Incontri di discernimento e solidarietà
 
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L’Apocalisse: il Mistero Pasquale luce della storia


Sesto incontro del ciclo 2007-2008

6 maggio 2008




Il Signore fa nuove tutte le cose



Dobbiamo affrontare questa sera le pagine conclusive del nostro libro, pagine che non possiamo trattare con eccessiva disinvoltura perché siamo di fronte alle visioni finali nelle quali si ricapitola veramente tutto. Con pazienza, con molta umiltà e confidando nella vostra comprensione per tutte le semplificazioni a cui io ridurrò il nostro lavoro, noi leggeremo il cap. 21 e lasceremo il seguito per il mese prossimo.

Le tre grandi visioni finali: cap. 21, vv.1-8; poi vv. 9-27; quindi, nel cap. 22, dal v. 1 al v. 5. I versetti che seguono nel cap. 22 costituiscono un epilogo di cui ci occuperemo, per l’appunto, tra un mese quando leggeremo anche la terza delle visioni che ho appena citato.

Sono tre, in sequenza fra loro e coordinate secondo uno schematismo che è tipico di tutto il libro, per cui ogni visione si sviluppa a partire dalla precedente; sboccia come un’ulteriore manifestazione, come ripresa cromatica, come originalità espressiva all’interno della visione precedente. E tutte si innestano in quella che è stata la visione introduttiva. Ricordate quel che leggevamo fin dal cap. 1: Giovanni, nel tempo della persecuzione, a Patmos, mentre è in corso la celebrazione dell’Eucaristia, nel giorno di domenica, vede il Signore che è il primo artefice dell’evangelizzazione e che sostiene la missione della Chiesa nella storia dell’umanità. Vede il Signore che è il protagonista della storia umana. E così le visioni si sono succedute fino a quelle ultime pagine che leggevamo nel corso dei mesi di quest’anno, laddove ci siamo resi conto di aver a che fare con l’interpretazione del senso che raccoglie in sé tutto lo sviluppo della storia umana in quanto l’Evangelo è protagonista. Ed è protagonista di quel conflitto che diventa un travaglio, un momento in cui si manifesta la piena e definitiva fecondità di un disegno che ritorna all’inizio, all’iniziativa di Dio, a quell’intenzione che il Dio vivente aveva rivelato fin dall’atto della creazione. Dopo tutto quello che nella storia umana ha significato opposizione, ribellione, rifiuto; dopo il dramma che è stato determinato dal peccato con tutte le sue conseguenze, ecco che Giovanni vede la vittoria riportata da Colui che è il protagonista: il Signore, l’Agnello immolato e trionfante. E’ Lui che affronta tutte le negatività che si sono accumulate nella storia degli uomini. Abbiamo assistito allo smontaggio progressivo di tutto ciò che ha costituito lo strumento dell’opposizione, del rifiuto, della pretesa umana di costruire una storia alternativa a quella illuminata dall’iniziativa originaria del Dio vivente. “E’ caduta Babilonia”, la bestia è stata esautorata; l’impero e, con la bestia, l’altra bestia che le fa da sostegno e da strumento culturale. E poi, ancora, satana, il drago, il tentatore, l’avversario per eccellenza è sconfitto. Come pure è sconfitta la morte che costituisce l’effetto nel quale si condensa tutta la negatività del peccato umano; quella morte che l’avversario vuole gestire come dimostrazione che l’iniziativa di Dio è stata un fallimento; la morte, essa stessa, è sconfitta ed è trasformata in sigillo di comunione con l’Agnello perché è Lui che l’ha attraversata, conferendole il valore di un incontro che realizza una comunione indissolubile: gli uomini che muoiono, e che così vanno incontro alle conseguenze del loro peccato, incontrano l’Agnello vittorioso, che ha vinto la morte, che ha instaurato oramai la pienezza definitiva di quel disegno che ricapitola ogni cosa in obbedienza a Dio.

A questo punto affrontiamo la lettura di queste tre visioni conclusive. Ecco come, in una prospettiva sempre più ampia, sempre più profonda e ricapitolativa di tutto, Giovanni è in grado adesso di contemplare lo svolgimento integrale della storia umana, così come è possibile a partire dalla fine. Quel che noi abbiamo appreso fin da quando abbiamo avviato la lettura di questo libro. Un messaggio apocalittico che proietta una luce penetrante, in grado di cogliere il senso di quel che avviene nella storia umana proprio perché questo messaggio parte dalla fine: la fine ormai è acquisita, ormai appartiene a Dio, ormai è Apocalisse ossia svelamento inconfutabile di quella vittoria che proclama la gloria del Dio vivente. Ecco come appare la scena del mondo; ecco come Giovanni è in grado di cogliere, nei suoi elementi essenziali, il significato di tutto il lungo, complesso, drammatico svolgimento della la storia umana.


La storia di un fidanzamento

Cap. 21, vv. 1-8. Un affaccio (così possiamo intitolare anche le due visioni che seguiranno); affacci, come è possibile da una balconata che consente, per l’appunto con un solo colpo d’occhio, di osservare un panorama amplissimo a cui non sfugge più niente; dopo tutto il percorso compiuto da apprendista (in questo Giovanni, il profeta, ci ha fatto da battistrada) ecco come appare la scena del mondo.

V. 1: “Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più”. Una novità totale, cielo e terra, è tutta la creazione che qui è instaurata in un contesto di novità che è esauriente, che è davvero ecumenico. Cielo e terra e, vedete, il cielo e la terra di prima sono scomparsi. Un nuovo cielo e una nuova terra. Ricordate che proprio così si apre il primo racconto della creazione, cap. 1 del Genesi: “In principio Dio creò il cielo e la terra”. Ma non si tratta soltanto di una novità di ordine cosmologico. Qui è instaurata quella novità che riguarda essenzialmente la vocazione alla vita di quella creatura che, nel contesto della creazione, detiene un ruolo di spicco, di presidenza, che esercita una necessaria responsabilità verso l’insieme della creazione. Un nuovo modo di vita. La scenografia qui è ridottissima. Appunto: cielo – terra e usando questi due termini il nostro Giovanni dice tutto. Il fatto è che si tratta di una scenografia interiore: “il mare non c’era più”, ossia non c’è più la presenza del negativo. Il mare qui è da intendere come la minaccia, l’aggressione, lo strumento del disordine (ricordate fin da quell’abisso primigenio dal quale viene estratto il materiale che poi diventa il contenuto di cui il Creatore si serve per ordinare il mondo; ricordate le acque del diluvio, e così via). “Il mare non c’era più”. E’ un dato di ordine non cosmologico ma interiore: non c’è più il negativo, è un nuovo modo di vita che è stato instaurato. Del mare si parlava ancora sino al cap. 20, nel v. 13. Adesso, vedete, il mare non c’è più. E’ una nuova creazione nel senso che è un nuovo modo di stare al mondo che mette in evidenza, in maniera inconfondibile, la presenza, come già vi ricordavo, della creatura umana nel contesto della creazione: è un mondo nuovo. E’ nuovo nei dati empirici che possiamo registrare, ma è rinnovato perché è nuova la presenza della creatura umana che è in grado di vivere, ossia di esercitare quelle relazioni che la aprono al contatto con il mondo; vivere senza dipendere dalle ombre, dagli effetti inquinanti di tutto ciò che è stato precedentemente registrato nel corso della storia umana. Il negativo non esiste più.

V. 2: “Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo”. Qui adesso c’è la nuova Gerusalemme che appare sulla scena come una presenza che possiamo sovrapporre all’immagine che Giovanni ci presentava immediatamente prima: “nuovo cielo e nuova terra, nuova Gerusalemme” (questa nuova Gerusalemme coestensiva al mondo). Ma, vedete, il mondo nel senso di quella realtà che è l’ambiente nel quale un nuovo modo di vivere ci riporta all’intenzione originaria di Dio per quanto riguarda la vocazione della creatura umana. E, dunque, la città santa; la nuova Gerusalemme è il mondo in quanto contesto nel quale la storia umana è ricapitolata in una città; città santa; una città nella quale la santità del Dio vivente trova riscontro senza obiezioni. Naturalmente qui l’immagine passa attraverso tutta la rivelazione antico-testamentaria, tutta la storia della salvezza: nei fatti della storia contemporanea a Giovanni Gerusalemme è stata distrutta nell’anno ’70 d.C. e quindi, quando Giovanni scrive queste pagine, Gerusalemme è un ammasso di rovine. D’altra parte, vedete, qui non è in questione studiare quale sarà la sorte di quella località di nome Gerusalemme che nel corso della storia ha affrontato tante vicissitudine e nell’epoca contemporanea a Giovanni è stata segnata da una catastrofe ancora una volta sconvolgente. Quella Gerusalemme viene rievocata in quanto è stata, è e rimane segno sacramentale che anticipa lo svolgimento della storia intera che ormai si presenta a noi dotata della sua fisionomia matura: la storia umana è la storia dell’umanità fidanzata. E qui, vedete, con un unico colpo d’occhio, Giovanni è in grado di ricapitolare tutto lo svolgimento della storia umana al modo di quella fidanzata che esce dalla casa paterna per andare incontro al suo sposo. Questa figura sta in diretta contrapposizione a quella della “grande prostituta” di cui Giovanni ci parlava precedentemente, nei capp. 17-18.

Un mondo nuovo, perché è nuovo il modo di stare al mondo dell’umanità; ed ecco un mondo nuovo, perché ormai la storia dell’umanità assume inconfondibilmente il proprio significato definitivo. Questa è la storia di un fidanzamento. E un fidanzamento che non comporta tergiversazioni, incertezze, rinvii, problematiche di ordine contrattuale, approssimazioni di ordine affettivo: “pronta come una sposa adorna per il suo sposo”. E’ pronta.


Dio prende dimora tra gli uomini

Vv. 3-4: “Udii allora una voce potente che usciva dal trono (una voce angelica, questa, che riecheggia le profezie antico-testamentarie; le riecheggia in modo sintetico ma molto sapiente, magistrale: spiega che cosa sta succedendo, qual è la realtà che Giovanni sta contemplando nella sua visione):

«Ecco la dimora di Dio con gli uomini!

Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo

ed egli sarà il "Dio-con-loro"»

Qui si potrebbero citare numerosi testi dell’Antico Testamento (vi rimando alle note a bordo e a piè di pagina che qualsiasi edizione della Bibbia contiene). E’ un modo per ricapitolare tutta la storia della salvezza che la voce angelica dichiara sostenuta, strutturata da quella promessa riguardante “la dimora di Dio presso gli uomini”. Il compimento della promessa di Dio segna qual è stato il dinamismo della storia umana che, ormai, non può essere interpretata se non in base all’iniziativa di Dio, alla sua volontà di dimorare presso gli uomini, di entrare in comunione con le sue creature, di condividere con loro, nel contesto della creazione a questo scopo predisposta, una relazione di vita. “Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il Dio-con-loro”. E’ qui rievocata inconfondibilmente la famosa promessa dell’Emmanuele, nel libro di Isaia, nel cap. 7 (v. 14) “Dio-con-loro”. Tutta la storia della salvezza è protesa verso l’incarnazione, verso quel prender dimora nella carne umana del “logos”, della parola di Dio di cui parla il prologo del Vangelo di Giovanni. Tenete presente che qui, dove dice “dimora di Dio con gli uomini” in greco è il termine skenè che vuol dire “tenda” e dove dice “Egli dimorerà”: “skenosi”, “si attenderà, si accamperà”. E voi sapete bene che questo è il linguaggio usato dall’evangelista Giovanni quando, nel prologo del suo Vangelo, dice che il “logos” si fece “carne e venne ad abitare in mezzo a noi”, “venne ad accamparsi, ad attendarsi in mezzo a noi” (Gv.1,14). L’incarnazione, dunque, si configura qui come il riempimento del mondo che è dimora nella quale Dio viene ad abitare e la storia umana è esattamente condensata, concentrata, identificata nel compiersi del disegno là dove il Dio vivente ha voluto prendere dimora.

Il v. 4 aggiunge: “e tergerà ogni lacrima dai loro occhi, non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno perché le cose di prima sono passate”. Qui pure possiamo individuare testi antico-testamentari: Isaia 25, 35, e altri testi ancora. Il fatto è che qui l’accenno alle lacrime ci rimanda, in modo evidentissimo, a quella che è stata nella storia della salvezza l’esperienza dell’esilio, che si è riproposta in diversi contesti e con diverse specificazioni; un’esperienza che in una certa epoca ha un suo risvolto macroscopico, ma è una storia d’esilio che viene da lontano, dall’inizio, fin dal tempo del giardino, da quando i progenitori debbono abbandonare il giardino della vita: ecco l’esilio, un esilio irrorato di lacrime. Ebbene, vedete, questa storia umana, la storia dell’esilio, ormai assume, sotto lo sguardo di Giovanni, il significato di un accampamento che consente riposo, ristoro, consolazione all’umanità esperta nel pianto. Come il mondo intero qui si configura alla maniera di quella tenda in cui il Dio vivente viene ad abitare, così la storia umana, che è la storia dell’esilio, sofferto fino all’estrema tribolazione, si configura come la storia del ristoro. Là dove il Dio vivente viene ad abitare, là il cuore umano, esperto nel dolore, trova dimora nel cuore di Dio. “E tergerà ogni lacrima dai loro occhi, non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno perché le cose di prima sono passate”.


Gli assetati berranno dalla fonte della vita

Dal v. 5 al v. 8 si fa udire la voce stessa di Dio. Dopo la voce di quella magistrale guida angelica che ci ha fornito gli elementi essenziali per renderci conto di quello che è successo, adesso è proprio Lui che prende la parola: “E colui che sedeva sul trono disse: «ecco, io faccio nuove tutte le cose e soggiunse: scrivi perché queste parole sono certe e veraci”». Questa è la volontà del Creatore che ha fatto tutto nuovo, perché, notate bene, “le sue parole sono certe e veraci”. Questo è un modo per riferirsi all’incarnazione della Parola: la parola di Dio si è realizzata, si è fatta carne, è il Figlio che è disceso ed è risalito ed è in Lui che tutta la creazione è stata rinnovata ed è in Lui che tutta la storia umana oramai è riconciliata in modo tale che il mondo è il contesto nel quale l’umanità è in grado di rispondere alla propria vocazione alla vita senza più sottostare alle conseguenze di quell’antica ribellione che ha inquinato ogni cosa. “Queste sono parole certe e veraci. Scrivi”. E’ la missione assegnata a Giovanni, è il motivo per cui Giovanni ha scritto, sta scrivendo e tra poco concluderà la stesura del libro che poi lascia alla Chiesa e a noi. Ed è – la missione affidata a Giovanni – in diretta continuità con quella missione che il Figlio di Dio, proprio Lui, ha portato a compimento in maniera oggettiva e ineccepibile:

queste parole sono certe e veraci.

Ecco sono compiute!

Io sono l'Alfa e l'Omega,

il Principio e la Fine.

A colui che ha sete darò gratuitamente

acqua della fonte della vita.

Chi sarà vittorioso erediterà questi beni; io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio.

Ma per i vili e gl'increduli, gli abietti e gli omicidi, gl'immorali, i fattucchieri, gli idolàtri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. E' questa la seconda morte».


Fin qui la prima visione di questa terna finale. La nuova creazione, che adesso Lui stesso – il Dio vivente – sta descrivendo, costituisce l’attuazione di quello che era il suo intento originario. E’ per questo che il Figlio è stato inviato e si è presentato a noi nella carne umana; è per questo che adesso il mondo è diventato “tenda” in cui il Dio vivente si compiace di dimorare ed è per questo che la storia umana adesso è diventata da storia di esilio a storia di ristoro. Le lacrime versate dagli uomini, lacrime consolate nella pienezza di una relazione che è stata rinnovata. Qui, nel v. 6, leggevo: “A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita”. Innumerevoli citazioni dell’Antico Testamento. In particolare vorrei richiamare il cap. 55 di Isaia, v. 1, perché qui veniamo a sapere che già siamo in grado di identificare la novità della vita a cui gli uomini sono chiamati e questa novità si manifesta nella sazietà della sete. Questa sazietà per cui gli uomini sono in grado di vivere in pienezza, si realizza là dove gli uomini sono in grado ormai di apprezzare ciò che è gratuitamente donato: il discernimento della gratuità è divenuto il criterio in base al quale tutte le relazioni vitali sono impostate, strutturate, attivate ed è in questo modo che la vocazione alla vita, che originariamente fu donata dal Creatore agli uomini, si realizza. “A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita.”. E nel v. 7 questa novità, che coincide con la recuperata capacità di apprezzare ciò che è gratuitamente donato, coincide con quella vittoria (così si esprime il v. 7) che è registrata da coloro che scoprono di essere figli di Dio: nella comunione con il Figlio, che è morto ed è risorto, è Lui l’Agnello immolato e vittorioso, la promessa messianica (che si rifà a un testo famosissimo di 2 Samuele, 7) viene applicata a quella novità che oramai contrassegna indelebilmente la vocazione alla vita di tutti gli uomini. “Chi sarà vittorioso erediterà questi beni”. E’ quella vittoria che compete agli uomini nuovi, che ormai sono in grado di vivere nel contesto di una strutturale esperienza di gratuità; dove l’esperienza del dono, gratuitamente ricevuto, diventa esattamente il criterio interiore per impostare, organizzare, gestire, realizzare la vita. Figli? Figli. E quella figliolanza che è del Messia, il Figlio inviato, Gesù Cristo, il Signore, adesso è eredità che viene da Lui condivisa con tutti gli uomini che sono resi partecipi della grande vittoria. “Chi sarà vittorioso erediterà questi beni ed egli sarà mio figlio”.


E’ finita la menzogna

Nel v. 8 questo proclama viene confermato nel suo risvolto negativo: è escluso ormai qualsiasi compromesso con l’idolatria. I termini usati servono ad identificare i volti minacciosi, ossessivi, mostruosi, demoniaci, dell’idolatria: “Ma per i vili e gl'increduli, gli abietti e gli omicidi, gl'immorali, i fattucchieri, gli idolàtri (sono sette categorie che potremmo anche tentare di descrivere in maniera più precisa ma per adesso è il caso che le assumiamo in blocco, a cui si aggiunge un termine che serve – mi sembra proprio di poter dire – a ricapitolare tutte le sfaccettature del quadro che ci sono state fornite, ossia i mentitori) e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. E' questa la seconda morte».” E’ finita la menzogna oramai; la menzogna che nascondeva, copriva, contestava, rifiutava, che dubitava. L’idolatria è espulsa. Quegli uomini nuovi, coloro che stanno muovendo i loro passi nel discernimento della gratuità, coloro che stanno man mano prendendo posizione nel contesto di una vita che è strutturata in obbedienza alla figliolanza, quegli uomini nuovi – che per altro verso potremmo definire i battezzati, coloro che sono impegnati in un cammino di conversione, coloro con cui abbiamo già fatto i conti in tanti altri modi – sono venuti fuori da quella situazione. Questa è la storia umana: venir fuori dalla menzogna. Il mondo nuovo è questa uscita dal grande imbroglio, da questo inganno colossale, terrificante. E adesso la nuova Gerusalemme si fa riconoscere. Questa è la storia del fidanzamento che giunge fino all’incontro sponsale; è la storia della casa che è stata preparata appositamente per le nozze; è la storia della grande fatica, dolorosissima, che pure è avvolta da segni di consolazione dolcissima. E’ la storia dell’intimità ritrovata nella comunione tra il Dio vivente e la creatura umana e tutte le creature di questo mondo sono al servizio di questo ristabilimento della relazione familiare tra il cuore di Dio e i cuori piagati degli uomini.


La nuova Gerusalemme, sposa dell’Agnello

Seconda visione: dal v. 9 al v. 27. Riprende uno degli elementi che erano già presenti nei versetti che abbiamo appena letto e ci consentirà di approfondire la contemplazione di quell’immagine. Più esattamente si tratta della nuova Gerusalemme. Come vi dicevo all’inizio, la prima visione, quella che abbiamo appena letto, in una certa maniera contiene anche le due visioni di quest’ultima terna. Questa sera leggeremo soltanto la seconda, rinviando la terza al mese prossimo. Sono arricchimenti, ingrandimenti, approfondimenti di realtà già contenute nella prima visione, quella del mondo nuovo, come possiamo adesso intitolarla. Mondo nuovo, vita nuova. Il mondo è rinnovato perché è nuova la vita; il mondo non sussiste indipendentemente dalla vocazione alla vita degli uomini. Vv. 9 e 10: “Poi venne uno dei sette angeli che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli (li conosciamo da qualche tempo) e mi parlò: «Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell'Agnello»”. Vieni, adesso ti faccio vedere da vicino chi è questa fidanzata che già è matura per una relazione nuziale. La fidanzata, la sposa dell’Agnello. Vieni che adesso te la presento. “L'angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, (l’immagine di quella balconata da cui ci si può affacciare per abbracciare tutto il panorama, così come mi esprimevo precedentemente, qui è raffigurata come un monte alto che consente appunto di osservare tutta la scena) e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio.”. Si tratta, dunque, di una città e, notate bene, ne parlavamo altre volte, parlare di una città è parlare di quella spinta che ha sostenuto dall’interno tutta la storia umana; è la grande iniziativa umana quella che matura nella costruzione della città dal tempo di Caino in poi. Anche questo sappiamo già: il primo costruttore di città è Caino. La lettura dell’Apocalisse ha richiamato una notizia che non ci è affatto ignota. La storia dell’umanità può essere ben raffigurata come la storia dell’edificazione di una città che, da Caino in poi, assume prerogative preoccupanti, angoscianti; Caino non vuol più avere a che fare con un fratello; Caino mette in piedi una realtà grandiosa, affascinante, commovente, impegnativa, coagulo di forze, mercato che consente contatti con le culture diverse, la produzione a cui è dedito il lavoro delle popolazioni più lontane, la città come luogo nel quale si sviluppa tutto un progetto di civiltà; eppure la città, da Caino in poi, porta in sé un seme di violenza, di cattiveria, di ingiustizia che, per quanto nascosto, sepolto, al momento opportuno o inopportuno esplode immancabilmente: una volontà di morte. A suo tempo, quando è caduta Babilonia, Giovanni ci diceva che “è apparso il sangue di tutti gli sgozzati”, alla fine del cap. 18 (v. 24); da Abele in poi il sangue di tutti gli sgozzati, il sangue di tutti i fratelli rifiutati: appunto la città, da Caino in poi, costruita su un fondamento che è impregnato di quel sangue. E adesso, vedete, Gerusalemme. E’ una città ma è una città che nel corso della storia della salvezza è stata piegata in obbedienza a un disegno rievocativo, un disegno educativo, il santo che si è presentato per cercare dimora. E’ vero che poi la Gerusalemme della storia umana è come ogni altra città, lo dimostrano i fatti del passato e del presente. E’ come una qualunque altra città la Gerusalemme presente sulla scena del mondo, nella storia degli uomini; ma è pur vero che quella città porta con sé un valore sacramentale, una promessa, la dimostrazione che Dio avanza, che la santità del Dio vivente vuole introdursi, vuole portare a compimento le sue intenzioni, e adesso, vedete, è fidanzata, pronta per un incontro nuziale.

Vediamo che cosa succede. Qui dice che la città, in quanto fidanzata, scendeva dal cielo, da Dio “splendente della gloria di Dio”. E’ la fidanzata che esce dalla casa paterna ed è questa fidanzata che porta con sé la dimostrazione di come Dio non abbia mai rinunciato alla sua intenzione originaria. Nella storia degli uomini si inserisce questa presenza che attira a sé tutte le altre componenti del quadro e tutto nella creazione e tutti gli eventi che sono accaduti nella storia umana, tutto si concentra là dove questa fidanzata avanza; tutto si condensa, converge in lei. E Giovanni ce la descrive.


Lo splendore della città santa

Vv. 11-14: questa città in relazione all’ambiente circostante. “Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino.”. La nota di luminosità è particolarmente valorizzata; è una luminosità attrattiva, notate bene questo particolare. La città è sistemata, edificata, disegnata, organizzata in modo tale da attirare a sé e accogliere in sé tutto quello che si dispiega sulla scena del mondo. Questo certamente dipende dal fatto che la gloria di Dio abita in essa; è il Dio vivente che trova dimora nella creazione e là dove la storia umana era storia di ribellione adesso è storia di obbedienza, di comunione realizzata; è la storia del Figlio che risponde al Padre, è la storia dell’umanità nuova che si affida alla volontà del Dio vivente. Leggiamo ancora: “La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele (sono espressioni citate pressochè alla lettera dal libro di Ezechiele). A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e ad occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello”. Sono i segni della presenza di Dio che Giovanni coglie nella preziosità del materiale utilizzato per la fabbrica di questa creatura. Spicca soprattutto la trasparenza. Notate qui l’insistenza sulle mura, che di per sé sono un dato ordinario per una città. Soltanto che qui le mura non servono a tenere lontano l’esterno; le porte segnate dai nomi delle tribù di Israele assumono la prerogativa di quel disegno che, passando attraverso la storia della salvezza, mette a disposizione un criterio valido per interpretare quel che succede sempre e dappertutto. Non sono mura costruite per mantenere le distanze, ma per favorire la mediazione. E accanto alle dodici porte ci sono i dodici basamenti (dice il v. 14) che si potrebbe tradurre anche con “bastioni”; in ogni caso ciò che dà solidità e stabilità all’edificio; l’impianto architettonico è incrollabile. Ci sono le porte e, relativamente alle porte, le dodici tribù di Israele. Ci sono i bastioni e, relativamente ad essi, i nomi dei dodici apostoli dell’Agnello. Dunque il popolo cristiano e la sua storia in continuità con la storia del popolo di Dio: è un’unica storia, nell’Antico e nel nuovo Testamento; tutto gravita attorno all’Agnello che si è manifestato a noi nella pienezza dei tempi. Fatto sta, vedete, che i dodici bastioni – strettamente, intrinsecamente collegati con la presenza del popolo cristiano – manifestano una solidità che non schiaccia (come, invece, avviene nell’esperienza della storia fatta dagli uomini: la città costruita da loro diventa un monumento che impone la propria presenza, che domina la scena). Qui la solidità di questi bastioni è messa a disposizione come sostegno, supporto, presenza che sostiene il carico dell’insieme. C’è di mezzo la storia dell’umanità, c’è di mezzo il mondo circostante, il passato e l’avvenire. Questa città non si definisce in sé e per sé, ma in relazione al contesto circostante; è inseparabile dalla complessa realtà in cui tutte le creature vengono riconosciute nello spazio e nel tempo. Questa città è presente non per espellere, ma per attirare, non per schiacciare, ma per sopportare.


Il fascino irresistibile della nuova Gerusalemme

Vv. 15-21. Dopo aver contemplato la luminosità (tutte le considerazioni su cui mi sono soffermato scaturiscono da quella prima percezione del fulgore che la città emette: un’attrazione a cui nulla e nessuno può più sottrarsi) adesso Giovanni osserva la città ancor più da vicino e la misura per quelle che sono le sue prerogative interne, per come funziona in sè e per sè. Anche le misure sono determinate dall’iniziativa gloriosa del Dio vivente, perché è Lui che vuole dimorare in mezzo agli uomini.

Colui che mi parlava aveva come misura una canna d'oro, per misurare la città, le sue porte e le sue mura”. Abbiamo a che fare con il libro di Ezechiele, “le sue porte, la lunghezza e la larghezza sono eguali” (è un cubo il cui lato misura circa 2.000 chilometri; una misura fuori ogni possibilità di calcolo; lunghezza, larghezza, altezza: un cubo che ricapitola in sé tutto del mondo e della storia umana, ma in obbedienza a Dio, in corrispondenza alla sua intenzione). Un immenso cubo con il lato di circa 12.000 stadi (corrispondenti, come dicevo, a circa 2.000 chilometri. Dodicimila è cifra del tutto simbolica). “Ne misurò anche le mura: sono alte centoquarantaquattro braccia, (12 per 12, qualcosa come una settantina di metri), secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall'angelo. Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. Le fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedònio, il quarto di smeraldo, il quinto di sardònice, il sesto di cornalina, il settimo di crisòlito, l'ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l'undecimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta è formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente”. Ritorna qui l’accenno a quella trasparenza su cui mi ero già soffermato leggendo i versetti precedenti. Vedete: le mura non separano ma sono tramite di comunicazione, sono garanzia di gioiosa comunione. Sullo sfondo un testo di Neemia, cap. 8, v. 10: “La gioia del Signore è il nostro baluardo difensivo”. Quale mura per Gerusalemme, quale mura per noi, quale difesa, quale apparato architettonico può valere come garanzia di stabilità per la nostra città? Esattamente: “la gioia del Signore”, la comunione, il gaudio dell’incontro, della trasparenza su cui Giovanni adesso ancora insiste. “Le fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose”. Tutto conferma il valore straordinario di questa costruzione immensa e dotata di una qualità decorativa davvero al di sopra di ogni immaginazione. L’elenco delle dodici pietre preziose che sono usate per far da basamento (o da baluardo o da bastione) ci rimanda alla potenza attrattiva di questa città e alla fedeltà incrollabile di cui essa dà prova in quanto punto di riferimento che assorbe in sé il peso di tutto l’insieme. “Il primo fondamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedònio, il quarto di smeraldo, il quinto di sardònice, il sesto di cornalina, il settimo di crisòlito, l'ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l'undecimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. E le dodici porte sono dodici perle (vedete che le porte sono transitabili); ciascuna porta è formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente.” Siamo già dentro la città; la porta non è un impedimento ma uno strumento che favorisce l’ingresso, l’assorbimento; siamo già sboccati nella piazza, nel cuore della città, provenendo dall’esterno da dove abbiamo potuto ammirare la città che ha messo a nostra disposizione quanto costituisce il suo fulgore interno.


Il tempio della città è il Signore Dio

Vv. 22-23: “Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio (è presente la gloria del Dio vivente). La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina è la sua lampada è l’Agnello”. Questa è un’immagine trinitaria: l’Onnipotente, l’Agnello, la Luce. La città è abitata dal Dio vivente; dunque non c’è bisogno di un tempio; è città che esercita in pienezza quella funzione radicalmente trasformata nel corso della storia della salvezza per cui non è più la città di Caino; è “città” nel senso che è la storia degli uomini; c’è dentro l’umanità intera con tutto il suo travaglio e con tutte le contraddizioni accumulate lungo il percorso, ma tutta l’umanità è ricapitolata in questa città che non è più quella di Caino.


La città dei fratelli, nel nome dell’Agnello

Vv. 24-27. Questa città è esattamente edificata in modo tale da diventare lo strumento che consente e realizza il riconoscimento tra fratelli. Mentre la città di Caino è quella che esclude la presenza di un fratello da riconoscere, questa è la città nella quale la storia umana è ricomposta dall’interno e riconciliata in obbedienza all’intenzione gloriosa del Dio vivente: è storia di riconoscimento tra fratelli. “Le nazioni cammineranno alla sua luce (citazione di Isaia, 60, v. 3) e i re della terra a lei porteranno la loro magnificenza.” Un pellegrinaggio universale che accorre verso la città. Non c’è limite di spazio, non c’è problema per quanto riguarda l’accoglienza: tutte le ricchezze che l’umanità ha raccolto e accumulato lungo il proprio percorso con il lavoro degli uomini; gli eventi culturali passati, con tutte le contraddizioni spesso davvero disastrose, che hanno accompagnato la vicenda umana; non si perde nulla; tutto si raccoglie in quella città; un convoglio che porta con sé un carico immenso; e finalmente in quella città la presenza di coloro che sono diversi, di coloro che erano dispersi chissà dove, di coloro che erano stati dimenticati, di coloro che sono stati anche motivo di conflitto, a volte ferocissimo, quella presenza adesso è riconosciuta e apprezzata come una componente che concorre positivamente alla vita della città. “Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, poiché non vi sarà più notte”. Dunque non si chiuderanno mai le porte perché non c’è notte. Mai. Le porte come garanzia della relazione, del contatto, della comunicazione: un’accoglienza smisurata quella di cui è dotata questa città. “E porteranno a lei la gloria e l'onore delle nazioni.” Le nazioni sono i popoli pagani, è l’umanità, è la storia intera con tutte le sue vicissitudini e “Non entrerà in essa nulla d'impuro (ci risiamo; è un accenno su cui già mi ero soffermato a proposito della prima visione: non c’è più spazio per l’idolatria) né chi commette abominio o falsità, ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell'Agnello”. E’ la città dei fratelli che si ritrovano, che si riconoscono, e questo riconoscimento fraterno riguarda anche Caino; anche a lui è ridata la gioia di incontrare un fratello senza temere la vendetta: nel nome dell’Agnello.

Tutta la storia della salvezza è la storia di una città che deve esser rieducata. Riguarda la salvezza di Caino. Come faremmo a salvare Caino quando Caino non vuol più saperne di un fratello e non vuol saperne al punto che ci costruisce sopra una città?

Si va da Genesi 4 (siamo all’inizio di tutto) sino alla fine dell’Apocalisse e questa cornice è, dal punto di vista teologico, davvero potentissima, efficacissima.