di Pino Stancari
Paolo è impegnato oramai nei suoi grandi viaggi missionari. Siamo al suo terzo grande viaggio missionario. Ogni viaggio ha la sua particolare fisionomia pastorale, ogni viaggio diventa occasione di crescita nella contemplazione dell'evangelo, ogni viaggio diventa momento di rivelazione per quanto riguarda la novità di cui Dio è protagonista nella storia degli uomini per la salvezza di tutte le genti.
Paolo è spettatore di quello che succede e diviene testimone che prende su di sé la responsabilità di accompagnare il cammino di coloro che si convertono nell'ascolto della parola di Dio e nell'esperienza della comunione che oramai coinvolge tutti gli uomini con la Pasqua del Figlio di Dio, Gesù Cristo, Signore di tutti.
Partito da Antiochia Paolo è ritornato ad Antiochia (18,22). Dal versetto seguente ha inizio il terzo grande viaggio. Ancora una volta siamo alle prese con una geografia impegnativa, frastagliata, in certi momenti un po' impervia. In questo caso, nel corso di questo terzo grande viaggio missionario, ci sono momenti di sosta relativamente prolungati in località adatte all'attività pastorale di Paolo. In particolare una lunga sosta che trattiene Paolo ad Efeso, capoluogo della provincia d'Asia. Per quanto riguarda il valore narrativo, che è valore teologico delle pagine che leggeremo, le strade che Paolo percorre si internano sempre più profondamente nel mistero della coscienza umana, del cuore umano, nel mistero della condizione umana che è visitata dall'evangelo, là dove gli orizzonti non sono calcolabili secondo le misure della geografia, ma secondo le misure della teologia. E' il mistero di Dio che Paolo insegue, che Paolo contempla, di cui Paolo è testimone, è il mistero di Dio nel cuore degli uomini, nella storia degli uomini, è il mistero di Dio nelle vicende che coinvolgono l'attività umana, l'attività professionale, le relazioni domestiche, le relazioni sociali, le dimensioni politiche, e il linguaggio, nel significato più ampio del termine, il linguaggio degli uomini, gruppi, popoli, una moltitudine di culture.
Paolo affronta, in modo sempre più risoluto e anche sempre più maturo, il viaggio missionario come impegno a scandagliare la profondità del cuore umano. Sorprese sempre più affascinanti e sempre più preoccupanti, per altro verso, quelle che si prospettano.
«Trascorso colà un po' di tempo, partì di nuovo percorrendo di seguito le regioni della Galazia e della Frigia, confermando nella fede tutti i discepoli».
Il terzo viaggio ha avuto inizio. Di nuovo Paolo attraversa la penisola anatolica, le regioni centrali. Nel viaggio precedente non aveva potuto raggiungere Efeso. E' la meta che invece costituisce l'obiettivo della sua missione nella prima parte del viaggio. Questa volta la meta verrà sollecitamente raggiunta. Paolo punta verso Efeso, capoluogo della provincia d'Asia, vi sosterà per poco più di tre anni.
Nel frattempo l'attenzione si sposta per l'appunto verso Efeso, dal momento che in 18,14 Luca ci fornisce una notizia concernente la presenza e la permanenza ad Efeso di un personaggio singolare, di nome, Apollo, mentre Paolo è in viaggio.
«Arrivò a Efeso un Giudeo, chiamato Apollo, nativo di Alessandria, uomo colto, versato nelle Scritture». Egli era educato alle scuole dell'arte oratoria, alle scuole della retorica ellenistica, personaggio prestigioso. Fatto sta che il caso di Apollo viene messo in evidenza per un motivo particolare. Questo tale era stato ammaestrato nella via del Signore, dunque già è venuto in contatto con i discepoli di Gesù che a loro modo, lo avrebbero evangelizzato, ma questa evangelizzazione ha avuto un effetto molto parziale, non si potrebbe nemmeno parlare di una evangelizzazionema di un complesso di notizie che gli sono state offerte a riguardo di Gesù il maestro e che negli anni precedenti ha svolto una sua preziosa opera di predicazione e di insegnamento nella terra d'Israele. Notizie che Apollo ha recepito restando assai ammirato e si è dato da fare per rilanciare il messaggio, si è reso egli stesso disponibile con tutte le sue competenze di studioso e di biblista, aggiungendo oltretutto la competenza che gli deriva dall'aver frequentato le scuole alessandrine, dunque la competenza nella tecnica espositiva. Egli approfitta di tutto questo per insegnare con grande fervore «ciò che si riferiva a Gesù, sebbene conoscesse soltanto il battesimo di Giovanni». E’ una conoscenza parziale, anzi diremmo che proprio ciò che è essenziale, costitutivo di quella novità per cui l'evangelo è coinvolgimento nell'opera che Dio ha compiuto una volta per tutte nella storia degli uomini, instaurando il suo regno, chiamando l'umanità intera a intraprendere la strada del ritorno alla vita, quella novità evangelica che coincide con l'evento pasquale che si è compiuto una volta per tutte, ebbene di queste cose Apollo non è informato. Egli parla di Gesù e poi con grande stima rilancia l'insegnamento di quel maestro fascinoso di cui ha avuto notizia con grande trasporto, ma è l'insegnamento di un maestro, una dottrina morale, è per di più un insegnamento che ha trovato conferma nella testimonianza integerrima in quel personaggio eccezionale di cui Apollo è ammiratore a distanza. Ma l'evangelo è un'altra cosa. Apollo conosce soltanto il battesimo di Giovanni, è un indizio, quello che stiamo percependo, che poi verrà ulteriormente confermato: l'evangelizzazione è in corso ma poi si dà il caso che l'evangelo venga proposto in modo parziale e quindi in realtà inconcludente, in qualche caso si potrebbe addirittura ritenere che l'evangelo si proposto in modo ambiguo e quindi pericoloso, perché viene barattato come evangelo di Gesù un messaggio che in realtà è ancora ripiegato su moduli antichi, e in sé e per sé radicalmente insufficienti.
Ci accostiamo alla problematica di una evangelizzazione rimasta a metà strada, sospesa per aria. L'evangelo non è passato, non è penetrato, non ha raggiunto il cuore degli uomini, si è trasformato in un prontuario di norme, utili per rispettare un certo ordine morale delle cose. L'evangelo si è ridotto a una proposta di vita generosa e intraprendente, ma indipendentemente da quella che è la novità risolutiva, cioè il coinvolgimento nella Pasqua del Figlio di Dio che è morto e risorto. L'evangelo è rimasto a metà. Il caso di Apollo è già esemplare.
Il viaggio di Paolo si svolge in modo tale da costringerlo a prendere atto di questa situazione. Sono passati ancora pochi anni, ma già viene registrata da Paolo una preoccupante distanza tra la novità evangelica nella sua pregnanza feconda per la salvezza e un certo modo di proporre dei comportamenti, degli impegni di ordine morale. Apollo conosce soltanto l'evangelo di Giovanni. A Efeso sono presenti Priscilla e Aquila, Paolo si è avvicinato a loro a Corinto, hanno lavorato insieme durante quel soggiorno. Adesso si trovano a Efeso, lo ascoltano, mentre Apollo si dà un gran daffare nella sinagoga. Lo prendono in disparte e «gli esposero con maggiore accuratezza la via di Dio. Poiché egli desiderava passare nell'Acaia». Apollo adesso si rende conto di come stanno le cose e Priscilla ed Aquila a loro modo, ma con molta onestà e coerenza, e con l'autenticità della loro testimonianza di discepoli del Signore, comprendendo il valore straordinario del personaggio con cui hanno a che fare, si dedicano a lui per aiutarlo a immergersi nella relazione con il mistero del Signore vivente. E' la novità Pasquale, è la novità evangelica, la novità della vita cristiana. Apollo riparte da Efeso per recarsi a Corinto, quando Paolo scriverà qualche tempo dopo la lettera ai Corinti segnalerà il passaggio di Apollo a Corinto. Apollo è molto intraprendente, tutto preso dalle sue scoperte, viene da Efeso da parte di coloro che già compongono la ecclesia di Efeso, dove già esiste una comunità di discepoli del Signore, ma con tutte quelle incertezze, quelle soluzioni ancora approssimative, grezze, con tutte quelle forme grossolane ancora proprie di una vita che si propone come novità ed invece ancora è carica di compromessi con gli equilibri antecedenti. Fatto sta che da quella comunità di Efeso Apollo viene aiutato a trasferirsi a Corinto e si dà un gran daffare «confutando vigorosamente i Giudei, dimostrando pubblicamente attraverso le Scritture che Gesù è il Cristo».
Cap. 19, «mentre Apollo era a Corinto», a Efeso giunge Paolo. L'episodio di Apollo adesso sta sullo sfondo di quanto avviene dal momento in cui Paolo si trova egli stesso a Efeso, dopo aver attraversato le regioni dell'altopiano. A Efeso Paolo trova alcuni che sono già discepoli del Signore, già fanno parte di una prima comunità che è stata fondata in seguito a una prima evangelizzazione. Questi discepoli vengono interrogati da Paolo: «Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete venuti alla fede? Gli risposero: Non abbiamo nemmeno sentito dire che ci sia uno Spirito Santo».
Ci sono dei cosiddetti discepoli che non hanno l'esperienza della vita nuova. L'esperienza del battesimo di Giovanni, come diceva Apollo. Il battesimo di Giovanni è un battesimo di penitenza, è un battesimo che esprime il ravvedimento di una vita che vuole intraprendere orami un nuovo cammino, ma è ben altra cosa.
“Non abbiamo nemmeno sentito dire che ci sia uno Spirito Santo”. Luca fin dall'inizio degli Atti degli apostoli, ci ha aiutati a considerare che proprio in forza dello Spirito Santo si realizza quel contatto vitale tra noi uomini. Il contatto vitale con colui che oramai è passato attraverso la morte, vittorioso, intronizzato, nella gloria, asceso al cielo e tra lui e noi c’è una comunicazione diretta, un coinvolgimento vitale nello Spirito Santo. Paolo continua:«Quale battesimo avete ricevuto?. Il battesimo di Giovanni, risposero». Come nel caso di Apollo poco prima.
«Disse allora Paolo: Giovanni ha amministrato un battesimo di penitenza, dicendo al popolo di credere in colui che sarebbe venuto dopo di lui, cioè in Gesù».
Paolo interviene per precisare: se il messaggio ricevuto da questi cristiani è stato da qualcuno proposto come un evangelo, si rende conto che è un evangelo menomato, mutilato, avvilito, è un evangelo che non si esprime nella sua autentica novità, dunque non è più un evangelo. E si dà il caso che oramai, e siamo appena all'inizio della storia dell'evangelizzazione, si tratti di fare i conti con una evangelizzazione che si è svolta nei suoi dati empirici, ma che ha ottenuto come risuultato delle situazioni di vita che non realizzano la novità del Signore nella storia umana. L'evangelo è rimasto a metà. Siamo appena all'inizio della storia dell'evangelizzazione e Paolo fronteggia una constatazione del genere, che è più che mai preoccupante, addirittura angosciante, che diventa motivo di ripensamento radicale. Pensate come la questione sia attuale per noi dopo tanti secoli. L'evangelo è passato, ma non ha preso, non ha afferrato, non è sceso, non è penetrato, non ha raggiunto il fondo, non ha coinvolto la radice del cuore umano. L'evangelo è passato, sì, ma è come avere a che fare con una spolverata un po' superficiale, qualche volta anche con riscontri di generosità interessanti, ammirevolissimi, ma non è la novità evangelica.
Paolo di dà da fare:
«Dopo aver udito questo, si fecero battezzare nel nome del Signore Gesù e, non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, scese su di loro lo Spirito Santo e parlavano in lingue e profetavano».
C'è di mezzo una imposizione delle mani che rinvia a una organizzazione comunitaria, la quale diventa comunicazione tra diversi, c'è una esperienza di gioia intrattenibile, c'è un'ulteriore rilancio della evangelizzazione che rende profeti coloro che sono stati raggiunti dalla profezia che evangelizza, «erano in tutto circa dodici uomini». E' come se in piccolo, ad Efeso, Luca ci riproponesse la scena della Pentecoste, di quella che è stata la prima pentecoste, ma è sempre pentecoste, è una pentecoste permanente: a Gerusalemme all'inizio, a Efeso, pentecoste sarà sempre dappertutto. La vita cristiana è la vita nuova di coloro che man mano vengono coinvolti nella profezia dell'evangelo là dove con la forza misteriosa dello Spirito Santo gli uomini sono condotti a incontrare il Signore vivente e a vivere oramai in comunione con lui. Gli uomini nella loro precarietà, nella loro debolezza, nella loro miseria, gli uomini che devono ancora affrontare la morte, ma che già sono chiamati a vivere in comunione con il Signore glorioso, intronizzato. E' il mistero della vita cristiana. Ebbene erano circa 12 uomini come all'inizio, è sempre e ancora pentecoste.
Anche se l'apparenza è così dimessa, anche se ci sembra di avere a che fare con personaggi molto modesti e molto condizionati, è sempre ed ancora la pentecoste. Paolo rimane a Efeso, si dà un gran daffare, qui il suo ministero apostolico si sviluppa, ha a che fare con la sinagoga dei giudei a Efeso. Ci sono momenti di polemica molto serrata.
«Questo durò due anni, col risultato che tutti gli abitanti della provincia d'Asia, Giudei e Greci, poterono ascoltare la parola del Signore».
E’ un ministero molto ricco, un ministero molto fecondo: la evangelizzazione promossa da Paolo si irraggia in tutto il territorio circostante. Efeso è capoluogo della provincia e questo consente anche da un punto di vista tecnico una proiezione su tutto il territorio circostante, di città in città, di villaggio in villaggio, ai bordi delle strade. Così Paolo a Efeso.
L’episodio che segue (18,11-20) ci riporta brutalmente a confermare l'impressione che avevamo avuto fin dall'inizio: una evangelizzazione rimasta a metà. Intanto c'è una crescita, non c'è dubbio. E' una crescita benefica, una crescita entusiasmante in estensione, ma rimane una problematica a cui non ci si può sottrarre per quanto riguarda la penetrazione in profondità dell'evangelo. Cosa succede qui?
«Dio intanto operava prodigi non comuni per opera di Paolo, al punto che si mettevano sopra i malati fazzoletti o grembiuli che erano stati a contatto con lui e le malattie cessavano e gli spiriti cattivi fuggivano».
Per le mani di Paolo passano le opere potenti di Dio. Una scena questa che ci affascina in modo clamoroso, ma già percepiamo che affiorano delle ambiguità, si dà spazio a dei fraintendimenti. A riguardo di tutto questo poi, Paolo è più insofferente che mai. Paolo in nessun modo vuole dare adito a soluzioni che equivochino circa l'autenticità dell'evangelo che egli ha ricevuto ed accolto e di cui è profeta con tutta la partecipazione del suo vissuto. Ed ecco un episodio, sintomatico:
«Alcuni esorcisti ambulanti giudei si provarono a invocare anch'essi il nome del Signore Gesù sopra quanti avevano spiriti cattivi».
E' proprio vero, il fraintendimento è all'ordine del giorno. Qui compaiono questi esorcisti giudei, che come evidentemente erano abituati a comportarsi, ancora una volta abusano della superstizione popolare e invocano anch'essi il nome del Signore Gesù sopra quanti avevano spiriti cattivi, «dicendo: Vi scongiuro per quel Gesù che Paolo predica». Procedure di tipo magico, approfittano della creduloneria della gente, approfittano di quello che è un animo generoso comunque aperto all'esperienza religiosa, subito compromesso da soluzioni di tipo superstizioso. E questo è un fenomeno che non riguarda soltanto le persone poco acculturate. Questo è un fenomeno che riguarda spesso proprio gli uomini dotati della cosiddetta alta cultura, non meno e non di più, e in modo tragicamente drammatico.
Gli uomini colti sono molto spesso estremamente superstiziosi. Il caso di Apollo già ci é stato presentato in concomitanza con l'inizio del terzo viaggio missionario, come una indicazione programamtica. Fatto sta che questo era il comportamento di «sette figli di un certo Sceva, un sommo sacerdote giudeo». Giudei della diaspora, abbastanza disarticolati nei loro comportamenti. Situazioni più o meno corrotte rispetto alla coerenza della tradizione di fede che è ricchezza inconfondibile e tale rimane, del popolo d'Israele. Questi tali in qualche modo hanno captato qualche cosa della predicazione di Paolo e hanno trasformato quel messaggio in uno strumento di cui adesso si sono appropriati e che intendono utilizzare ad uso e consumo delle loro procedure magiche. E qui succede, v. 15, l'episodio che adesso assume delle movenze un po' grottesche, se non addirittura ridicole:
«Ma lo spirito cattivo rispose loro: Conosco Gesù e so chi è Paolo, ma voi chi siete?. E l'uomo che aveva lo spirito cattivo, slanciatosi su di loro, li afferrò e li trattò con tale violenza che essi fuggirono da quella casa nudi e coperti di ferite. Il fatto fu risaputo da tutti i Giudei e dai Greci che abitavano a Efeso».
Giudei e greci, questo è un fatto che riguarda la cittadinanza efesina in tutte le sue componenti. Lo scalpore è generale. L’episodio in sé e per sé è molto circoscritto, però allude a quelle situazioni di ambiguità che dimorano nella coscienza comune degli uomini a causa del linguaggio religioso diffuso, che ottiene il consenso più ampio, se non addirittura generalizzato. E’ quel certo linguaggio religioso che deve fare i conti con un incidente sconcertante e angosciante.
«Il fatto fu risaputo da tutti i Giudei e dai Greci che abitavano a Efeso e tutti furono presi da timore e si magnificava il nome del Signore Gesù». C’è comunque un appello nel nome del Signore, la magnificenza del nome del Signore viene proclamata, c'è un Magnificat che viene cantato al nome del Signore Gesù. Ma c'è un piccolo particolare di cui bisogna tener conto: il Magnificat è cantato dalla Madre del Signore nella sua piccolezza. Come si può proclamare la magnificenza del Signore Gesù senza esporre, senza consegnare, senza affidare la propria piccolezza? Come si può proclamare il Magnificat rimanendo ancorati ad un atteggiamento magico e superstizioso ? Tutto ciò che ha a che fare con la magia o la superstizione riguarda l'uso del potere. Qui viene proclamata la magnificenza del nome del Signore Gesù, ma rimanendo all'interno di un certo dinamismo della coscienza umana per cui gli uomini aspirano in tutti i modi a ottenere quel potere. Questo atteggiamento così ambiguo è quanto mai diffuso.
«Molti di quelli che avevano abbracciato la fede venivano a confessare in pubblico le loro pratiche magiche e un numero considerevole di persone che avevano esercitato le arti magiche portavano i propri libri e li bruciavano alla vista di tutti. Ne fu calcolato il valore complessivo e trovarono che era di cinquantamila dramme d'argento. Così la parola del Signore cresceva e si rafforzava».
Cresceva e si rafforzava, ma Paolo si rende conto che i tempi si allungano, si rende conto che in un primo momento si era prospettata la sua attività di evangelizzazione missionaria come una corsa mirata a ottenere dei frutti definitivi, ora capisce che il cuore umano ancora non è stato penetrato in profondità, la situazione dei credenti è stata condizionata ancora da complicazioni di ordine magico. C'è una religiosità diffusa che non è stata affatto coinvolta nella novità evangelica. Paolo se ne accorge. E qui una svolta.
E' il terzo grande viaggio missionario, passano alcuni anni. Luca ci dà di Paolo una immagine pensosa, meditativa. Paolo sta ripensando alle sue cose, alla sua attività di evangelizzatore, sta ripensando al suo impegno. Fa bene ogni tanto. Paolo anche in queste cose è esemplare. v. 21, finalmente Paolo ha preso una decisione dopo un ripensamento intenso, drammatico. E' un nuovo programma apostolico quello che si prospetta.
«Dopo questi fatti, Paolo si mise in animo di attraversare la Macedonia e l'Acaia e di recarsi a Gerusalemme dicendo: Dopo essere stato là devo vedere anche Roma». Invia due dei suoi, Timoteo ed Erasto, e lui si trattiene ancora per qualche tempo ad Efeso, ma ha preso una decisione. C'è una svolta.
Paolo, giunto a questo punto della sua attività missionaria, decide di tornare indietro, bisogna tornare a Gerusalemme. Non è mica una decisione da poco, questa! Fino a questo momento abbiamo l'impressione che Paolo è proiettato verso mete sempre più remote, una periferia sempre più lontana geograficamente e anche culturalmente, sempre passando attraverso le sinagoghe, là dove trova appoggio e possibilità di dialogo, e poi superando la sinagoga per rivolgersi ai pagani, lungo tutte le strade, lungo tutte le direzioni, fino agli estremi confini della terra. Questo sembrava un programma già elaborato da Paolo e dagli altri con lui. Ora Paolo cambia programma: bisogna tornare indietro, bisogna ritornare da capo. Quello che mi sembra importantissimo è diventare anche noi accompagnatori di Paolo in questa sua vicenda, mentre si interroga, appronta delle soluzioni, elabora dei programmi e poi si accorge che i programmi vengono man mano ridimensionati e sconfessati dai fatti. Paolo si trova sempre più esposto alla esperienza di una novità, quella vera novità che appartiene soltanto la Signore e che sbaraglia tutte le possibili programmazioni pastorali. L’evangelo ancora non ha ottenuto i frutti desiderati. Come è possibile questo?
Paolo si rende conto che c'è uno slittamento in avanti. Nel primo periodo Paolo si comporta come se tutto dovesse risolversi nel corso di pochi anni, entro la sua generazione, ora si accorge che i tempi si allungano, che i disegni della storia umana sono altri, che la provvidenza del Signore che si è manifestata a noi attraverso l'incarnazione del Figlio e la potenza dello Spirito Santo, la provvidenza del Signore guida i disegni della storia futura secondo scadenze e mediante modalità di cui Paolo non si era ancora reso conto.
E intanto bisogna ritornare indietro, ritornare a Gerusalemme, ripartire dalla radice, ripartire dalle fondamenta. Bisogna affrontare il fondo del cuore umano. Paolo ha un unico obiettivo davanti a sé che è la salvezza universale. Bisogna che lo sopportiamo con questa sua pretesa. D'altra parte, se noi, nel nostro piccolo, siamo i cristiani al seguito dell'evangelo, è perché abbiamo anche lo stesso problema: la salvezza universale. Paolo, nel suo piccolo, ha pensieri grandi, ha una prospettiva immensa. Ha davanti a sé il problema della salvezza universale, bisogna ripartire da capo, bisogna ripartire da Gerusalemme, bisogna ripartire da Israele. E quando Gerusalemme sarà evangelizzata ecco … Come gli antichi profeti avevano annunciato, Gerusalemme si solleverà verso l'alto, splenderà. Ecco un punto di riferimento, un segnale sulla scena del mondo, e tutti i popoli vi accorreranno. Allora la evangelizzazione dei pagani sarà come una specie di girotondo che risponderà ai ritmi determinati da quel segnale luminoso e inconfondibile. Così si esprimevano già i profeti dell'epoca antica.
C'è ancora qualche incertezza per quanto riguarda il discernimento per quanto riguarda il tempo:
«si trattenne ancora un po' di tempo nella provincia di Asia». Ed ecco: «Verso quel tempo scoppiò un gran tumulto riguardo alla nuova dottrina».
Mentre Paolo ha ancora qualche incertezza circa il kronos, intanto il kairos, come dice qui, irrompe. In italiano abbiamo un unico termine: tempo, in greco abbiamo kronos e kairos. Paolo si sta ancora interrogando circa la disposizione dei tempi all'interno di un disegno e intanto accade il kairos. E' un tempo che si impone come una scadenza che interseca i disegni misurati dall'iniziativa umana. Paolo rimane spettatore di un evento sbalorditivo.
A Efeso un bel giorno una sommossa popolare. Tumulto, confusione, è un caos infernale. E' proprio il caso di usare questo aggettivo. La consorteria degli artigiani, argentieri, dediti alla costruzione di certi oggetti relativi al culto della dea Artemide, la dea degli efesini, protestano. La scena pubblica della città è sconvolta, la folla accorre nel teatro, nessuno capisce più niente di quello che sta succedendo, ma è uno sconquasso generale. Paolo non ha mai assistito a un fenomeno del genere. E’ proprio il mondo dei pagani, il "mondo". Paolo ha sempre avuto a che fare con i giudei, i suoi avversari, che sono quelli della sua gente. E poi si è rivolto ai pagani, i pagani lo hanno accolto, riconosciuto, accettato, seguito. E’ su quest'onda che Paolo ha impostato il suo ministero apostolico fino a questo momento. E adesso sta ripensando tutto, è come se gli esplodesse la terra sotto i piedi, è come se all'improvviso Paolo si rendesse conto che sta camminando su un vulcano ancora in attività. E il vulcano esplode. Paolo vorrebbe scendere in campo, andare in piazza e lo trattengono. Paolo rimane al suo posto, non perché abbia paura. Ha dimostrato in tanti modi di sapere affrontare la folla. Tra l'altro il tumulto popolare viene sedato perché certi personaggi, responsabili dell'amministrazione pubblica, sanno come gestire la cosa. Ma rimane il fatto in sé come clamorosa espressione di questa infernale ostilità del cuore umano. E' proprio vero, il cuore umano non si è proprio convertito. Qui abbiamo a che fare con un mostro. E' proprio vero, qui noi stiamo cavalcando un'onda tempestosa. E' proprio vero, qui i tempi si allungano. Ma come funziona l'evangelo in questo contesto, in questa storia? Cosa resta di quella corsa fino agli estremi confini della terra per raccogliere tutto e tutti a Gerusalemme? Questo disegno non corrisponde alla realtà, viene smentito in modo sfacciato, in modo violento, demoniaco. C’è di mezzo la città di Efeso, c'è di mezzo l'identità di tutta una popolazione, c'è di mezzo la storia umana, c'è di mezzo il cuore umano. A parte la dea Artemide e le sue prerogative cultuali, c'è di mezzo il cuore umano. Paolo è spettatore di questa improvvisa esplosione di ostilità, di insofferenza, di rifiuto. Babelico rifiuto.
Non si capiscono nelle cose che dicono, eppure schiamazzano, gridano, strepitano e tutta la città è scoppiata come la pancia di un mostro. E' una storia vecchia questa. Quante immagini nell'AT! Giona nella pancia del mostro. Qui è Paolo che si ritrova improvvisamente nella tempesta che sconquassa la scena pubblica della storia umana. Si ritrova alloggiato nella pancia di un mostro.
Il suo programma pastorale deve essere nuovamente registrato in base ad altri riferimenti. E infatti, cap. 20.
«Appena cessato il tumulto, Paolo mandò a chiamare i discepoli e, dopo averli incoraggiati, li salutò e si mise in viaggio per la Macedonia».
Paolo parte, una partenza affrettata. Paolo è accompagnato da molti pensieri, da molti interrogativi. Non è spaventato per quel che è successo. Anzi da parte sua sarebbe pronto ad affrontare la scena pubblica. Non è questo il suo problema. Paolo non sa più esattamente in quale prospettiva deve inserirsi il suo ministero apostolico, all'interno di quale disegno la evangelizzazione che è affidata a lui, e quella che è affidata ad altri accanto a lui, si inserisce. Da Efeso in Macedonia, in Acaia, Corinto. Rimane a Corinto alcuni mesi, sono i mesi in cui scrive la lettera ai Romani. Da Corinto riparte, ritornerà indietro, per tornare a Gerusalemme. Abbiamo a che fare con un Paolo meditabondo, un Paolo che sembra come raccolto nell'impegno di un discernimento interiore che ancora non lo soddisfa. Era giunto a quella soluzione, l'aveva individuata come risposta alla problematica messa a fuoco precedentemente e ora bisogna tornare a Gerusalemme! Gerusalemme è il punto di partenza, ma è anche la meta: il resto sarà soltanto una corsa agevole e disinvolta attraverso i popoli della terra per raccoglierli e convogliarli alla città del Signore. Questo programma è già saltato per aria, è già frantumato, è già esploso insieme con gli eventi di cui Paolo è stato spettatore e in cui Paolo è stato coinvolto a Efeso. Nel cap. 20 il viaggio di Paolo è segnato da un costante riferimento all'eucarestia. Paolo celebra l'eucarestia. Partito da Efeso, Macedonia, Acaia, sosta a Corinto, riparte. Luca non accenna espressamente alla colletta di aiuti che Paolo ha messo insieme per portarli a Gerusalemme, ma è implicita questa attività che Paolo ha promosso nel corso del suo viaggio per portare alla chiesa madre di Gerusalemme quei soccorsi di cui ha bisogno. Qui sono coinvolti i collaboratori di Paolo che provengo da vari luoghi, varie città, come se fossero una piccola avanguardia dei popoli della terra che accorrono a Gerusalemme, che portano i propri doni, che contribuiscono con la propria collaborazione. Un modo per ricostruire immagini che provengono dalla predicazione degli antichi profeti, fino al momento in cui, 20,5: «Questi però, partiti prima di noi ci attendevano a Troade». Si deve notare la prima persona plurale. Luca usa la prima persona plurale quando ciò che scrive comporta un diretto coinvolgimento di lui, scrittore e narratore, e di noi lettori.
Ci attendevano a Troade. Paolo a Filippi e Luca con lui e noi con Paolo. «Noi invece salpammo da Filippi dopo i giorni degli Azzimi». Questo ultimo scorcio del viaggio si svolge adesso tra Pasqua e Pentecoste,«li raggiungemmo in capo a cinque giorni a Troade dove ci trattenemmo una settimana». Più volte Luca accenna alla settimana. La settimana è quel periodo di tempo che è segnato dal rinnovarsi del giorno del Signore, il giorno del Vivente, il giorno dell'eucarestia. Da Pasqua a Pentecoste, 20,16: «Paolo aveva deciso di passare al largo di Efeso per evitare di subire ritardi nella provincia d'Asia: gli premeva di essere a Gerusalemme, se possibile, per il giorno della Pentecoste».
Ed ecco: da Pasqua a Pentecoste, per essere a Gerusalemme a Pentecoste. Pasqua-Pentecoste, di settimana in settimana, mentre viene celebrata l'eucarestia. A Troade, l'episodio del ragazzino che cade dalla finestra e Paolo interviene. E' un segno di vita non un segno di morte. Tuttavia man mano che Paolo procede lungo il suo viaggio, indizi di morte sempre più vistosi, sempre più invadenti, anche direi sempre più scandalosi, si fanno avanti. E’ il mistero della vita che Paolo cerca, che Paolo testimonia: è la strada del ritorno alla vita, è la strada aperta dal Signore risorto dai morti che ci coinvolge con potenza di Spirito Santo. Questo vale per la storia di tutti gli uomini, per la storia umana, per la storia dei popoli. Paolo intanto vede calare sullo sviluppo del suo cammino un'ombra di morte. Il viaggio, ancora una volta, è caratterizzato da questo atteggiamento pensoso del nostro Paolo. Il cuore degli uomini non si è convertito. L'evangelizzazione prosegue, ma il cuore degli uomini ancora non si converte. Ha approntato una soluzione e si è accorto che era del tutto approssimativa e già svuotata di validità. E adesso sta rielaborando, rimeditando, cercando di mettere a fuoco un altro programma pastorale, perché il povero Paolo, cosa volete mai, di un programma ha bisogno, di un disegno ha bisogno, deve riuscire in qualche modo a chiarire a se stesso come vanno le cose e in quale prospettiva si inserisce la sua fatica quotidiana. Di tappa in tappa, segni di morte. E Paolo celebra il mistero della vita, non c'è dubbio, non ci si può confondere a questo riguardo. Non è l'umore cupo, tetro, amaro, avvelenato, di un uomo deluso. Non è così. Paolo non è un uomo deluso, eppure le cose non sono andate come lui desiderava.
Ritorna in Asia, procede parzialmente per via di terra, poi si imbarca per girare al largo da Efeso. Non può entrare ad Efeso con tutto quello che è successo, sono passati mesi. Sbarca a Mileto, qui vanno a visitarlo gli anziani della chiesa di Efeso. Qui il famoso discorso agli anziani di Efeso, responsabili della comunità, a Mileto (20,17-35). Il discorso è veramente splendido. Paolo parla a cuore aperto anche se in un contesto che di per sé denuncia la fatica del ministero, perché non ha potuto recarsi ad Efeso per evitare disordini e complicazioni. Comunque grande trasparenza nel suo linguaggio, grande lucidità nel suo discernimento.
«Voi sapete come mi sono comportato con voi fin dal primo giorno.. Ed ecco ora, avvinto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme senza sapere ciò che là mi accadrà».
Io mi trovo in queste condizioni, non so cosa sta succedendo. Nello stesso tempo però, mi rendo conto che «lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni». Sono incatenato, so questo: che vado incontro a dei guai, ma non so perché, con quali risultati, per quale obiettivo pastorale? Perché corri a
In vista di Gerusalòemme
Gerusalemme? Nello stesso tempo tutto mi lascia intendere che a Gerusalemme per me le cose si mettono male. Che senso ha questo viaggio, il mio presente.
«Non ritengo tuttavia la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio».
Paolo è ancora risoluto, nulla e nessuno potrà fermarlo. D'altra parte, in un contesto di oscurità, Paolo si rende conto che dinanzi a lui si delinea un itinerario pericoloso, un itinerario luttuoso. «Ecco, ora so che non vedrete più il mio volto». Questo è un vero e proprio annuncio di morte, «voi tutti tra i quali sono passato annunziando il regno di Dio. Per questo dichiaro solennemente oggi davanti a voi che io sono senza colpa riguardo a coloro che si perdessero». E' un testamento questo discorso. Paolo va a Gerusalemme, non sa come andranno certe cose, però intuisce di andare incontro alla morte. E ne parla in maniera comprensibilissima: non vedrete più il mio volto. E intanto resta a voi l'incarico pastorale di cui Paolo parla qui nei versetti seguenti .
Dal v. 29 l'esortazione che è rivolta a questi anziani della chiesa efesina, perché rimangano vigilanti, perché si assumano il rischio della loro presenza in seno alla chiesa: «Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi ». E poi ancora l'esortazione a mantenersi in un atteggiamento di gratuità, come si è comportato lo stesso Paolo: «Non ho desiderato né argento, né oro, né la veste di nessuno. Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani», ecc. ecc.
«Detto questo, si inginocchiò con tutti loro e pregò. Tutti scoppiarono in un gran pianto e gettandosi al collo di Paolo lo baciavano, addolorati soprattutto perché aveva detto che non avrebbero più rivisto il suo volto. E lo accompagnarono fino alla nave». Commozione generale, avevano capito bene cosa avesse detto loro. Paolo va incontro alla morte. La tristezza che appanna la vista è come un velo di lacrime, o anche se non piangono non riescono più a sollevare lo sguardo e a guardare in faccia a Paolo, perché Paolo è sottratto alla relazione con loro. Paolo oramai va incontro alla morte.
Così ha dichiarato il nostro apostolo impegnato in questo che dovrebbe essere il suo ultimo viaggio. Le cose non andranno in questo modo. I programmi di Paolo non sono adeguati alla realtà dei fatti. Il disegno delle cose corrisponde a una iniziativa di Dio che rimane gratuita e travolgente rispetto a qualunque tentativo di programmazione umana. E' vero che Paolo ci ha messo tutto il suo discernimento, ci ha messo tutta la sua partecipazione orante, ci ha messo tutta la sua intelligenza pastorale, è vero. Però ancora una volta il programma di Paolo non corrisponde alla verità del disegno provvidenziale che è nelle mani di Dio.
Giunti a questo punto siamo almeno arrivati a stringere qualche nodo. Quel grande programma pastorale, di tono un po' trionfalista diremmo noi, senza giudicare nessuno, si è dimostrato inconcludente già in partenza. Quest'altro programma pastorale sembra essere subentrato: debbo salire a Gerusalemme perché là vado incontro alla morte. E in un modo che io non conosco, in base a un disegno che lo Spirito di Dio gestisce a suo modo, nella economia dei suoi doni, questo mi è chiesto, in questo modo debbo rendere testimonianza, debbo salire a Gerusalemme per andare incontro alla morte. Prospettiva del martirio. C'è una bella differenza. I programmi si sono succeduti capovolgendo in qualche modo l'orientamento. Dalla prospettiva di un disegno pastorale che da Gerusalemme giunge a Roma e di là dilaga fino agli estremi confini della terra e ritorna a Gerusalemme a questa prospettiva di salire a Gerusalemme per andare incontro alla morte.
I programmi pastorali Paolo se li gioca nell'intimo, nel suo discernimento, nella sua preghiera, nella sua ricerca interiore, nella sua partecipazione al vissuto di altri.
E adesso, cap. 21, «Appena ci fummo separati da loro, salpammo e per la via diretta giungemmo a Cos, il giorno seguente a Rodi e di qui a Pàtara. Trovata qui una nave che faceva la traversata per la Fenicia, vi salimmo e prendemmo il largo. Giunti in vista di Cipro, ce la lasciammo a sinistra e, continuando a navigare verso la Siria, giungemmo a Tiro, dove la nave doveva scaricare». Da notare la prima persona plurale: sbarcano, ripartono; tutti passaggi che sono segnati, quand'è il caso, dall'incontro con una comunità di discepoli presenti in quella località, l'eucarestia, giungono a Tolemaide, l'attuale Akko (21,7) «Terminata la navigazione, da Tiro approdammo a Tolemàide, dove andammo a salutare i fratelli e restammo un giorno con loro».
Lungo il percorso parecchi sono intervenuti con Paolo dicendo: non è il caso che tu vada. Cosa vai a fare a Gerusalemme, se le cose stanno così? Già quelli di Efeso che sono andati incontro a Mileto si sono inginocchiati con lui in preghiera, piangendo. Ma perché? Adesso, espressamente, altri si fanno avanti: ma non andare, non andare. Siamo ad Akko e per via di terra, Paolo con altri, Luca è tra quelli, giunge a Cesarea.
«Ripartiti il giorno seguente, giungemmo a Cesarea», là dove per la prima volta un pagano è stato evangelizzato da Pietro. Cesarea è la località nella quale è andato a dimorare Filippo, di cui leggemmo le avventure nel cap. 8. Cesarea è dunque un punto di riferimento. Cesarea è anche la sede del procuratore romano, una città in crescita, un porto famosissimo costruito da Erode il grande. Cesarea è l'ultima tappa prima di salire a Gerusalemme, «ed entrati nella casa dell'evangelista Filippo, che era uno dei Sette, sostammo presso di lui». Paolo sta recuperando, ripassando tutto quello che è successo, sta rileggendo gli Atti degli apostoli, sta rileggendo il vangelo secondo Luca, sta ritornando a Gerusalemme, che vuol dire ritornare all'inizio degli Atti, ritorna per Pentecoste, che poi è la fatica di ciascuno di noi che si mette in questione e cerca di ritrovare il filo conduttore della propria vita cristiana nel proprio servizio. Come facciamo? Ritorniamo la principio degli Atti. E Paolo sta ritornando e man mano affronta gli strati del percorso che si sono oramai trasformati in narrazione. E dunque Filippo, Pietro, e tutti quelli che ha incontrato lungo il percorso, tutti quelli che costituiscono oramai l'antefatto della sua vita cristiana, perché deve entrare alla radice: ma io, che cristiano sono?
Filippo, uno dei sette, a casa sua, «aveva 4 figlie (vergini) nubili, che avevano il dono della profezia. Eravamo qui da alcuni giorni, quando giunse dalla Giudea un profeta di nome Agabo. Egli venne da noi e, presa la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e disse: Questo dice lo Spirito Santo: l'uomo a cui appartiene questa cintura sarà legato così dai Giudei a Gerusalemme e verrà quindi consegnato nelle mani dei pagani. All'udir queste cose, noi e quelli del luogo pregammo Paolo di non andare più a Gerusalemme».
Cosa vai a fare a Gerusalemme se sarai esposto a questi inconvenienti. «Ma Paolo rispose: Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto a esser legato, ma a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù». In modo più esplicito di così Paolo non poteva esprimersi. Io salgo a Gerusalemme proprio per questo, perché mi sono reso conto che questo è il senso del mio cammino, che questa è la prospettiva che mi si apre dinanzi, per questo devo salire a Gerusalemme, per morire nel nome del Signore Gesù. Prospettiva del martirio per Paolo a Gerusalemme. C'è solo questo come obiettivo che possa e debba perseguire: il martirio nel nome di Gesù.
In realtà i fatti non vanno in questo modo, ancora una volta Paolo si sbaglia. Anzi, c'è una nota un po' grottesca, un po' ironica, un'ironia molto benevola, quell'ironia di cui è capace il nostro evangelista Luca. La storia di un cristiano che man mano elabora programmi e man mano scopre che la novità dell'evangelo.