Incontri di discernimento e solidarietà
 
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Martedì 5 aprile 2005


A Dio interessa il cuore dell’uomo



La volta scorsa abbiamo letto i capitoli 13 e 14, introducendoci così nella “sezione” che dal cap. 13 giunge al cap. 23 e che solitamente è intitolata “Oracoli sui popoli” (o “sulle nazioni della Terra” o “sui popoli stranieri”). Il profeta ha un orizzonte davvero ecumenico: non è attento soltanto alle vicende del “suo” popolo, ma è spettatore di eventi che sono da lui interpretati come rivelazione inconfondibile dell’iniziativa di Dio. Sì, perché è Lui – il Vivente, il Santo – il vero protagonista della storia umana! Quest’affaccio su un orizzonte universale è frutto della capacità del profeta di leggere ciò che avviene nel cuore umano che – come abbiamo già constatato in molti modi – rappresenta una caratteristica tipica di Isaia il quale, appunto, è in contemplazione dell’opera di Dio nel cuore dell’uomo. E’, quindi, in discussione la condizione umana. Ogni persona è interpellata: ogni creatura umana è chiamata ad intraprendere il cammino della conversione e del ritorno alla vita. La particolare vocazione assegnata al popolo dell’alleanza acquista un valore di riferimento e un significato esemplare; ma è in questione la storia di tutti gli uomini, il loro cammino di conversione che viene illuminandosi proprio in riferimento alla liberazione del cuore indurito, che è attraversato dall’iniziativa di Dio, il quale vuole ricondurre alla pienezza della vita coloro che hanno disimparato a vivere. Per questo risultato di vita è necessario partire dalla rieducazione del cuore.


L’intenzione di Dio sull’uomo: il ritorno alla vita

Proseguiamo nella lettura degli oracoli sui popoli pagani, facendo qualche salto e ricordando che, all’interno di queste pagine, sono inseriti anche canti, poemi e testimonianze di profeti diversi da Isaia, che hanno svolto il loro ministero in epoche successive, anche se resta costante il richiamo alla figura e alla predicazione del grande profeta. Emergono altre voci, che gradualmente si impongono in tutta la loro originalità e che ci forniscono elementi propri di una teologia della storia umana, attenta all’iniziativa e all’opera di Dio sulla scena del mondo, così come si è venuta sviluppando nel corso delle generazioni. Tutto ciò all’interno di una tradizione che rimane segnata

dall’impronta inconfondibile conferita da Isaia sin dall’inizio; una tradizione profetica, teologica, ermeneutica; un modo di intendere e di spiegare il significato degli eventi, in piccolo e in grande: l’opera di Dio si compie come volontà di salvezza, per riportare gli uomini alla vita e in modo coerente con l’iniziativa del Signore, passando attraverso le catastrofi che gli uomini sono abituati a registrare nel corso della loro storia e di cui, anzi, sono responsabili. Catastrofi che sono l’effetto macroscopico di quella disfunzione radicale che ha inquinato il cuore umano. Come ormai ben sappiamo, la salvezza non prescinde dalla catastrofe, né la sorpassa con qualche miracolistica acrobazia, ma passa attraverso l’evento disastroso trasformandolo dall’interno e rendendolo docile al servizio dell’iniziativa di Dio, il Santo, che vuole riportare gli uomini alla vita. Il Protagonista è Lui!


Oracolo su Damasco

Andiamo al capitolo 17, che mette insieme cinque oracoli: una sequenza di interventi che rinviano alla posizione e funzione storica del regno arameo (Damasco è la capitale del regno siro, il regno di Aram). In realtà Damasco è citata solo nel primo oracolo (vv. 1-3); poi, a grappolo, gli altri quattro oracoli si succedono citando eventi che coinvolgono, oltre al regno arameo, anche altre entità più direttamente riconoscibili all’interno del popolo dell’alleanza. Mi riferisco a quel che avvenne quando, in seguito all’espansione dell’impero assiro, il regno di Aram – con capitale Damasco – e il regno di Israele – con capitale Samaria – si alleano per costringere il piccolo regno di Giuda a schierarsi contro l’impero assiro. In quell’occasione, i due eserciti alleati minacciano di giungere addirittura sotto le mura di Gerusalemme per convincere il re Acaz, il quale, però, non ne vuol sapere. E’ in quel contesto che si inserisce il famoso oracolo messianico “della vergine”, che concepirà e partorirà un figlio (cap. 7, vv. 10-17 – Cfr. incontro del 7.12.2004, pagg. 8-11). Leggiamo.


L’autosufficienza dell’uomo: una pretesa che Dio smantella

Primo oracolo, cap. 17, vv. 1-3: “Oracolo su Damasco. Ecco, Damasco sarà eliminata dal numero delle città, diverrà un cumulo di rovine. Le sue borgate saranno abbandonate per sempre; saranno pascolo di greggi che vi riposeranno senza esserne scacciati. A Éfraim (si fa riferimento alla tribù leader del regno di Israele) sarà tolta la cittadella, a Damasco la sovranità. Al resto degli Aramei toccherà la stessa sorte della gloria degli Israeliti, oracolo del Signore degli eserciti.” Nel 732 a.C. il regno arameo cessa di vivere. In quello stesso anno il regno di Israele viene invaso dall’esercito assiro; sopravvive ancora per qualche anno, fino al 721 a.C., ma è ridimensionato: le tribù più settentrionali vengono deportate e la stessa capitale viene privata della “cittadella” (come è detto al v. 3). Non è ancora la fine, ma nel contesto di quell’impresa dei due regni settentrionali – quello siro e quello d’Israele – che avevano minacciato il piccolo regno di Giuda, proprio questi due regni del Nord subiscono eventi che storicamente, politicamente e militarmente si rivelano catastrofici: Damasco spazzata via; quanto al regno di Israele, oltre ad una riduzione del territorio, si assiste ad una profanazione della gloria e del prestigio della sua capitale. Siamo alle prese con situazioni che maturano drammaticamente nel corso di una storia che i soggetti qui implicati avevano voluto gestire in nome della loro pretesa di autonomia, nella presunzione che la loro iniziativa avrebbe potuto contrastare nientemeno che l’avanzata dell’impero assiro! Qui non si tratta di giustificare i dati di fatto: l’impero assiro è e rimane presenza mostruosa sulla scena del mondo, ma non è in discussione chi abbia ragione o torto in base a schieramenti di ordine oggettivo (che pure hanno il loro valore, sia ben chiaro). Il nostro profeta è rivolto, in questo caso, verso quell’imbroglio pericolosissimo che si manifesta nelle intenzioni più profonde dell’agire degli uomini. Si tratta, cioè, di considerare – senza più illudersi ulteriormente – quanto sia inquinata la pretesa dell’iniziativa umana di ergersi e di realizzarsi come protagonista. I due regni sono sconfitti perché il regno assiro è in grado di sgominare qualunque avversario? Non è questo il punto: osservate che, qui, l’impero assiro non è neppure citato. I due regni sono sconfitti perché hanno assunto come loro riferimento di valore la pretesa autosufficienza della loro iniziativa. Che, intanto, l’impero assiro domini il mondo, non è certo un segno di benedizione per chicchessia, ma è comunque un dato che va compreso all’interno di un disegno immensamente più ampio che si compie per iniziativa di Dio, il quale demolisce la pretesa autosufficienza dell’iniziativa umana. Dell’impero assiro non c’è bisogno nemmeno di parlarne. Come dire che, per il profeta, l’Assiria non fa notizia, mentre per lui la vera notizia è teologica: la rivendicazione di autosufficienza dell’uomo è smantellata!




Ridimensionamento del regno d’Israele

Secondo oracolo, dal v. 4 al v. 6: “In quel giorno verrà ridotta la gloria di Giacobbe (per dire Israele; il regno settentrionale con capitale Samaria) e la pinguedine delle sue membra dimagrirà…”; il regno viene ristretto entro confini ben più limitati, in una situazione che andrà precipitando fino all’anno 721, quando anche il regno di Israele sarà totalmente spazzato via. Quello di Giuda invece sopravviverà. “…Avverrà come quando il mietitore prende una manciata di steli, e con l’altro braccio falcia le spighe, come quando si raccolgono le spighe nella valle dei Rèfaim. Vi resteranno solo racimoli, come alla bacchiatura degli ulivi: due o tre bacche sulla cima dell’albero, quattro o cinque sui rami da frutto. Oracolo del Signore, Dio di Israele”. Queste sono le condizioni in cui si troverà il regno di Israele, ridotto a rimanenze minuscole, quasi squallide e grottesche: due o tre bacche sulla cima dell’albero; quattro o cinque sui rami da frutto, mentre il mietitore, con la falce, si porterà via i mannelli del raccolto e, qua e là, rimarrà qualche spiga.


L’essenza della conversione del cuore:

l’uomo si riscopre creatura


Terzo oracolo, quello centrale della sequenza che stiamo leggendo. E’ il nucleo di questa elaborazione omiletica che il nostro profeta ci fornisce e che, poi, altri hanno raccolto giungendo fino alla redazione del testo a nostra disposizione. Vv. 7 e 8: “In quel giorno si volgerà l’uomo al suo creatore e i suoi occhi guarderanno al Santo di Israele…”. Questa è la notizia! “… Non si volgerà agli altari, lavoro delle sue mani; non guarderà ciò che fecero le sue dita, i pali sacri e gli altari per l’incenso”. Vedete: “in quel giorno” l’uomo si volgerà al creatore; si ricorderà di essere creatura e di appartenere al creatore; riprenderà coscienza di non essere proprietario di sé stesso e di non essere protagonista. L’uomo si ricorderà di appartenere al Santo di Israele: è la radicale smentita di ogni pretesa idolatrica; del protagonismo della soggettività umana, laddove l’idolo è il prodotto delle dita, delle mani, dell’iniziativa dell’uomo che pretende di affermarsi come autosufficiente, autoreferenziale e come valore assoluto. Notate bene che questo oracolo – perno di tutta la composizione – assume in modo evidentissimo un valore universale, perché qui è in questione la conversione del cuore umano. Ogni uomo è interpellato in quanto creatura, senza possibilità di distinguere tra chi appartiene ad un popolo e chi ad un altro; tra il popolo dell’alleanza e gli altri popoli della terra. E per ogni uomo – afferma il nostro profeta – passando attraverso tutti gli incidenti, le sconfitte, le miserie e i tentativi paradossali di dimostrare ufficialmente il contrario, si apre sempre e comunque una strada di conversione. Si tratta di un’affermazione di valore universale: per ogni uomo in quanto è creatura; in quanto è ridimensionato alle dimensioni di quella creatura che è.


Uno sguardo dentro casa, sul regno di Giuda

Quarto oracolo (vv. da 9 a 11). Sembra che, qui, l’attenzione si sposti addirittura sul regno di Giuda, il regno meridionale, con capitale Gerusalemme, dove c’è il tempio e vive Isaia – cittadino molto affezionato alla sua città – e dove governano, come sappiamo, i discendenti di Davide.

Leggiamo, vv. 9 -11: “In quel giorno avverrà alle tue fortezze come alle città abbandonate che l’Eveo e l’Amorreo evacuarono di fronte agli Israeliti e sarà una desolazione …” – vedete che in quel giorno avverrà alle “tue fortezze” quello che avvenne alla popolazione che abitava in questa terra prima dell’ingresso di Israele. …“Perché hai dimenticato Dio tuo salvatore e non ti sei ricordato della Roccia, tua fortezza. Tu pianti perciò piante amene… (qui sarebbe da intendere : “i giardini di Adonide”; ciò che riguarda la vegetazione, curata in questo contesto sacro, rinvia a una certa ritualità idolatrica che viene rigorosamente smentita). Tu pianti giardini di Adonide “… e innesti tralci stranieri; di giorno le pianti, le vedi crescere e al mattino vedi fiorire i tuoi semi, ma svanirà il raccolto in un giorno di malattia e di dolore insanabile”. Come dicevo, probabilmente qui è in questione il regno di Giuda e il profeta è sollecito nel segnalare l’impurità che contrassegna il popolo dell’alleanza, in questa sua porzione che a lui è particolarmente vicina e cara. Il popolo dell’alleanza è contaminato dall’idolatria, che determina un processo di corruzione irreparabilmente distruttivo. Andrà proprio così: ti sei dimenticato di Dio tuo Salvatore! D’altra parte, proprio quel processo distruttivo, che il nostro profeta intravede in maniera così rigorosa e inappellabile, costituisce l’itinerario da percorrere per scoprire la conferma dell’iniziativa di Dio per la salvezza; perché Dio è fedele; perché Dio vuole la salvezza. E la salvezza – come frutto dell’iniziativa di Dio – sarà sperimentata una volta che questo cammino, in sé e per sé così distruttivo, sarà compiuto fino alle sue conseguenze più dolorose.








La seduzione del potere e la corsa sul carro vincente

Quinto oracolo (dal v. 12). Adesso l’orizzonte si amplia ancora di più: “Ahimè, il rumore di popoli immensi, rumore come il mugghio dei mari, fragore di nazioni, come lo scroscio di acque che scorrono veementi”. Le nazioni di cui si parla qui sono da intendere, probabilmente, come tutte quelle presenze che si sono accostate all’Assiria: popoli che si sono alleati, coalizzati; popoli in parte costretti violentemente, condizionati dall’oppressione assira. Si tratta della moltitudine umana che cerca di allinearsi e inserirsi nelle posizioni di successo che sono gestite dai potenti di turno; che cerca di barcamenarsi, garantendosi, almeno di riflesso, qualche beneficio in rapporto a coloro che - senza essere mai nemmeno nominati – sono comunque pubblicamente, sfacciatamente, clamorosamente i padroni del mondo. Non sono loro a fare notizia. Il dato che interessa al profeta è che il cuore umano si renda così pronto, così sollecito, così disponibile alla complicità più spudorata (sorrido pensando alla lettura e ai commenti, che si stanno facendo in queste ore, dei risultati delle elezioni regionali italiane di domenica scorsa: chi vince le elezioni? o chi le perde…? Come si sposta e dove si colloca il potere? Quale ansia e quale gioco di complicità si afferma come potenza di corruzione nel cuore umano!).

Vv. 12-14: “Rumore di popoli immensi, rumore come il mugghio dei mari, fragore di nazioni come lo scroscio di acque che scorrono veementi. Le nazioni fanno fragore come il fragore di molte acque, ma il Signore le minaccia, esse fuggono lontano; come pula sono disperse sui monti dal vento e come mulinello di polvere dinanzi al turbine. Alla sera, ecco era tutto uno spavento, prima del mattino non è già più. Questo è il destino dei nostri predatori e la sorte dei nostri saccheggiatori”. Qui, molto probabilmente, si allude a un episodio accaduto in quegli anni; esattamente qualche anno dopo quei fatti che ricordavo poco fa, quando Gerusalemme fu assediata dal mastodontico esercito assiro che, dopo aver occupato tutto il territorio del regno, strinse la città entro le sue mura. Fu un momento che sembrava ormai preludere alla conquista e, quindi, alla devastazione di tutto; invece, nell’anno 701 a.C., giunti allo smarrimento più totale, l’esercito assiro si ritirò improvvisamente. E’ un avvenimento che segna la storia antica del popolo di Dio: nel 701 a.C., il grande re decise la ritirata, plausibilmente per qualche fatto successo nella capitale Ninive, forse anche per un’ epidemia di peste che si stava diffondendo. Fatto sta che il grande esercito assiro dalla sera alla mattina sparì: “Alla sera, ecco era tutto uno spavento, prima del mattino non è già più …”(v. 14). Dalla sera alla mattina gli accampamenti dell’esercito assiro furono smontati e uscirono di scena.

701 a. C. : “Questo è il destino dei nostri predatori e la sorte dei nostri saccheggiatori”. Gerusalemme rimase intatta, e Isaia fu spettatore di quest’evento e fu anche interprete, con un ruolo particolarmente autorevole sulle coscienze dei suoi contemporanei, per spiegare e dare senso ad un avvenimento che, in sé per sé, è certamente documentato. E’ un evento storico, che ebbe luogo in quel certo modo e in quel certo periodo. Ma non importa più semplicemente l’evento: come ci disponiamo in rapporto ad esso e quale significato assume quell’accadimento? Tra poco vedremo che Isaia rimane sconcertato, perché scopre che i suoi contemporanei, in quella circostanza, perdono l’occasione di maturare nel cammino della conversione: ci sguazzano, gozzovigliando a crepapelle!


Oracolo sull’Egitto

Andiamo al capitolo 19 nel quale troviamo, fino al v. 15, un canto rivolto all’Egitto che, al tempo di Isaia, non è più la grande potenza dei secoli e dei millenni precedenti. Tra l’altro, proprio nel corso del VII secolo, l’Egitto fu invaso dagli Assiri (Assurbanipal lo conquistò qualche decennio dopo la morte di Isaia). Fatto sta che l’Egitto viene considerato un soggetto politico e militare che, in ogni caso, è in grado di intervenire per arginare e contrastare l’avanzata degli Assiri. Isaia conosce l’opinione di molti, che sono convinti della necessità di rivolgersi e affidarsi all’Egitto, per difendersi dall’espansionismo dell’impero assiro. Isaia sa bene come ipotesi del genere siano del tutto inconcludenti; anzi, tragicamente contraddittorie. E il problema non è semplicemente quello dell’opportunità o dell’efficacia di un’alleanza in rapporto ai giochi e agli equilibri della politica internazionale. La questione vera è sempre quella che abbiamo ripetutamente messa a fuoco: come si apre e come si orienta il cuore umano? E chi è l’Egitto? Che cos’è l’Assiria? Che senso ha questo nostro dimenarci, arrancare, affannarci sulla scena di un mondo in cui cerchiamo di prendere posizione rispetto a questo o a quell’altro riferimento? L’Assiria …, i regni che abbiamo considerato …, le moltitudini dei popoli …, il piccolo regno di Giuda …, e poi l’Egitto. Chi è mai l’Egitto? Leggiamo.


L’ idolatria crolla

Prologo, v. 1 “Ecco il Signore cavalca una nube leggera ed entra in Egitto. Crollano gli idoli d’Egitto dovuti a lui e agli Egiziani vien meno il cuore nel petto”. Non c’è dubbio su chi sia il protagonista: il Signore viene, avanza, cavalca; è l’Avvento del Signore! E di fronte alla Sua venuta “crollano gli idoli d’Egitto”, come ogni idolo, sempre e ovunque. E’ la fine di coloro che vivono in quel territorio, segnato, peraltro, dell’eredità di una prestigiosa civiltà antichissima (sappiamo quale potenza l’Egitto avesse raggiunto sulla scena del mondo, nel corso di alcuni millenni). Quel territorio e i suoi abitanti: un luogo e un tempo adatti per sperimentare che cosa vuol dire che gli idoli sono sgominati. Chi è l’Egitto? Un territorio? Un’entità culturale? Una figura storica che ricapitola in sé l’esperienza vissuta da innumerevoli individui e da una moltitudine di generazioni … o che cos’altro? Ebbene, Isaia identifica l’Egitto come quella particolare figura storica – dove sono presenti le persone, le istituzioni, i percorsi e le eredità della cultura e… via discorrendo – che si caratterizza in rapporto all’esperienza del crollo. L’idolatria finisce: “Agli Egiziani vien meno il cuore nel petto”: modo singolare e interessante di parlare dell’Egitto! Chi è l’Egitto? L’Egitto è quella realtà storica che finisce; ed è una fine non soltanto registrata nei suoi aspetti empirici, ma considerata come sgomento sperimentato nel “cuore umano”, che viene meno. L’oracolo si articola in tre strofe (vv. 2-15).


Guerra fratricida; impazzimento collettivo

Prima strofa, vv. 2-3-4 : “Aizzerò (è il Signore che parla ) gli Egiziani contro gli Egiziani: combatterà fratello contro fratello, uomo contro uomo, città contro città, regno contro regno …”; dunque, in Egitto è la guerra civile. Si scatenano le forze interne alla Nazione come dinamismi contrapposti; contraddizioni su contraddizioni. “…Gli Egiziani perderanno il senno e io distruggerò il loro consiglio; …” una sommaria descrizione di un processo di decadenza – diremmo noi – all’interno di quella realtà monumentale, che pure aveva assunto nientemeno che la figura di una presenza dominante, apparentemente stabile, eterna sulla scena del mondo; e che, al contrario, subisce uno svuotamento dall’interno, con un andamento irreparabile e con fenomeni di conflittualità interne non più recuperabili. “Gli Egiziani perderanno il senno…”: un vero e proprio impazzimento, “…e io distruggerò il loro consiglio; per questo ricorreranno agli idoli e ai maghi, ai negromanti e agli indovini …”. Dunque cercheranno soluzioni originali, via via più sofisticate; ricorreranno a “tecnici” che dovrebbero essere sempre più attrezzati, qualificati, persuasivi, efficienti e, invece, …“io metterò gli Egiziani in mano a un duro padrone, un re crudele che dominerà. Oracolo del Signore, Dio degli eserciti”. Vedete come l’Egitto sia una figura storica emblematica: è l’Impero! … “Un re crudele li dominerà”.





Disastro economico

Seconda strofa, dal v. 5 al v. 10 : “Si prosciugheranno le acque del mare …; adesso quel certo processo di decadenza, cui accennavo, viene meglio messo a fuoco in termini di avvilimento e deperimento economico. Assistiamo a un disastro dell’economia: “ Si prosciugheranno le acque del mare, il fiume si inaridirà e seccherà …”. L’economia dell’Egitto è tutta costruita, articolata, qualificata in funzione della presenza del fiume; ogni attività è impiantata in modo tale da approfittare della ricchezza d’acqua che il fiume porta, nel suo corso, e riversa nel territorio circostante. Ebbene, adesso “i suoi canali diventeranno putridi, diminuiranno e seccheranno i tormenti dell’Egitto, canne e giunchi ingialliranno. I giunchi sulle rive e alla foce del Nilo e tutti seminati del Nilo seccheranno, saranno dispersi dal vento, non saranno più”. L’agricoltura è ginocchio. “I pescatori si lamenteranno (anche la pesca non dà più reddito), gemeranno quanti gettano l’amo nel Nilo, quanti stendono le reti sull’acqua saranno desolati …”. E non solo : “Saranno delusi i lavoratori del lino … (sono in crisi anche le attività manifatturiere e artigianali), “…le cardatrici e i tessitori impallidiranno, i tessitori saranno avviliti, tutti i salariati saranno costernati”. E’ l’intera organizzazione sociale che sta esplodendo.


I consiglieri inetti

Terza strofa, dal v. 11 al 14: “Quanto sono stolti i principi di Tanis! …”. La decadenza cui l’Egitto va incontro viene analizzata, in modo sempre più preciso, in rapporto a quello che è il fallimento dell’iniziativa umana in quanto impiantata a partire da una pretesa di autosufficienza. E’ un discorso ormai fatto più volte, ma val la pena di insistere, per renderci conto di come questo nodo sia davvero determinante nel discernimento delle vicende umane che il nostro profeta vuol mettere a fuoco, senza possibilità di equivoco. “Quanto sono stolti i principi di Tanis! I più saggi consiglieri del faraone sono uno stupido consiglio. Come osate dire al faraone …” . Notate bene: che cosa c’entra Isaia con il faraone e con i suoi consiglieri? Isaia non ha certamente il problema di spiegare al faraone come deve governare il suo regno. Isaia scopre come è inquinato il cuore umano; e come da questo inquinamento – da questa pretesa autosufficienza – dipendano effetti di smarrimento, di corruzione, di devastazione, di decadenza che sono dolorosissimi; che travolgono una generazione? Un paese? Un regno? Una potenza? Un impero? … che travolgono la storia intera! Che stupidità! “Come osate dire al faraone :<< Sono figlio di saggi, figlio di re antichi>>?” come dire: “ho imparato il mestiere in famiglia”. Hai imparato il mestiere dello stupido! “Dove sono, dunque, i tuoi saggi? Ti rivelino e manifestino quanto ha deciso il Signore degli eserciti a proposito dell’Egitto. Stolti sono i principi di Tanis; si ingannano i principi di Menfi. Hanno fatto traviare l’Egitto i capi delle sue tribù. Il Signore ha mandato in mezzo a loro uno spirito di smarrimento (interessante questa espressione; notate che è il Signore che sta operando; è Lui il protagonista!); essi fanno smarrire l’Egitto in ogni impresa, come barcolla un ubriaco nel (suo) vomito”. Questo barcollamento, questo sfascio dell’equilibrio civile, sociale e politico del grande impero egiziano – che è, ormai, soltanto l’ombra di sé stesso, rispetto a ciò che era stato nei millenni passati – tutto ciò appartiene ad un disegno provvidenziale che rivela il protagonismo del Signore. E’ Lui che ha mandato questo “spirito di smarrimento”. Siamo in presenza di un evento catastrofico che investe nientedimeno che l’Egitto. Che cosa c’entra l’Egitto? Vedete: nella visione di Isaia, il disegno della salvezza non consiste nel prendere le distanze dall’Egitto (così come pure è avvenuto e così come occorre fare, a seconda delle situazioni che si presentano nel corso della storia umana: “prendere le distanze da …”). Ma il disegno della salvezza, così come Dio ce lo rivela e come lo vuole realizzare per noi, … riguarda l’Egitto! E’ un respiro dotato di un’apertura ecumenica che più “cattolica” di così non potrebbe essere. Che cosa gliene può importare ad Isaia dell’Egitto?! Il fatto è che il disegno della salvezza che Dio intende realizzare, riguarda l’Egitto; riguarda il cuore umano; riguarda il senso della storia di tutti.


Il fallimento totale

Epilogo v. 15 : “Non riuscirà all’Egitto qualunque opera faccia: il capo o la coda, la palma o il giunco”. L’Egitto è, qui, come una specie di verme: tagli il capo o la coda, continua a dimenarsi a modo suo. Oppure come un giunco, con un ciuffo e lo stelo: tagli di qua, tagli di là, non cambia. Per adesso, almeno, ancora non cambia!


La caduta di Babilonia

Andiamo adesso al capitolo 21. Dal v. 1 al v. 10 troviamo un canto che contempla la caduta di Babilonia. Non c’è dubbio, quindi, che abbiamo a che fare con la testimonianza di un intervento profetico di epoca successiva, perché occorre arrivare al passaggio tra il settimo e il sesto secolo per parlare in questi termini di Babilonia (la sua caduta avviene nella seconda metà del VI secolo a. C.).

Prologo, v. 1 “Oracolo sul deserto del mare. Come i turbini che si scatenano nel Negheb, così egli viene dal deserto, da una terra orribile”. Probabilmente questo “deserto del mare” è quel territorio paludoso che sta in fondo alla piana mesopotamica (zone diventate più o meno famose, in epoca recentissima, per gli eventi bellici che si sono svolti in quei luoghi). Dunque, abbiamo l’immagine di una tempesta turbinosa, che improvvisamente si scatena, in un contesto geografico che non è quello tipico di un deserto, bensì quello di un deserto che assume la configurazione di una palude. Leggiamo.


Povera Babilonia, che pensa a divertirsi

Prima strofa, dal v. 2 al v.5: “Una visione angosciosa mi fu mostrata …” Il profeta, anonimo (possiamo continuare a chiamarlo Isaia, anche se anagraficamente non è certamente lui), dichiara di essere spettatore di eventi orribili: “… il saccheggiatore che saccheggia, il distruttore che distrugge. Salite, o Elamiti; assediate o Medi!...” L’orrenda visione è la caduta di Babilonia. Elamiti e Medi sono popolazioni che vivono più a Oriente e che assedieranno e distruggeranno Babilonia nel 538 a. C. (ricordate l’avanzata strepitosa di Ciro, il principe persiano che procedendo di vittoria in vittoria, nel giro di qualche anno, conquisterà tutto il mondo). Babilonia – che pure, per qualche decennio, si era mossa da padrona incontrastata – è sul punto di cadere: “Salite, o Elamiti; assediate o Medi! Io faccio cessare ogni gemito. Per questo i miei reni tremano …” (il profeta è turbato a questo spettacolo, che sconvolge i suoi sentimenti; “reni”, qui, significa “tutto il sistema dei sentimenti”), “… mi hanno preso i dolori come di una partoriente; sono troppo sconvolto per udire, troppo sbigottito per vedere. Smarrito è il mio cuore, la costernazione mi invade; il crepuscolo tanto desiderato diventa il mio terrore. Si prepara la tavola, si stende la tovaglia, si mangia, si beve. <<Alzatevi, o capi, ungete gli scudi>>”. Siamo nel contesto di un’orgia ( così viene definita la situazione dagli stessi storici antichi): quando Babilonia – assediata – cadde, era in corso un’orgia delle più sfrenate! Babilonia si inabissa in questa palude tempestosa, che la sta risucchiando in un vortice di dolore inconsolabile. Noi diremmo : “Povera Babilonia!” E’ capitato all’Egitto … capiterà. E’ capitato a Babilonia … capiterà!


Al profeta il ruolo di sentinella

Seconda strofa, dal v. 6 al v. 9:“Poiché così mi ha detto il Signore …”. La visione viene, adesso, interpretata in modo più esplicito. Il profeta ce l’ha descritta, con quella sua commossa partecipazione affettiva, così intensa: i suoi “reni stressati”, alla vista del mondo circostante, ne fanno un personaggio collassato. Ora il profeta spiega quella visione : “Poiché così mi ha detto il Signore: <<Va’, metti una sentinella che annunzi quanto vede. Se vede cavalleria, coppie di cavalieri, gente che cavalca asini, gente che cavalca cammelli, osservi attentamente, con grande attenzione>>.”Ci vuole qualcuno che osservi; in realtà, questa sentinella è proprio lui, il profeta. E’ lui che viene messo di vedetta ed è come se dicesse “Mi capita questo: di essere spettatore di quest’evento, mentre coloro che ne sono coinvolti sono storditi, annebbiati, ciechi, impazziti; e, intanto, se la stanno spassando nell’organizzare le loro orge. Ma sono orge senza prospettiva; orge sull’orlo di un baratro infernale. Ecco, a me è stato dato questo compito”. E’ un titolo, un ruolo che verrà assegnato anche ad altri profeti; è una specie di “carta d’identità” della figura del profeta in sé stessa: il profeta è sentinella. E, allora, mettiti ad osservare; che cosa vedi all’orizzonte? Chi si muove? Chi arriva? Cavalleria? Cavalieri su asini o su cammelli? Osserva bene: “La vedetta ha gridato:<<Al posto di osservazione, Signore, io sto sempre, tutto il giorno, e nel mio osservatorio sto in piedi, tutta la notte. Ecco, arriva una schiera di cavalieri, coppie di cavalieri>>...”. Il profeta – che ha preso sul serio il compito di vedetta – constata che, davvero, all’orizzonte c’è un movimento, un polverone; poi si precisano alcune figure: una schiera di cavalieri in arrivo, coppie di cavallerizzi che “…esclamano e dicono:<< E’ caduta, è caduta Babilonia! Tutte le statue dei suoi dèi sono a terra, in frantumi>>.” Il profeta è spettatore di questo evento. E – badate bene – qui non troviamo, come pure sarebbe plausibile, segni di recriminazione o di soddisfazione (“finalmente è caduta Babilonia; ci siamo rifatti; ci siamo potuti vendicare!”, o cose del genere). Il profeta assiste sconvolto. Messo di vedetta ad osservare ciò che succede, constata che è proprio così: Babilonia è caduta!


Il Signore è fedele con tutti gli uomini

Epilogo v. 10 : “ O popolo mio, calpestato, che ho trebbiato come su un’aia, ciò che ho udito dal Signore degli eserciti, Dio di Israele, a voi ho annunciato.” Quel popolo “mio” già è stato calpestato e trebbiato, in anticipo rispetto a Babilonia; è stato deportato, maciullato. Gerusalemme è già caduta da un pezzo! Adesso cade Babilonia e non si tratta tanto di compiacersi che anch’essa si sia meritata la condanna, quanto di interpretare dal di dentro la vicenda umana, che è la storia di creature chiamate a riconoscere la fedeltà del Signore, il quale interpella il “suo” popolo nel contesto di un’alleanza indissolubile: o popolo “mio”, mi rivolgo a te e lo faccio non perché io trascuri Babilonia, ma per spiegare questo a lei. Del resto tu – popolo “mio” - sei già caduto prima di Babilonia; per questo mi rivolgo a te!


Oracolo sul silenzio

Ai vv. 11 e 12 è inserito un breve oracolo molto misterioso. Generalmente è intitolato “oracolo sull’Idumea”, ma non è ben chiaro. Potrebbe anche tradursi così: “Oracolo sul silenzio”. C’è di mezzo l’Idumea perché si accenna al monte Seir che è in quei territori. Ma, adesso, non interessa tanto il dato geografico, quanto il richiamo che interpella la “sentinella”. Abbiamo visto, proprio nei versetti precedenti, che il profeta è stato identificato come tale; incaricato di svolgere la particolare funzione di vedetta, ha assunto pienamente questo ruolo. “Oracolo sull’Idumea. Mi gridano da Seir: …” , territorio Idumeo, come abbiamo detto; in realtà è un territorio emblematico: vale per l’Idumea come per ogni realtà profonda, nascosta. Non a caso accennavo all’ipotesi – cui sono legati alcuni traduttori – che il termine usato sia da intendersi come “silenzio”. Si tratta della profondità silenziosa della storia umana, delle sue viscere nascoste; dell’abisso impenetrabile, inscandagliabile, infernale – a suo modo – in cui la storia umana scarica tutte le proprie miserie irreparabili; là dove si è accumulato il carico dell’eredità catastrofica che la storia umana produce nel suo corso e … deposita. Dove? In “Idumea” deposita; chiamiamolo così il luogo, tanto per intenderci. Di là grida. Ma perché gridi? Ci vogliono orecchi particolarmente attrezzati, che sappiano ascoltare il silenzio e cogliere il valore sonoro, comunicativo, e la testimonianza che viene da quella profondità che è come un abisso in cui la storia umana seppellisce e ricopre, … come se niente fosse. Ma non è così per l’orecchio del profeta. Non è così per lo sguardo del profeta, che è di vedetta. “Mi gridano da Seir”, vedete: c’è un grido che percorre la storia umana. Il silenzio acquista un’eloquenza rumorosissima. Gridano: “Sentinella, quanto resta della notte?...”, quanto dobbiamo ancora restare qui, nel buio, nel silenzio, nel profondo dell’abisso? Per quanto tempo ancora il carico deve rimanere sepolto in questo baratro oscuro e infernale? “…<<Sentinella, quanto resta della notte?>> . (E) la sentinella risponde (la sentinella è lui, il profeta) :<< Viene il mattino, poi anche la notte; se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!>>”. E’ una risposta che esprime l’interessamento del profeta, la sua attenzione, il suo ascolto. Il suo sguardo è rivolto verso la notte e intravede la luce del mattino. Ma, nello stesso tempo, è una risposta che rinvia la domanda a un altro tempo, che verrà. Quando dice “convertitevi, venite” si potrebbe tradurre – forse meglio – “tornate un’altra volta, continuate a domandare”. Intanto, resta il profeta di vedetta, che fronteggia le tenebre, che ausculta il silenzio. Resta al suo posto: è lui, questo personaggio singolare? è un popolo intero che assume una responsabilità profetica? C’è, comunque, nel popolo di Dio la consapevolezza di questa testimonianza profetica, che passa attraverso l’ascolto del silenzio … lo sguardo che scruta la notte e … così via. Per quanto tempo ancora? Beh, vedete – dice il profeta – io non so dirvi per quanto tempo ancora! Tornate. Tornate un’altra volta. Intanto il profeta rimane.

Il dramma di Gerusalemme

Leggiamo adesso il capitolo 22, dal v. 1 al v. 14, dove è collocato un poema intitolato “Oracolo sulla valle della Visione”, indirizzato a Gerusalemme. Stranamente, nella serie degli oracoli riguardanti le “nazioni della terra”, compare anche Gerusalemme, che è la capitale del regno di Giuda. Sembra un paradosso. Ma ormai ci siamo resi conto che il profeta inserisce Gerusalemme nell’elenco dei popoli della terra, fra le realtà del mondo. Qui, più esattamente, viene rievocato l’episodio, che io stesso vi preannunciavo poco fa, verificatosi nel 701 a.C. : Gerusalemme è assediata dal re Sennàcherib, ma non viene conquistata perché l’esercito assiro si ritira.


Figura meschina e festa fuori luogo

Vv. da 1 a 4, la visione, così come Isaia ce la descrive: “Che hai tu dunque, che sei salita tutta sulle terrazze, città rumorosa e tumultuante, città gaudente?...(Gerusalemme è in festa e Isaia osserva) “…I tuoi caduti non sono caduti di spada né sono morti in battaglia…”. Il profeta è lucidissimo nel segnalare la figura meschina che hanno fatto gli abitanti di Gerusalemme: qual è il motivo di questa festa? non sei un popolo di eroi, perché “ Tutti i tuoi capi sono fuggiti insieme, fatti prigionieri senza un tiro d’arco; …”. I “caduti” sono quelli che erano scappati. Gli altri si trovano, ora, improvvisamente liberi. I caduti di cui puoi gloriarti … sono i traditori! “…Tutti i tuoi prodi sono stati catturati insieme, o fuggirono lontano (che eroi!). Per questo dico:<< Stornate lo sguardo da me, che io piango amaramente (ricordate Giovanni, nell’Apocalisse: “io piangevo molto…” Ap. 5, v. 4); non cercate di consolarmi per la desolazione della figlia del mio popolo>>.” Ma come? La città è in festa, e ci sono buoni motivi: l’assedio, improvvisamente, è stato rimosso; la città è libera; la popolazione è sopravvissuta. Perché, allora Isaia dice “io piango amaramente”?La ragione è che, a giudizio del profeta, il valore dell’evento che si è compiuto viene intrinsecamente frainteso. Egli osserva e, a sua volta, è osservato. Tutti sono sconcertati; anzi, infastiditi dal fatto che il profeta stia piangendo sconsolatamente (“distogliete da me lo sguardo”).


Scampato pericolo

Ma adesso Isaia spiega, dal v. 5 al v. 13: “Poiché è un giorno di panico, di distruzione e di smarrimento, voluto dal Signore, Dio degli eserciti …”. Sta tornando indietro, al momento in cui la città è stata attaccata, assediata … smarrimento!Però – vedete – tutto voluto dal Signore, Dio degli eserciti. “Nella valle della Visione un diroccare di mura e un invocare aiuto verso i monti (tutti, atterriti e desolati, chiedono soccorso). Gli Elamiti hanno preso la faretra (sono gli alleati degli Assiri); gli Aramei montano i cavalli (cavalcano attorno le mura della città, dall’alto delle quali si possono osservare questi spudorati conquistatori che, alleati con gli Assiri, la fanno da padroni in casa d’altri), Kir ha tolto il fodero allo scudo. Le migliori tra le tue valli sono piene di carri ( è la scena sempre osservabile dall’alto); i cavalieri si sono disposti contro la porta. Così egli toglie la protezione di Giuda. Voi guardavate in quel giorno alle armi del palazzo della Foresta (una sorta di deposito delle armi; guardavate là come l’ultima risorsa difensiva); le brecce della città di Davide avete visto quante fossero (le mura cominciavano a cedere); avete raccolto le acque della piscina inferiore (il re Ezechia aveva fatto costruire un canale interno alla montagna, per portare l’acqua alla piscina meridionale, la famosa piscina di Siloe), avete contato le case di Gerusalemme e demolito le case per fortificare le mura (ulteriori lavori di Ezechia, proprio in previsione dell’assedio); avete costruito un serbatoio fra i due muri per le acque della piscina vecchia …”. Dunque vi siete dati da fare: preparativi programmati con scrupolo ed eseguiti con il massimo dell’impegno, in vista di un evento considerato d’importanza capitale: questione di vita o di morte! In realtà, poi, le cose sono andate in quell’altro modo: dalla sera alla mattina, l’esercito assiro è sparito. E adesso … siete in festa?!


Lezione fraintesa; occasione sprecata

In questo modo, avete dimenticato tutto ciò che è successo. Non avete colto il valore dell’evento e vi siete accontentati di approfittare di un colpo di fortuna. Ma non è così “…Ma voi non avete guardato a chi ha fatto queste cose, né avete visto chi ha preparato ciò da tempo”. Ricordate quel dialogo, nel Vangelo, con i due discepoli figli di Zebedeo – Giacomo e Giovanni – che chiedono a Gesù: nel tuo regno, facci sedere uno alla tua destra e uno alla tua sinistra? Come risponde Gesù? “Non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio” (Mt, 20,23) E qui : “… non avete visto chi ha preparato ciò da tempo. Vi invitava il Signore, Dio degli eserciti, in quel giorno al pianto e al lamento, a rasarvi il capo e a vestire il sacco. Ecco invece si gode e si sta allegri (era l’occasione buona per entrare pienamente in un cammino di conversione e invece …) si sgozzano buoi e si scannano greggi, si mangia carne e si beve vino: << Si mangi e si beva, perché domani moriremo!>>”




Nel nostro fallimento, l’incontro con Dio

Ed ecco la conclusione del canto, v. 14: “Ma il Signore degli eserciti si è rivelato ai miei orecchi: <<Certo non sarà espiato questo vostro peccato, finché non sarete morti>> dice il Signore, Dio degli eserciti”. Il profeta è spettatore di questi eventi. Lui – la sentinella – porta con sé la memoria di questa sentenza che – notate bene – non va intesa come una condanna a morte. E’ una sentenza che conferma il valore degli eventi che sono in corso, i quali manifesteranno la loro straordinaria fecondità per la salvezza di tutti gli uomini, man mano che noi scopriremo come stiamo subendo le conseguenze del nostro fallimento, che ci travolge. E, magari, ci travolge proprio nel momento in cui noi vorremmo far festa perché pensiamo di esserne venuti fuori brillantemente, spudoratamente, schifosamente (come dice, qui, Isaia). Ma l’iniziativa di Dio, nella gratuita volontà di misericordia, fa di questo nostro fallimento – con tutte le conseguenze alle quali non potremo sfuggire – l’occasione finalmente propizia e feconda per incontrarLo, riconoscerLo e adorare il Santo, che ci chiama a vivere e ad amare. Quando il Signore, nel Vangelo di domenica scorsa – ricordate – mostra le piaghe, Tommaso si prostrerà, proclamando “mio Signore e mio Dio!”.