Incontri di discernimento e solidarietà
 
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IN OCCIDENTE

di Pino Stancari1


Abbiamo letto fino al cap. 15,35. Noi abbiamo incontrato dei personaggi, delle situazioni, delle vicende, la rivelazione di questa potenza di Dio che opera nella vita degli uomini e suscita frutti di conversione, nel senso che gli uomini ritornano alla vita, è nella loro vita che si manifesta la potenza di Dio, ma è proprio la vita umana che deve essere ricomposta, deve essere rieducata, deve essere restaurata. Gli uomini ritornano alla pienezza della vita dal momento che sono chiamati a percorrere l'itinerario che è stato aperto una volta per tutte dal Figlio nella carne umana, da Gesù il Signore che è risorto dai morti. E' con potenza di Spirito Santo che la nostra realtà umana è sigillata nella comunione con lui vivente e glorioso. L'evangelizzazione è in corso.

Questa volta affrontiamo il secondo grande viaggio missionario di Paolo. Abbiamo incontrato l'ambiente nel quale la prima evangelizzazione di insedia a Gerusalemme. Abbiamo assistito al configurarsi della prima comunità dei discepoli del Signore, là dove viene invocato il nome di Gesù, là dove i discepoli del Signore si rendono conto di essere inseriti in quel giorno nel quale si è compiuta una volta per tutte la visita di Dio per la salvezza degli uomini. Quel giorno oramai costituisce un oggi definitivo, oggi eterno. Ed ecco la vita nuova, la vita di coloro che si rendono conto di essere inseriti in quell'oggi. E' un evento profetico, è un evento che si manifesta passando attraverso il vissuto di persone che sono in grado oramai di testimoniare quale cambiamento è avvenuto, quale cambiamento sta avvenendo in loro stessi, e così in grado di testimoniare quale trasformazione è oramai donata in prospettiva a tutti gli uomini.


A Gerusalemme


Abbiamo incontrato Pietro, ma il personaggio che emerge come figura dominante nel corso della narrazione è Paolo. E la presenza così paziente, capillare e comunque necessaria degli evangelizzatori si configura come testimonianza contemplativa a quell'opera di cui Dio solo è protagonista. Tornano ad Antiochia, ed ecco cap. 15 a Gerusalemme la grande assemblea, nella quale sono convocati i rappresentanti della chiesa di Antiochia, così come gli altri apostoli ed anziani, per discutere la questione riguardante la circoncisione che qualcuno vorrebbe imporre anche ai pagani, mentre la decisione va in direzione esattamente opposta, così come, per altro, Paolo e Barnaba sostengono, ma prima ancora di loro Pietro e lo stesso Giacomo.

E proprio in quel contesto a Gerusalemme, in occasione di quella grande assemblea, che ancora una volta i nostri evangelizzatori Paolo e Barnaba danno conto della loro esperienza contemplativa, raccontano ciò che hanno vissuto, ciò di cui sono stati spettatori ed hanno a che fare con interlocutori silenziosissimi presi, conquistati anch'essi dal racconto che ascoltano in modo da divenire partecipi anch'essi di quell'esperienza contemplativa. E siamo al secondo grande viaggio missionario. Le pagine con le quali dobbiamo fare i conti: 15,36-18,22.


Ritorniamo: un cammino di conversione


Notate l'avvio di questa nuova tappa nella grande narrazione lucana: «Dopo alcuni giorni Paolo disse a Barnaba: Ritorniamo a far visita ai fratelli in tutte le città nelle quali abbiamo annunziato la parola del Signore, per vedere come stanno» (15,36). Questo versetto può servire come titolo del racconto che segue del secondo grande viaggio missionario. Ritorniamo a far visita ai fratelli. Il verbo ritornare allude a un'azione di valore pastorale immediatamente comprensibile per noi. Si tratta di stabilire un contatto con quelle chiese che sono state fondate precedentemente e nel frattempo stanno crescendo e maturando nella loro vocazione. E quindi: ritorniamo. Il verbo usato qui indica quel certo modo di ritornare che noi altrimenti chiameremmo conversione. Ritorniamo a far visita: è un ritorno non soltanto nel senso oggettivo di un viaggio che dev'essere intrapreso per ristabilire un contatto diretto con quelle chiese, ma è un ritorno che già qui ci viene proposto come un cammino di conversione. In tutte le città nelle quali l'evangelo è stato annunciato, là dove man mano si sono costituite delle comunità che attualmente stanno crescendo, là dove la novità della vita cristiana si è oramai radicata anche se in modo un po' nascosto, con tanti limiti, con tante insufficienze, con tante incertezze, in queste città Paolo intende compiere la visita. Per questo si è rivolto a Barnaba. La visita ai fratelli si inserisce in un quadro complessivo che è già annunciato come un itinerario di conversione.

Luca che racconta, ci mette già sull'avviso: secondo viaggio missionario, un cammino di conversione per Paolo e per gli altri con lui. Le pagine che leggeremo ci aiuteranno a costatare come il grande viaggio missionario è il viaggio che in primo luogo e in maniera davvero radicale determina la esperienza di conversione che interpella e struttura la vita nuova di coloro che a quell'opera di evangelizzazione sono consacrati, sono riservati: un cammino di conversione. Ma che vuol dire questo?


Il distacco di Barnaba


Qui c'è di mezzo un problema per quanto riguarda la partecipazione di Barnaba al viaggio. Barnaba vorrebbe portare il nipote, Giovanni detto Marco, che nel viaggio precedente in un certo momento si era ritirato. Paolo non ne vuole sapere. Paolo è risoluto, intransigente a riguardo di queste faccende e allora si separano. E' un addio piuttosto brusco e doloroso quello che segna l'inizio del nuovo viaggio. Barnaba con Marco si imbarcano per Cipro, Paolo invece (15,40): «scelse Sila e partì, raccomandato dai fratelli alla grazia del Signore». Questa volta per via di terra, non si imbarcano, visitano le chiese già fondate nel viaggio precedente, partendo da Antiochia e rimanendo nei territorio della Siria, della Cilicia, all'interno della penisola anatolica per via di terra.

Il fatto che il secondo viaggio missionario sia inaugurato da un evento che in sé e per sé è piuttosto increscioso, la separazione da Barnaba, è significativo per noi. E' davvero un viaggio che già in base a questa scena introduttiva possiamo cominciare a delineare come il viaggio nel corso del quale strappi analoghi a questo si ripeteranno provocando un dissesto che li per li potrebbe davvero diventare catastrofico, ma che diviene poi l'occasione preziosa perché una nuova prospettiva si illumini e strade nuove di delineino nell'intimo del cuore, le strade della conversione. E non senza sorprese, non senza insofferenze, non senza tanto dolore.


A Derbe e a Listra

Cosa succede qui adesso? «E attraversando la Siria e la Cilicia, dava nuova forza alle comunità». Paolo in viaggio, Sila è con lui. Adesso sono a Derbe e a Listra. Si aggrega Timoteo al gruppetto degli evangelizzatori e quindi così passano di chiesa in chiesa (16,5): «Le comunità intanto si andavano fortificando nella fede e crescevano di numero ogni giorno». E' una crescita nella visibilità nelle cose, ma è una crescita sempre riportata alla fortificazione della fede, una crescita di cui si ha un riscontro oggettivo, numerico, precisa il nostro narratore Luca, ma è una crescita che si attesta nella sua qualità decisiva là dove l'invisibilità del cuore umano si apre, si spalanca, si esprime oramai con il nuovo linguaggio della fede.


Attraverso la Frigia a la Galazia fino a Bitinia


«Attraversarono quindi la Frigia e la regione della Galazia». Il viaggio prosegue per via di terra percorrendo le regioni centrali della immensa penisola anatolica, l'attuale Turchia. Venendo da Antiochia, Siria, Cilicia, ecco Frigia e Galazia. Tutto lascia intendere che Paolo voglia puntare direttamente su Efeso, che è il capoluogo della provincia di Asia. Questa è la direzione, la direzione che comporta la fatica di un lungo viaggio, ma è una direzione piuttosto limpida, l'obiettivo verso cui è mirato il viaggio di Paolo è più che comprensibile. Sembra proprio del tutto logico che Paolo intenda recarsi ad Efeso per poter irraggiare la opera di evangelizzazione in tutto il territorio circostante. Soltanto che le cose non vanno così.

Ci sono dei contrasti. Questi incidenti, che possono essere avvenuti per motivazioni interiori e indecifrabili, costringono Paolo a cambiare strada. Vedete come dice qui? «avendo lo Spirito Santo vietato loro di predicare la parola nella provincia di Asia». Dunque la provincia d'Asia è irraggiungibile, Di Efeso non se ne parla. Raggiunta la Misia sono dirottati verso nord. Il percorso procede a zig zag. Non sa dove andare, non sa perché, non si spiega come mai le cose vadano in modo così diverso rispetto alla programmazione. Programmazione di per sé rispettabilissima, anzi doverosa e in qualche modo geniale. «Raggiunta la Misia, si dirigevano verso la Bitinia». La Bitinia sta sulla costa del Mar Nero. E’ questa la meta che bisogna raggiungere. Ma non è nemmeno così che vanno le cose, perché «lo Spirito di Gesù non lo permise loro». Di nuovo il vento contrario, ed è un vento energico, che parla a Paolo con la intensità della comunione che lo lega a Gesù. Eppure Paolo non sa darsi una spiegazione. «così, attraversata la Misia, discesero a Troade». Qui devono fermarsi per forza perché qui c'è il mare. La strada finisce lì dove il mare. Di nuovo il mare. Neanche Paolo sa perché. «Durante la notte apparve a Paolo una visione: gli stava davanti un Macedone e lo supplicava: Passa in Macedonia e aiutaci!».


In Occidente: la Macedonia


La Macedonia è la regione che sta dall'altra parte del mare, perché Troade si trova in quella zona del mar Egeo, a nord, che guarda verso l'Europa. Dall'altra parte del mare la Macedonia; dall'altra parte c'è l'Europa, dall'altra parte c'è l'occidente. Asia ed Europa, oriente e d occidente, categorie un po' generiche a dire il vero, però niente affatto banali. C'è una storia che passa attraverso i secoli e i millenni che sta alle spalle di Paolo, sta ancora alle spalle nostre. Ancora noi registriamo il valore di certi confini per cui c'è un fronte meridionale e uno settentrionale del Mediterraneo. E' vero che i romani dicevano che il mare è nostro, però è poi vero che il complesso di eventi storici che sono consumati nell'arco di pochi secoli non contraddicono il significato di una storia che passa attraverso i millenni.

Fatto sta che per Paolo è giunto il momento di varcare quella soglia e di entrare in Europa, è giunto il momento di affrontare l'occidente. E questo passaggio non è affatto banale. Tenete conto del fatto che Paolo è un asiatico, è un uomo dell'oriente. Sono particolari su cui noi normalmente non riflettiamo. Paolo è un asiatico. E' vero che è un giudeo, con tutto quello che significa essere giudeo e quindi criteri particolari che servono a distinguerlo,a identificarlo nella sua appartenenza al popolo d'Israele, ma è pur sempre anche Israele una realtà dell'oriente, una realtà dell'Asia. Sono millenni di storia della civiltà umana, è un linguaggio, un modo di vedere, di sentire, un modo di affrontare il mondo, mondi che si oggettivano nei comportamenti degli uomini, comportamenti che riguardano il vissuto personale, quello comunitario, il movimento dei popoli, le grandi istituzioni. Asia. Anche Gesù è un asiatico. Anche su questo noi non sempre riflettiamo abbastanza: Gesù è un orientale.

Fatto sta che c'è un macedone nel sogno che invita Paolo, incoraggia Paolo ad attraversare il mare. Non ci vuole molto dal punto di vista tecnico, è un'impresa di poco conto, in poche ore si attraversa, il mare Egeo che è sempre stato molto navigabile. Contatti frequentissimi e molto disinvolti tra le due sponde, ma mondi diversi. E’ vero, c’è uno spostamento dell'occidente in oriente, attraverso le coste che vengono colonizzate; per altro verso c’è una pressione dell'oriente sull'occidente, conflitti e momenti di temporanea assimilazione, più dichiarata che reale. Alessandro Magno conquista tutto l'oriente, ma in realtà il suo impero si sfalda nel giro di una generazione. Il racconto del secondo viaggio missionario ci costringe ad accompagnare Paolo in questo passaggio, nel superamento di questa soglia e questo episodio acquista un valore, per così dire, apocalittico, rivelativo. E tutto questo nella prospettiva che Luca ci aveva già suggerito fin dall'inizio. E' un mondo nuovo per Paolo, è gente diversa, è un'altra storia. Adesso ce ne renderemo conto e Luca molto sapientemente ci istruisce a riguardo di queste cose.

Paolo per la prima volta entra in Europa, affronta il mondo occidentale, è tutto diverso, è tutto strano, tutto strambo. Non solo, ma strano e strambo è lui per gli occidentali. E come Paolo si presenta in Europa, subito viene riconosciuto. E’ un altro di quelli per come parla, per come veste, per come si muove, per la puzza che emana, per i riferimenti che ritiene vitali di cui va in cerca, e che sono in realtà esotiche e addirittura ridicole, ma che fanno parte del suo mondo orientale. Subito Paolo è identificato. Paolo è una persona seria, non è mica un uomo qualunque qualsiasi. Paolo è una persona dignitosa, è un uomo rispettabile, Paolo è una persona di cultura, ha anche tutti i documenti in regola. E' addirittura cittadino romano. Soltanto che appena si presenta subito è identificato all'interno di quel certo schema interpretativo per cui non gli viene dato non solo il tempo di tirar fuori i documenti, ma nemmeno il tempo di aprire la bocca, perché è un orientale, è uno di quelli.

Non è affatto comodo per Paolo l'impatto con l'occidente, è anzi per certi versi, una vera e propria apocalisse, una rivelazione che lo espone al contatto con realtà che non avrebbe mai sospettato. Non è mica un ignorante Paolo, in realtà parla greco, che è la lingua degli occidentali fin dalla nascita, quindi non gli mancano nemmeno gli strumenti per entrare in contatto. Paolo è greco di formazione, di cultura giudeo, è un orientale. «Dopo che ebbe avuto questa visione, subito cercammo di partire per la Macedonia, ritenendo che Dio ci aveva chiamati ad annunziarvi la parola del Signore». Qui Luca usa per la prima volta la prima persona plurale, e quando Luca fa così il coinvolgimento è particolarmente pressante. E' evidente che siamo alle prese con un passaggio decisivo. Lui, noi. Il racconto è impostato in modo tale che non possiamo non esserci partecipi.


Un mondo tutto nuovo


«Cercammo di partire per la Macedonia, ritenendo che Dio ci aveva chiamati ad annunziarvi la parola del Signore». «Salpati da Troade, facemmo vela verso Samotracia e il giorno dopo verso Neapoli e di qui a Filippi, colonia romana e città del primo distretto della Macedonia». Paolo si muove su quelle strade, incontra quella gente, guarda quelle facce, ascolta quelle parlate, cerca di capire come funziona quel mondo, è tutto nuovo, tutto diverso. Un impianto sociale a cui Paolo non è abituato. C’è anche un quadro politico a cui Paolo non è abituato. Tante regioni dell'oriente sono sottoposte al potere di Roma, ma è un'altra cosa, è un'altra civiltà. Per Paolo questo impatto diviene un motivo provocatorio, nel senso che Paolo si rende conto che qui si tratta per lui di quel processo di conversione di cui Luca ci parlava fin dall'inizio. Paolo si rende conto che per quanto lui parli il greco, per quanto lui sia cittadino romano, per quanto sia lui convinto di essere una persona onesta, si tratta di affrontare un mondo che al primo impatto ti considera un malfattore, un ladro, un disgraziato, un furfante, un uomo pericoloso. Sei subito insidiato, minacciato, inseguito, braccato, bastonato, buttato in prigione, non esisti, sei un seccatore, disturbatore della quiete pubblica. Accettare queste cose non è uno scherzo. Smetti di considerare te stesso, come tu sei; tu oramai sei un uomo diverso. Non puoi importi in base ai tuoi criteri, che sono condizionati culturalmente, dipendono da una storia, da una civiltà, da un linguaggio, da un modo di impostare la vita, da un modo di impostare le relazioni, devi rinunciare a far valere i tuoi criteri, perché tu qui non conti più niente.

Questa non è l'avventura di un turista, è l'esperienza dell'evangelizzazione di chi al servizio dell'evangelo è coinvolto in un processo che lo espropria di tutto quello a cui è abituato, di cui è convinto e che comunque non è l'evangelo, ma è proprio al servizio dell'evangelo che Paolo adesso scoprirà di essere sempre più povero. E' vero scoprirà che gli rimane sempre e soltanto l'evangelo e per il resto sempre più sguarnito, indifeso, sempre più contestato, e sempre più consapevole di non potere fare appello a quelle certezze che hanno costituito per lui, e per tanta gente come lui, dei riferimenti inequivocabili validi quasi come degli assoluti e non è così.


A Filippi


Paolo è a Filippi, gironzola dentro Filippi. «Restammo in questa città alcuni giorni». Cosa fa Paolo? Come sempre in tutti i luoghi, attraverso i quali procede nei suoi viaggi, Paolo cerca in primo luogo la sinagoga, cerca i suoi. L’oriente è caratterizzato da una presenza diffusa, capillare, di sinagoghe. Minoranze di giudei sono presenti dappertutto, qualche volta sono minoranze qualificate, che esprimono città per città figure di spicco, magari sono figure che governano la stessa amministrazione cittadina. Paolo si guarda attorno e a Filippi non c'è una sinagoga. Si guarda attorno ma intanto gli altri guardano lui. «Il sabato uscimmo fuori della porta lungo il fiume, dove ritenevamo che si facesse la preghiera, e sedutici rivolgevamo la parola alle donne colà riunite». Se ci sono dei giudei, il sabato si riuniscono per la preghiera.

Attenzione, questo versetto porta con sé una forza esplosiva intanto perché le donne colà riunite sono in preghiera, questo in oriente non avviene. Non solo, ma «sedutici rivolgevamo la parola alle donne colà riunite». Questo in oriente non avviene e non può avvenire. Ancora oggi nelle sinagoghe osservanti le donne sono contenute in spazi loro riservati, ma la preghiera è degli uomini, non delle donne. Cosa c'entra la donna con la preghiera? Da quando si raggiunge l'età del bar-mitzvà, non si tratta più con una donna. E Paolo non ha mai trattato con una donna perché Paolo è celibe. E' uno dei pochi celibi del Nuovo Testamento. Dopo sua madre, che ha salutato a 12 anni, lui, Paolo, non ha mai più aperto bocca con una donna. Il fatto interessante è che adesso, al momento in cui è entrato in Europa, Paolo avrà costantemente a che fare con delle donne: di tappa in tappa compaiono delle donne. A Filippi donne in preghiera e noi parlavamo con loro, dialogavamo con loro. Ancora noi oggi siamo stupefatti per certe cose che riguardano certi mondi orientali che non sono più incivili del nostro mondo. Soltanto che sono mondi determinati da una certa interpretazione della realtà, delle relazioni, del maschile e del femminile. Di questo si può discutere, ma è così. Fatto sta che nel momento stesso in cui Paolo entra in Europa: donne. Sono cose nuove, non glielo ha insegnato nessuno. Non è automatico per un uomo come lui intrattenere una relazione diretta, una conversazione con una donna. Anzi, a Filippi, addirittura, c'è una donna che fa da capofamiglia, una industriale: «C'era ad ascoltare anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiàtira, una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo. Dopo esser stata battezzata insieme alla sua famiglia». Forse Lidia è vedova, ma fa da capofamiglia, questo in oriente non succede. Potremmo dire: sono banalità. No! Non sono banalità perché il viaggio missionario di Paolo passa attraverso questa sconcertante scoperta. C'è un altro impianto sociale.

Queste cose Paolo le vive tutte in prima persona, lo provocano, lo scuotono, lo interpellano, lo mettono in discussione, lo consumano, lo smontano in tutte le sue costruzioni culturali. Perché questo? E' l'evangelo in un altro mondo. L'evangelo in quest'altro mondo è il motivo per cui il mondo di Paolo è rimesso totalmente in questione. Senza dare giudizi di valore. Tra l'altro Paolo affronta situazioni molto penose, è trattato in modo veramente volgare, quindi subisce dei danni che sarebbero insopportabili, ma non si tratta di stabilire chi ha torto e chi ha ragione. Si tratta di andare sempre più a fondo nel discernimento del cuore umano e nell'obbedienza all'evangelo, che passa attraverso le originalità più inimmaginabili nella grande vicenda delle civiltà.

Questa Lidia di Filippi, battezzata «ci invitò: Se avete giudicato ch'io sia fedele al Signore, venite ad abitare nella mia casa. E ci costrinse ad accettare». Piuttosto energica questa Lidia, capofamiglia. Un giudeo non entra nella casa di una donna: ci costrinse ad accettare! Adesso, sempre a Filippi,nel giro di pochi giorni Paolo e Sila si ritrovano in galera. Anche qui c'è di mezzo una donna: Paolo interviene nei confronti di una schiava che era dotata di certe capacità divinatorie, per cui i padroni la sfruttavano. Questo è l'altro volto dell'emancipazione femminile, c'è Lidia, capofamiglia, emancipata, ed ecco la schiava che viene strumentalizzata nel modo più spietato e Paolo interviene e si prende cura di questa donna, di questa schiava e i padroni protestano in nome della difesa dell'ordine pubblico, e dicono: Paolo turba l'ordine pubblico. In realtà non è l'ordine pubblico, è l'interesse privato, ma i padroni di quella schiava hanno buon gioco perché subito scendono in piazza (16,19). Anche questa è un'immagine che serve a suo modo a descrivere, con un'indicazione ulteriore, l'impatto con il mondo occidentale: la piazza, il pubblico. Ma quale concetto di pubblico è questo, che cosa vuol dire il pubblico e cosa vuol dire il privato in oriente e in occidente?

«Presentandoli ai magistrati dissero: Questi uomini gettano il disordine nella nostra città; sono Giudei e predicano usanze che a noi Romani non è lecito accogliere né praticare». Turbano l'ordine pubblico, in realtà hanno compromesso il loro interesse economico privato.

«La folla allora insorse contro di loro, mentre i magistrati, fatti strappare loro i vestiti, ordinarono di bastonarli e dopo averli caricati di colpi, li gettarono in prigione e ordinarono al carceriere di far buona guardia». Sono in prigione, non hanno neanche fatto in tempo ad aprire bocca.

«Verso mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i carcerati stavano ad ascoltarli». Cantano le nenie della propria tradizione giudaica. Durante la notte «d'improvviso venne un terremoto così forte che furono scosse le fondamenta della prigione; subito tutte le porte si aprirono e si sciolsero le catene di tutti». E' una scena qui che Luca ci descrive nel seguito del cap. 16, un processo sismico che ha le sue caratteristiche oggettive. E’ un processo sismico che serve benissimo a simboleggiare quale terremoto produce la presenza di un uomo come Paolo nella prigione di Filippi. Che cosa c'è al di sotto di quella piazza, di quel mondo, quella città, quell'ambiente, là dove gli equilibri dell'organizzazione sociale sono stabiliti in quel modo. Sotto cosa c'è? Sotto c'è la galera. Questo è l'occidente come lo sta sperimentando Paolo. Paolo non se ne viene fuori con delle sentenze di ordine generale, non se ne viene fuori nemmeno con una proposta di trasformazione sociale, non se ne viene fuori con una rivendicazione di carattere ideologico. Paolo dentro a questo mondo diverso che non riesce a ricondurre alle sue categorie culturali, è sempre più espropriato di tutto perché è sempre più radicato nell'evangelo. Tant'è vero che il carceriere si commuove. Il mattino dopo i magistrati dicono: adesso liberateli e fateli partire. Paolo pretende che vengano loro. I magistrati quando vengono a sapere che Paolo è un cittadino romano si spaventano, subito si precipitano, per poco non subiscono un infarto. Alla fine Paolo deve andarsene: anche per dei cittadini romani come voi qui non c'è spazio. La formalità giuridica funziona soltanto per coloro che già sono inseriti in un contesto culturale, su delle premesse che non stanno scritte in nessuna formula giuridica e quindi da qui dovete sparire.


A Tessalonica


Paolo parte da Filippi e si reca a Tessalonica, (17,1ss), segue la via di Anfipoli, di Apollonia, «giunsero a Tessalonica, dove c'era una sinagoga dei Giudei». Bisogna che mettiamo a fuoco un altro aspetto: in quell'atteggiamento di disprezzo nei confronti del mondo orientale e di coloro che sono considerati come degli asiatici pericolosi, in quell'atteggiamento di disprezzo c'è una particolare nota di risentimento che riguarda la presenza dei giudei in quanto giudei. Paolo questo non l'aveva mai sperimentato, in oriente non avviene questo. Dal momento in cui viene in occidente l'antigiudaismo è dominante. Questi giudei di Tessalonica esistono, però sono molto preoccupati e la presenza di Paolo diventa per loro motivo di disagio angosciante, perché la presenza di Paolo mette tutto in discussione. Loro a Tessalonica, hanno cercato di ritagliarsi un piccolo spazio nascosto, segreto dove comunque possono sopravvivere, perché per il resto non possono esporsi. Adesso è arrivato Paolo e Paolo fa cose sue con libertà incontrastata, se nonché poi trascina dietro di sé altri e mette a repentaglio la stessa stabilità della sinagoga. Per questo avviene che i più feroci avversari di Paolo in questo contesto, diventino quelli della sua gente, del suo popolo, del suo ambiente: gli altri giudei che considerano Paolo come un pericolo. Intanto ci sono alcuni tra i pagani che gli vanno dietro. Si tratta di rimettere in discussione tutti gli equilibri a cui si eravamo aggrappati e nei quali potevano sopravvivere. Non è più così. I Tessalonicesi non sopportano Paolo. Già precedentemente, ricordate, a Paolo è stato detto: voi siete giudei.

Paolo ha la sua posizione: è determinato dalla necessità di evangelizzare, quindi affronta la polemica con quelli della sua gente, gli altri giudei come lui. E’ una polemica disgustosa, deludente, una polemica che lo offende. Nello stesso tempo Paolo non riesce a capire perché in quel mondo nel quale adesso è entrato i giudei, che per altro verso sono diventati quelli del suo popolo e della sua storia, quelli che condividono la sua radice, sono diventati suoi nemici.


A Berea


Paolo deve partire anche da Tessalonica, si trasferisce a Berea. Sta percorrendo la via Egnazia, una delle grande vie dell'impero che attraversa tutta la penisola balcanica fino a Durazzo dove ci si imbarca per arrivare in Italia e si prosegue fino a Roma. Ma deve ancora una volta cambiare strada. Diremmo: ma queste chiese nascono o non nascono? l'evangelizzazione procede o non procede? lui ottiene o non ottiene frutti? la gente si converte o non si converte? Sì, qua e là, qualcosa, qualcuno. Certo piccole chiese che diventano le grandi chiese del Nuovo Testamento: chiesa dei Filippesi, dei Tessalonicesi. Il racconto è impostato in modo tale da lasciare, per così dire, in una zona un po' appartata, in primo piano c'è il vissuto di Paolo, l'evangelizzatore che sempre più è espropriato di tutte le sue presunzioni, sicurezze, garanzie, tutte le sue aspettative, capacità di programmare. A Berea, le cose vanno in modo tale che deve cambiare strada e viene trascinato fino ad Atene.


Ad Atene


Paolo ad Atene, tutto solo. Anche questo particolare è significativo, lascia per la strada Sila e Timoteo e (17,16): «Mentre Paolo li attendeva ad Atene». E' tutto solo, e deve fare i conti anche con questa solitudine. Ad Atene si guarda attorno, come sta facendo a più riprese di tappa in tappa. Atene è una città universitaria: scuole, ambienti accademici. Paolo comincia a guardare quello che succede, interviene, dice la sua. A un certo momento lo notano, lo osservano, lo chiamano a rispondere davanti a una specie di senato accademico su cosa stia cercando. Non è un tribunale in senso giudiziario, è un senato accademico con tutta la prosopopea degli accademici e tutto il fastidio che dimostrano gli uomini della accademia quando siedono in commissione. Ascoltano Paolo e lo interrogano. Paolo fa un bellissimo discorso, una catechesi splendida. Potremmo dire che Paolo va cercando di mediare le cose, vuole annacquare l'evangelo, vuole fare un discorso che possa catturare l'interesse del pubblico, per così guadagnarsi un minimo di credibilità. Non è così. Paolo non media proprio niente, dice le cose come sono, e le dice con una disinvoltura, con una lucidità, trasparenza, autenticità davvero meravigliosa. 17,32): «Quando sentirono parlare di risurrezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: Ti sentiremo su questo un'altra volta». Paolo ce l'ha messa tutta, ha dato prova di essere un conferenziere di altissimo livello, è in grado di interloquire con i rappresentanti più qualificati di quel mondo universitario ateniese, non serve a nulla. L'evangelo non ti fornisce nessuno strumento particolarmente convincente, che sia persuasivo, che sia in grado di attirare o addirittura sbaragliare e conquistare gli animi di coloro cui ti rivolgi. L'evangelo ti riduce in modo sempre più preciso e sempre più rigoroso, in uno stato di povertà che, come dire, è uno stato di silenzio. Questo non vuol dire che allora non hai niente da dire né da fare. Paolo ha da dire e da fare le sue cose, ma sei sempre più povero e sei sempre più consapevole che l'autenticità dell'evangelo, cui tu sei consacrato, non ti consente di strumentalizzare il linguaggio, le opinioni, gli strumenti di comunicazione e tutto il resto: non serve a niente. C'è una crescita straordinaria nel vissuto interiore di Paolo. E’ un viaggio missionario, ma dove stanno i frutti!? E' una crescita che si consuma nell'intimo di Paolo. Luca fa in modo di farci intendere che il valore decisivo di questo viaggio missionario sta in quel processo di conversione che scuote e squarcia l'animo di Paolo, sempre più povero.


A Corinto


Cap. 18, «Dopo questi fatti Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto», con la coda tra le gambe. Corinto è il capoluogo della provincia di Acaia. Due province in Grecia: Macedonia al nord, capoluogo Tessalonica; Acaia al sud, capoluogo Corinto. Corinto è una metropoli e Paolo si trova a Corinto. Tutto solo, si guarda attorno e se la fa con dei profughi, sono quelli con cui può trattare a tu per tu, sullo stesso livello, profughi: «Qui trovò un Giudeo chiamato Aquila, oriundo del Ponto, arrivato poco prima dall'Italia con la moglie Priscilla, in seguito all'ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i Giudei». Profughi. E' una situazione quella di Paolo a Corinto tale per cui può soltanto avvicinarsi a dei profughi come lui, che non contano niente, questo è il suo ambiente, questo è il suo spazio, questa è la realtà con cui può interloquire. E per di più Paolo deve mettersi a lavorare per sbarcare il lunario, perché non sa più come sopravvivere.

«Paolo si recò da loro e poiché erano del medesimo mestiere, si stabilì nella loro casa e lavorava. Erano infatti di mestiere fabbricatori di tende», stuoie, tappeti. Si mette a lavorare, perché se no non sa come mangiare e sopravvivere. E poi di sabato in sinagoga. E’ di nuovo la questione con i giudei. Nel frattempo arrivano gli altri amici e quindi Paolo è più libero e si dedica più abbondantemente alla sua opera di evangelizzazione: è il suo lavoro di studio e il suo commento delle Scritture, la sua proposta, la sua offerta, il suo dialogo. Questo in misura crescente, man mano che passa il tempo. Aumentano i contrasti con i giudei. In quella particolare debolezza la minoranza giudaica avverte la presenza di Paolo come una minaccia, quindi cercano di contenerlo, cercano addirittura poi di espellerlo. Nel frattempo però ci sono anche conversione assai qualificate (18,8): «Crispo, capo della sinagoga, credette nel Signore insieme a tutta la sua famiglia; e anche molti dei Corinzi, udendo Paolo, credevano e si facevano battezzare. E una notte in visione il Signore disse a Paolo». Abbiamo incontrato un altro sogno, a Troade. Qui: «Non aver paura, ma continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male, perché io ho un popolo numeroso in questa città».

Paolo è circoscritto entro i limiti di una solitudine amarissima, espulso anche dai suoi, gli altri della sinagoga come lui, malvisto, minacciato, messo alle strette anche dal punto di vista della pura sopravvivenza materiale. E il Signore gli dice: Io sono con te, e nessuno cercherà di farti del male, perché io ho un popolo numeroso in questa città. Io ti ho condotto fino a qui apposta, io ti ho dato appuntamento proprio perché qui dovevi arrivare, io ti aspetto, ti ho aspettato, ti aspetterò qui, in questa città c'è un popolo numeroso, che tu non vedi, non conosci, di cui non hai nemmeno il sentore. C'è un popolo numeroso, queste sono cose mie, spiega il Signore. E tu sei qui apposta, un popolo numeroso.

«Così Paolo si fermò un anno e mezzo, insegnando fra loro la parola di Dio». Diciotto mesi, un periodo lunghissimo, stando alle abitudini del nostro Paolo. Qui si aggiunge un episodio che in qualche maniera è ricapitolativo di tutto quello che abbiamo potuto intravedere leggendo queste pagine.

«Mentre era proconsole dell'Acaia Gallione». E’ un riferimento storico molto utile agli storici, perché in base alla data del proconsolato di Gallione, si stabiliscono tutti gli altri episodi, prima e dopo. Questa è una data certa, è stata ritrovata l'iscrizione. Gallione, anno 51-52 proconsole in Acaia, non si discute, questo è l'anno. Anno 50 il viaggio di Paolo, adesso siamo nel 51, Gallione proconsole, suprema autorità, magistrato, rappresentante dell'impero. «I Giudei insorsero in massa contro Paolo», lo condussero al tribunale dicendo: Costui persuade la gente a rendere un culto a Dio in modo contrario alla legge».

Lo accusano dinanzi al magistrato romano: lui è un uomo pericoloso, bisogna espellerlo. Attenzione. «Paolo stava per rispondere». Paolo adesso ha organizzato il suo discorso difensivo, vuol dire come stanno le cose. Intanto vuole uscire dall'ambiguità, quale legge? con chi ce l'hanno? perché ce l'hanno con lui? «Paolo stava per rispondere, ma Gallione disse ai Giudei: Se si trattasse di un delitto o di un'azione malvagia, o Giudei, io vi ascolterei, come di ragione. Ma se sono questioni di parole o di nomi o della vostra legge, vedetevela voi; io non voglio essere giudice di queste faccende». Al magistrato romano non gli interessa niente: perché mi seccate? perché mi piantate grane che non sono di mia competenza? «E li fece cacciare dal tribunale. Allora tutti (tutti i greci, tutti quelli dell'Acaia, quelli che non sono giudei) afferrarono Sòstene, capo della sinagoga». «e lo percossero davanti al tribunale ma Gallione non si curava affatto di tutto ciò». In piazza tutti sghignazzano perché è preso a legnate un giudeo! A cosa servono i giudei nel nostro mondo? A niente. E così servono finalmente a qualcosa di positivo, a farci ridere.

Paolo così è sollevato. E' vero che da un punto di vista pratico Paolo non ha avuto bisogno di rispondere, quell'imputazione non esiste, lui è automaticamente scagionato, però in modo profondo Paolo è sconcertato, disgustato, esterrefatto: ma che mondo è questo? D'altra Paolo è cittadino romano e non scende in piazza per dire: ecco, bisogna cambiare. Non riesce neanche a pensare cosa possa voler dire questo ipotetico cambiamento. Mentre vengono meno tutti i riferimenti a cui era così abituato per antiche consuetudini culturali, gli rimane l'evangelo, solo l'evangelo e il Signore Gesù, ed è tutto. Quando qualche tempo dopo Paolo scriverà ai corinti, la prima lettera ai Corinti, Paolo dice: accanto a me c'è Sostene. E’ molto probabilmente questo stesso capo della sinagoga che nel frattempo si è avvicinato a Paolo, si è convertito. Fatto sta che qualche anno dopo si trova ad Efeso accanto a Paolo e Paolo scrive ai Corinti e dice: sapete chi c'è qui con me, c'è quel tale che sulla piazza di Corinto è stato bastonato, ma questi sono i miei amici, con questi io posso farmela, con questi io mi intendo, con questi sono in grado di condividere la vita, perché le cose dell'evangelo vanno così.

Paolo si ferma ancora qualche giorno e poi parte da Corinto e porta con sé l'esperienza di un impatto drammatico, apocalittico, l'esperienza di come la novità evangelica che ha conquistato la sua vita, lo ha condotto lungo un itinerario di conversone sempre più radicale, non ha più niente da pretendere, non ha più garanzie a cui ricorrere, non ha più strumenti per difendersi .




1 4 novembre 2003