lettura spirituale di Mc 8,27-9,52
Chi dice la gente che io sia?
Gesù, che si è dedicato all’educazione dei discepoli, ha ottenuto un risultato fallimentare: i discepoli non comprendono. Il fallimento dei discepoli implica il fallimento del maestro. La questione adesso si sposta: chi è Gesù? che tipo di maestro è Gesù? come Gesù affronta la sua missione e la sua responsabilità di maestro che fallisce?
L’interrogativo viene formulato in modo esplicito mentre Gesù conduce i discepoli sulla strada che porta a Cesarea di Filippi. E’ una zona molto appartata, remota, fuori da occhi e orecchi non familiari; siamo quindi in una situazione particolarmente adatta per affrontare una questione che riguarda in profondità non solo il rapporto tra Gesù e i suoi discepoli, ma anche il rapporto tra l’essere discepoli che non comprendono il maestro ed essere Gesù un maestro non compreso dai discepoli, e dunque un maestro fallito.
"Per voi chi sono io?" La risposta di Pietro è netta: "Tu sei il Cristo". Gesù immediatamente impone il silenzio e "incominciò a insegnare loro". Il maestro, un maestro fallito, continua a insegnare dal di dentro del suo fallimento. Gesù insegna adesso senza più chiedere o esigere il silenzio, "faceva questo discorso apertamente": «Il figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere roprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e dopo tre giorni resuscitare». Gesù risponde alla domanda che ha precedentemente rivolto ai discepoli; lui stesso si è a lungo interrogato mentre andava svolgendo il suo ministero profetico, il suo insegnamento alle folle e ai discepoli in particolare. Gesù ha continuato a dialogare con la voce da cui era stato chiamato fin dall’inizio; e adesso, nel momento in cui ha constatato il fallimento della sua missione di maestro, assume il fallimento come l’attuazione del compito che la voce gli aveva affidato. Siamo dinanzi ad una svolta: nel fallimento dei discepoli Gesù riconosce il suo proprio fallimento; la sua missione si realizza proprio in quanto è segnata da un fallimento.
Questo è sconcertante, al di fuori da ogni previsione. La missione affidata al Figlio si compirà attraverso il fallimento; il suo fallimento di maestro realizza la sua missione di figlio.
il Cristo dei discepoli
"Cominciò a insegnare loro queste cose". I discepoli hanno dato una risposta, Pietro ha parlato per se stesso e per tutti gli altri: "Tu sei il Cristo". Una dichiarazione solenne e impegnativa: tu sei il Messia, tu sei l’atteso, tu sei il desiderato, sei colui che realizza le promesse antiche. E’ una dichiarazione che appare assai gratificante, eppure Gesù impone severamente il silenzio. I discepoli, mentre pronunciano insieme con Pietro una affermazione così forte e densa di significato, sono mossi dal desiderio di raggiungere finalmente l’obiettivo che tanto a lungo hanno intravisto , verso cui hanno sospirato. Alle loro spalle c’è tutta una storia di generazioni e generazioni credenti che hanno guardato verso il compimento delle promesse; è la storia di un popolo che preme in vista del Messia. I discepoli sono trascinati, travolti dal desiderio di raggiungere finalmente l’attuazione di quella promessa: di generazione in generazione essa ha continuato a brillare come luce accesa sulla scena della storia umana. "Tu sei il Cristo"!
I discepoli ritengono realizzata la loro migliore aspirazione, la loro aspettativa più santa, il loro progetto più generoso e lo proiettano su Gesù: "tu sei il Cristo". La prospettiva è invece ribaltata: nel fallimento dei discepoli Gesù riconosce il suo proprio fallimento. I discepoli si sono convinti ormai di avere raggiunto la loro realizzazione; è il loro criterio per interpretare Gesù: "tu sei il Cristo". Essi comprendono Gesù in rapporto alla loro realizzazione di discepoli, di devoti, di credenti, che alla scuola della fede di Israele hanno imparato a sospirare verso la venuta del Messia. Per tutte queste ragioni potremmo ammirarli, eppure, stando alla realtà dei fatti, così come Gesù stesso dichiarerà immediatamente dopo, lo stanno rifiutando in modo sempre più drammatico e irrevocabile. Mentre dichiarano che Gesù è il Cristo, lo rinnegano. La situazione è sconcertante.
il Cristo di Dio
Il racconto prosegue delineando il significato drammatico di questo scontro decisivo. Le parole di Gesù sono più che mai esplicite; Gesù affronta un rifiuto radicale che lo condurrà alla condanna a morte, ed è proprio questa la strada, percorrendo la quale, la sua missione si realizzerà.
Gesù è solo, sempre più solo; accanto a lui c’è la folla, il mondo, la storia degli uomini, ci sono i discepoli.
Il racconto è segnato dall’annuncio della passione e morte che avviene alla fine del cap. VIII, e che si presenta poi nel cap. IX e ancora nel cap. X: tre annunci della passione che danno avvio a tre cicli narrativi, come tre ondate successive, con una loro articolazione in quattro tempi. Tre cicli in quattro tempi, a partire dall’annuncio della passione.
Gesù sottolinea in modo sempre più fermo e risoluto: io sono il Figlio dell’uomo che è rifiutato; io sono fallito in mezzo a voi. Eppure Gesù non arretra, non abbandona la scena, non rinuncia a cercare un contatto con i discepoli. I discepoli sono da parte loro sempre più abili nel fraintendere la situazione e in questo modo confermano che lo hanno rifiutato e lo rifiuteranno fino in fondo.
Gesù si fa avanti, il suo fallimento non è il motivo per cui si ritiri, o rinunci, o ripieghi su altri obiettivi, su altre mete, su altri itinerari per ottenere finalmente riscontri favorevoli in altri discepoli o presso quella folla, che continua comunque a tenerlo in alta considerazione. Gesù si rivolge ai discepoli ed è sempre più solo.
Lo schema dei cicli narrativi è sempre lo stesso: il primo tempo è l’annuncio della passione; il secondo tempo è la risposta che immediatamente i discepoli rivolgono a Gesù; il terzo tempo descrive un gesto che Gesù compie per esprimere la sua intenzione di riprendere il discorso con i discepoli; infine la reazione di questi ultimi a tale intenzione di Gesù.
lo tirò indietro
« Allora Pietro lo prese in disparte , e si mise a rimproverarlo. Ma egli voltatosi, guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse. ‘ lungi da me, satana! Perchè tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini»
Assistiamo alla risposta immediata, irruente di Pietro, e, con lui, gli altri: "Lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo". Lo tira indietro. Il tentativo di tirarlo indietro è ridicolo, è necessario infatti che Gesù si volti indietro lui per guardare in faccia Pietro. Gesù ribatte "Rimettiti dietro a me, Satana". Il "lungi da me" andrebbe più opportunamente tradotto con "dietro da me": rimettiti al tuo posto, dietro di me, perché i tuoi pensieri non sono quelli di Dio ma quelli degli uomini. E’ una citazione di Isaia 55.
Gesù ha ripreso in mano il discorso e affronta la situazione con un gesto che dimostra la sua intenzione di avanzare ancora, e in modo inflessibile, verso i discepoli.
Nel capitolo IX v.2 inizia il racconto della trasfigurazione. Gesù prende con sè Pietro, Giacomo e Giovanni « e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divenneroi splendenti, bianchissime..Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra e usci una voce dalla nube:’ Questi è il figlio mio prediletto, ascoltatelo!’ E subito, guardandosi intorno non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro» ( 9,2-8) Pietro si commuove, non capisce bene quello che sta succedendo: la nube, la voce. La voce che il giorno del battesimo aveva detto a Gesù: "tu sei il figlio mio, l’amato", adesso si rivolge ai discepoli: "questi è il figlio mio". E’ la voce che risponde, e risponde in modo tale che i discepoli ascoltino anche loro: "è il figlio mio, l’amato, è il maestro da ascoltare". Eppure i fatti denunciano il fallimento di questo maestro. E il maestro ne è consapevole; proprio lui ha insistito con i discepoli per proporsi come maestro attraverso il fallimento che sta patendo in rapporto a loro, che non lo comprendono. La voce dichiara che Gesù è il figlio: ascoltatelo! I discepoli si guardano attorno e non vedono nessun altro se non Gesù solo. C’è solo lui, la voce ha affermato che è il figlio prediletto, in realtà è solo Gesù. Con loro c’è Gesù, nient’altro che Gesù, il solito Gesù, il Gesù di sempre; un Gesù a cui sono legati per varie ragioni, un Gesù che hanno imparato a capire a modo loro, un Gesù che già considerano come un personaggio che deve corrispondere alle loro aspettative. Certo, qualche turbamento comincia ad affiorare, qualche smentita contraddice le loro migliori speranze, ma continuano a restare convinti di avere ragione.
e fecero silenzio
Ritornati tra la folla assistiamo all’episodio della liberazione del sordomuto. «Maestro, ho portato da te mio figlio, posseduto da uno spirito muto..Gesù presolo per mano, lo sollevò ed egli si alzò in piedi. Entrò poi in una casa e i discepoli gli chuiesero in privato:’ perchè noi non abbiamo potuto scacciarlo?’ Ed egli disse loro:’ questa specie di demoni non si può scacciare in nessun modo se non con la preghiera’» ( 9, 17-28)
Un padre è in difficoltà con suo figlio perché è agitato da uno spirito muto e sordo. I discepoli non sanno come affrontare questo caso, sono del tutto impotenti. "Come mai noi non siamo dotati di un potere in grado di intervenire nei confronti di quell’indemoniato?" E’ il loro problema: non hanno potere. Il ragazzo è preda di uno spirito sordo e muto, è strutturalmente impedito nella possibilità di dialogo, di intesa, di relazione. L’episodio, non a caso collocato qui, dopo che Gesù è disceso dall’alta montagna, mentre i discepoli sono frastornati e annebbiati, ci aiuta a considerare quello che sta succedendo nel rapporto tra Gesù e i suoi: non c’è comunicazione, non c’è dialogo, non c’è intesa. In questo episodio abbiamo a che fare con l’identità del figlio: che figlio è mai questo se non riusciamo a comunicare con lui? Tutto l’insieme della scena contribuisce a rendere sempre più evidente che tra Gesù e i discepoli rimane molto solida e impenetrabile una barriera. Nel caso del ragazzo il demonio è scacciato, nel caso di quei discepoli la barriera rimane ancora. I discepoli sono confusi perché non accettano l’esperienza di non poter intervenire. Perché noi non abbiamo questo potere? Perché noi non abbiamo il potere? Essi non hanno il potere di scacciare quel demonio perché quello è il loro demonio; il demonio muto e sordo è il loro stesso demonio.
Gesù ne fa una questione di ascolto: c’è bisogno della preghiera, di un di ascolto adorante.
Siamo al secondo ciclo . « Di nuovo partiti di là attraversarono la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse, istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro Il figlio dell’uomo sta per essere consegnato consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, resusciterà’. Essi però non comprendevano queste parole e avrevano timore di chiedere spiegazioni. (9, 30-32)
Questa volta la risposta dei discepoli al secondo annuncio della passione è il silenzio: tacevano. Per certi versi è una risposta più blanda rispetto all’irruenza di Pietro, che era intervenuto prendendo Gesù per un braccio, tirandolo indietro e rimproverandolo duramente. E’ una risposta più blanda apparentemente, in realtà questo modo di rispondere all’annuncio della passione è più perverso. « Giunsero a Cafarnao e quando fu in casa chiese loro:’ Di che cosa stavate discutendo lungo la via?’ Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra di loro chi fosse il più grande.»
In realtà i discepoli non tacevano, tra di loro parlavano: chi è il più grande? Questo è il contenuto della loro ricerca: quale potere decide la nostra grandezza? Di nuovo Gesù si fa avanti. Siamo al terzo tempo: «Allora, sedutosi, chiamò i dodici e disse loro: se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti’ E preso un bambino lo pose in mezzo e abbraccinadolo disse loro:’ chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato’» (9, 33-37) "Sedutosi..": è l’atteggiamento del maestro. In mezzo ai discepoli Gesù è come un bambino.
La risposta da parte dei discepoli cresce in perversione: è il silenzio di chi vuole tergiversare per approfittare della situazione, di chi vuole strumentalizzare le cose in modo sempre più conveniente. L’immagine che Gesù fornisce di se, insistendo nel tentativo di stabilire un contatto con i discepoli, è sempre più meschina: prima il figlio, ora un bambino. Io sono un bambino. Subito c’è chi ne approfitta: «Giovanni gli disse». Non si dice altrove che Giovanni prenda parola da solo. Giovanni è il più giovane, il più piccolo; è il più piccolo che si sente incoraggiato, ringalluzzito. Gesù ha detto che è un bambino, ed ecco giunta l’occasione perché Giovanni viva il suo momento di gloria. Adesso io conto! E’ il piccolo Giovanni che ha trovato la buona ragione per far valere anche la sua piccolezza di "ragazzo della comitiva" come opportunità per dominare la scena.
si scandalizzarono
«Giovanni gli disse: "Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri"» (9,38) Noi glielo abbiamo vietato. Gesù risponde : «Non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare di me male. Chi non è contro di noi è per noi. Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa». Appartenere a lui,che è piccolo come un bambino, non significa acquisire il diritto a un potere privilegiato. Se caso solo il diritto a un bicchiere d’acqua, questo si, perché "siete di Cristo". Gesù precisa di quale piccolezza sta parlando ai discepoli quando presenta se stesso come un bambino, possono esserci,infatti,delle ambiguità; Giovanni lo ha dimostrato: una piccolezza che diventa capriccio, puntigliosità, prepotenza; che diventa essa stessa prerogativa per gestire un potere nell’intreccio delle relazioni interpersonali. Gesù ha precisato: sono piccolo come un bambino, potete contare, quindi, su un bicchiere d’acqua.
I discepoli reagiscono, e la loro reazione è dominata dallo scandalo. Scandalosa è quella dichiarazione di Gesù: io sono un bambino in mezzo a voi. Essi tentano subito di interpretare: si tratta certamente di un bambino che conta, e invece è un bambino che non conta. Egli è un piccolo senza importanza, che non può promettere, garantire, che non può rassicurare: solo un bicchiere d’acqua. Tutto qui lo scialo prevedibile. Ciò fa scandalo ed è uno scandalo sempre più indispettito, insofferente. La piccolezza di Gesù scandalizza i discepoli, eppure è attraverso questa piccolezza che Gesù tenta di recuperare con loro un rapporto fallito.
fraintesero
«Mentre erano in viaggio..» Siamo sulla strada, ed è la strada nel senso forte del termine, si tratta di salire a Gerusalemme. E’ la prima volta che si parla con chiarezza di questa prospettiva: « Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore». Gerusalemme è all’orizzonte e Gerusalemme è la città santa, la città di Davide, la città del Messia. Questa salita a Gerusalemme ha tutte le caratteristiche del viaggio messianico, regale, glorioso. I discepoli rinnovano la loro convinzione che, alla fine dei conti, è proprio vero che Gesù è il Cristo, sta infatti salendo a Gerusalemme, la città del Messia; è vero, Gesù dice a volte cose strane, ma le dice così, a cuor leggero, le dice forse per metterli alla prova; ma la realtà è poi questa: stiamo salendo a Gerusalemme! Sono un po' circospetti accanto a Gesù che li precede, sembrano riprendere fiato e sono sostenuti da una nota di entusiasmo che si fa sempre più appariscente. Stanno salendo a Gerusalemme! Stanno arrivando alla meta del viaggio, là dove il Messia regna. Gesù «prendendo di nuovo in disparte i dodici, cominciò a dir loro quello che gli sarebbe accaduto:" Ecco noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani, lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre giorni resusciterà"»(10,33-34)
Nel terzo annuncio è presente l’esplicito richiamo al cammino verso Gerusalemme, ma accompagnato, ancora una volta, dall’annuncio della passione e morte. Gesù ribadisce che il figlio dell’uomo sarà ucciso e resusciterà. "Sarà consegnato", al passivo, è un riferimento all’iniziativa di Dio che si manifesta attraverso questa misteriosa missione affidata al Figlio dell’uomo. L’opera di Dio si compie attraverso la missione affidata a lui in modo da illuminare dal di dentro la storia umana inquinata dal peccato degli uomini. Per sei volte ci troviamo dinanzi a urgenti e drammatici accenni a questo inquinamento: lo condanneranno, lo consegneranno, lo scherniranno, lo sputeranno, lo flagelleranno, lo uccideranno. Sei verbi: è la storia del peccato. L’opera di Dio si compie attraverso la consegna del figlio dell’uomo, passando attraverso tutti gli strati di iniquità che la storia ha depositato nel suo corso e che trascina con sè. Ed ora è la gloria del rifiutato che si solleva per instaurare il Regno.
Dunque il regno! I discepoli percepiscono solo questa risonanza dell’annuncio: Gerusalemme , il regno messianico. Gesù nel suo annuncio è stato esplicito: il figlio dell’uomo sarà consegnato, ma i discepoli comprendono quello che vogliono comprendere. E’ sempre così. Adesso intervengono Giacomo e Giovanni. E’ il secondo tempo del ciclo: la risposta dei discepoli all’annuncio della passione. Parlano prima i due discepoli, poi tutti gli altri. E’ una conversazione spezzata anche dal punto di vista sintattico, il testo è fratturato da continui richiami e precisazioni, è come sincopato con l’effetto letterario di descrivere quanto sia affannoso questo parlarsi, questo tentativo di piegare una situazione non compresa all’interno di una logica precostituita. I discepoli hanno precostituito la loro logica: stiamo andando a Gerusalemme per assistere all’instaurazione del regno messianico. «"Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo" Egli disse loro:" Che cosa volete che io faccia per voi?". Gli risposero:" Concedici di sedere nella tua gloria uno alla destra e uno alla tua sinistra".» Ecco! Questa è la logica in base alla quale interpretano il viaggio di Gesù a Gerusalemme. Loro sono con lui e lo seguono per accompagnarlo nel momento in cui prenderà possesso del suo Regno. Una risposta spavalda che fraintende tutto in modo radicale. C’è una crescita nella perversione: precedentemente il silenzio, prima ancora il rimprovero; meglio il rimprovero che il silenzio e meglio il silenzio di questo fraintendimento.
Poco prima Pietro aveva detto a Gesù: vedi noi siamo quelli che abbiamo lasciato tutto. Anche Giacomo e Giovanni hanno lasciato tutto, hanno lasciato il padre Zebedeo, che è citato espressamente. Tutto l’insieme lascia intendere che questi discepoli continuano cercare quello che invece non hanno mai lasciato, che in teoria avrebbero perduto, ma che in realtà continuano a conservare e a custodire con ostinata devota fedeltà. Non hanno mai lasciato il desiderio di affermarsi: uno alla sua destra e uno alla sua sinistra nella gloria! Hanno lasciato tutto, ma non hanno mai lasciato il desiderio di realizzarsi affermando il loro potere.
Gesù conversa con i discepoli parlando di sè, della sua pena, della sua fatica, del suo calice da bere, del battesimo in cui essere immersi; parla della sua solitudine, del suo dolore, di quella che sarà l’immersione mediante la quale la sua vita intera sprofonderà; parla di quello che lui non può prevedere nè stabilire per nessuno, della strada che Dio ha stabilito. Giacomo e Giovanni hanno lasciato il padre Zebedeo, ma quale padre hanno lasciato? E per quale perdita si lamentano? E di quale padre sono ancora in cerca loro che in realtà non hanno mai lasciato? La loro convinzione è quella di poter conquistarsi quanto compete al loro potere. Gesù parla di una strada preparata gratuitamente, misteriosamente da chi ha chiamato il figlio e gli ha affidato la missione di affrontare il deserto della storia umana; una missione che adesso si concluderà a Gerusalemme. Gli altri discepoli intervengono sdegnati perché non ammettono che Giacomo e Giovanni aspirino a dei privilegi a cui, in realtà, aspirano tutti gli altri dieci allo stesso modo.
si nascosero
Dal v. 42 al v. 45 si svolge il terzo tempo del ciclo. Gesù si fa avanti, li chiama a sè: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di essi il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi sarà il servo di tutti. Il figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Sapete chi sono io in mezzo a voi? Io sono il servo. Nel primo ciclo Gesù si è presentato ai discepoli come il figlio per il quale la voce ha proclamato che è prediletto e deve essere ascoltato; nel secondo ciclo aveva detto di essere come sono un bambino; nel terzo ciclo dice: io sono un servo, io sono il servo. I discepoli erano sicuri ormai di essere in procinto di conquistare la preda, alcuni si erano proposti per essere uno alla destra e uno alla sinistra nella gloria: dicasteri, ministeri, incarichi, privilegi. Gesù si fa avanti dicendo: io sono al di sotto di voi tutti, sono un servo. I discepoli non hanno mai abbandonato il loro desiderio di potere, proprio per questo il magistero di Gesù è fallimentare, non ha ottenuto quello che si proponeva. E tuttavia Gesù continua a farsi avanti, presentandosi in situazioni sempre più meschine: ora nella condizione del servo. In mezzo a loro egli è oppresso e perduto come un servo.
A questo punto, siamo alla fine della sezione e siamo al quarto tempo, i discepoli scivolano nell’ombra. Come reagiscono i discepoli? All’inizio c’è stata una gran confusione: come mai noi non abbiamo potere?; poi lo scandalo: come è possibile essere piccoli?; adesso la latitanza: scompaiono nell’ombra, sono risucchiati nella folla, si nascondono dietro le quinte.
«Giunsero a Gerico» Siamo in quella città che fu conquistata da Giosuè appena varcato il Giordano. E’ il nome di Gesù: Giosuè. Gesù è a Gerico, l’ingresso nella terra promessa. « E mentre partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla..» I discepoli sono immersi nella folla, non hanno una fisionomia precisa, come nelle scene precedenti; sembra che ci tengano a mantenere le distanze, a distinguersi da Gesù, a non apparire in primo piano. Il comportamento di Gesù li ha disorientati: il servo, che vuol dire?, meglio stare a guardare in posizione riservata senza compromettersi.
un uomo nudo dinanzi a un maestro fallito
Nella scena entra un nuovo personaggio.
« Il figlio di Timeo, Bartimeo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare». Bartimeo ha un nome patronimico, figlio di Timeo, come se fosse per definizione desideroso di instaurare una relazione, figlio di. E’ cieco, ha difficoltà nella comunicazione, ha il volto inespressivo di chi non vede; è un mendicante ed è dunque un bisognoso, costretto a chiedere, ma non sa mai di chi può fidarsi e fino a che punto può fidarsi; e poi è seduto fuori strada, bloccato, impantanato in una situazione che oggettivamente lo squalifica: è un uomo inutile e reca disturbo. «Costui, al sentire che c’era Gesù Nazzareno, cominciò a gridare e a dire: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» Il nome di Gesù, il nome di Giosuè. Bartimeo grida: è il suo lamento, non ha altra possibilità espressiva che questa, non ha altro modo per ribadire la sua presenza di mendicante, non ha altro strumento più inutile di questo per disturbare il prossimo: lamentarsi. «Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!. Allora Gesù di fermo"» Gesù si ferma, è in sosta, non procede, non si muove di là; presta attenzione a quel lamento, si rivolge a quel cieco e mendicante che stava seduto fuori strada. Questo è l’atteggiamento del servo. Proprio perché Gesù è il servo si ferma. Gesù prende in considerazione quel lamento, Gesù sopporta il peso della storia umana nella sua straziante inconcludenza e inutilità perché è il servo. Solo un servo è disposto a fermarsi. « E chiamarono il cieco dicendogli: "Coraggio , alzati, ti chiama!" Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù». Bartimeo getta via il mantello. E’ un uomo nudo. Un mendicante come Bartimeo non possiede di suo altro che il mantello. Balza in piedi e getta via il mantello e corre da Gesù. Come possa un cieco balzare in pedi e correre è tutto da spiegare, ma le cose vanno così. «Allora Gesù gli disse:" Che vuoi che i ti faccia?» Così si erano espressi anche Giovanni e Giacomo nel versetto 35:" Maestro noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo". Cosa vuoi che io ti faccia? «Rabbuni, che io riabbia la vista!» Il verbo anabletein implica il gesto di "sollevare la testa". Colui che era cieco non soltanto perché impedito nella vista, ma cieco perché impedito nella comunicazione e nella possibilità di esprimersi, ora solleva la testa. Il mendicante sperimenta quale intimità di intesa sia presente tra Gesù e lui: quel Gesù che chiama per nome, proprio quel Gesù si è fermato. Si intendono. Di chi può fidarsi un mendicante come Bartimeo? Può fidarsi di un servo come Gesù. «"Va, la tua fede ti ha salvato" E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per strada».
Prese a seguirlo per la strada. Stava seduto fuori strada, adesso è in cammino sulla strada. C’è una strada da percorrere anche per lui, che era sottoposto al pubblico giudizio di condanna per la sua inutilità. C’è una strada da percorrere anche per Bartimeo: è la strada del servo, è la strada di Gesù.
I discepoli sono latitanti, sono nascosti e acquattati nell’ombra: c’è Bartimeo, un uomo nudo che segue Gesù, il servo. La strada del servo è la strada di Bartimeo, di un uomo nudo come Bartimeo. E’ la chiamata per noi e per tutti a seguirlo: un maestro che patisce il fallimento per raggiungere finalmente il contatto con noi; quando scopriremo questo lui sarà un maestro fallito e noi saremo degli uomini nudi; sarà Gesù il servo e noi lo chiameremo per nome.