lettura spirituale di Mc 1,21-45
Sulla sponda del mare Gesù ha raccolto i residui che la corrente ha depositato, sono i primi quattro discepoli: Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni. In realtà siamo proprio noi, lettori del vangelo, i destinatari di questa catechesi. Il figlio ha ormai avviato il suo viaggio, è lui che risponde alla voce, è lui che ritorna a casa, affrontando il deserto di questo mondo e la storia degli uomini, tenendo conto di tutti gli impedimenti, di tutti gli accumuli di detriti, di tutti gli ostacoli che essa comporta.
Il mare sta lì dinanzi a Gesù e ai quattro che egli ha chiamato per seguirlo. Egli aprirà una strada attraverso il mare, facendoli pescatori di uomini là dove il deserto è inabitabile, là dove la storia degli uomini è resa sterile per la durezza del cuore umano.
Gesù ha avviato la sua vita pubblica. Marco ci presenta Gesù nell'atto di affrontare alcune situazioni esemplari, alcuni ambienti emblematici. Possiamo individuare tre tappe in questo itinerario di Gesù.
la sinagoga
«Andarono a Cafarnao». Il Soggetto è plurale: Gesù e i discepoli. Gesù è rientrato a Cafarnao, si trova nella sinagoga. Cafarnao è la città dei discepoli, la sinagoga in cui entra Gesù è la loro sinagoga. Poco più avanti, nel versetto 23, veniamo a sapere che in quella sinagoga c'era un uomo. La traduzione omette un aggettivo: "loro", che va invece aggiunto. «Un uomo era nella loro sinagoga». L'evangelista ci tiene a segnalare, ancora una volta, che non è una sinagoga qualunque, è la sinagoga di Cafarnao, e Cafarnao è la città di quei discepoli che sono rientrati a Cafarnao insieme a Gesù, ed ora si trovano nella loro sinagoga. Subito, dice Marco. Si rtrova quell'avverbio di tempo presente a più riprese nei versetti precedenti e ancora qui, e nei versetti che seguiranno, ad indicare una urgenza incalzante. La nostra traduzione non lo riporta, ma converrebbe invece inserirlo.
«Subito, entrato di sabato nella sinagoga, Gesù si mise ad insegnare». La sinagoga è il luogo dell'insegnamento, qui si trasmettono i valori per interpretare il senso della vita e dell'impegno degli uomini in questo mondo. La sinagoga è il luogo dell'istruzione nel suo aspetto più ufficiale, il luogo dell'ascolto della Parola e della preghiera.
Gesù insegna nella sinagoga. E subito l'insegnamento di Gesù provoca stupore. «Insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi». Lo stupore di cui si parla indica una ferita che si apre nel cuore di coloro che ascoltano. Essi avvertono uno strappo, un colpo, un colpo al cuore. E' usato qui il verbo ekplestai, che ritorna altre volte nel vangelo. Tale verbo indica esattamente l'urto ricevuto interiormente a causa dell'insegnamento di Gesù. Gesù insegna con autorità, insegna con la serietà e la coerenza della sua vita; insegna con l'efficacia di chi non ha altro insegnamento da proporre se non il contenuto esistenziale, il vissuto della sua presenza in mezzo agli uomini. Gesù insegna con la sua vita ed è una novità che tocca , colpisce, ferisce, disorienta coloro che sono soliti frequentare la sinagoga, dove pure l'insegnamento è di casa. Ma è un insegnamento in cui il messaggio non coinvolge il vissuto, non passa attraverso gli eventi di una esistenza consumata in modo da corrisponde al messaggio proclamato. E' esattamente questa la novità dell'insegnamento proposto da Gesù.
Il testo evangelico non ci dice nulla circa quello che Gesù quel giorno a Cafarnao ha insegnato. Quello che conta è il modo del suo insegnamento. E' esattamente questo che sconcerta e turba chi lo ascolta: Gesù insegna con la testimonianza immediata e puntuale della sua vita. Un insegnamento così è insolito, provocatorio.
Questo suo modo di insegnare dà risalto alla presenza di un uomo che era nella sinagoga: "un uomo". In realtà la presenza di quest'uomo e il suo comportamento servono a manifestare visibilmente quello che si sta agitando e fremendo nel cuore di coloro che si trovano ad essere interpellati dall'insegnamento di Gesù. Gesù non dice parole più sapienti, più intelligenti, più affascinanti o più commoventi; è proprio il suo modo di insegnare a provocare turbamento. Una protesta scaturisce così dal fondo del cuore umano. «Un uomo che era nella sinagoga posseduto da uno spirito immondo si mise a gridare». L'insegnamento di Gesù stana una empietà che è custodita nel cuore dell'uomo: nel cuore degli uomini che sono soliti frequentare la sinagoga, che sono soliti ascoltare la Parola nella sua forma più ufficiale e solenne; nel cuore di coloro che sono dediti alla preghiera c'è un'empietà che è nascosta nella normalità della vita, nella normalità della sinagoga. E’ una empietà mascherata, ricoperta con molta abilità da messaggi, proclami, insegnamenti che tranquillizzano la coscienza di tutti. Quando, all'improvviso, irrompe una novità: il modo di insegnare di Gesù. Nella sinagoga di Cafarnao è stanata una ostilità che dal fondo del cuore umano manifesta adesso la radicale indisponibilità ad accogliere Gesù, ad accogliere la novità di quella presenza che porta con sè l'urgenza del regno che viene.
Quell'uomo grida: «che c'entri con noi, Gesù di Nazaret? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio».
Sembra dire: manteniamo le distanze, non ti avvicinare, non premere, non urgere, non insistere, non invadere il territorio della nostra esistenza con il tuo insegnamento; lasciaci nella nostra abitudine a ricevere, a custodire e apprezzare un insegnamento che non può e non deve interferire con le realtà di cui viviamo. Tali realtà sono nostre e tali debbono rimanere. Che c'entri con noi? Tu sei venuto per rovinarci. L'uomo percepisce la presenza di Gesù come un pericolo, il pericolo per eccellenza, la rovina. La presenza di Gesù scardina, sradica, travolge. "Sei venuto a rovinarci". E aggiunge:" Io so chi tu sei: il santo di Dio". E' un modo per affermare un diritto di proprietà nei confronti di Gesù: "In questa sinagoga sono io che ti insegno come bisogna comportarsi. Io so chi tu sei, il santo di Dio, occupati delle cose di Dio e non disturbare gli equilibri a cui noi siamo assuefatti, da cui noi siamo gratificati. Io so chi tu sei , il santo di Dio. Ritorna là da dove provieni". Gesù tra l'altro è di Nazareth, non di Cafarnao. Ma la protesta dell'indemoniato ha un valore più profondo: occupati delle cose di Dio e lascia noi alle prese con le realtà di questo mondo e con l'elaborazione di quelle verità che mascherano i fatti di cui viviamo.
«Gesù lo sgridò.» Sono le prime parole di Gesù nel vangelo secondo Marco. Gesù aveva già parlato quando si era rivolto ai discepoli per chiamarli alla suo seguito, ma era un discordo intimo, sussurrato; le parole che Gesù pronuncia ora sono le sue prime parole pubbliche, si rivolge a quanti frequentano la sinagoga di Cafarnao.
Gesù lo sgridò: «Taci!». Non sappiamo cosa abbia insegnato Gesù a Cafarnao, sappiamo però che tutti sono rimasti toccati, sconvolti; sappiamo che in rapporto all'insegnamento di Gesù si è manifestato in forma esplosiva la protesta che è effetto di quella empietà depositata nel fondo del cuore umano. Non ce ne eravamo accorti , ma era là. E adesso Gesù dice: "Taci!", impone il silenzio. Che cosa ha insegnato Gesù nella sinagoga di Cafarnao? Ha imposto il silenzio; la parola di Gesù risuona in tutta la sua autorevolezza ed è parola che toglie la parola.
<Esci da quell'uomo», dice Gesù. Ritorna il verbo uscire, che ricomparirà ancora nel versetto 25 ( "E lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, usci da lui"): è il verbo che indica non soltanto la scomparsa di quello spirito immondo, ma indica che per quell'uomo è iniziato il viaggio dell'esodo, il viaggio dell'uscita. E' questo l'obiettivo dell’insegnamento di Gesù. Anche per quell'uomo ridotto al silenzio adesso diviene possibile intraprendere il viaggio dell'esodo, la traversata del mare. "Esci da quell'uomo". Tutto il contesto nel quale quell'uomo era così bene inserito viene sconvolto dalla presenza di Gesù, da quell’ insegnamento autorevole che coincide con la coerenza della sua vita e in cui la sua vita si consuma.
«Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano: chi è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità». Una dottrina nuova: è la novità di Gesù, è la novità dell'evangelo che si presenta attraverso l'insegnamento di Gesù. Autorevole: c'è un maestro in mezzo a noi che parla con la forza inoppugnabile della sua testimonianza vissuta. Questa presenza è motivo di disagio e di insofferenza, fino alla protesta gridata con tanta vigore dall'indemoniato. Ormai la dottrina nuova è insegnata, ormai Gesù è entrato nella sinagoga di Cafarnao. Il suo insegnamento ha provocato l'affiorare dell'empietà nascosta nel cuore dell'uomo, ma ha suscitato spinte nuove, ha trasmesso energie nuove. Gli uomini hanno troppo a lungo coccolato in loro stessi l'assuefazione alla ambiguità, alla menzogna, alla doppiezza, all’infingardaggine; essi si sono assuefatti ad una impostazione della vita che abusa della parola per nascondere il vissuto, che compromette il valore della parola proprio perché il vissuto deve essere adattato alle necessità di un cuore non liberato. La prigionia del cuore è il criterio in base al quale impostare la vita; l'insegnamento stesso non è più un modo per correggere la vita, ma lo strumento di una grande menzogna, la maschera dell'empietà. Adesso tutto ciò non è più possibile, non funzione più: la parola di Gesù, parola che impone il silenzio, ha messo tutto in discussione, comanda persino agli spiriti immondi che gli obbediscono.
«La sua fama di diffuse subito ovunque nei dintorni della Galilea». E' presente ancora una volta il verbo uscire. Corre la notizia. Tutto viene coinvolto in seguito alla manifestazione di quella novità nel viaggio di Gesù. Il figlio vuole tornare a casa e tornerà a casa non prima di aver sbugiardato la menzogna che abita nel cuore umano, le contraddizioni che sono divenute la corazza dell'empietà custodita nel cuore.
la casa
«Usciti dalla sinagoga si recarono subito in casa di Simone». E' il giorno di sabato, il giorno in cui il creatore si è riposato per compiacersi delle sue creature. Nel giorno di sabato anche Gesù cerca il riposo, cerca la creazione nuova, corrispondente alla chiamata che ha ascoltato dalla voce. In realtà Gesù, il giorno di sabato, non ha sperimentato l’armonia di una creazione rinnovata, obbediente alla voce del creatore; ha sperimentato invece di essere trattato e rifiutato come un disturbatore sgraditissimo.
Gesù, uscito dalla sinagoga, si è trasferito nella casa di Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni. In quella casa c'è qualcosa che non funziona. «La suocera di Simone era a letto con la febbre». C'è una persona ammalata. Il malanno patito da quella donna nella casa di Simone indica uno scompenso, un disagio per tutti coloro che vi abitano. La casa stessa è afflitta, febbricitante. Quell'intreccio di relazioni che dà consistenza a una casa è incrinato e sfilacciato. Appena Gesù entra nella casa di Simone si trova dinanzi qualcuno che vuole spiegargli come non sia possibile accoglierlo con la disponibilità che sarebbe necessaria. E' sabato, si prepara la cena del sabato, e Gesù è un ospite gradito e di riguardo, ma, appena entrato, gli parlarono di lei: «Subito gli parlarono di lei». La presenza di questa ammalata sconvolge tutti gli equilibri, disarticola tutte le funzioni domestiche. E' sabato, ma non si può accogliere Gesù come sarebbe conveniente; tutto questo dipende dal fatto che c'è una persona ammalata. L'attenzione di tutti è rivolta verso di lei. Si nota quasi uno stato impalpabile di insofferenza nei confronti di quella malattia che esprime la vera malattia di quella casa. La presenza di quella persona ammalata non è il motivo ma il segno che rivela come la malattia riguardi la casa in quanto tale, coloro che vi abitano e quel certo tipo di convivenza, quell'insieme di affetti, di progetti, di comportamenti nei quali la casa si identifica.
Gesù non dice niente, non apre bocca. Se nella sinagoga ha insegnato, nella casa di Simone non parla. «Ed egli accostatosi la sollevò prendendola per mano». Gesù la tocca, compie un gesto, la prende per mano e la solleva. «La febbre la lasciò ed essa si mise a servirli». E' usato il verbo diaconein. Gesù si rivolge a quella persona ammalata e stabilisce un rapporto di solidarietà tale per cui proprio quella persona ammalata è in grado di esprimere la fecondità di un servizio. La presenza di quella ammalata nella casa di Simone non è il motivo per cui quella casa non funziona, se mai è vero l'opposto: la casa sta in piedi proprio perché poggia sulla diaconia di quella ammalata. Essa è il punto di sostegno per tutta la casa, gli si scaricano tutti i pesi: la presenza di quella ammalata esercita una diaconia da cui dipende il benessere della casa; è attorno ad essa che la casa si ricompone nella propria identità, nella e proprie funzioni, nella propria qualità domestica.
Nella casa degli uomini il passaggio di Gesù svela che proprio la presenza di una creatura che era ritenuta causa del disagio generale è il fondamento su cui si può costruire un edificio riconciliato. «La febbre la lasciò ed essa si mise a servirli». Precedentemente, nello stesso capitolo, Gesù era stato «servito dagli angeli» ( v. 13), adesso è la diaconia espressa da quella donna ammalata, che per tutti era un impedimento, a rendere ospitale la casa, a fornire un servizio di accoglienza per Gesù, ospite di riguardo. E ciò non basta: è un servizio di accoglienza che immediatamente (v. 32- 34) riguarda tutta la città. «Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demoni; ma non permetteva ai demoni di parlare, perché lo conoscevano».
La porta della casa di Simone è ostruita da questo accumulo di tutti gli ammalati e indemoniati della città. La casa di Simone è divenuta luogo capace, capiente, per accogliere tutta la città con tutte le sue malattie. Qui non è più soltanto una casa, una famiglia, è la città: la città con le sue situazioni di degrado, con quelle situazioni di disprezzo del degrado che sono manifestazioni del massimo degrado; la città in cui tutto è nascosto fin che è possibile. Tutta la città è riunita davanti alla porta, la ostruisce. Il termine che Marco usa qui ricomparirà alla fine della grande catechesi in rapporto al sepolcro in cui Gesù sarà deposto dopo la sua morte. Quel sepolcro è una porta; anche quella porta sarà ostruita e poi si aprirà. C'è una porta, la porta della casa di Simone, per uscire da quella casa Gesù deve affrontare questa marea di gente che si accalca; Gesù deve passare attraverso tutti gli strati di questa umanità dolente, degradata, che è il prodotto della città degli uomini e che viene a depositarsi là dove la casa di Simone, visitata da Gesù, ha scoperto in modo del tutto imprevedibile di essere dotata di una potenzialità di accoglienza ancora non sperimentata, non valorizzata. Questa capacità di accoglienza si chiama compassione. "Tutta la città era riunita là davanti alla porta": è veramente un momento di comunione. La presenza di Gesù ha veramente trasformato i connotati di quella casa. Gesù non può uscire se non passando attraverso la città, perché la casa di Simone ormai non si definisce più in se stessa, è divenuta luogo di accoglienza per la città.
la strada
Il terzo ambiente emblematico è la strada. «Al mattino si alzò, quando ancora era buio». Gesù ha trascorso tutta la notte guarendo i molti ammalati della città, stando nella casa di Simone, dalla casa di Simone. E' mattino, si alza, è ancora buio. «Uscito di casa si ritirò in un luogo deserto e là pregava». E' il mattino del giorno dopo il sabato, è la prima domenica di Gesù, ma è il sabato di Gesù che non tramonta; il sabato rimane, è la sua ricerca di un riposo in obbedienza alla voce che prosegue con inflessibile coerenza. Nella sinagoga ha cercato riposo, nella casa di Simone ha cercato riposo; la sua presenza e il suo passaggio hanno determinato una novità nell'uno e nell'altro ambiente, che ha disturbato, affascinato, commosso. Adesso Gesù è sulla strada. E' in luogo deserto. Simone e quelli che erano con lui, lo inseguono, lo trovano: «tutti ti cercano». In greco c'è la stessa espressione usata precedentemente da Simone e dagli altri per informare Gesù della presenza della suocera ammalata in quella casa: «gli parlarono di lei», dicevano allora; e qui «gli dissero: "tutti ti cercano, torna indietro"». Gesù deve tornare indietro e deve rimanere in quella casa, a disposizione di quanti in quella casa abitano e di quanti quella casa frequenteranno. Gesù risponde aprendo tutt'altra prospettiva: «Ed egli disse loro: " andiamocene altrove, per i villaggi vicini perché io predichi anche là. Per questo infatti sono venuto" ». Il verbo greco dice: uscito, " per questo infatti sono uscito". Uscito nel senso del suo viaggio, il viaggio del figlio che ritorna a casa: per questo sono uscito da casa mia, per questo sono in viaggio attraverso il deserto, per questo sono sulla strada: per andare altrove, per i villaggi vicini, perché io debbo predicare anche là. Gesù non ritornerà a casa sua senza aver prima percorso tutte le strade, senza aver prima affrontato tutte le case, senza aver preso contato con tutte le città di questo mondo, senza avere scandagliato la storia degli uomini in tutte le sue componenti, senza avere raggiunto le periferie più remote e più disagevoli. "Io sono uscito per questo, andiamocene altrove". Gesù è sulla strada: non è possibile catturarlo, trattenerlo, frenarlo; non è possibile condizionarlo o ridurlo a misura dei nostri interessi; non è possibile ricondurlo a noi, piegarlo a quel che noi ci aspettiamo. La sua corsa prosegue, affronta altre strade, apre altre prospettive, illumina altri orizzonti e noi arranchiamo, un pò sorpresi, un pò infastiditi. Noi lo osserviamo dispiaciuti e interiormente avviliti. Perché? Ci dispiace che Gesù faccia questo. Perché ?
Il racconto prosegue: «Allora venne a lui un lebbroso». In tutto il vangelo secondo Marco comparirà soltanto un'altra volta la figura di un lebbroso, nel capitolo 14. Il lebbroso si chiama Simone. Nella casa di Simone il lebbroso a Betania una donna verserà unguento profumato preziosissimo sui piedi di Gesù. C'è una singolare relazione tra Simone, il discepolo, e questo lebbroso. La presenza del lebbroso non indica solo un uomo affetto da una determinata malattia, il lebbroso è qualcuno che vive interiormente, in modo molto avvilente la sua storia, la sua vocazione. Il lebbroso è colui che per definizione deve dichiarare, proclamare, denunciare pubblicamente la sua impurità. E' implicata una pena che sconvolge il cuore nella zona più profonda. "Io non sono come dovrei, io di me posso soltanto denunciare che sono lebbroso, impuro; posso soltanto proclamare a tutti, anzi debbo, che io non posso essere avvicinato, perché io sono fallito all'interno della mia vocazione, perché è svuotata di senso la mia vita in rapporto al dono, al carisma che gratuitamente avevo ricevuto. Io sono l'erede di un tradimento, il frutto visibile di un amore tradito". Il lebbroso supplica in ginocchio Gesù: « Se vuoi, puoi guarirmi». "Se vuoi". Gesù si adira. La nostra traduzione dice: «mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: "Lo voglio, guarisci!"». E' molto probabile che qui il verbo splagnizomai, tradotto con "mosso a compassione", sostituisca un altro verbo, oristeis, cioè "adirato". E' una espressione che può disturbarci, come disturbavano i discorsi di Gesù nella sinagoga di Cafarnao. Gesù è adirato nei confronti di quel lebbroso. Il lebbroso ha usato una formula ipotetica: "se vuoi puoi guarirmi". Essa sottintende un: "Forse tu non vuoi". Il lebbroso non può guarire, proprio per questo egli è costretto a dichiarare pubblicamente il suo male, perché non ci avvicini a lui in quanto è inguaribile. Ma la sua vera lebbra si manifesta proprio in questa implicita convinzione che non vi sia amore per lui, che è impossibile che qualcuno lo ami. Il fallimento di una storia si accompagna quasi al compiacimento di non poter essere amato ormai da nessuno. "Se vuoi, puoi guarirmi". Gesù è adirato: «stese la mano, lo toccò e gli disse: lo voglio, guarisci!». Non soltanto Gesù lo vuole, ordinando la sua guarigione, ma Gesù lo tocca. Questo gesto, stando alle consuetudini del tempo, comporta per Gesù contrarre impurità. Toccare un lebbroso significa diventare lebbroso. Gesù che ha toccato il lebbroso è diventato lebbroso. Ci sarà bisogno di un certo tempo e poi di una purificazione per superare questo stato di impurità legale. Gesù non solo vuole la guarigione del lebbroso, Gesù si fa lebbroso. Per quel lebbroso non c'è altra possibilità di guarigione che la scoperta di essere amato. Gesù si fa lebbroso per guarirlo. Certo che lo vuole! Subito la lebbra scompare. "Subito", ancora questo avverbio. «E ammonendolo severamente..» Gesù è brusco, intransigente proprio perché il lebbroso è prigioniero di quel dubbio, perché intimamente rimane convinto di non essere amato, che Dio ha altre cose da fare che non guarirlo. L'evangelo - sembra voler dire - segue altri percorsi non interferisce con la mia vita, la mia storia, la mia malattia. E invece l'evangelo riguarda me, comunque io mi chiami, me lebbroso, proprio me. «Guarda di non dir niente a nessuno, ma và, presentati al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato. Ma quegli, allontanatosi, comincio a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti e venivano a lui da ogni parte».
Gesù non può più entrare pubblicamente in una città, perché quel lebbroso, contraddicendo l'indicazione ricevuta da Gesù, è andato in giro a divulgare il fatto e tutti sanno che Gesù ha toccato un lebbroso, tutti sanno che Gesù è lebbroso. Per Gesù non c'è più posto, deve stare nei luoghi deserti dove dimorano i lebbrosi e proprio per questo motivo «venivano a lui da ogni parte». Nel deserto tutti i lebbrosi possono avvicinarsi a lui.
Così si chiude l'introduzione al vangelo di Marco: Gesù rimane nel deserto, è sceso fino a prendere contatto con la lebbra che affligge la nostra condizione umana, prigioniera della convinzione che l'amore è stato tradito e che l'amore è perduto. Gesù scende nel fondo dell'abisso: è nel deserto, ha toccato un lebbroso. E' l'avvio che anticipa quello che sarà l'itinerario pasquale di Gesù: per questa sua presenza nel deserto noi tutti, quale che sia l'ambiente di provenienza e la motivazione, possiamo accostarci a lui.