Tre fuochi per vivere oggi la sequela di Cristo nell’offerta-culto: Rm. 12, 1-2:
“Vi esorto, dunque, fratelli, per la misericordia di Dio,
ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio;
è questo il vostro culto spirituale.
Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi, rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio,
ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”.
Dagli anni 60
Negli anni ’60 con un gruppo di giovani laureati, considerando ciò di cui c’era più bisogno che noi potevamo fare, ci trovammo d’accordo nel tentare un servizio culturale, sintetico, in piena gratuità, sussidiario nei confronti di una realtà sociale le cui strutture ed istituzioni apparivano grandemente insufficienti.
In questo obiettivo fu particolarmente impegnato Maurizio Polverari entrato nella pienezza della vita il 1° aprile del 1994.
Sulla stessa linea ci proponiamo oggi un impegno comunitario di attenzione globale a quel che accade, uno sguardo della mente e del cuore che potremmo qualificare come “sinossi” più che sintesi. Il termine sintesi può suonare come una pretesa di capire di più, anche con un po’ di aggressività, porre insieme; la sinossi, guardare insieme, può indicare un maggior rispetto, un atteggiamento di apertura e di ascolto, guardando “insieme” ciò che appare per lo più separato.
Per questo pensiamo non sia ozioso riascoltare noi stessi ricordando alcuni itinerari spirituali in cui siamo stati diversamente impegnati:
La Parola ai piccoli
Sulla laicità (dal 1980)
Convertirsi al Vangelo. Vie nuove per la politica. (Dal 1992)
La coscienza politica
Abita la terra e vivi con fede (2006)
Depositum caritatis (2007)
La vita consacrata (2007)
La fraternità (2007)
La Parola ai piccoli. Dall’anno 1985.
Una proposta di ascolto della Parola ai piccoli che sono meglio in grado di comprendere e possono quindi aiutare anche quelli che piccoli non sono.
Una serie di sussidi sono stati accolti da una minoranza consistente di aclisti.
Sulla laicità. Rifondare la laicità a partire dalla parola di Dio.
Una ricerca ordinata che dall’80 al ’97 ha coinvolto molti amici con il contributo principale di Mario Castelli, Saverio Corradino e Pino Stancari.
Per alcuni di noi è diventato un riferimento fondamentale in molti sviluppi successivi.
Quattro pubblicazioni riferiscono su questa ricerca.
Convertirsi al Vangelo, vie nuove per la politica.
Itinerario iniziato nel Convegno nazionale di studio delle Acli a Urbino nel 1992, ha avuto il punto più alto a Chiusi della Verna nel 1998.
Documentato negli scritti preparatori e negli atti dei Convegni nazionali di studio e di spiritualità che si sono succeduti. Questi i titoli dei vari incontri:
1993 – Passi avanti nel cammino di conversione;
1994 – La condizione di minorità;
1995 – La gratuità. Per un’economia dei piccoli;
1996 – La compassione di Dio e dei piccoli:
1997 – La gioia e la festa di Dio e dei piccoli;
1998 – Il Mistero Pasquale.
La coscienza politica
Un testo di Pio Parisi con questo titolo stampato “pro manuscripto” nel 1975. Sulla base di una riflessione sul rapporto fra lo spirito e le strutture, l’indicazione della necessità di una politica che avesse come scopo principale la crescita della coscienza politica popolare.
Nel 2000 una ripresa del tema in “La ricerca di Dio e la politica”, Rubbettino.
Nel 2005 “Mistero e coscienza politica”, Rubbettino.
Abita la terra e vivi con fede.
Appello agli europei in occasione dell’allargamento dell’Europa.
Democrazia e conversione.
Per servire la comunicazione.
Depositum caritatis.
Incontri Maurizio Polverari.
Si propone di raccogliere fra noi e comunicare ad altri, in forma chiara e comprensibile a tutti, le esperienze che abbiamo fatto cercando di vivere la carità ai nostri giorni. Diciannove punti per un discernimento spirituale della dimensione sociale della nostra esistenza.
La vita consacrata.
Dialoghi sulla vita consacrata. L’azione dello Spirito nel mondo.
Riflessioni ed esperienze sulla vita consacrata a prescindere da regole e costituzioni. Lettere di Clara Gennaro, Pino Trotta, Giorgio Marcello e Pio Parisi.
La fraternità
Tema affrontato nelle Acli negli anni ’90.
Ripreso recentemente in Sila dall’9 all’11 agosto anche con letture bibliche particolarmente illuminanti di Pino Stancari.
Mistero
L’adorazione silente del Mistero rivelato è principio e fine della nostra esistenza. “Adoratori del Padre in spirito e verità”.
Ogni riduzione dottrinale, religiosa, ascetica, etica, ideologica, ecc. è diversa dalla via del Signore che ha detto: “Io sono la via, la verità e la vita”.
Politica
Questo termine è stato catturato dalla seduzione del potere eppure è il cuore della storia della salvezza, dalla città di Caino alla Gerusalemme che scende dal cielo. La seduzione del potere attraversa tutta la vita della Chiesa.
Fraternità
E’ la comunione nella fede, l’amicizia spirituale, che costituisce soggetti aperti al Mistero, cellule vive del rinnovamento ecclesiale e sociale.
Questi tre fuochi sono intimamente collegati: ognuno rinvia agli altri due. Eppure è difficile trovarli uniti anche nelle ricerche più serie. L’esperienza del Mistero è insidiata dall’individualismo; la coscienza politica è sedotta dal potere; la fraternità è minacciata dall’autoreferenzialità.
Cerchiamo di portare un minimo contributo alla unificazione di questi tre fuochi mettendoci in ascolto della parola di Dio, delle Sacre Scritture, della Tradizione, in particolare di quanti oggi la trasmettono con la loro ricerca, verso il compimento (cfr. D.V. n. 8).
Da più di tre secoli lo sviluppo della scienza e della tecnica è stato accompagnato da una concentrazione dell’impegno sulla dimensione materiale della convivenza umana.
Ciò ha comportato, specialmente in un primo tempo, a una considerazione idolatrica della ragione e delle altre facoltà dell’uomo.
Oggi il potere dell’economia e della tecnologia tende a ridurre le stesse capacità di guida e di controllo dei singoli e dei gruppi umani. L’idolo così non è più “immagine e somiglianza di Dio”.
Queste illusorie maturità cominciano ad entrare positivamente in crisi aprendo la prospettiva di uno stato adolescenziale che possa disporre alla ricerca di una più autentica maturità.
(Cfr. Griffiths, “Una nuova visione della realtà, scienza occidentale, misticismo orientale e fede cristiana”, Ed. Appunti di viaggio, 2005; in particolare “La nuova era”, pag. 327-350).
La Chiesa istituzione in questo tempo è stata impegnata su un piano dottrinale e delle opere, mancando all’annuncio e alla testimonianza del Vangelo in modo adeguato.
C’è stata una forte tendenza a ridurre la fede ad una dottrina da sviluppare e difendere nei confronti di dottrine avversarie o incompatibili
Una grande fioritura di opere, finalizzate specialmente alla formazione dei giovani e all’assistenza dei più bisognosi, certamente positiva e ispirata al Vangelo, ha ceduto spesso all’autoreferenzialità che ne ha neutralizzato lo spirito.
L’insegnamento sociale della Chiesa si è sviluppato in gran parte a un livello etico, di legge e di diritto naturale, lasciando in secondo piano il fondamento della vita cristiana, Gesù Cristo e il Mistero Pasquale.
In tal modo è venuto meno l’annuncio della pace
Si cerca la pace nell’unità al ribasso etico mentre questa è possibile a livello mistico della fede. La morale divide, la fede unisce.
(Mario Castelli, “Vangelo e politica”, scritti spirituali 1993-1997, Scriptorium, 2004; in particolare: La pace come conclusione a un tempo naturale e impossibile dell’itinerario sulla laicità, pp. 33-47).
La vita consacrata con costituzioni e regole insieme a splendidi frutti di santità e di opere è diventata fattore di divisione nel popolo di Dio: cristiani di prima e di seconda classe; stimolo e baluardo del clericalismo.
La vera fraternità evangelica, fondata sull’amicizia spirituale e sulla fede nella universale paternità di Dio, può rinnovare la Chiesa, la sua diaconia del Vangelo e la sua missione di pace.
La vita consacrata è l’azione dello Spirito che infonde la carità (Rm. 5, 5). La fraternità è l’incontro delle varie esperienze religiose che portano alla pace. Metz propone l’ecumene dei sofferenti, della compassione per affrontare la globalizzazione.
Il Signore non ha detto se non diventerete adolescenti, ma se non diventerete come bambini non entrerete nel Regno dei cieli.
La ricerca della pace nell’etica al ribasso
e nella fede condivisa.
Molti pensano che un minimo etico possa fare incontrare esperienze religiose diverse e morali laiche. Su alcuni punti fondamentali, che si chiamino o meno diritti naturali, tutti possono essere d’accordo. E a partire da questi si può costruire un dialogo e una politica comune: la pace nel senso più pieno.
Bisogna vedere cosa accade realmente, quali risultati positivi ci sono stati o ragionevolmente si prevedono, e quali ostacoli.
Penso che senza nessun pessimismo in partenza, non ci si possa nascondere la difficoltà.
L’etica molto spesso può unire sulle parole, raramente nei fatti.
Quindi tentare tutto quel che è possibile ma non illudersi sulle possibilità degli uomini che confidano nelle loro capacità, dalla scienza e dalla tecnica, all’arte politica e alla buona volontà.
La ricerca nella fede condivisa.
In primo luogo bisogna accuratamente distinguere fra la fede e la religione.
Le diversità religiose non hanno dato prova di essere fattori di unione. E’ purtroppo vero il contrario.
La fede non va confusa e ridotta alla religione, intesa come insieme di dottrine, riti e istituzioni, anche se tutto ciò costituisce molto spesso, non sempre, il terreno in cui nasce, per l’azione dello Spirito, il dono della fede.
La fede è il dono dello Spirito che “riempie l’universo” e non è bene stabilire noi chi è credente e chi non lo è.
La fede ha come terreno privilegiato l’esperienza della insufficienza propria e di tutte le persone a dare un senso compiuto alla propria e altrui esistenza. Da questo nasce una ricerca di senso che è ricerca di salvezza, e questa è la fede..
La fede è, in tante vesti diverse, esperienza del mistero, cioè di quella realtà che troviamo in ognuno di noi, in tutte le cose e in ogni evento e che non riusciamo a capire pienamente, ad afferrare, a dominare. Al di là di tutto quello che sentiamo di potere, prima o dopo, da soli o tutti insieme, spiegare e possedere, c’è il mistero. E non ci è possibile ignorarlo, scansarlo, negarlo. Così, per l’azione dello Spirito, ci mettiamo alla ricerca di qualcosa, o meglio di qualcuno che è radicalmente al di là di noi; è l’esperienza di fede.
Questa ricerca che nei modi più diversi spunta in ogni coscienza umana è quella che più avvicina gli uomini e che può portare alla vera pace.
Studi e riflessioni molto serie hanno messo in luce le sintonie fra i mistici cristiani e la mistica di induisti, buddisti e musulmani (cfr: Griffiths);
penso che al livello più basso nella scala sociale, fra i piccoli, i poveri e i sofferenti, ci sia e ci possa essere sempre di più questa comunione nella fede.
Questa è, a mio avviso, la via principale per la pace.
Bisognerebbe anche in questa luce riascoltare la proposta di J.B Metz sull’ecumene della sofferenza per far fronte alla globalizzazione.
Io e l’umanità.
Non sono più io che vivo ma l’umanità che vive in me?
Sono sempre molto centrato e ripiegato su me stesso: la mia salute, il mio benessere, il mio successo e il mio diritto, la riconoscenza per un po’ di bene che faccio e che voglio, ecc.
Eppure “davanti a Dio” non mi sembra di esserci più io ma tutta l’umanità e tutto l’universo; Gesù è per me il sole di giustizia che trasfigura ed accende l’universo in attesa.
Per questo non mi trovo in sintonia con quanti propongono la vita cristiana, la stessa fede, come la loro via personale, il loro modo di essere cristiani e lo propongono ad altri.
Non posso pensare a Dio come il mio bene, la mia salvezza se non penso che è il bene di tutti, fra i quali ovviamente ci sono anch’io.
Così mi appare sempre più negativa ogni forma ecclesiale che propone in primo piano l’io, la salvezza personale, e il noi, gli appartenenti alla Chiesa istituzione, nelle sue innumerevoli concretizzazioni, articolazioni… cisterne screpolate che non contengono l’acqua (Ger. 2).
E il ripiegamento su me stesso? E’ l’uomo vecchio che stenta a morire. Chi mi libererà da questo corpo di morte? (Rm. 7).
Qui c’è anche il fondo della mancanza di coscienza politica.
Dottrina e fede
C’è la Congregazione per la dottrina della fede.
C’è la dottrina sociale della Chiesa.
Si mandano i bambini a “dottrina” per imparare il catechismo.
Che significa “dottrina”?
Che rapporto fra la fede e la dottrina?
Il credere e ciò che si crede (V. Calvez, Croyant chrétien, Cerf, pp. 46-49)
Prende e lascia.
Da un po’ di tempo mi lamento che i ragazzi con cui vivo non mettono le cose al loro posto. Quando serve qualcosa la si prende dove si trova. Quando non serve più la si lascia nel luogo dove ci si trova, alle volte molto diverso da quello in cui la cosa si trovava. Il disordine nella casa aumenta. Può sembrare una piccola trascuratezza dei giovani, rilevata da un vecchio che da quasi 40 anni vive nello stesso appartamento.
Ma può essere un segnale che rinvia a un costume diffuso e preoccupante: considerare tutto e tutti per l’utilità del momento.
Un amico mi è di aiuto per un certo tempo, quando non mi serve più non penso più a lui e lo lascio dove si trova con i suoi problemi e con le sue speranze.
Così accade, ed è più grave, con la persona di cui sono innamorato, quando l’amore passa, la lascio senza preoccuparmi più di lei e della sua situazione affettiva.
Prendi e lascia.
Usa e getta.
E’ questa una chiave di lettura di tanti aspetti della società in cui viviamo, fino ai rapporti fra i popoli e la guerra.
Stà in silenzio davanti al Signore e spera in lui (Salmo 37)
il silenzio davanti a Dio
il silenzio davanti alla storia
il silenzio fraterno
Il silenzio interiore: fermare il fluire dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti. E’ difficile fare silenzio senza che un qualche evento accada in noi e intorno a noi: finisce una paura, viene meno un bene, cessa un’attesa.
Nel silenzio mi rivolgo al Mistero infinito che chiamo Dio, anche se “La voce tace e la mente viene meno” (“vox silet mens deficit”, S. Agostino).
Il silenzio è indispensabile e accade in noi. Non è molto programmabile anche se viene talora raccomandato vivamente, in un ascetismo che pecca di protagonismo.
Il silenzio davanti alla storia, meglio dentro alla storia, tutta la storia e l’evoluzione cosmica.
E’ la percezione del tempo e dell’essere nel tempo; tutti viventi a tempo indeterminato per quello che sappiamo o meglio non sappiamo, e determinatissimo per la certezza di essere viventi terminali.
Ma la mia storia è una goccia di una immensa corrente che scorre tranquilla, con rapide e cascate.
In silenzio nella storia percepisco in me il minimo e il massimo, al di là di ogni misurazione possibile. L’essere in innumerevoli relazioni e responsabilità derivanti dal convivere. Comincia a nascere la coscienza politica, oggi soffocata da gran parte del parlare politico.
Silenzio fraterno e comunitario.
Non si tratta di stare in silenzio interiore, ognuno per conto suo. Ma “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt. 18, 20).
Purtroppo anche dopo l’ascolto della Parola c’è chi si affretta a rompere… il ghiaccio, chi invita a comunicare le risonanze. La stessa liturgia, incline a diventare una rappresentazione a soggetto religioso, non consente spesso un minimo di silenzio e non incoraggia a condividere l’esperienza di silenzio davanti a Dio e nella storia.
“I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità” (Gv. 4, 28)
“Obbedienti alla parola del Salvatore e formati al suo divino insegnamento… nonostante tutto … osiamo: Padre Nostro…”.
Adorare significa tante cose, dall’invocazione al ringraziamento, alla lode… E tutto è contenuto nel dire interiormente “Padre” a chi è il creatore dell’universo con i suoi tempi sconfinati, col suo formidabile divenire: il Mistero Infinito.
Padre è il nome della massima confidenza nella piena adorazione.
Adorare il Padre in spirito e verità
E’ la più radicale conversione nei confronti del mondo e della storia. Non ci sono più idoli di sorta, materiali o spirituali.
Ogni realtà ci chiama all’adorazione di Dio che è il lei, presente e operante (cfr.: “Contemplatio ad amorem”, S. Ignazio di Lodola). Adoriamo il Mistero di Dio, il suo disegno di ricondurre tutto sotto a Cristo come capo (Eph. 1, 10), la sua politica per cui sceglie le cose che non sono per confondere quelle che sono (1 Cor. 1-28).
Adorare fraternamente, comunitariamente.
L’Eucaristia in primo luogo, purchè si prolunghi nella vita.
“Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù…” (Fil 2, 5-11)
Chiamato
Io, proprio io, sono chiamato.
Dalla immensità, dalla profondità, nel più intimo di me stesso sono chiamato da colui che è il Mistero infinito: amore. Mi chiama perché io mi rivolga a Lui. Per dire? Per fare? Per stare in silenzio “come bimbo svezzato in braccio a sua madre” (Salmo 131).
Mi chiama l’amico nel bisogno, mi chiamano sei miliardi e mezzo di persone, mi chiamano gridando quanto sono nella sventura. Se sono credenti in Gesù Cristo mi chiamano quanti non hanno avuto la buona notizia del Vangelo.
Sono chiamato io come gli amici con cui vivo fraternamente, chiamati insieme a riconoscere che tutti sono fratelli e sorelle perché “osiamo dire: Padre Nostro”.
Non ho tempo. Il tempo corre veloce.
Affermazioni frequenti. Reali difficoltà, facili scuse per diverse inadempienze. Una società frenetica e superficiale, nemica dell’interiorità. Innumerevoli nuove possibilità, anche per i giovani.
Nello scorrere accelerato del tempo qualcuno coglie improvviso un bagliore del Mistero.
Il Mistero infinito che è al di là di tutto, pienamente libero dallo scorrere del tempo, nella inconoscibile eternità, è entrato nella nostra storia, nel tempo, nel seno di una donna, Maria.
Per il suo ingresso nel tempo, la nostra storia personale, quella dell’umanità e tutta l’evoluzione cosmica sono entrati nel definitivo, nell’eterno.
Personalmente, con chi ci è più vicino e più caro, con tutta l’umanità, nel passare degli anni e dei secoli, siamo travolti da una irresistibile corrente che sembra andare verso il nulla.
Cerchiamo di andare controcorrente ma le forze sono radicalmente insufficienti, uniamo gli sforzi ma non bastano, cerchiamo almeno di tener fuori la testa per respirare.
Niente.
Ci è rivelato che questa corrente vincente è storia di salvezza che ci trascina verso la pienezza della vita. Con questa ferma fiducia dobbiamo stare dentro la storia, in tutta la sua complessità, per la costruzione della polis, della convivenza umana, verso la Gerusalemme Celeste.
Da soli le ore non passano mai. In compagnia volano. Nella vera fraternità, comunicando la fede, collaborando nell’azione, il tempo prende il sapore dell’eternità. Si trova il tempo per tutto e tutto procede “a tempo”.
Non discorsi ma fatti
Ce lo dicono e ce lo diciamo in continuazione.
Si racconta la cronaca: gialla, nera, rosa, di tutti i colori. Si informa e si valuta quel che succede vicino a casa, nella nostra nazione, nella nostra chiesa, nel mondo.
I discorsi riempiono giornali voluminosissimi; ci parlano attraverso le nuove tecniche di comunicazione anche quando noi non ascoltiamo.
Abbiamo bisogno di fare, di essere coinvolti nei fatti, quelli reali che accadono e non quelli che ci vengono raccontati.
Il fatto più vero, che ci coinvolge completamente e che ci chiama senza interruzioni a fare anche noi, è il Mistero.
Non è una dottrina nascosta che viene rivelata, è un fatto, è un evento. E’ un unico grande evento, che ha innumerevoli facce, avviene in tutte le minime frazioni del tempo, ed è oltre il tempo, nell’eternità. Creazione, riconciliazione, morte e risurrezione del Figlio dell’Uomo e di tutti con lui.
In comunione con l’operare del Padre, di Gesù Cristo e dello Spirito che abita in noi siamo coinvolti e trasformati in Gesù Cristo, siamo il “Mistero” che si compie. Allora i discorsi si possono moltiplicare ma vengono sempre dopo il fatto, l’evento, il Mistero “ricondurre tutto a Cristo come capo” (Eph ).
Ai politici si chiedono fatti e non discorsi. Si criticano con mille discorsi ma non si vedono fatti veramente alternativi.
La politica è intesa come ricerca e gestione del potere, il fatto alternativo è la costruzione della polis dal basso senza ricerca alcuna di potere.
I fatti ci sono. Il tessuto della convivenza umana e la vera politica, nascosta eppure visibile, non riconosciuta come tale.
La fraternità è la realizzazione della politica che evidenzia e incoraggia innumerevoli realizzazioni per lo più ignorate e spesso anche inconsciamente combattute.
Tre luci di fondo
Sta in silenzio davanti al Signore e spera in lui
Non sono più io che vivo ma Cristo e l’umanità vivono in me.
La fraternità prima che un bisogno dei singoli è una dimensione essenziale del disegno di Dio.
Non conformatevi alla mentalità di questo secolo.
L’articolazione di questa mentalità è vastissima (1), se ne esce con la sequela di Cristo (2)
Matrimoni costosi, vacanze, consumi, furbizia negli affari, idolatria del denaro. Al fondo: mancanza di rispetto per l’altro, gli altri, la società; mancanza di coscienza politica, del senso del bene comune, delle istituzioni, dello Stato…
Etica, ascetica, politica: quale rapporto con la mistica?
La risposta è la sequela di Cristo.
Sono discorsi che non capisco
Una persona a me particolarmente cara e dotata di notevole intelligenza mi ha detto ripetutamente che non capisce le mie riflessioni spirituali.
Allargo la mia attenzione a tanti che affermano di non capire discorsi che cercano di comunicare il Vangelo nell’oggi. Ogni persona è un mistero unico; qualche ipotesi, tuttavia, può essere d’aiuto.
Viviamo in una cultura che da alcuni secoli ha concentrato l’attenzione e l’impegno sulla dimensione materiale della nostra esistenza, ignorando sempre più quella interiore, spirituale. La Chiesa, a partire dalla sua dimensione gerarchica, ha scarsamente annunciato e testimoniato il Mistero Infinito, perdendo così di significato per molti che non l’hanno più riconosciuta e si sono limitati a criticarla, di fatto, dall’esterno. Così il Mistero che illumina la misteriosità di tutta la creazione umana si riduce a “un discorso che non capisco”.
Questa regressione dell’intelligenza nei confronti di un discorso spirituale si consolida con lo sviluppo di scienze e tecniche di grande valore, con risultati straordinari, e tuttavia atrofizzano sempre di più le capacità di cogliere le ricchezze e le potenzialità dello spirito.
Per uscire da questa situazione occorre riscoprire la vera fraternità, cioè la comunicazione del bisogno di superare la riduzione materialista, bisogno certamente non estinto, ma spesso accantonato, non senza qualche interiore disagio.
La vera fraternità evangelica si realizza specialmente con i piccoli a cui è dato di capire:
“Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto” (L. 10, 21-22).
Viene prima la meta o il primo passo
Siamo abituati a considerare alcune cose, per lo più riguardanti lo spirito,come le più importanti, ma a rinviarle a un domani imprecisato che rimane sempre “domani”.
Occorre riconoscere un ordine delle urgenze e volerlo fermamente prevedendo che ciò che è in coda difficilmente verrà attuato.
Il Mistero Infinito che si è a noi rivelato, ci indica chiaramente che la prima urgenza è riconoscerlo, in una adorazione silente.
Ma ci sono sempre tante cose da fare, a cui pensare, e tanti sentimenti che nascono in noi nel rapporto con le sue creature.
Più si allarga la nostra attenzione al mondo e alla sua storia, e il tempo limitato che, sempre nell’incertezza, si presenta a nostra disposizione, più la necessità di riconoscere un ordine delle urgenze si fa pressante.
Così l’ordine delle urgenze è nel cuore dell’impegno sociale per la convivenza umana.
La percezione intima che tutto fa parte della storia della salvezza, di cui è protagonista principale lo Spirito Santo, accresce la nostra lungimiranza e la nostra pazienza nella costruzione della città dell’uomo.
La comunicazione fraterna dell’ordine delle urgenze ci aiuta ad entrare sempre meglio nelle urgenze del Regno che sono la grande speranza dei singoli e dell’umanità nella storia della salvezza.
Caro Pio,
cerco di riflettere sul tema che mi hai proposto dello “stato adolescenziale”, in cui, dopo la caduta delle illusioni, infantili, del razionalismo e della tecnica, si troverebbe oggi, forse, l’umanità che dunque, esposta all’incontro esperienza del mistero, potrebbe più facilmente avviarsi alla maturità aprendosi al Mistero.
Mi vengono poche idee disordinate, piene di contraddizioni che non riesco a risolvere, e considerazioni poco o per nulla pertinenti.
Le butto giù comunque come vengono, solo per l’eventualità che tu possa riuscire a trovarvi, pur prive come sono di coerenza e valore, qualche spunto per le tue riflessioni, ben altrimenti “chiare e distinte”, e proprio per questo cerco di evidenziare più che altro motivi di perplessità.
Ho la consapevolezza che così facendo cado forse nella tentazione di opporre al tuo ottimismo profetico il pessimismo che mi è dettato dalla mia cattiva coscienza, e che il mio può essere il tipico atteggiamento del peccatore che, come Adamo ed Eva, cerca di attribuire ad altri (in questo caso addirittura al mondo) le proprie colpe: ma almeno se è così, potrà avere da te, ancora una volta, l’indicazione della giusta via.
Il mio primo, forte dubbio è che si possa parlare di fasi di crescita dell’umanità, in qualche modo rapportabili a quelle degli individui. E’ lo schema corrente con cui viene esposto il sorgere, il fiorire, il giungere a maturazione e (attenzione!) “il declinare e l’estinguersi” delle diverse civiltà, così come dei movimenti artistici o politici, ma che a me (e a ben altri prima di me) sembra da una parte meccanicistico, dall’altra eccessivamente semplificatore, in quanto omette di approfondire il valore di transizione delle cosiddette crisi. Potrebbe, certo, essere solo una questione terminologica ma non ne sono convinto. Le concettualizzazioni, se da una parte sono indispensabili per farsi un modello conoscitivo della realtà, finiscono poi facilmente per assolutizzarsi e condizionare il pensiero. Ed è esperienza ricorrente che alla “crescita” di una civiltà in certi campi si accompagna uno spaventoso “regresso” in altri.
Qui parliamo, è chiaro, “solo” di crescita “spirituale” (nel senso ampio che si può dare a questa espressione). E proprio in questo campo Bede Griffiths è andato ben al di là della consueta metafora descrittiva assumendo come dato di fatto verificabile la crescita spirituale dell’umanità per stadi rapportabili puntualmente a quelli evolutivi della presa di coscienza, in senso strettamente psicologico, della singola persona, dal feto all’uomo maturo. Non ho né gli strumenti culturali né le capacità intellettive per articolare o anche solo tentare una critica, ma mi resta l’impressione di una forzatura della quale tra l’altro non riesco a cogliere la necessità.
Le cose cambiano se tento, come tu ci esorti, di “fare apocalisse”, spostando il punto di vista dalla terra al cielo?
Se guardiamo al momento finale, in cui Cristo riconsegnerà al Padre tutto l’universo riconciliato, l’idea di uno svolgimento positivo si impone. E’ la crescita misteriosa del Regno.
Ma si può parlare di “fasi” di questa crescita? Mi viene in mente solo la grande distinzione dei due tempi, anteriore e posteriore al momento della “pienezza”, della discesa e risalita del Figlio, dei cieli chiusi e dei cieli aperti, come dice Liborio, ma anche qui, con estrema incertezza, perché il significato della “discesa agli inferi”, potrebbe essere quella di un “recupero”, di una “redenzione” che vada al di là dei singoli Giusti e investa, parificandola alla nuova, tutta l’era vecchia del decadimento simboleggiato dal progressivo accorciarsi della vita dei patriarchi. Questo è un tema-oceano sul quale sarebbe folle che mi imbarcassi. Comunque, si tratti o no di una “fase”, siamo, oggi, certamente, perché così ci è stato rivelato, immessi in un moto, in un vortice – dice Pino Stancari – misterioso ma progressivo verso la Gerusalemme dall’alto. Sappiamo però, e non solo per fede, ma per esperienza di ogni giorno, che fino a quel momento finale l’antico avversario, seppure già sconfitto, avrà comunque per alcuni periodi, per tempi non pieni un potere: che quindi nella storia nulla può dirsi mai definitivamente acquisito perché vi saranno sempre, fino alla fine, ore di tenebre.
Un secondo dubbio è se e in quali limiti possa essere legittimo, con riferimento al tema della crisi del razionalismo e della tecnica, esprimersi e ragionare in termini di “umanità”.
L’illusione che la ragione potesse spiegare tutto e così tutto risolvere, così come oggi, lo scacco di tale illusione, in fondo hanno riguardato e riguardano al massimo, qualche milione di individui, più o meno “acculturati”, di quella parte di mondo che chiamiamo l’occidente.
Che il “mondo esterno” o l’universo sia completamente conoscibile lo hanno già da tempo negato i filosofi, adducendo la limitatezza soggettiva dei mezzi (i sensi) attraverso i quali l’uomo lo può percepire ed è riconosciuto oggi da tutti gli uomini di scienza, a cominciare dai fisici, per motivi “oggettivi”, essendo acquisito che oltre certi limiti ogni tentativo di misurazione e anche la semplice osservazione diventano impossibili perché inevitabilmente modificano il fenomeno.
Ma mi sembra che il punto su cui riflettere sia un altro e cioè se queste scoperte abbiano avuto ripercussioni nell’atteggiamento mentale (culturale o spirituale) dei “dotti” che ne sono partecipi. E la mia impressione è che in linea generale, ciò non sia avvenuto. La scienza ormai da secoli ha, credo giustamente, definito il proprio oggetto in tutto e solo quanto è direttamente osservabile, ripetibile e misurabile, ma l’effetto della espulsione della metafisica è stato che gli scienziati, con poche eccezioni, si sono completamente disinteressati di tutto quanto è “al di là”, lasciandone la cura ad altri, e hanno man mano assunto l’abito mentale di considerare l’indimostrabile “credenza” e superstizione.
Temo che questo abito mentale non sia venuto meno: mi pare finora di cogliere più una resa al limite (“purtroppo non possiamo, almeno per ora, risalire oltre il Big Bang e sapere se questo universo sia il primo e l’unico o sia stato preceduto da infiniti altri”, e simili) che la ripresa di una sensibilità verso l’inconoscibile, di una riscoperta e accoglienza del mistero.
E’ una riprova del fatto che la verità non viene rivelata ai dotti e ai sapienti ma agli umili?
Forse se vogliamo riferirci non ai pochi ma a una larga parte dell’umanità dobbiamo considerare non tanto la crisi del razionalismo scientista quanto il crollo delle ideologie (derivate più o meno direttamente da quello, ma che hanno coinvolto i cuori prima che le menti) e specificamente il venir meno della speranza messianica del comunismo e, di contro, l’esperienza di saturazione e di vuoto di una vita governata dai meccanismi alienanti del consumismo, del consumo come unico motore e scopo della società. Forse anche il “risveglio” e il “fondamentalismo” islamico hanno a che fare con questo. Non si possono certo istituire paralleli che sarebbero impropri e fuorvianti ma della jihad si hanno due versioni, di cui una violenta e cruenta proprio come della lotta di classe. La tentazione di una scorciatoia attraverso l’uso della forza è universale e perenne, ed è una grazia il riuscire a riconoscerla per tale.
Non ho mai creduto al mito, tanto sbandierato, del “dominio della tecnica”, dell’avvento dei “titani” (alla Jünger) o, più prosaicamente dei “tecnocrati”. Sarà per incapacità di comprensione, ma per me la tecnica è e resta, semplicemente il “modo di fare” determinate cose, avvalendosi delle conoscenze progressivamente acquisite. Figlia quindi della scienza, ma sempre solo mezzo; potenziale fornitrice di strumenti meravigliosamente utili o devastanti, ma, appunto, mero mezzo privo di finalità e volontà proprie. Gli obiettivi sono scelti e imposti da altri. I prodotti della tecnologia sono quelli richiesti dai committenti. E se i committenti sono troppo spesso quelli che vogliono sfruttare gli altri cominciando col non farli pensare, è perché qui entrano in gioco la politica e l’economia, intese naturalmente non nel senso di complessi di saperi sulle regole e sui moventi dell’agire dell’uomo nelle società, ma nel senso brutale, significativamente invalso, dei poteri basati sulla forza e sulla ricchezza.
Probabilmente è ancora esatto riferirsi alla politica e all’economia, intese nel senso barbarico sopra indicato, come a forze distinte, perché almeno all’apparenza in vaste parti del mondo non (ancora?) de-ideologizzate, o soggette a pesanti tirannie a sfondo nazionalistico è dato riscontrare un potere basato su altri “valori” che quelli della corsa all’arricchimento (anche se non sempre migliori), ma certo nel “nostro” mondo (che ormai va ben al di là dell’Occidente in senso tradizionale) l’unica vera forza in campo sembra rimasta quella dell’economia, autentico Moloch oggetto di adorazione idolatrica.
La politica tradizionalmente intesa è ancora legata alle forme dello stato, e i timidi tentativi di regolamentazione internazionale o sopranazionale sono manifestamente impotenti di fronte alla libertà di manovra della ricchezza nell’intero globo, senza più confini. Del resto la bestia dell’egoismo e dell’avidità, letteralmente scatenata, non si limita a infrangere o eludere le regole, ma pretende che non debbano esserci e impone che non vi siano regole e limiti.
Sai da molto prima e molto meglio di me come e perché ciò accada.
Io posso provare a indicarti qualche effetto, e qualche riscontro, nel campo del diritto che nelle società moderne, organizzate in forme necessariamente molto estese e complesse, è quasi esclusivamente “scritto” e “positivo”, opera di un legislatore, e cioè figlio della politica.
La seconda guerra mondiale fu combattuta e vinta nel nome di principi di libertà, democrazia e uguaglianza, che furono poi, con forte valore simbolico e programmatico, codificati in una serie di testi normativi, dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo a tante costituzioni liberali-democratiche (come la nostra) a una serie di convenzioni internazionali. Può anche essere che dietro a certe proclamazioni vi siano state retorica, tartufiamo e strumentalizzazioni, ma “le parole sono pietre”, quali che siano le intenzioni di chi le proferisce e certo anche da esse ha preso impulso la decolonizzazione e sulla base di esse si sono via via affermati nelle coscienze e poi nelle legislazioni di tanti paesi i c.d. “nuovi diritti” in tema di parità, di tutela e promozione della persona, di lavoro, di una sfera di “privatezza” intangibile, ecc.
Al di là di più o meno estese o episodiche violazioni, sentite e denunciate come tali, sembravano conquiste acquisite nella coscienza collettiva alle quali la giuridicità dava un valore aggiunto di stabilità e coercibilità.
Abbiamo visto e vediamo invece ora giorno dopo giorno come ne sia fatto strame proprio da chi se ne dichiara paladino, in nome della “sicurezza” (di chi?), o, semplicemente, della tracotante iattanza di chi ha o crede di avere la forza e non vuole regole che non siano quelle che egli stesso detta (quia nominor leo).
E’ ancora e sempre la belva dell’egoismo insaziabile di chi pone se stesso come misura e fine di tutto, e non vuole, per sé, “catene”.
E’ il frutto e il motore di una ideologia nefasta che pervade ogni cosa e ogni livello. Ù
Ti faccio un esempio su una questione in sé abbastanza secondaria, ma che mi sembra paradigmatica. La legge di riforma del diritto italiano delle società, introdotta nel 2004, stabilisce che i soci di minoranza di fronte a decisioni illegittime della maggioranza non possono più agire in giudizio per ottenerne l’annullamento, e abbiano diritto soltanto ad un risarcimento in denaro se e quando da quelle decisioni sia derivato loro un danno patrimoniale diretto. Si afferma (e può anche essere ragionevole pensarlo) che l’attività imprenditoriale che specialmente oggi richiede tempi rapidissimi di decisione e di attuazione delle decisioni prese, non debba poter essere paralizzata dalle lungaggini di azioni magari pretestuose e al limite ricattatorie: ma sta di fatto che si è codificato il principio che, pagando (eventualmente) si possono tranquillamente violare le regole sulla base delle quali la società è’ stata contratta. L’illiceità viene sottratta alla sanzione, sia pure ovviamente civile, dell’ordinamento, per rimanere un fatto privato delle parti basato su un mero calcolo economico, tanto che se non c’è o non si riesce a dimostrare un danno patrimoniale l’interesse di chi è stato leso è privo di qualsiasi tutela. Contano solo i soldi.
Un fenomeno in qualche modo parallelo, ma molto più rilevante, si potrebbe leggere nei casi clamorosi verificatesi negli Stati Uniti di azioni contro alcune grandi industrie nocive, a cominciare da quelle del tabacco. E’ stato provato che i produttori di sigarette hanno deliberatamente nascosto le prove di cui erano in possesso, dei danni provocati dal fumo, hanno commissionato e divulgato studi falsi per provare il contrario, hanno aggiunto alle sigarette sostanze che producevano assuefazione. Ebbene, queste industrie sono state giustamente condannate a risarcimenti miliardari in favore di chi aveva fatto loro causa, ma non mi risulta che vi siano state azioni penali nei confronti degli amministratori che avevano deciso quei comportamenti. Può essere che vi sia una mia carenza di informazione o che magari si trattasse di reati prescritti, ma se le cose stessero così avremmo la inquietante fotografia di un sistema in cui tutto è affidato ai singoli e si traduce e riduce in soldi.
Mi sembra un ritorno ai diritti barbarici del medio evo con le “tariffe” risarcitorie (tanto per l’uccisione di un uomo libero, tanto per quella di uno schiavo) in luogo della sanzione pubblica: un segno evidente del crollo dello stato, di una autorità sovraordinata e indipendente di fronte al potere scatenato (ab-solutus) di chi è più forte.
Da tante parti si auspica, per incatenare l’economia “globalizzata”, una normazione a livello mondiale. Questa però presuppone strutture coercitive di pari forza e livello, la cui realizzazione appare impensabile oggi e per lungo tempo a venire.
Esperienza e riflessione rendono sempre più evidente la verità che tu vai proclamando a partire dalla fede: l’unica via di uscita è la conversione dei cuori, e la resistenza, il non conformarsi (che in questo specifico settore potrebbe anche assumere l’aspetto del non consumare: in senso assoluto riducendo i consumi – che è il vecchio originale significato di economia – e in senso relativo e mirato non comprando, boicottando certi prodotti di certe ditte.
Cerco di chiudere.
La crisi, certamente salutare, di certe illusioni del razionalismo di matrice illuministica e positivista, della baldanza del razionalismo, riguarda in fondo solo le c.d. colte dell’occidente. Non mi sembra che abbia fin qui generato a livello del comune sentire dei “dotti”, e salvi notevoli e nobilissimi casi personali, significative aperture al (senso del) Mistero (e d’altronde non possiamo non tener presenti gli esiti spaventosi del vizio opposto, cioè del razionalismo e del nichilismo). A livello poi “più popolare” nel senso deteriore del termine abbiamo assistito e assistiamo a “sbandate” pseudo-spiritualistiche che fanno letteralmente rabbrividire (“quando manca la fede si crede a qualsiasi cosa”).
Forse l’umanità è sempre e tutta in fase adolescenziale, e ha bisogno di quella che Rossi De Gasperis chiama la “pedagogia” del Signore, che non elimina ma anzi rende evidenti le naturali disastrose conseguenze del peccato (il diluvio), e indica la via della salvezza donando a chi è stato fedele, ma per tutti, la sua alleanza.
L’approccio puramente umano nei confronti dell’inconoscibile e del mistero può essere nel migliore dei casi di “stoica” rassegnazione, ma piega più facilmente verso superstizione grossolana, fumisterie (ieri “teosofiche”, oggi “new age”), conati di magia. La vera apertura al mistero è, come tutto, un dono (da saper accogliere). Ci conforta la promessa di Gesù che pregherà il Padre di mandare per noi il Paraclito.
Non credo si diano “precondizioni” della fede. Lo Spirito soffia dove vuole. Ma certo vivere in una grande città rende meno spontaneo “guardare il cielo”, sentire la propria dipendenza e rivolgersi al Padre. Quando si è inseriti in un contesto di costruzioni umane (non solo materiali) può divenire difficile non “confidare nell’uomo”, non rimanere coinvolti nello sforzo orgoglioso di costruzione della “Torre di Babele” o comunque nella vana idea di poter costruire una Gerusalemme (luogo di concordia e giustizia) dal basso. Forse le megalopoli in continua espansione in cui si vanno raccogliendo sempre più grandi parti dell’umanità riproducono le fabbriche di mattone dell’Egitto, e come in quelle il “luogo” della fede è il gemito e il lamento degli (ebrei) schiavi, che sale a Dio anche se non è rivolto direttamente a Lui, che provoca la pietà e la discesa di Dio.
Il pianto di Giovanni e di tutta l’umanità perché il libro non può essere aperto riguarda, almeno nelle usuali interpretazioni, non tanto la possibilità di spiegare il mondo, quanto quella di dare consenso all’esistenza e alla storia. E mi sembra questo, e non quello, il punto centrale. Era in sostanza la domanda di Giobbe al Signore, ed era ancora la domanda provocatoria rivolta pochi anni fa dagli esistenzialisti ai marxisti: “che senso avranno, in una società che avrà realizzato compiutamente il comunismo ed eliminato l’ingiustizia, e in cui la scienza avrà tutto spiegato e risolto, la morte dell’individuo e il dolore?”. A noi è stato rivelato (“sulla Tua parola…”) che l’angoscia della mancanza di senso ci sarà (ci è già) tolta dall’Agnello immolato, che solo ha parole di vita eterna. Con tutti i nostri dubbi e tutte le nostre debolezze, dove altro potremmo andare?
Scusami, Pio. Mi rendo conto che tu mi chiamavi alla fede, a una lettura di fede dei “segni dei tempi”, e io ne sono stato incapace, e sono rimasto invischiato a ciancicare su ideuzze terrene banali e risapute. Aiutami.