13 settembre 2007
Urbino – Monastero S. Chiara
Gianfranco Solinas
La compassione per i sofferenti: è un’esperienza che con altri comincio a fare sostituendola al fare, anche benefico. La compassione ci mette in una situazione di ascolto più profondo. Spinti anche dall’ansia siamo portati a buttarci immediatamente a soccorrere, e finiamo anche per inventarci di che cosa hanno bisogno i nostri fratelli. Riuscire a stare in silenzio, ad ascoltare la sofferenza di quelli che abbiamo intorno è una via di rieducazione, anche se poi nella vita quotidiana viviamo tante contraddizioni in cui prevale l’agitarsi, che è il segno di questo tempo ed in cui siamo dentro fino al collo. Un cammino di rieducazione dello sguardo, questo esercizio che è un lasciarsi portare più che un’attività. E’ stare vicini a chi soffre, facendo tacere anche le nostre ansie. E’ quello che ci chiedono tanti distratti che abbiamo intorno. Sono uno che va facendo sempre cazziatoni ai tanti che si fanno prendere da cose superficiali. Ci si accorge però che queste persone aspettano qualcuno che li aiuti a rieducare il loro sguardo, la loro vita, a leggere i segni.
La lettura dei segni che è anche scoperta della frammentazione che c’è nella nostra vita: frammentato il mondo e frammentati noi stessi, tirati da tante cose diverse. Lo sguardo sul mondo è anche sguardo su di noi. Facendo qualche passo in questo senso possiamo aiutare chi è distratto e disperato. Non ci è chiesto attivismo. Le persone che incontriamo ci chiedono di poter stare un po’ tranquilli con noi per riscoprire il senso più profondo del nostro vivere.
Il cammino fatto in questi anni è un’occasione per stare più in silenzio, per fermarci. Questo insieme; da soli non andiamo da nessuna parte. Maturare insieme lo stare in silenzio davanti al Signore e alla sofferenza del mondo intero.
Con Maria eravamo presi da un lato dal desiderio di stare con i nostri ospiti, giovani in difficoltà, dall’altro dal desiderio di dover dare ancora loro delle “dritte”. Vediamo che il problema di fondo è ascoltarli in profondità, anche quando ci mettono davanti a delle scelte difficili da capire.
Anche per i figli naturali stare vicini senza troppo giudicare e senza farci prendere dall’ansia.
A Quaresima sulla fraternità. Dopo ho scoperto che anche la posta elettronica può giovare alla fraternità per continuare un dialogo a distanza. Anche se resta cruciale l’incontro dei volti, come oggi.
Franco Passuello
C’è una frase nel testo di Pio che per me è stata una rivelazione: “noi siamo il mistero che si compie”. Mi ha suscitato una serie di risonanze.
La fede cristiana o è esperienza del mistero o non è: questa è la mistica.
Come si fa a fare esperienza del mistero? Parliamo di mistero perché la sua logica è fuori dal nostro sguardo ordinario. Tuttavia possiamo contemplare il mistero, ed è un’esperienza. La contemplazione è l’esperienza che fonda autenticamente tutte le altre.
Il silenzio, l’abbandono, il fare vuoto dentro di noi per essere riempiti dal mistero che abita in noi. Mi scuso se parlo di cose che sono più vicine all’esperienza che sto vivendo. Questo mi sembra essenziale.
Allora la mistica non può essere affare riservato agli eroi della fede, è un giogo leggero, è il nostro sguardo alienato che rende pesante questa esperienza.
E’ più facile ai piccoli che non ai grandi e sapienti i quali sono avvolti nella pretesa della loro alienazione.
Seconda questione: l’ecumene della compassione e dei sofferenti: si, ma la sofferenza nel mondo non è un dono di Dio: c’è ancora il lutto e il pianto, e ci è stato detto che non ci saranno più, perché il nostro sguardo è alienato. Compatire, ascoltare la sofferenza. Ma nella nostra fede c’è ancora troppa crocifissione e poca risurrezione. Minorità, piccolezza… si, ma come via alla pienezza dell’essere, non come mortificazione dell’essere umano. C’è un problema forte: tutti soffriamo perché non siamo in un’esperienza piena del mistero e chissà se mai ci riuscirà. Questo è un punto e l’esperienza cristiana, ho presente i tre fuochi di cui parla Pio, ha come primo passaggio essenziale l’esperienza personale del mistero ed ha come esperienza finale un’esperienza politica del mistero. Ciò che rende possibile il passaggio dalla dimensione personale a quella universale è la fraternità. Nessuno è in grado di immettersi veramente nell’economia del Regno da solo, di mettersi in sintonia con il Regno che sta venendo e solo i nostri occhi velati non vedono. La fraternità non può essere una scimmiottatura, solidarietà: o è esperienza comunitaria del mistero o è una maschera, non è assistenza.
Se l’uomo vecchio deve morire, ciò deve avvenire nella gioia che è condizione perché l’uomo nuovo si esprima. Nella Chiesa trovo più accento sulla prima parte che sulla seconda. Questo non cambia la sofferenza e la scompagina. E’ lo sguardo che è diverso. Voglio condividere la tua sofferenza ma voglio condividere la gioia della tua guarigione. E questo non deriva dalle mie forze, ma se è vero che posso essere mistero che si compie, allora posso aiutare a guarire la sofferenza nella dimensione comunitaria e politica. Per me politica significa che se i confini della Chiesa sono quelli dell’azione dello Spirito, la fede o è universale o non è. Quindi è politica in questo senso forte.
Un’esperienza quale la nostra che stiamo vivendo adesso è un’esperienza comune del mistero. Pio parla sostanzialmente del silenzio comunitario. Io nella mia vita ho una forte esperienza di silenzio personale e ne ho poca di silenzio comunitario, quello che fonda la possibilità di un’esperienza comune del mistero. Non è possibile il passaggio dalla esperienza personale del mistero a quella politica senza una fraternità; non come stiamo bene insieme, ma come esperienza insieme del mistero.
A questo livello scopri che c’è una corrente che attraversa tutta la storia e non è riservata solo alla fede cristiana.
Mentre siamo convinti che la vita cristiana non sta nell’etica e nella teologia, ma nell’esperienza di fede, è difficile vivere questo insieme, che è pure richiesto anche dal vero discernimento spirituale. Questo è essere chiesa in senso proprio, originario. Conosco molte realtà che fanno cose buone e giuste insieme, ma poche che fanno questa esperienza anche nella vita consacrata. So che questa esperienza è possibile e ne ho avuto qualche percezione nella mia vita.
Un’ultima cosa: anche nella più grande delle follie ci vuole metodo. Dovremmo promuovere questo movimento. Si può partire da tanti punti diversi ma i tre fuochi indicati da Pio sono sempre essenziali per essere autenticamente Chiesa.
Serve un metodo, una capacità di comunicare la possibilità di fare questa esperienza.
Piero Fantozzi
Da tanto tempo stiamo facendo un piccolo cammino in cui P. Pio e P. Pino ci aiutano molto insieme a tanti altri amici.
Sono rimasto particolarmente interessato la “lo stato adolescenziale” dello spirito. capacità mai piena di vivere il mistero, che riguarda non solo noi singoli ma tutta l’umanità in cui ci troviamo a vivere.
In questi ultimi mesi ho seguito un po’ le faccende della Locride per vari motivi. Mi è servito molto per imparare.
Si discuteva su S. Luca. Non riusciremo a liberarci da questa cosa… In verità c’è un problema importante: tutti guardavamo a questo paese. La mia stessa università indagava su questo paese e la sua capacità di cambiare. Mi sono reso conto, anche da due o tre cose che diceva Bregantini, con grandi capacità intuitive dello spirito, che il problema non era S. Luca ma come noi lo vivevamo. Stavamo lì a guardare.
La riunione si è fatta durante la festa della Madonna dei Polsi; stavamo con Giorgio al Santuario. La gente arrivava al Santuario scalza, con tutti i difetti e le storture che esistono negli agglomerati. In quella veste, a contatto con il santuario e la Madonna venivano fuori esperienze di straordinaria forza; esperienze di straordinaria intensità, uomini e donne che piangevano. Come se questa realtà, questo ambito, questa cultura esplicitassero una capacità profondissima di vivere anche esperienze importantissime. Anche se lo chiamano il santuario della n’drangheta, Polsi è un’esperienza di questo tipo, profondissima come un dono corale che Dio fa nella storia di questa gente. Mentre si vive con altrettanta forza una condizione di odio e di conflitto; due cose che viviamo tutti, lì con una radicalità profondissima.
Lo stato adolescenziale. Una coscienza che non esiste. Catapultati in delle esperienze mistiche, loro malgrado, perché ci sono dei doni nella storia. Gente semplice, contadini, soprattutto donne, che arrivano con i piedi sanguinanti e allo stesso tempo manca completamente la coscienza. Non coscienza loro ma nemmeno nostra. Manca la coscienza: c’è il mistero ma non c’è la politica e la fraternità che aiuti a rendere universale il mistero (il discorso che faceva Franco).
Noi viviamo lo stessissimo problema: nella nostra prassi creiamo meccanismi di assistenza e di dipendenza. E’ l’elemento della coscienza che mi permette di uscir fuori. E’ una coscienza che è la stessa che il Signore ha donato alle donne semplici che si trovano catapultate. E’ la coscienza che cresce e diventa semplice, essenziale, trasparente. Una coscienza che cresce diventando come bambini. Questo è quello che ci manca: la capacità di saper approfittare dei doni. Ci sono delle cose bellissime al Santuario dei Polsi, a prescindere dalle porcherie. E’ un dono che non siamo riusciti a distruggere, e nemmeno la cattiveria ha distrutto, nemmeno gli omicidi e nemmeno l’imbecillità di chi va a studiare quelle cose.
Stare in silenzio è la capacità di aspettare di riconoscere il dono. Per riconoscere il dono abbiamo spesso bisogno di soffrire tanto.
Questa assoluta adolescenza è di tipo universale, riguarda noi in modo grave, ma in genere è nelle tendenze sistemiche generali, nella politica, nella fraternità, che sono il contrario di quello a cui il Vangelo ci chiama.
Francesca Veltri
Anche io sono rimasta colpita dal discorso del bambino e dell’adolescente.
Anche i bambini possono essere cattivi, violenti, come gli adulti. Cosa ha spinto Cristo a dire: dovete essere come bambini.
Come diceva Pio essere adolescenti significa cominciare a pensare di potercela fare da soli, i genitori cominciano ad essere un peso, cominciare a pensare “questo è’ giusto e questo è sbagliato”, anche in maniera molto dura. E’ il momento in cui ci si sente, anche con contraddizioni, desiderosi di indipendenza, anche tendenti a qualcosa di migliore di quello che vediamo attorno a noi.
Essere bambini significa aver bisogno di un padre e di una madre che ti seguano momento per momento; il bambino non pensa di potercela fare da solo, di poter fare a meno del padre e della madre, non vuole autonomia, anzi il contrario.
Questo nel rapporto con Dio: finchè ci sentiamo adolescenti pensiamo di poter andare avanti anche da soli. Essere bambini significa: Signore se non mi accompagni continuamente mi perdo, non so quale è la scelta giusta da fare.
Le lettere di madre Teresa uscite recentemente sul giornale mi sono state molto utili. Fino a quel momento avevo pensato a lei come persona adulta che aveva trovato la strada, la serenità. La sentivo però bella e lontana; e pensavo che io forse sbagliavo tutto, tutto buio. Poi, leggendo le lettere, l’ho sentita molto vicina.
La sua frase “sii la mia luce” mi ha incoraggiato perché io non vedo la luce che illumina tutto, ma solo una illuminazione che ogni tanto mi indica la via, facendomi però sentire che da sola non posso farcela. Riappare quando sto per andare a fondo e poi ricompare. Non c’è sempre, ma torna. Ho fatto questa esperienza in situazioni molto dure: con ragazzi in semi libertà, con adolescenti in situazioni molto difficili. Mi domandavo: cosa è giusto per loro? Spesso ero vicina a loro ma poi mi veniva in mente che forse avevano bisogno di qualcosa di diverso.
Di recente con mio marito abbiamo iniziato un affido di un bambino di 4 anni e praticamente della madre di 21. Mi sono resa conto che era più facile accettare il bambino che non la madre. Lei si riteneva già grande e in realtà aveva molto bisogno di un supporto come il bambino. Ho messo del tempo a capire che anche per lei non tutto era scontato; andare in una direzione piuttosto che in un’altra. Aveva bisogno di essere amata come il bimbo, ma quello che si pensava dall’esterno è che fosse grande per fare da sé, da sola. Così gli adolescenti: per quanto si possano sentire forti hanno bisogno. Così anche gli adulti: non c’è un momento della vita in cui si può fare da soli. Dopo alcuni mesi è una esperienza di cui siamo molto felici, ma ci si mette in discussione giorno per giorno. Ho l’impressione di una luce che appare e scompare nell’oscurità.
Tornando alla politica: ci si chiede continuamente che cosa le istituzioni dovrebbero fare per questo bambino e la sua madre, ecc. Si capiscono concretamente i bisogni di tanti che dovrebbero essere ascoltati. Ho colto così un altro aspetto della politica: capire i bisogni di tanti che non sono in grado di manifestarli.
Chiara Patrizia
Ora che vi ho sentiti sono molto stupita e anche senza parole, perché sento che state vivendo esperienze molto grosse con una grande umanità e vera fede.
Per riecheggiare quel che diceva P. Pio, e che dite essere la sua parola d’ordine: “Sta in silenzio davanti al Signore e spera in lui”, faccio una risonanza.
“Sta” stare, anche se in movimento,
“in silenzio”
“davanti al Signore”
“sperare in lui”.
Ognuno di questi passaggi richiederebbe una riflessione, una vita. La mia vita, come clarissa, è uno stare. Quando ci incontriamo con i missionari o con voi che vi immergete in prima fila nelle frontiere della realtà del dolore e dell’uomo: voi andate e noi stiamo. Io posso stare davanti al Signore anche fisicamente stando nel monastero, anche tutta una vita, perché voi andate, state in prima fila. Voi potete fare questo perché c’è qualcuno che si ferma 24 ore su 24 con questo segno di stabilità che è il monastero. Fra l’altro in questo stare c’è il massimo movimento, è il massimo della vita.
Aggiungerei allo stare in silenzio lo stare “in pura perdita”, lo diceva Charles de Foucauld. E’ la spiritualità del Vangelo. Nella vita ci troviamo a dover perdere tante cose: forze, salute, tutto quello che è l’avere. Stare in pura perdita su tutti i fronti della vita. I giovani sono in piena attività, poi con il passare degli anni si capisce che si perde, anche involontariamente, l’attività, il fare. Ma diventiamo gli uni per gli altri un segno. Scopriamo che quel che conta nella storia dell’uomo, in particolare del cristiano, è vivere l’avventura più grande che è quella del chicco di grano che viene sepolto nel cuore della terra e mentre scende nel profondo silenzio moltiplica la vita.
Sono molto colpita dalle vostre esperienze che mi fanno percepire l’esperienza della storia, la vita che è mistero di gioia e di dolore ed è soprattutto cammino.
Ricordando Metz che ho letto parecchio, parla oltre che della compassione anche del magistero che hanno i sofferenti, un grande magistero. Noi andiamo a cercare i grandi e non i piccoli e i sofferenti, quelli di cui avete esperienza, anche di odio e di morte, ma sofferenti. C’è un magistero anche nel male che è un luogo teologico che richiama il salvatore. Il peccato richiama il salvatore. Compassione è patire con un’altra categoria che usa molto Metz: la “mistica con gli occhi aperti”. Nessuno può pensare di vivere la fede per se stesso, come noi non siamo venute in monastero per diventare sante, assolutamente. La mistica guarda la storia. Nella storia, come diceva Franco, c’è il grande mistero che dobbiamo vivere, non spiegare.
Ognuno deve vivere il suo tempo, dobbiamo accettare il limite umano. Anche voi impegnati su fronti tanto grandi avrete la tentazione di risolvere i problemi, di dire “qualche cosa ho fatto”. Invece non esiste. Anche io ho la lacerazione: sto qui e non posso fare niente. Invece devo accettare di vivere con il cuore lacerato, soddisfatto perché la fede ci dice che c’è qualcuno che non ci abbandona, mai soddisfatto perché impotente.
Devo solo ringraziare perché mi avete fatto aprire un pezzetto di storia. Ogni persona apre un sentiero nella storia, è una luce che fa penetrare. Mi avete aperto altri spiragli e chiedo che continuiate a farmi partecipe.
Bisogna continuare anche la cultura della lettera scritta a mano per non diventare analfabeti di ritorno. Lo dico perché non ho altra possibilità. La corrispondenza rivela cose che non si riescono a dire con le parole.
Abbiamo bisogno del volto ma anche che per un po’ non si veda; c’è bisogno di comunicare un messaggio. Anche nella letteratura gli epistolari sono fra le cose più belle. Come nel passato i monaci hanno salvato la cultura, noi che non abbiamo la posta elettronica non perdiamo questo piccolo segno.
Stando con voi è esperienza di Chiesa, che non è il Papa e il Vaticano, siamo noi, è Mistero di comunione; attraverso fili invisibili stiamo comunicando la vita, sfiorando nell’essere, così la vita cambia e c’è l’esperienza della risurrezione. La speranza diventa più forte della morte.
Vi terrò dentro nel silenzio fecondo.
Giorgio Marcello
L’esperienza di oggi come esperienza di chiesa: cogliere i segni dello Spirito.
La conversazione che da anni c’è fra di noi è un fatto di Chiesa. Diventarne più consapevoli forse è il metodo di cui parlava Franco. Nella quotidianità rischiamo di scordarci di questo.
Sto lavorando sull’epistolario di don Milani: una miniera. In una lettera a sua madre cerca di spiegare perché era diventato prete. La madre non credente, non praticante. Mi sono fatto prete per due motivi. Non volevo essere adulto e autosufficiente. Innanzi tutto per i sacramenti e poi “per essere in ogni momento della vita sintonizzato con la vita altrui”. Questo è il motivo più profondo per cui ho smesso di fare il pittore e mi sono fatto prete. C’è una continuità: anche facendo il pittore inseguivo sempre la bellezza.
Mi sembra un’immagine molto bella della fraternità.
Ogni tanto penso con nostalgia e grande senso di debito alle ultime righe di P. Castelli prima di morire: dieci righe sulla riforma della chiesa. Mi sono interrogato che cosa vuol dire la riforma della chiesa.
I tre fuochi: Mistero, Politica, Fraternità.
La fraternità è centrale per la riforma della chiesa e per la vita della città.
Pino Stancari nell’incontro di questa estate sulla fraternità ci mostrava come nella Bibbia il tema della fraternità è strettamente legato a quella della città: a partire dalla città di Caino all’Apocalisse.
Stiamo cercando di riflettere su queste cose in Calabria e a Cosenza. Mi sento al tempo stesso “scosso e consolato”. Scosso per tanti fatti: regione che ha enormi problemi, regione che se ne sta andando dal punto di vista politico, economico, sociale. Il prefetto De Sena dell’antimafia diceva che in Calabria la n’drangheta non solo ha infiltrato le istituzioni ma le controlla direttamente. Nessun politico e nessun amministratore regionale è intervenuto, nessuno si è dimesso. De Sena è stato trasferito.
Un pezzo di questo paese se ne sta andando.
Dal punto di vista ecclesiale siamo travolti dagli scandali che riguardano Vescovi, preti, laici impegnati: una situazione di grande sofferenza.
Al tempo stesso una situazione di grande privilegio perché in una terra e in una chiesa come la nostra è sempre più chiaro quale è il punto dove bisogna andare a parare. Paradossalmente dove le contraddizioni esplodono e dove la vita politica … diventa mefitica si fa chiaro dove bisogna andare, cosa è essenziale: il mistero di Gesù, la fraternità.
Leggendo i profeti: è nel casino che il Signore suscita la profezia. Non quando gli indicatori sociali ed economici funzionano ma quando il disastro ci sommerge. Nella nostra terra è fondamentale il coraggio della profezia che può venire solo da una esperienza personale e comunitaria del Mistero. Non è un programma politico o pastorale.
Avrei altre cose da dire sulla vita consacrata.
Gianfranco Solinas
Il senso profondo dell’Eucaristia senza quelle tre parole si perde.
E qui c’è anche la questione della presidenza dell’Eucaristia. Come affrontare la riforma del presbiterato? Anche il servizio dell’Eucaristia va ripensato dentro questo percorso, altrimenti è solo riformismo: il matrimonio, i presbiteri… sono nodi grossi, ma il tutto deve essere ricollocato dentro un “sensus ecclesiae”. Un’Eucaristia come luogo dove intorno alla Parola, allo spezzare il pane, c’è un cammino in cui le persone ci sono con la loro vita, il “depositum caritatis”. Altrimenti l’eucaristia è occasione di trasmissione di precetti, per fare una predica alla gente perché si conformino; una pia pratica per aggiustare un po’ l’esistenza secondo schemi proposti sempre in modo verticale, non costruiti in modo comunionale.
Questo cammino lento, travagliato ci aiuta a restituire il senso vero, autentico dell’Eucaristia, standoci con la propria esperienza, con la Parola.
Impegno a uscire dall’individualismo ormai dominante nella celebrazione eucaristica.