Incontri di discernimento e solidarietà
 
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L’Apocalisse: il Mistero Pasquale luce della storia


Quinto incontro del ciclo 2007-2008

1 aprile 2008




Vince la vita



Il programma di stasera prevede la lettura del cap. 20; non facciamo molta strada, un solo capitolo, neanche tanto lungo, però ne avremo abbastanza per quest’ora di tempo che ci è concessa.

Ricordate come tutto quello che Giovanni ci dice in queste pagine, man mano che ci descrive quanto ha visto, fa capo all’annuncio della nuova creazione: “E’ fatto!”. In quella novità che corrisponde all’intenzione di Dio finalmente realizzata nella storia umana, in modo tale che tutta la creazione sia ricapitolata in obbedienza alla sua parola creatrice, Giovanni ha contemplato la caduta di Babilonia. Non dimentichiamolo: tutto fa capo a quella nuova creazione che ormai è instaurata. Non sono visioni che ci pongono dinanzi a vicende catastrofiche dovute a un intento punitivo di Dio nei confronti delle creature che a Lui si sono ribellate; non stiamo assistendo alla descrizione di eventi che esprimono in modo clamoroso e macroscopico il compimento di un disegno repressivo di Dio. Si tratta di tutt’altro perché quel che si compie in obbedienza a Dio consiste nella nuova creazione. La creazione è restaurata, la storia umana è riconciliata, la creatura umana è riportata all’obbedienza che fin dall’inizio le era stata proposta nella gratuità della prima chiamata e dell’amore. L’obbedienza della libertà che corrisponde all’iniziativa di Dio. Dunque, tutto fa capo a questa novità che oramai costituisce per Giovanni la pienezza definitiva, all’interno della quale l’andamento degli eventi assume aspetti catastrofici e sconvolgenti, ma è lo svolgimento della storia umana che si ricapitola. La caduta di Babilonia, la capitale dell’impero. Ne parlavamo nei capp. 17, 18 e 19 e quindi – cap. 19 – il combattimento finale, quello che conduce alla sconfitta della bestia. Ricordate: Babilonia è quella donna che cavalca la bestia, la capitale dell’impero e, andando a ritroso nel corso delle visioni, Giovanni si pone dinanzi alla progressiva eliminazione di tutte quelle forme di opposizione, di feroce e violenta ostilità a Dio, che la storia umana ha assunto in conseguenza alla ribellione che è responsabilità del cuore umano, della coscienza umana, della libertà umana che si è contrapposta all’iniziativa di Dio. Ed ecco la storia che ne è derivata: è la storia che ha assunto quelle forme grandiose ma allo stesso tempo mostruose di cui noi ci siamo resi conto da un pezzo. Procediamo a ritroso. Babilonia, la capitale dell’impero, è caduta. Nei versetti che leggevamo un mese fa, alla fine del cap. 19, è sconfitta la bestia, e poi la seconda bestia, il profeta, il falso profeta, il profeta della prima bestia; ricordate il potere imperiale che vuole imporsi come potere incontrastato e lo strumento culturale che è al servizio di quel potere imperiale che viene predicato, propagandato, osannato come valore assoluto cui tutti gli uomini devono sottostare e in questa loro sudditanza devono trovare motivo di compiacimento, di soddisfazione, di realizzazione: in realtà si tratta di una realizzazione massimamente infernale. Ebbene, vedete, il combattimento finale si svolge in modo ineccepibile, ormai non ci sono alternative, l’Agnello immolato e trionfante avanza e domina la scena: è il Signore Gesù, proprio Lui, che è disceso ed è risalito, è morto ed è risorto, è Lui l’Agnello protagonista, l’Agnello vittorioso. E proprio nel cap. 19 leggevamo la volta scorsa quei versetti che ci hanno descritto la comparsa di quel cavaliere che monta un cavallo bianco. E’ per l’appunto l’Agnello per il quale sono pronte le nozze perché, mentre Giovanni ci parla della caduta di Babilonia e quindi della sconfitta della prima e della seconda bestia, il cavaliere sul cavallo bianco attraversa la scena. E’ Lui il vincitore ed ecco: “Beati gli invitati al banchetto delle nozze”, così leggevamo nel v. 9.

Dunque, la prima bestia e l’altra bestia che ne è complice sono gettate nello stagno di fuoco; così alla fine del cap. 19, al di là di quella piastra infuocata che impedisce a noi di scrutare gli esiti a cui le bestie vanno incontro. Non possiamo inseguirle, non possiamo penetrare oltre questa parete incandescente che comunque trasmette a noi un segnale di singolare bellezza. Tutto quello che possiamo constatare, visto che non siamo in grado di scrutare oltre quel limite, andando a verificare in modo preciso e determinato che cosa ne sarà delle bestie, è che esse sono sconfitte. Babilonia è caduta; la bestia e l’altra bestia sono gettate nello stagno di fuoco. In questa prospettiva, a cui ormai le bestie non possono più sfuggire e nella quale il potere imperiale – questo principio di organizzazione e di esaltazione che sostiene dall’interno lo svolgimento della storia umana in quanto governata dall’iniziativa umana, inquinata com’è – registra il suo definitivo fallimento, ecco la scoperta di un fatto davvero commovente. Il linguaggio, come abbiamo constatato, appare forse per noi troppo cruento, ma è un linguaggio in realtà più che mai efficace per esprimere la liberazione a cui è condotta la complessità del creato dal momento che, una volta che sono sconfitte le bestie, tutte le creature riscoprono, nonostante la loro compromissione con le orribili menzogne di quelle bestie, il valore positivo di essere in grado di offrirsi per collaborare alla riconciliazione universale, alla reale, effettiva, valida edificazione del mondo. Le creature si offrono; l’immagine della spada che esce dalla bocca del cavaliere, nel v. 21 del cap. 19, immagine che a noi sembra ferocissima, in realtà ci conduce a constatare che tutti gli uccelli si saziarono delle loro carni e, ripeto, per quanto possiamo essere sconcertati dinanzi a un versamento di sangue così abbondante – ma ormai siamo abbastanza attrezzati per non stupirci più di queste cose – qui la constatazione davvero commovente, che Giovanni vuole riproporci, consiste nella meraviglia che possiamo ammirare: finalmente tutte le creature di questo mondo, per quanto compromesse in quella condizione generale, sono in grado di mettersi a disposizione nel contesto di una edificazione vicendevole per promuovere la positività di un disegno di comunione. E “gli uccelli si saziano delle loro carni”: un’immagine che viene da lontano, dai testi dell’Antico Testamento che varrebbe la pena di rileggere. Citavo la volta scorsa l’episodio del combattimento di Davide e Golia (1° Libro di Samuele, cap. 17). Bisognerebbe aggiungere i capp. 38 e 39 del Libro di Ezechiele.

Le creature di questo mondo che hanno prestato ossequio alla bestia e sono state così coinvolte nelle vicende più devastanti e più disgustose, finalmente sono capaci di collaborare a un’impresa positiva. Dalle creature più minuscole a quelle più rappresentative e più autorevoli; e tra tutte emergono le creature umane che hanno assunto nel corso della storia posizioni di spicco, di riguardo, di riferimento; finalmente gli uomini sono in grado di far qualcosa di buono mettendo a disposizione la loro presenza per collaborare a un disegno positivo. Perché? Perché le bestie sono state sconfitte. “Tutti gli uccelli si saziarono delle loro carni”. Questo è un modo di guardare la storia umana che coglie il valore straordinariamente, meravigliosamente positivo di quella situazione nella quale finalmente, spazzate vie le bestie, coloro che sembravano essere padroni del mondo e hanno combinato malefatte di ogni genere, possono fare qualcosa di buono. Carni in pasto agli uccelli.


Il drago ha già perso, ma non si è arreso

Cap. 20. Nei 15 versetti di questo capitolo l’attenzione di Giovanni, che man mano ci propone le sue visioni, ci invita a condividere il suo sguardo profetico; ci parla della sconfitta di Satana, il drago, come se ne parlava precedentemente, e quindi la sconfitta della morte. Vedete: stiamo andando a ritroso. Babilonia, la capitale dell’impero, è caduta; la prima bestia, l’altra bestia nello stagno di fuoco, e il drago perché è stato lui a inviare le due bestie. Il drago è sconfitto e la morte è sconfitta.

Ora, dal v. 1 al v. 6, la visione di Giovanni è dominata da un’immagine che viene citata a più riprese e che viene così focalizzata: “mille anni, il millennio”. Notate bene che i versetti che noi abbiamo sotto gli occhi sono stati letti, riletti, interpretati in molti modi nel corso dei secoli, e sui quali sono stati versati i fatidici fiumi di inchiostro. Noi ci sbrighiamo abbastanza allegramente. “Il millennio, mille anni”. Che significa questo? Leggiamo: “Vidi poi un angelo che scendeva dal cielo con la chiave dell'Abisso e una gran catena in mano. Afferrò il dragone (eccolo: è il drago, il serpente antico cioè il diavolo, satana con tutti i nomi con i quali lo si chiama nel linguaggio biblico) e lo incatenò per mille anni; lo gettò nell'Abisso, ve lo rinchiuse e ne sigillò la porta sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni. Dopo questi dovrà essere sciolto per un po’ di tempo”. Fino al v. 3. non c’è dubbio, qui Giovanni ci parla della sconfitta di Satana, il drago che ha inviato le bestie per insidiare la donna, quella donna che ha partorito il figlio maschio e subito è stato rapito al cielo e che poi è impegnata nella materna responsabilità di generare uomini nuovi per la vita eterna, in comunione con quel Figlio che ha vinto la morte. E il drago ha ordito i piani di cui Giovanni ci ha parlato per contrastare la missione affidata alla donna; per questo ha inviato la bestia, poi l’altra bestia, e quindi adesso noi veniamo a sapere che il drago è sconfitto. Ma attenzione: per mille anni. Per intenderci subito tenete conto di quei testi nei quali leggiamo – mi riferisco al Salmo 84, v. 11, al Salmo 90, v. 4 – che dinanzi a Dio mille anni sono come un giorno e viceversa. Vi ho citato due versetti di due Salmi; un testo che, prelevato dai due versetti, viene poi riproposto nella seconda lettera di Pietro, cap. 3, v. 8. Mille anni come un giorno. E questo per dire che mille anni è una cifra simbolica che serve a raccogliere tutto lo svolgimento della storia umana che dura mille anni, tremila, quattromila, cinquemila, ventimila: mille anni, il tempo nel corso del quale si svolge la storia umana ma, vedete, questo svolgimento temporale coincide con il giorno del Signore di cui si parla insistentemente già nella predicazione dei profeti, e quel giorno del Signore che fu il giorno della prima creazione. Mi riferisco non al primo, ma al secondo racconto, Genesi 2 e Genesi 3. In quel primo giorno in cui il Signore plasma dal fango della terra e soffia in modo tale da creare Adam e poi la compagna e poi il resto; tutto questo avviene nel primo giorno. Ebbene: il giorno del Signore porta a compimento quell’intenzione redentiva che si svolge lungo tutto l’arco della storia umana e adesso, vedete, noi siamo in grado di raccogliere lo svolgimento del millennio che simbolicamente contiene in sé tutta la storia di ieri, di oggi, di domani, in obbedienza a quel giorno: è il giorno del Signore che ormai è instaurato, è il giorno del Signore che ricapitola tutto lo svolgimento della storia in obbedienza a quell’iniziativa che fu manifestata fin dalla creazione. Il millennio di cui si parla qui è il tempo nel corso del quale si sta svolgendo la nostra storia, ma questo svolgimento nel tempo è interno al giorno del Signore, coincide con l’avvento di quel giorno, è l’attuazione definitiva di quel giorno che rimane; di quel giorno che è eterno, di quel giorno che è definitivo: è il giorno del Signore. Fatto sta che qui veniamo a sapere che il drago è già sconfitto fin da adesso, quando ancora noi siamo nel millennio, quando ancora è in corso il tempo della storia umana perché con Giovanni anche noi siamo alle prese con delle misure temporali che siamo abituati a precisare con una terminologia convenzionale; passano gli anni, passano i secoli, passano anche i millenni. E’ il millennio. Fatto sta che il drago è già sconfitto; lo è fin da adesso; questo sta affermando Giovanni. Vedete che il drago è afferrato, è incatenato per mille anni: “lo gettò nell'Abisso, ve lo rinchiuse”. L’avversario per eccellenza, colui che vuole imporsi come protagonista è già sconfitto in relazione alla Pasqua del Signore perché nella morte e risurrezione del Signore già è instaurato il giorno definitivo. Quel giorno del Signore è il giorno eterno che scandisce i tempi che ricapitola in sé tutti gli sviluppi, e che già segna il termine definitivo della storia umana. Il drago, mentre vuole ancora agitarsi, imporsi, affermare il proprio protagonismo nel corso del tempo, è già sconfitto. Vedete che qui, nel v. 3 il drago è gettato nell’abisso. Questo termine serve ad indicare l’ambito di dominio che ancora gli rimane per il millennio. Quell’ambito di cui il drago vuole approfittare mentre è in corso il millennio, che però è interamente ricapitolato nel giorno del Signore. Intanto, nel corso del millennio, l’avversario si agita nell’abisso. Qui “abisso” non indica un luogo particolare ma la realtà di questo mondo in quanto è ancora, durante il millennio, segnata dalle insidie dell’avversario che, per quanto sconfitto, non si è arreso. Questa è la situazione paradossale della nostra storia umana mentre è ancora in corso, mentre ancora siamo nel millennio, per cui l’avversario è sconfitto ma non si è arreso. E’ sconfitto in relazione alla Pasqua del Signore, al giorno del Signore la sua pretesa di dominare il tempo del millennio è una pretesa inconcludente, inefficace. E’ sconfitto, ma non si è arreso. Ed è questo il motivo per cui la realtà di questo mondo assume caratteristiche abissali o infernali. Ma, nello stesso tempo, non c’è dubbio: ormai è sconfitto. E’ rinchiuso nell’abisso: la porta è sigillata sopra di lui, “perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni”. Siamo nel corso dei mille anni ma, dal momento che il millennio precipita nel giorno del Signore, questo tempo si ricapitola nel giorno del Signore. La prepotenza di cui il drago vuole fare sfoggio nel corso del millennio è svuotata di forza; è sconfitto, non si arrende. Dice qui il v. 3 ancora: “Dopo questi – che sono i mille anni – dovrà essere sciolto per un po’ di tempo”. Attenzione a questa espressione; bisogna evitare di confondersi perché questo “dopo” (aggiungo la mia alle molte interpretazioni che sono state date) è da intendere nel senso di “sotto” o “dentro” al millennio; non è un “dopo” temporale. Dentro al millennio lui, il drago, è sciolto, si muove, si agita, “per un po’ di tempo”. E, vedete, questo “po’ di tempo” è una misura anche di spazio: quel movimento che ancora è concesso al drago come tentazione che serpeggia. Però la storia umana è ormai ricapitolata nel giorno del Signore, dunque è storia per la salvezza; nel corso del millennio il drago si agita per quel tanto che gli è concesso dalla complicità umana. Ha bisogno di questo spazio e di questo tempo per agitarsi nell’abisso. In modo sotterraneo, nascosto, invadente, insidioso, tormentoso, ma ha bisogno della complicità umana; per il resto è sconfitto, di fatto è sconfitto, lui è sconfitto. Può ancora operare nel corso del millennio per quel tanto che la malizia del cuore umano, l’iniquità, l’ingiustizia di cui dobbiamo attribuire a noi stessi la responsabilità, gli consentono di intervenire. Può ancora operare per quel tanto che la nostra libertà umana, inquinata dal peccato, glielo consente. Ha bisogno della nostra complicità per operare. Lui, di per sè, è sconfitto. Fin da adesso è sconfitto, nel corso del millennio; non si è arreso. Vedete, nel corso del millennio è sciolto, rimane sciolto per un po’ di tempo, per quello spazio di tempo, per quei percorsi sotterranei abissali che gli consentono di approfittare della connivenza che ancora trova – e trova, lo sappiamo bene, con micidiale efficacia – nell’egoismo umano, nel peccato umano, nella durezza del cuore umano. Ma intanto lui è sconfitto. Anzi vedete che qui, nel v. 3, nelle ultime parole che leggevamo: “Dopo questi (giorni, o meglio anni; dentro ai mille anni, sotto ai mille anni) dovrà essere sciolto per un po’ di tempo”. E’ interessante l’uso di questa forma verbale perché c’è una necessità provvidenziale; per quanto il drago voglia ancora darsi l’apparenza spavalda e prepotente di colui che domina la scena del mondo, nascostamente, approfittando dell’abisso, scendendo nei luoghi oscuri che gli consentono i giochi seduttivi più impensati e più squallidi, questa sua libertà di movimento è sottoposta a una necessità provvidenziale; lui è sconfitto. “Dovrà essere sciolto per un po’ di tempo”. La stessa permanenza della tentazione nel corso del millennio è sottoposta anch’essa a quella sconfitta che già riguarda il drago per se stesso. E’ davvero orribile questa vicenda di questa creatura angelica decaduta. Benchè sconfitto non si arrende. Fatto sta, vedete, che il millennio di cui Giovanni ci parla in questi primi tre versetti, e che è ancora il contesto nel quale il tentatore si agita, è già il tempo della vita nuova cioè di quella vita che è configurata alla pienezza definitiva del giorno della Pasqua del Signore morto e risorto, dunque una vita che è ormai instaurata in modo corrispondente alla vittoria del Signore sulla morte. E la morte è la conseguenza estrema del peccato umano.


La morte non ha più potere sui santi martiri

Leggiamo. V. 4: “Poi vidi alcuni troni e a quelli che vi si sedettero fu dato il potere di giudicare. Vidi anche le anime dei decapitati a causa della testimonianza di Gesù e della parola di Dio, e quanti non avevano adorato la bestia e la sua statua e non ne avevano ricevuto il marchio sulla fronte e sulla mano. Essi ripresero vita e regnarono con Cristo per mille anni (di nuovo il millennio); gli altri morti invece non tornarono in vita fino al compimento dei mille anni. Questa è la prima risurrezione. Beati e santi coloro che prendon parte alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte, ma saranno sacerdoti di Dio e del Cristo e regneranno con lui per mille anni”. Versetti di non facile comprensione. Vi invito a prendere per buone le mie proposte. Il millennio è già coincidente con il giorno della vita nuova, mentre gli uomini sono ancora sottoposti al regime della morte man mano che si succedono le generazioni dal Genesi in poi, dal primo peccato “tu vai incontro alla morte” dice il Signore Dio all’uomo. Ma di generazione in generazione, quell’intervallo di tempo che consentirà alla donna di partorire. Lì si apre quello spiraglio che consentirà poi, nel corso di quella storia umana ormai inquinata dal peccato che genera morte, di inserire già quell’impulso che prelude a tutto una rivelazione di nuove possibilità che Dio stesso man mano annuncerà e poi realizzerà: è la storia della salvezza. La storia della salvezza si inserisce in quell’intervallo di tempo che sta tra il peccato e la morte perché la morte che è conseguenza del peccato non è immediatamente collegata con il peccato. “Ha detto il Signore Dio: quando mangerai morirai”. E’ vero? Morirai: però con uno slittamento nel tempo; quel tanto che consente alla donna di partorire; così si va di generazione in generazione e quella è già una storia che diventa il quadro nel contesto del quale si inserisce l’opera della salvezza. E’ già il primo annuncio della salvezza quell’antico racconto che leggiamo nel cap. 3 del Genesi. Fatto sta, vedete, che gli uomini muoiono; ma gli uomini sono redenti in Cristo e Giovanni qui ci invita a contemplare la realtà di coloro che già siedono per giudicare e per regnare, coloro che già sono passati attraverso il martirio, ma più esattamente coloro che ormai sono coinvolti in quella relazione di appartenenza, di comunione con il Figlio morto e risorto per cui già sono morti e risorti con Lui. C’è di mezzo la novità del battesimo. Gli uomini peccatori che, mentre ancora sono alle prese con tutto quello che avviene nel millennio per cui le generazioni si avvicendano e per cui gli uomini peccatori continuano a morire, sono redenti. Ed ecco gli uomini che, in virtù del battesimo, muoiono in anticipo; in virtù del battesimo, che è già un’anticipazione della morte, ma è un’anticipazione della morte nel senso che ormai chi muore incontra il Signore vivente che è vittorioso sulla morte. E’ la prima risurrezione, come dice qui, che è relativa alla prima morte, quella battesimale che è, allo stesso tempo, già nascita a vita nuova che non muore più. E notate come qui, per Giovanni, non c’è da dubitarne: proprio coloro che già hanno reso testimonianza fino al martirio, coloro che si preparano al martirio, coloro che sono ormai segnati dall’impronta battesimale, proprio costoro governano la storia umana. V. 4: “Essi ripresero vita e regnarono con Cristo per mille anni”. Dunque nel corso del millennio già la nostra condizione umana mediante il battesimo e in virtù di questa comunione di morte e risurrezione con il Figlio di Dio, è condotta alla pienezza della vita che non muore più. Già la nostra condizione umana è dotata di quelle prerogative regali che competono a Cristo, il Figlio. Prerogative regali e, possiamo aggiungere, prerogative sacerdotali. Questa è la beatitudine di una vita che non muore più. Regali e sacerdotali sono le note caratteristiche di questa vita nuova a cui il battesimo consacra coloro che sono già morti in anticipo per esser già vivificati fin dall’inizio. Nel corso del millennio. Il battesimo è già un anticipo della morte ed è già un sigillo di comunione con il Figlio di Dio che ha vinto la morte, che è risorto nella gloria, che è intronizzato ed esercita in modo pieno e definitivo la sua funzione sacerdotale. Dice il v. 5: “Questa è la prima risurrezione. Beati e santi coloro che prendon parte alla prima risurrezione”. E’ la beatitudine che compete a coloro che già sono stati sigillati mediante il battesimo. Una vita che non muore più, una vita dotata di competenze regali e sacerdotali tanto è vero che subito leggiamo: “Su di loro non ha potere la seconda morte, ma saranno sacerdoti di Dio e del Cristo e regneranno con lui per mille anni”. Vedete: nel corso del millennio, che è esattamente la condizione nella quale ci troviamo noi, mentre il drago ancora imperversa a suo modo, già sono beati coloro che godono la pienezza di quei frutti corrispondenti alla pienezza della vita; su di loro non ha potere la seconda morte perché quando moriranno, moriranno in Cristo, non in obbedienza al peccato che produce la morte, ma in obbedienza al Signore della morte. Sono affermazioni di per sé scontate, scontatissime (siamo in tempo pasquale); è il linguaggio con cui si esprime la preghiera della Chiesa in occasione di ogni accompagnamento che viene dedicato alla condizione di coloro che incontrano la morte ed entrano nel riposo. Entrano nella vita. Perché? Perché già sono segnati: “Su di loro non ha potere la seconda morte, ma saranno sacerdoti di Dio e del Cristo e regneranno con lui per mille anni”. Coloro che già sono morti nel battesimo non muoiono più perchè questa seconda morte è già risucchiata nella prima risurrezione: è il compimento di un disegno redentivo che sigilla la comunità redenta nella comunione con il Figlio di Dio che è risorto dai morti, che è re e sacerdote. E’ veramente meraviglioso questo modo di guardare la morte: suprema espressione di una responsabilità sacerdotale; definitiva attuazione di una dignità regale. Così muoiono i battezzati in Cristo. Muoiono e nella loro morte non obbediscono al peccato, ma a Cristo, sacerdote e re. E nella loro morte portano a compimento quella che già è la novità che ha ristrutturato dall’interno la loro vita. Proprio in quel loro morire realizzano un atto di mediazione sacerdotale e assumono la pienezza delle prerogative regali. Questo è motivo di tutto un apparato liturgico che si muove in riferimento ai nostri defunti. Vedete: questo nel corso del millennio.


La sconfitta definitiva di satana

Dal v. 7 al v. 15. Nei primi sei versetti Giovanni ci ha parlato di quella che fin da adesso, nel corso del millennio, è la sconfitta dell’avversario ed è la vita nuova, quella che non muore più.. Ma il millennio non è interminabile: il millennio finisce, si esaurisce, è tempo che passa. Rimane il giorno del Signore e qui in questi successivi versetti vediamo la sconfitta finale: “Quando i mille anni saranno compiuti (dunque siamo sollecitati da Giovanni ad affacciarci su quell’orizzonte che si spalanca davanti a noi una volta che il millennio è concluso) satana verrà liberato dal suo carcere (nel v. 7 notate bene che il verbo è lo stesso che leggevamo nel v. 3: “verrà sciolto”, era il verbo sciogliere) e uscirà per sedurre le nazioni ai quattro punti della terra, Gog e Magòg, per adunarli per la guerra: il loro numero sarà come la sabbia del mare”. L’opera seduttiva a cui l’avversario si è dedicato nel corso del millennio e adesso, vedete, il millennio è esaurito: satana è stato sciolto, è in grado di muoversi per un po’ di tempo, per quello spazio che gli viene messo a disposizione dalla complicità umana (è quanto leggevamo di già). Vedete, ce la mette tutta. Una seduzione, quella che egli promuove, di carattere capillare che veramente vuole inquinare la storia umana in maniera da coinvolgere una partecipazione universale; qui c’è un esplicito richiamo ai capp. 37 e 38 di Ezechiele che già citavo precedentemente, in questo accenno a Gog e Magòg, ma anche ad altri testi dell’Antico Testamento, testi dei profeti e non solo. L’avversario vuole promuovere una ribellione ad oltranza e d’altra parte ricade, lui, con tutti i suoi inganni, all’interno dei limiti che riguardano la temporalità del millennio. L’apparenza è grandiosa: tutte “le nazioni ai quattro punti della terra… per adunarli per la guerra: il loro numero sarà come la sabbia del mare. Marciarono su tutta la superficie della terra”.

Emerge adesso, nella visione di Giovanni, l’esplicita aggressione al popolo di Dio: “Marciarono su tutta la superficie della terra e cinsero d'assedio l'accampamento dei santi e la città diletta”, la città amata. Citazioni antico testamentarie: ricordo l’immagine del popolo accampato, di tappa in tappa, nel deserto di cui leggiamo nei Libri dell’Esodo, del Levitico, dei Numeri, del Deuteronomio, mentre il popolo in marcia va di accampamento in accampamento, di parrocchia in parrocchia, di chiesa in chiesa; questa salita è intercettata, disturbata da un avversario che assume fisionomie differenti ma sempre pericolosissime, non c’è da dubitarne. Pensate a Amalek, nel cap. 17 del Libro dell’Esodo “fino all’assedio della città amata”; Salmo 87, v. 2, Salmo 78, v. 68; il cantico nel Libro di Tobia; la presenza del popolo di Dio, popolo amato. Proprio questo vincolo di comunione è instaurato nella gratuità di una gelosia che il Creatore ha espresso fin dall’inizio e che viene man mano ristabilito e reso comprensibile ed efficace, coinvolgente nel corso della storia umana. Ed ecco, la storia della salvezza come storia nel corso della quale gli uomini stanno man mano ritrovando la coscienza di essere creature amate. Per questo esiste la Chiesa e la sua missione, per questo il popolo cristiano è impegnato nell’evangelizzazione e proprio a riguardo di tutto questo si scatena l’aggressione: “Ma un fuoco scese dal cielo e li divorò. E il diavolo che li aveva sedotti (l’inganno è sbugiardato. Il seduttore aveva coinvolto le nazioni della terra per questa impresa distruttiva, mirata per l’appunto a contestare l’opera di Dio per la salvezza, ossia a rimuovere dal cuore umano la confidenza nel dono d’amore ricevuto da Dio) fu gettato nello stagno di fuoco e zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta: saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli”. Qui un esplicito richiamo a un gesto compiuto dal profeta Elia, nel secondo Libro dei Re, nel cap. 1°: “un fuoco scese dal cielo e li divorò”. Un intervento celeste che passa attraverso la pazienza e il martirio dei profeti: Elia è figura esemplare. In ogni caso il diavolo è sconfitto, è già sconfitto e la conclusione del millennio, laddove rimane il giorno del Signore, coincide con la rimozione dell’avversario, il grande truffatore che ha ingannato in tutti i modi e senza ancora arrendersi perché viene “gettato nello stagno di fuoco e zolfo”. Ritorna quella piastra infuocata dinanzi alla quale eravamo rimasti stupefatti e ammirati, laddove erano state gettate oltre la superficie di quello stagno di fuoco e di zolfo le due bestie. E adesso è lui, l’avversario, là “dove sono anche la bestia e il falso profeta (le due bestie): saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli”. Anche in questo caso la superficie di questo stagno di fuoco rimane impenetrabile per noi. C’è qui un richiamo all’episodio che leggiamo nel cap. 19 del Genesi a riguardo di Sodoma e Gomorra, un richiamo che il testo conferma in modo inconfondibile. Fatto sta, vedete, la superficie di quello stagno rimane impenetrabile. E, d’altra parte, emana una bellezza dinanzi alla quale noi restiamo incantati: che cosa ne sarà dell’avversario oltre quella soglia che per noi è impenetrabile? Non lo sappiamo, non siamo informati e non è neanche il caso di fare supposizioni incoerenti con tutto quello che ci è stato rivelato, tutto quello che riguarda l’intransigente volontà di salvezza del Dio vivente per tutte le sue creature. Ma noi non sappiamo altro se non che l’avversario – anche lui – è ricapitolato all’interno di un disegno nel quale il giorno del Signore è instaurato e l’opera del Signore si realizza in modo tale che la nostra salvezza, il nostro ritorno alla pienezza della vita ci conduce a contemplare, nella sconfitta dell’avversario, di quella creatura ribelle, un’epifania di splendore e di gloria. Che cosa ne sarà di quella creatura? Appartiene a Dio e appartiene certamente alla gloria splendida e incantevole del Dio vivente. Questo sappiamo.




La morte della morte: è gettata nello stagno di fuoco

Dal v. 11 al v. 15: “Vidi poi un grande trono bianco e Colui che sedeva su di esso (è il Dio vivente, un grande trono bianco e colui che sedeva, senza nome). Dalla sua presenza erano scomparsi la terra e il cielo senza lasciar traccia di sé”. Ricordate il Salmo 114 quando leggiamo “Che hai tu, mare, per fuggire, e tu, Giordano, perché torni indietro?”. Qui il verbo usato in greco è esattamente il verbo fuggire: “dalla sua presenza era fuggita la terra”. E’ il Dio vivente che si erge sul trono e dinanzi a lui tutto l’universo è sconvolto e ricapitolato. E’ il linguaggio del Creatore che porta a compimento le sue intenzioni senza più opposizioni. “Dalla sua presenza erano scomparsi la terra e il cielo senza lasciar traccia di sé”: ogni opposizione è rimossa. E allora: “vidi i morti (vedete: la morte non è più in grado di opporre resistenza. La morte è sconfitta, è domata, è riconciliata. Tutto fa sempre riferimento alla Pasqua del Figlio perché morto è Lui, Lui è passato attraverso la morte, ha piegato la morte, ha dominato la morte e ha trasformato la morte in strumento redentivo che rivela la gloria di Dio e apre per gli uomini l’ingresso alla vita nuova) grandi e piccoli, ritti davanti al trono. Furono aperti dei libri”. Vedete, i morti, tutti: è l’umanità intera, la moltitudine delle creature umane, tutti gli uomini che da Adamo in poi sono sottoposti al vaglio della morte e “dinanzi a Colui che siede sul trono, laddove si aprono i libri”. Questo accenno ai libri (che riprende testi che leggiamo nel Libro di Daniele e non solo) comunque ci invita a scrutare l’intimo del Dio vivente. Qual è il segreto di Dio? Il segreto che adesso viene esposto, viene manifestato. Ricordate il Salmo 87:

Il Signore scriverà nel libro dei popoli:

«Là costui è nato».

E danzando canteranno:

«Sono in te tutte le mie sorgenti»”.


Salmo 87, il libro di Dio, l’intimo di Dio adesso è spalancato, è squadernato, è proclamato e “i morti sono là”. “Fu aperto anche un altro libro, quello della vita”. Vedete: ci sono i libri e c’è il libro della vita, di cui già si è parlato nell’Apocalisse, che è quel criterio interpretativo di tutto quello che Dio ha voluto rivelarci, di quel segreto che Dio ha voluto esporre e mettere a nostra disposizione; quel criterio interpretativo che coincide con la Pasqua del Figlio; è il libro della vita dell’Agnello; il libro della vita. “Fu aperto anche un altro libro, quello della vita”. Nel segreto di Dio i libri vengono aperti, nel segreto di Dio il libro della vita diventa criterio definitivo per spiegare come tutto di quel che riguarda la nostra condizione di creature fino alla morte, tutto è recuperato in obbedienza al Figlio che ha sconfitto la morte in virtù della sua totale gratuità, nell’esercizio di un atto d’amore che è corrispondente al segreto di Dio. Nel segreto di Dio c’è un’intenzione d’amore che è più forte della morte conseguenza del peccato umano.

I morti vennero giudicati in base a ciò che era scritto in quei libri, ciascuno secondo le sue opere.” Dunque, vedete, ciò che sembra un modo perfettamente coerente con quello che si presenta come un quadro giudiziario nel quale considerare le cose: gli uomini, peccatori, che vanno incontro alla morte, giudicati in base a ciò che sta scritto nei libri? Ciascuno secondo le sue opere? Qui siamo, nella visione di Giovanni, di fronte a un accumulo di presenze: “Il mare restituì i morti che esso custodiva e la morte e gli inferi resero i morti da loro custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le sue opere. Poi la morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco”. Dunque, la morte è domata. Qui abbiamo a che fare con la sconfitta della morte che è la morte della morte. E quella morte seconda a cui già sono sottratti coloro che sono battezzati in Cristo per cui non muoiono la seconda volta e se muoiono è per essere sacerdoti e re in comunione con Cristo vivente. Se muoiono – e di fatto moriamo – è per essere sacerdoti e re in comunione con Cristo vivente. I battezzati: la seconda morte non ha potere su di loro. E adesso, qui, Giovanni sta dicendo che questa è la grande speranza: questi versetti sono grandiosi perché Giovanni sta dicendo che la grande speranza è che per tutti gli uomini che muoiono, in quanto sono morti, non c’è altro da aspettare che la loro glorificazione in Cristo. In quanto morti. Moltitudini di uomini: quelli che sono stati dispersi chissà dove; il mare che ributta fuori i cadaveri, e gli inferi e tutto quello che comunque ha il sapore della morte, il gusto della morte, il disgusto della morte, tutto quello che è condizione infernale, abissale, demoniaca della nostra condizione umana, là dove gli uomini muoiono, la morte è sconfitta nel senso che quella morte è dominata dall’Agnello sgozzato e vittorioso e gli uomini che vanno incontro alla morte e non possono sfuggire, comunque incontrano Lui. E gli uomini che sono morti? Gli uomini sperduti, dimenticati, spariti, spazzati via? Gli uomini che stanno morendo, che continuano a morire, che moriranno? Incontrano Lui. Vedete: nei libri c’è questo da leggere. Nei libri il criterio di lettura in base al quale gli uomini vengono giudicati è dato dal libro della vita. “Poi la morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco (anche in questo caso la superficie dello stagno infuocato, impenetrabile, splendido). Questa è la seconda morte, lo stagno di fuoco. E chi non era scritto nel libro della vita fu gettato nello stagno di fuoco”. Ma chi non è scritto nel libro della vita? Questa è la grande speranza della Chiesa che celebra la Pasqua del Signore disceso agli inferi. Questa è la grande speranza della Chiesa che continua a evangelizzare e che non annuncia la salvezza dei propri adepti e la condanna dei propri avversari, ma proclama che Cristo è risorto dai morti ed è vittorioso sulla morte. E in questo sta la sua vittoria: ha trasformato la morte da condanna in sigillo, in comunione redentiva per cui nessun uomo che muore può più sfuggire alla sua opera d’amore per la gloria di Dio.