperimenti un esito così penoso nella tua storia, è proprio quella parola che continua a rimanere autentica, che continua a rimanere valida, efficace; è in forza di quella parola che io ti faccio udire cose nuove e segrete che tu nemmeno sospetti.
«Ora sono create e non da tempo; prima di oggi tu non le avevi udite, perché tu non dicessi: Gia lo sapevo»
. «No, tu non le avevi mai udite né sapute né il tuo orecchio era gia aperto da allora poiché io sapevo che sei davvero perfido e che ti si chiama sleale fin dal seno materno. Per il mio nome rinvierò il mio sdegno».
Ecco, ti ho purificato per me come argento, ti ho provato nel crogiuolo dell'afflizione. Per riguardo a me lo faccio. Come potrei lasciar profanare il mio nome? Non cederò ad altri la mia gloria.
Qui nel v. 10 è scritto: "nel crogiolo dell’afflizione ti ho provato". Questo è l’esilio. E’ il tempo in cui nel crogiolo dell’afflizione tutto è riplasmato, ricreato. La parola del Signore trasforma questa storia dolorosissima in storia di consolazione che accende nel cuore degli uomini la luce che non tramonterà, quella luce che brilla sulla strada della conversione, sulla strada del ritorno, la strada di una nuova creazione. Io ti ho provato nel crogiolo dell’afflizione. Questo è il tempo del tuo dolore, questo è il tempo in cui sperimenti come sia fecondo il dolore che ti ha attanagliato il cuore.
cap. 40. Un secondo nucleo di testi relativi ancora una volta all’esperienza dell’esilio. L’esilio è un’occasione determinante per discernere l’idolatria. Questo discernimento assume delle note polemiche assai vivaci. Coloro che sono in esilio sono alle prese con il mondo dei babilonesi, il grande mondo dei pagani dove l’idolatria è dominante. Interferenze del genere erano sempre state presenti, anzi, se la storia del popolo di Dio è andata a finire in questo modo è proprio perché l’idolatria è stata assorbita attraverso molteplici forme inquinamento. Ma è proprio nel tempo dell’esilio che si sviluppa questa lucidità nuova e davvero risolutiva per quanto riguarda il discernimento dell’idolatria: adesso la si riconosce, se ne ha esperienza, adesso si è così direttamente a contatto che è un corpo a corpo a cui non ci si può più sottrarre, non ci sono più ambiguità possibili.

Chi ha misurato con il cavo della mano le acque del mare

40,12ss: «Chi ha misurato con il cavo della mano le acque del mare e ha calcolato l'estensione dei cieli con il palmo?».
Il Signore rivendica la sua unicità: solo io, solo io, solo io! Non c’è nessun idolo che sia equiparabile a me e proprio attraverso l’esperienza dell’esilio tu ti rendi conto di come io sia diverso:
«Chi ha misurato con il moggio la polvere della terra, ha pesato con la stadera le montagne e i colli con la bilancia? Chi ha diretto lo spirito del Signore e come suo consigliere gli ha dato suggerimenti? A chi ha chiesto consiglio, perché lo istruisse e gli insegnasse il sentiero della giustizia e lo ammaestrasse nella scienza e gli rivelasse la via della prudenza?»

Guardati attorno, guarda la vastità del mondo che ti circonda, le misure dell’universo, guarda lo svolgimento della storia umana, scruta la profondità misteriosa degli animi umani, i segreti che sono custoditi nei cuori, considera tutto questo: chi l’ha fatto? chi è Signore? chi conduce? dov’è l’idolo, dov’è la divinità a cui si rivolgono gli uomini del mondo, i potenti della terra? Quelle divinità con cui hai amoreggiato con tanto trasporto e con tanta disinvoltura, dove sono?
«Ecco, le nazioni sono come una goccia da un secchio, contano come il pulviscolo sulla bilancia; ecco, le isole pesano quanto un granello di polvere. Il Libano non basterebbe per accendere il rogo, né le sue bestie per l'olocausto. Tutte le nazioni sono come un nulla davanti a lui, come niente e vanità sono da lui ritenute. A chi potreste paragonare Dio e quale immagine mettergli a confronto? Il fabbro fonde l'idolo, l'orafo lo riveste di oro e fonde catenelle d'argento. Chi ha poco da offrire sceglie un legno che non marcisce; si cerca un artista abile, perché gli faccia una statua che non si muova».
Gli uomini che si danno da fare, fabbricano le loro immagini, che proiettano l’immagine di sé, gli uomini che si compiacciono della loro soggettività esaltata, ingigantita, divinizzata. E il risultato è una statua che non si muove.
«Non lo sapete forse? Non lo avete udito? Non vi fu forse annunziato dal principio? Non avete capito le fondamenta della terra? Egli siede sopra la volta del mondo, da dove gli abitanti sembrano cavallette. Egli stende il cielo come un velo, lo spiega come una tenda dove abitare; egli riduce a nulla i potenti e annienta i signori della terra». Vedete, come nel corso della storia umana si avvicendano le potenze, come decadono gli imperi, come esprimono la loro inconsistenza le immagini che si ergevano più poderose che mai.

«Sono appena piantati, appena seminati, appena i loro steli hanno messo radici nella terra, egli soffia su di loro ed essi seccano e l'uragano li strappa via come paglia. A chi potreste paragonarmi quasi che io gli sia pari? dice il Santo»
.
Tra l’altro, a Babilonia attorno alla metà del VI secolo a.C. tutto sta cominciando a traballare e tutto rapidamente precipiterà, perché c’è un giovane principe persiano che sta organizzando davvero con singolare efficienza, con un’intelligenza davvero incomparabile un impero che cresce a vista d’occhio, va di vittoria in vittoria, occupa spazi immensi, preme da oriente e il regno di Babilonia barcolla, e già sta decadendo, e già precipita, e già Babilonia… Questo è un ulteriore guaio per coloro che sono esuli a Babilonia, perché oltretutto oltre che essere esuli, si trovano anche ad essere schierati dalla parte degli sconfitti. Chi è pari a me, dice il Signore?
«Levate in alto i vostri occhi e guardate: chi ha creato quegli astri? Egli fa uscire in numero preciso il loro esercito e li chiama tutti per nome; per la sua onnipotenza e il vigore della sua forza non ne manca alcuno».

La fine di babilonia

Il cap. 47 assume l’intonazione di un lamento su Babilonia, perché oramai è sconfitta. Babilonia sta dimostrando la sua debolezza, sembrava padrona del mondo e invece non conta più nulla. Babilonia è avvinghiata alla sua cultura, alla sua immagine di sé, alla sua visione idolatria del potere di cui ha fatto sfoggio in modo così feroce. Sono cinque strofe.
Prima strofa, vv. 1-4: «Scendi e siedi sulla polvere, vergine figlia di Babilonia. Siedi a terra, senza trono, figlia dei Caldei, poiché non sarai più chiamata tenera e voluttuosa. Prendi la mola e macina la farina».
Tu, Babilonia, non sei più sovrana, sei schiava: «togliti il velo, solleva i lembi della veste, scopriti le gambe, attraversa i fiumi. Si scopra la tua nudità, si mostri la tua vergogna. Prenderò vendetta e nessuno interverrà, dice il nostro redentore che si chiama Signore degli eserciti, il Santo di Israele».
Seconda strofa, vv. 5-7: «Siedi in silenzio e scivola nell'ombra, figlia dei Caldei, perché non sarai più chiamata Signora di regni». Babilonia che era abituata a fare sfoggio della propria grandezza, adesso è in lutto. «Ero adirato contro il mio popolo, avevo lasciato profanare la mia eredità; perciò lo misi in tuo potere, ma tu non mostrasti loro pietà; perfino sui vecchi facesti gravare il tuo giogo pesante». Tu ti sei brillantemente e spudoratamente vantata della tua violenza: «Tu pensavi: Sempre io sarò signora, sempre. Non ti sei mai curata di questi avvenimenti, non hai mai pensato quale sarebbe stata la fine».
Terza strofa, vv. 8-9: «Ora ascolta questo, o voluttuosa che te ne stavi sicura». Ecco la sicurezza di babilonia era motivo di vanto pubblico, Babilonia si ergeva sulla scena del mondo, rassicurata da tutte le garanzie che la davano per stabile e padrona del tempo futuro. «Tu pensavi: Io e nessuno fuori di me! Non resterò vedova, non conoscerò la perdita dei figli. Ma ti accadranno queste due cose, d'improvviso, in un sol giorno; perdita dei figli e vedovanza piomberanno su di te, nonostante la moltitudine delle tue magie, la forza dei tuoi molti scongiuri».
La predicazione del
Deuteroisaia è lucidissima nel denunciare il fallimento di babilonia che è il fallimento dell’idolatria, ma il nostro profeta si esprime in questo modo perché scopre il senso delle cose dal di dentro di Babilonia. Nel senso empirico del termine, anche lui è un babilonese, e, proprio perché è nato a Babilonia, sa cosa vuol dire.
Quarta strofa, vv. 10-11«Confidavi nella tua malizia, dicevi: Nessuno mi vede». Babilonia si è abituata nel corso della sua storia a trasformare la propria cattiveria in un valore sacro, assoluto, nella ragione opportuna per dominare.
«La tua saggezza e il tuo sapere ti hanno sviato. Eppure dicevi in cuor tuo: Io e nessuno fuori di me. Ti verrà addosso una sciagura che non saprai scongiurare; ti cadrà sopra una calamità che non potrai evitare. Su di te piomberà improvvisa una catastrofe che non prevederai»
.
Ogni programmazione salta per aria, addirittura tutte le forme della tecnologia a cui tu ricorrevi per ribadire il diritto di imporre le tue decisioni, riveleranno la loro fragilità irreparabile, la catastrofe che tu non prevederai.
Ultima strofa, vv. 12-15«Sta pure ferma nei tuoi incantesimi e nella moltitudine delle magie». Babilonia è famosa per l’importanza dell’astrologia, la presenza dei maghi e degli indovini, i tecnici e i tecnocrati, tutti coloro che a Babilonia hanno sviluppato le forme della previdenza, rassicuranti capacità di progettazione e di programmazione. Ebbene, non funziona più niente a Babilonia, tutte le magie sono svuotate di significato.
«Ti sei affaticata dalla giovinezza: forse potrai giovartene, forse potrai far paura! Ti sei stancata dei tuoi molti consiglieri: si presentino e ti salvino gli astrologi che osservano le stelle, i quali ogni mese ti pronosticano che cosa ti capiterà». «Ecco, essi sono come stoppia: il fuoco li consuma; non salveranno se stessi dal potere delle fiamme. Non ci sarà brace per scaldarsi, né fuoco dinanzi al quale sedersi. Così sono diventati per te i tuoi maghi, con i quali ti sei affaticata fin dalla giovinezza; ognuno se ne va per suo conto, nessuno ti viene in aiuto».
E’ il crollo di Babilonia così come viene denunciato e sofferto da chi è dentro Babilonia e dal di dentro è in grado di discernere come l’idolatria è l’impalcatura, a cui Babilonia affidava il proprio potere, la propria sovranità, il proprio diritto, la propria visione del mondo, la propria civiltà. Questa idolatria è spazzata via, non c’è più. Si casca nel vuoto ma non è il vuoto: si casca nelle mani del Santo, nel cuore del Signore.

Il Messia straniero

Terzo nucleo, cap. 41, vv. 1-5: l’esperienza dell’esilio come esperienza di un’immersione nella storia dell’umanità intera. Coloro che sono in esilio si rendono conto di essere coinvolti in una storia che non può essere circoscritta alle vicende di un popolo, anche se è il popolo dell’alleanza. Nella storia dell’umanità il disegno di Dio è senza limiti, universale, ecumenico. Ogni carne umana. Tant’è vero che qui il personaggio decisivo, in questo momento di svolta della storia della salvezza, è un pagano e si chiama Ciro. E’ un principe persiano che il Signore non l'ha mai incontrato, conosciuto, non ne sa nulla. Eppure è il personaggio decisivo. Chi è che muove Ciro? Attraverso l’esperienza dell’esilio tu scopri di essere in debito nei confronti di un pagano come Ciro e nei confronti degli uomini di questo mondo che sono obbedienti a un governo della storia umana che appartiene al Signore, al di là di ogni confine, di ogni privilegio, di ogni presunzione.
«Ascoltatemi in silenzio, isole, e voi, nazioni, badate alla mia sfida! Si accostino e parlino; raduniamoci insieme in giudizio»
.
Il Signore convoca l’umanità intera, ha da fare un discorso con tutti i popoli della terra. Il Signore parla con tutti. Il Signore interroga:
«Chi ha suscitato dall'oriente colui che chiama la vittoria sui suoi passi?
». «Chi gli ha consegnato i popoli e assoggettato i re?» «La sua spada li riduce in polvere e il suo arco come paglia dispersa dal vento. Li insegue e passa oltre, sicuro; sfiora appena la strada con i piedi». «Chi ha operato e realizzato questo, chiamando le generazioni fin dal principio? Io, il Signore, sono il primo e io stesso sono con gli ultimi».
Io sono il primo e l’ultimo. Questo svolgimento della storia umana che passa attraverso le vicende più diverse e il coinvolgimento di tutti gli uomini alla fine appartiene a me: Io sono il Signore, il primo e l’ultimo.
«Le isole vedono e ne hanno timore; tremano le estremità della terra, insieme si avvicinano e vengono».

L’esperienza dell’esilio è fondamentale nella coscienza del popolo d’Israele per quanto riguarda la consapevolezza di essere in debito nei confronti di tutti gli uomini della terra. L’esperienza dell’esilio è sempre e comunque, insieme con il discernimento rispetto all’idolatria, un debito nei confronti degli uomini, dovunque siano, perché comunque e dappertutto Dio è all’opera attraverso la storia di tutti gli uomini.
Cap. 44,24-28: «Dice il Signore, che ti ha riscattato e ti ha formato fino dal seno materno: Sono io, il Signore, che ho fatto tutto, che ho spiegato i cieli da solo, ho disteso la terra; chi era con me? Io svento i presagi degli indovini, dimostro folli i maghi, costringo i sapienti a ritrattarsi e trasformo in follia la loro scienza; confermo la parola dei suoi servi, compio i disegni dei suoi messaggeri. Io dico a Gerusalemme: Sarai abitata, e alle città di Giuda: Sarete riedificate e ne restaurerò le rovine. ]Io dico all'oceano: Prosciugati! Faccio inaridire i tuoi fiumi. Io dico a Ciro: Mio pastore».
Ciro viene nominato niente meno che "mio pastore".

«Ed egli soddisferà tutti i miei desideri, dicendo a Gerusalemme: Sarai riedificata; e al tempio: Sarai riedificato dalle fondamenta»
. Ciro.
E ancora cap. 45,1-8: «Dice il Signore del suo eletto, di Ciro».
Qui è usato il termine mashach, il suo eletto, il suo messia. Il titolo di Messia viene attribuito a Ciro, il pagano, il persiano. Dice il Signore del suo Messia, di Ciro: «Io l'ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso. Io marcerò davanti a te; spianerò le asperità del terreno, spezzerò le porte di bronzo, romperò le spranghe di ferro. Ti consegnerò tesori nascosti e le ricchezze ben celate, perché tu sappia che io sono il Signore, Dio di Israele, che ti chiamo per nome».
Ciro è al servizio di questa storia, che è per la salvezza, la redenzione, la riconciliazione. E questo vale per Israele, ma questo è il senso della storia umana. Proprio attraverso l ‘esperienza dell’esilio Israele è in grado di affacciarsi sull’orizzonte della grande storia, e scoprire che essa, in quanto è la grande storia degli uomini è storia di salvezza, è la storia all’interno della quale l’amore di Dio si manifesta e vince. E’ il cuore degli uomini che si converte.
«Per amore di Giacobbe mio servo e di Israele mio eletto io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo sebbene tu non mi conosca».
Ciro è chiamato per obbedire a un disegno di amore, questo è il senso della storia umana, ma per rendersene conto bisogna passare attraverso l’esilio per scoprire di essere debitori anche nei confronti di Ciro il pagano. Ecco come si converte il cuore umano:
«Io sono il Signore e non v'è alcun altro; fuori di me non c'è dio; ti renderò spedito nell'agire, anche se tu non mi conosci, perché sappiano dall'oriente fino all'occidente che non esiste dio fuori di me. Io sono il Signore e non v'è alcun altro. Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e provoco la sciagura; io, il Signore, compio tutto questo. Stillate, cieli, dall'alto»
.
Questo versetto risuona nel tempo di Avvento, è proprio una delle antifone che riscaldano la preghiera del popolo cristiano nei giorni prima di Natale «e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia. Io, il Signore, ho creato tutto questo».
Cap. 48,12-, nel crogiolo dell’afflizione: «Ascoltami, Giacobbe, Israele che ho chiamato: Sono io, io solo, il primo e anche l'ultimo. Sì, la mia mano ha posto le fondamenta della terra, la mia destra ha disteso i cieli».
Ormai siamo abituati a riconoscere questo linguaggio, lo interpretiamo, il timbro della voce di questo profeta anonimo che grida dall’alto della montagna per arrivare al cuore di Gerusalemme, al cuore degli esuli, al cuore desolato di coloro che sono prigionieri di Babilonia, come noi.
«Quando io li chiamo, tutti insieme si presentano. Radunatevi, tutti voi, e ascoltatemi. Chi di essi ha predetto tali cose? Uno che io amo». Costui è Ciro, il mio amico, «compirà il mio volere su Babilonia e, con il suo braccio, sui Caldei. Io, io ho parlato; io l'ho chiamato, l'ho fatto venire e ho dato successo alle sue imprese. Avvicinatevi a me per udire questo»
v. 20:
«Uscite da Babilonia, fuggite dai Caldei». La strada della conversione è aperta «annunziatelo con voce di gioia, diffondetelo, fatelo giungere fino all'estremità della terra. Dite: Il Signore ha riscattato il suo servo Giacobbe. "Non soffrono la sete mentre li conduce per deserti; acqua dalla roccia egli fa scaturire per essi; spacca la roccia, sgorgano le acque». Spacca il cuore degli uomini perché il dolore patito è garanzia di fecondità redentiva.


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