Incontri di discernimento e solidarietà
 
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LI FECE DODICI

lettura spirituale di Mc 3,7-4,41

l’educazione del cuore

Il cuore degli uomini è indurito. Gesù si rende conto di trovarsi di fronte ad una ostilità inflessibile, incallita; ad una avversione cupa e nascosta che tende a farsi sempre più irruente. «Tennero consiglio contro di lui per farlo morire» ( 3,6). E' appena iniziata la sua predicazione e già hanno deciso di farlo morire. L'annuncio del evangelo interferisce con la durezza del cuore umano che vuole imporsi come dominatrice assoluta della storia.

Gesù. Siamo dinanzi ad una svolta: Gesù incontra un rifiuto e il suo annuncio sembra andare incontro a un fallimento. Dinanzi ad una evidenza del genere Gesù non desiste, non disarma, non rinuncia.

«Gesù si ritirò presso il mare con i suoi discepoli». Più volte nel vangelo di Marco troviamo il mare: Gesù si ritira presso il mare, guarda il mare. E' lo sguardo del Figlio, di colui che risponde alla voce, di colui che deve attraversare il mare, che deve aprire una strada nella storia degli uomini per ritornare a casa. Questo vuole la voce che l'ha chiamato: "Tu sei mio figlio". Gesù guarda il mare. In questo suo sguardo c'è tutta la serietà, la coerenza, l'intensità della risposta filiale; è il senso stesso della sua esistenza in questo mondo: il Figlio, colui che risponde alla voce, in ascolto della voce, totalmente dedicato ad attuare la propria esistenza come risposta coerente fino in fondo alla voce. Gesù guarda verso l'oltremare.

Attorno a lui si accalca la folla e in mezzo alla folla sono ricordati i discepoli. Alcuni li abbiamo già conosciuti. Gesù li ha raccolti sulla sponda del mare. Sono ora mescolati in mezzo a quella calca che stringe Gesù in modo quasi minaccioso. E' il tumulto di cui è capace la moltitudine di questo mondo: c'è il tentativo di cercare Gesù, di prendere contatto con lui, ma il cuore degli uomini è duro. Come si potrà aprire il cuore degli uomini? Non c'è altra strada per Gesù che possa prescindere dall'aprire un varco nel cuore degli uomini. La strada che egli deve percorrere per ritornare al casa, là dove la voce lo chiama, passa attraverso un varco nel cuore. Ma come aprirlo? E' un momento di svolta nella catechesi evangelica. Gesù è ormai convinto che per annunciare agli uomini l'evangelo, quell'evangelo che coincide con la testimonianza viva offerta dalla sua persona, è necessario intervenire in modo diretto, in modo esplicito. Da questo momento Gesù è il maestro che si dedica alla educazione del cuore con determinazione lucida e inflessibile. Si tratta di intervenire dal di dentro del cuore umano, perché se il cuore degli uomini non si aprirà per accogliere la novità del messaggio, l'evangelo resterà senza frutto.

Gesù, preso nella morsa della folla che gli si stringe attorno, mostra l'intenzione di prendere le distanze. Potrebbe apparire quasi un tentativo di fuga; ma per educare il cuore degli bisogna raccogliere attorno a sé un gruppo circoscritto, ben identificato di discepoli. Gesù si scosta di poco dalla riva, si fa prestare una piccola barca. E' il primo timido cenno ad una intenzione di articolare la sua attività di maestro: da una parte Gesù continuerà a rivolgersi alla folla, non smetterà mai di mantenere aperto il dialogo con la moltitudine; c'è però un altro ambito, ed è quello che acquista ormai per Gesù un rilievo sempre più impegnativo ed esigente. Gesù raccoglie attorno a sé un gruppo di discepoli e con loro intrattiene un dialogo diretto, a tu per tu, cuore a cuore, nella intimità di una situazione. Gesù chiama il gruppo dei dodici; lo costituisce; chiama proprio loro: "li fece dodici", come dice il letteralmente il testo. Marco ci presenta l'elenco dei loro nomi, da Simone fino a Giuda Iscariota, che poi lo tradirà. Sullo sfondo della folla emerge la presenza dei discepoli. E' Gesù stesso che caratterizza questa presenza, ne sottolinea l'importanza, dedica un impegno affettuoso e risoluto proprio a loro. Gesù raccoglie attorno a sé la comunità dei discepoli perché vuole auscultare da vicino quel che avviene nel cuore umano, vuole approfittare di questo particolare laboratorio, che è la comunità dei discepoli, per sperimentare quali siano le possibilità di intervento e di successo perché si apra il cuore degli uomini. La comunità dei discepoli è quel laboratorio di situazioni, di esperienze, di vissuti comunitari che consentiranno a Gesù il discernimento del cuore.

In prospettiva c'è sempre la folla, l'evangelo del Regno, l'evangelo di Dio per tutti gli uomini, ma l'attività del maestro passa adesso attraverso questa tappa obbligata. Da questo momento in poi ci sarà la presenza dei dodici accanto a Gesù.

«Entrò in una casa» ( Mc 3,20). La casa è qui, come altrove nel vangelo secondo Marco, uno dei luoghi privilegiati che servono ad indicare l'ambiente dell'intimità, della comunicazione diretta. In casa. Poco più avanti è indicato un altro ambiente che Gesù valorizza per rendere efficace il suo insegnamento: la barca. Sono sulla barca, lui e i dodici; la folla sta sulla spiaggia, sulla sponda del mare. Gesù continua a rivolgersi a tutti, ma c'è qualcosa di singolare, di particolare valore affettivo tra Gesù e i discepoli, in una casa, su una barca.

la comunità dei discepoli

Gesù ha costituito i dodici «affinché stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni» (3,14-15).

"Perché stessero con lui": è una indicazione programmatica. Gesù chiama i discepoli, li costituisce in gruppo, conferisce a questo gruppo la caratteristica di una particolare comunità, singolarmente coinvolta nella sua vicenda di maestro. Si tratta di aprire un varco nel cuore degli uomini e Gesù si prefigge di ottenere questo scopo chiamando i discepoli a dimorare dove dimora lui, a stare come sta lui. Se il suo intento è quello di rompere la durezza del cuore umano, il suo metodo è quello di aprire lui il suo cuore di figlio. Li chiama perché stiano dove sta lui, perché abitino dove abita lui, perché impiantino la loro esistenza come l'ha impiantata lui, il figlio.

Per la prima volta Gesù entra in casa e ci sono i discepoli. Già altre volte si è parlato di case, ma in modo ancora generico, in una prospettiva molto ampia; qui invece la casa è il luogo della relazione pedagogica tra Gesù e i discepoli.

«Viene a casa e si raduna di nuovo tanta folla, che non potevano neppure prendere cibo». C'è la folla che cerca di farsi avanti al punto che non possono neppure mangiare. E' una indicazione molto importante: là dove sta Gesù si fa la fame; il figlio è affamato; stare dove sta Gesù significa sperimentare una fame di tipo singolare, è la fame del figlio, la fame di colui che ha disposto la propria esistenza come risposta alla voce. I discepoli chiamati a stare dove sta Gesù sono coinvolti nella esperienza di questa fame.

Marco ci tiene a precisare che la comunità dei discepoli che Gesù ha raccolto attorno a sé deve essere ben distinta da altre comunità. Per evitare che l'uso di un medesimo termine con significati così diversi ci disorienti bisogna precisare in che cosa consista questa comunità. La comunità che ha costituito Gesù non è una comunità di sangue, di parentela, una comunità naturale. Non a caso proprio qui appaiono i parenti di Gesù.« Udito ciò, i suoi vennero per impadronirsi di lui, poiché dicevano: "E' fuori di sé"». I suoi parenti sono usciti di casa, anche loro hanno una casa, un certo circuito affettivo che è vincolante e stringente; inseguono Gesù, che per loro è impazzito, proprio perché non assume più i vincoli della consanguineità come fondamento della sua nuova comunità.

Ci appaiono poi altri personaggi, rappresentanti di un altro tipo di comunità, sono gli scribi, discesi da Gerusalemme. Essi sono degli intellettuali, in questo caso dei teologi; sono espressione di una comunità fondata sulla ideologia, su una convergenza di idee, di pensieri. La comunità di Gesù non è fondata in questo modo, non coincide con la comunità degli scribi, degli intellettuali. Sono proprio loro che si rivolgono a Gesù e dicono :«"E' posseduto da Beelzebul", "Scaccia i demoni nel nome del principe dei demoni"». I parenti avevano detto che "era fuori di sé", gli scribi, che ragionano da teologi, dicono che è un indemoniato. Gli scribi sono abituati a operare distinzioni teoriche, è il loro mestiere; sono sofisticatissimi nell'intrecciare pensieri e definizioni, ma senza mai convertirsi. E' fenomeno tipico, ricorrente: trasformare la nostra vocazione di credenti in una elaborazione di principi; il nostro impegno di fede in una articolazione di pensieri senza che sia mai effettivamente e validamente attuata la conversione della vita. «Come può Satana scacciare Satana», distinguersi da se stesso? Gesù precisa il fondamento sul quale è costruita la comunità per la quale ha chiamato i discepoli, questo fondamento consiste nell'ascolto della parola di Dio. Anche questa può essere una definizione teorica che non ci mette in questione, che ci consente di proseguire nel gioco delle distinzioni puramente astratte, anche se raffinate e affascinati. L'ascolto della Parola è proposto tuttavia da Gesù ai discepoli non come insegnamento di ordine ideale, ma come testimonianza che impegna proprio lui, il maestro, nell'esercizio dell'ascolto. E' lui l'affamato. Stare con Gesù significa condividere la sua fame: è la fame del Figlio, è la fame di colui che ha come cibo di cui nutrirsi la Parola che ascolta. Gesù ha chiamato i discepoli perché siano con lui dove sta lui, nell'ascolto della Parola. E' questo il fondamento su cui si costituisce la comunità: non la comunità naturale, non la comunità dei pensieri, per quanto generosi e geniali possano essere, ma l'ascolto della Parola, là dove l'iniziativa compete a Dio, là dove l'intreccio delle relazioni e delle attività dipende dal riferimento ad un dono che gratuitamente proviene da colui che ha preso la parola. E' la gratuità dell'amore di Dio che parla, è la libertà per eccellenza, è la libertà. Dio parla per amore.

In questa direzione Gesù orienta il suo impegno nel rapporto con i discepoli; si tratta per lui di attuare una pedagogia dell'ascolto: il cuore si apre là dove la parola è ascoltata. Ottenere dai discepoli una risposta a cuore aperto significa per lui educarli nell'ascolto.

Gesù distingue bene gli ambiti: la folla, i discepoli; sulla sponda del mare la folla, sulla barca i discepoli; alla folla Gesù parla in parabole, con i discepoli Gesù spiega le parabole. Ascolteranno i discepoli? Si aprirà il loro cuore?

un seminatore ostinato

L'insegnamento di Gesù lungo il mare inizia con la parabola del seminatore, una parabola programmatica. Seguiranno altre parabole che si inseriscono tutte all'interno della prospettiva che la parabola del seminatore ha illuminato in modo inequivocabile.

« Ascoltate! Ecco, il seminatore uscì a seminare. Ora avvenne che mentre egli seminava, parte del seme cadde lungo il sentiero, vennero gli uccelli e lo beccarono. Altra parte cadde su un suolo roccioso, in cui non v'era molta terra, e subito germogliò, poiché il terreno non era profondo; ma quando si levò il sole, fu arso dal calore e, poche non aveva radici, si seccò. Altra parte cadde fra le spine e, quando le spine crebbero, lo soffocarono e non portò frutto. Altre parti, però, caddero in terra buona e diedero frutto, crebbe e si sviluppò, rendendo quale trenta, quale il sessanta e quale il cento».

Si rivolge alla folla: "ascoltate il seminatore getta il seme". E' la parola. Gesù sta in realtà raccontando se stesso, sta parlando di sé, del suo essere proteso verso i suoi interlocutori per ottenere un ascolto, per ottenere il frutto dal seme gettato. Ascoltate! E' un maestro affamato. Questo seminatore getta il seme su un terreno e poi su un altro e su un altro ancora e non ottiene il frutto desiderato. Sembra davvero che tutto confermi il giudizio dei parenti: "è un pazzo! Spreca in modo così clamoroso tanto seme per non ottenere niente". Eppure il seminatore continua a seminare, è convinto che il seme gettato troverà finalmente una terra buona, un cuore aperto; finalmente quel seme gettato produrrà un frutto che non delude. Questo lo sa lui, è convinzione sua. Gesù, il maestro, mentre si rende conto di quanto sia inconcludente la sua opera di annunciatore dell'evangelo, rimane inflessibilmente convinto che troverà il terreno adatto su cui gettare il seme. Chi ha orecchi per ascoltare ascolti. Il verbo ascoltare ritorna a più riprese; è ripetuto con una cadenza quasi assillante, anche se le traduzioni italiane usano altre circonlocuzioni. "Chi ha orecchi per ascoltare ascolti". Si tratta di entrare in questa nuova dimensione: l'ascolto che Gesù vuole ottenere dai discepoli.

Mentre si rivolge alla folla Gesù intrattiene con i discepoli un dialogo diretto, interpella il loro cuore per ottenere l'ascolto. Ai discepoli Gesù rivolge la spiegazione della parabola. «Con molte parabole di questo genere annunciava loro la parola secondo quello che potevano ascoltare». Gesù vuole scavare nel cuore dei discepoli per ottenere da loro l'ascolto.

Lo strumento pedagogico di cui Gesù si serve in questo rapporto ravvicinato con i discepoli consiste nel presentarsi lui stesso come ascoltatore: è lui in ascolto, è lui il figlio affamato. E' la testimonianza pura, intransigente della sua povertà di figlio affamato, che non ha altro cibo di cui nutrirsi se non della Parola che ha ascoltato ed è una Parola che ancora ascolta e di cui vive. Così viene il regno per coloro che hanno fame della Parola. Sono pochi coloro che sono affamati e in misura crescente avvertono i crampi di tale fame di ascolto che la parola di Dio suscita in loro: è la parola che li interpella, che li provoca, che li ridefinisce, che li rimette in discussione, che li scuote. E' una parola che li alimenta nel momento stesso in cui scava in loro l'esperienza di una fame mai sperimentata. Tutto questo Gesù vuole spiegare ai discepoli offrendo la testimonianza diretta di se stesso: è il maestro che vuole educare nell'ascolto i discepoli, proprio perché lui da se stesso non ha altro da dire che quanto coincide con il suo essere ascoltatore della parola. E' un maestro povero, sembra dedito ad una impresa inutile e sconsiderata, sembra sprecare il seme. C'è un unico motivo per cui quel maestro continua a gettare il seme, per cui continua a insegnare, per cui è convinto che il seme gettato troverà il terreno adatto e la parola sarà ascoltata: è la coerenza con cui lui stesso è aperto all'ascolto della parola di Dio.

L'efficacia didattica dell'insegnamento di Gesù è in tutto e per tutto interna alla sua disposizione filiale all'ascolto della parola; sta nella intransigenza radicale della sua fame. E' la fame del figlio che nella storia degli uomini non ha altro cibo di cui saziarsi che non sia la Parola ascoltata dalla voce; è l'intransigenza di questa sua fame filiale la radice del cuore aperto per accogliere, ricevere, custodire la Parola ascoltata. Questa sua intransigenza nell'ascolto fa di lui il povero per eccellenza, l'affamato per eccellenza in mezzo agli uomini, fa di lui il seminatore che spreca, che sperimenta l'inutilità e l'inconcludenza delle sue imprese, come nessun altro mai.

sul grembo del Padre

«In quel medesimo giorno, verso sera, dice loro:" Passiamo all'altra riva». E' la prima volta che Gesù si esprime in questi termini. Gesù ha guardato verso il mare, verso l'oltre mare: è il grande desiderio di Gesù, del figlio che vuole tornare a casa per rispondere alla voce; proprio in forza di questo ascolto, che è la sua fame radicale. Ci sono i discepoli con lui sulla barca. "Passiamo all'altra riva". E' il primo tentativo di verificare come sta il cuore degli uomini, il cuore dei discepoli. E' giunta l'occasione propizia per rendersi conto fino a che punto il cuore dei discepoli sia sintonizzato con il suo, sia in comunione con lui. Per questo li ha chiamati. "Passiamo all'altra riva". Attraversare il mare è una immagine simbolica che ha sempre a che fare con l'attraversamento del cuore. C'è una strada che si apre in mezzo al mare: siamo in grado di attraversare il mare? Il cuore degli uomini si è aperto? In questo caso è il cuore dei discepoli, ma se l'esperimento funziona con i discepoli, ecco che Gesù ha dinanzi a sé un terreno che finalmente accoglie il seme.

Gesù dorme sulla barca e si alza una grande tempesta: vento, onde tumultuanti che minacciano la barca, ormai piena d'acqua, sul punto di affondare, almeno così sembra. In questo grande trambusto Gesù dorme, dorme sul cuscino a poppa; Gesù riposa sul grembo del Padre, il grembo di Dio, da cui proviene e a cui ritorna il figlio. E' la garanzia di un riposo consolatore dopo tanta fatica, un riposo che si impone nel contrasto con tutte le intemperie che si presentano nell'esperienza umana, nei percorsi della storia, nei vari livelli della nostra esistenza, dalle situazioni più visibili ed esterne a quelle più impercettibili, ma non meno drammatiche, che sono presenti nell'intimo del cuore umano. Anche là una tempesta; c'è tempesta nel cuore. Gesù riposa. I discepoli protestano, sono spaventati: Gesù si comporta in modo strano. Essi non riescono a condividere il riposo filiale di Gesù. La verifica per la quale Gesù ha convocato i discepoli, il motivo per cui ha suggerito loro di attraversare il mare, ha un esito fallimentare. Il cuore degli uomini non si apre, e adesso è il cuore dei discepoli direttamente in questione. Gesù non riscontra nel cuore dei discepoli l'ascolto che ha voluto suscitare; i discepoli protestano: «Maestro, non ti importa nulla che periamo?». Compare un verbo che abbiamo già incontrato: "avevano già deciso di farlo perire"( 3,6), di mandarlo in rovina. I discepoli sono sgomenti, hanno le loro buone ragioni, ma non si accorgono che in rovina sta andando Gesù. E' il cuore duro degli uomini che decide la rovina di Gesù, la rovina del maestro, il suo fallimento. Il cuore dei discepoli si impone con la pretesa di chi vanta i propri titoli di merito o diritti di successo; il cuore dei discepoli non è stato in grado di discernere il significato di quel riposo, il riposo di Dio. E' proprio riposando in quel modo che Gesù aveva offerto ai suoi discepoli la sua testimonianza di ascoltatore: ecco il figlio che ascolta! Se i discepoli non recepiscono il valore di quell'ascolto, di Gesù figlio che riposa, vuol dire che mentre lo chiamano maestro, in realtà rifiutano il suo magistero, o comunque non sono maturi per riceverlo.

Gesù, svegliatosi, sgrida il vento, fa tacere il tumulto delle onde e una grande bonaccia si impone. Poi si rivolge ai discepoli e dice : «Perché siate così paurosi? Non avete ancora fede?». Il termine "paurosi" traduce la parola greca deiloi, timidi, fiacchi. E' una fiacchezza interna, è la fiacchezza di gente di poco conto, una pusillanimità interiore: perché siete così intimiditi? Non avete fede? Compare il termine fede, pistis. I discepoli vivono lo sgomento di chi rifiuta come una minaccia l'apertura del cuore: ma se si rovina il cuore, se si spacca il cuore, che fine facciamo? Gesù chiama questo sgomento pusillanimità. E' lo sgomento di chi percepisce la minaccia della propria conversione. Una percezione vaga, tempestosa. La vera tempesta che ci minaccia sta nell' apparire, anche solo confuso, della conversione: se si spacca il cuore noi andiamo in rovina. Questa è incredulità. La dichiarazione è accorata: "come mai non avete ancora fede?" Gesù è quasi stupefatto dinanzi ad una constatazione del genere: l'uomo è sgomento, incredulo, incapace di ascoltare; il suo cuore non si apre, perché si rende conto che la conversione è vicina; sperimenta questa possibilità come una minaccia, la minaccia per eccellenza. E' questo il vero inquinamento che invade il cuore degli uomini, lo frena, lo chiude, lo paralizza, lo inaridisce.

Intanto Gesù sulla barca ha imposto il silenzio alla tempesta del cuore umano; i discepoli sono incerti e intimoriti. Chi è dunque costui al quale il vento e il mare obbediscono? Chi è dunque costui che si presenta come signore del nostro cuore proprio quando ci siamo resi conto di avere un cuore solo per rifiutare la sua signoria?


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