Mi pongo il problema: come mai tante persone così brave sembrano vivere tranquillamente in questo nostro mondo. Ora devo chiarire cosa intendo per “questo mondo”. Poi proverò a capire in che senso mi pare che “vivano tranquillamente”. Molte precisazioni penso siano necessarie; provo ad avviare la riflessione sperando che qualcuno mi aiuti a svilupparla.
Questo mondo è quello che con una prima approssimazione si può dire “occidentale” considerato come parte evidentemente di tutto il mondo. Si può anche dire mondo del benessere, ma anche questa è una qualifica molto discutibile, mondo della civiltà avanzata, mondo dalle radici ebraico-cristiane, mondo del capitalismo, mondo delle democrazie, ecc.
Questa parte di mondo se considerato nel complesso di tutto il mondo appare carica di grandi responsabilità.
In questo mondo tanti ottimi cristiani sembrano vivere tranquillamente. In che senso?
So bene quante pene provano le singole persone, quante sofferenze fisiche, quante preoccupazioni, quanta ansietà e quante paure. E tutto questo spesso come viene affrontato e sopportato anche a motivo della fede nel Mistero del Signore morto e risorto per noi. Come insegna S. Paolo ai Filippesi non mi è difficile considerare gli altri superiori a me stesso (Fil. 2, 3).
Perchè allora dico che “vivono tranquillamente” in un mondo assurdo?
Perchè non sento gridare nè individualmente nè in gruppo. Non sento voci profetiche e sopratutto non vedo gesti e modi di vivere profetici.
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Il mondo in cui viviamo, questa porzione materialmente privilegiata – “guai a voi, ricchi!” (Lc. 6, 24) – è da noi per tanti versi accettata. A questo mondo ci conformiamo. Rileggiamo l’esortazione di Paolo:
“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”
(Rm. 12, 1-2).
Mi sembra che per tanti versi ci “conformiamo alla mentalità di questo secolo”. E quando qualcuno vive in modo diverso lo consideriamo “stravagante”, fuori dalla realtà, e forse esibizionista. Si salvano quelli che appartengono a un ordine o a una congregazione religiosa perchè sono “consacrati” e dimentichiamo la comune consacrazione battesimale. E’ prossima la pubblicazione di un libro in proposito dell’Ed. Scriptorium.
Proviamo ad analizzare in quante cose “ci conformiamo alla mentalità di questo secolo”. Inizio con qualche esempio.
Nei consumi.
Per essere alla moda nel vestire e in tante altre cose
Nei ristoranti, nelle pizzerie, ecc.
Nelle feste e nei viaggi.
Nella ricerca di successo di carriera e di potere nei più diversi campi: economico, politico, accademico, religioso
Nelle critiche
Sembra che mentre diminuisce il vero spirito critico, che è attenzione alla realtà nella sua complessità, cresce la critica facile che serve a sfogarsi o a mettersi in mostra. C’è anche un modo di essere non conformista che può essere un estremo raffinato conformismo. Per lo più si criticano con facilità tutti quelli che hanno qualche potere e ci si dispone così a comportarsi nel loro stesso modo, qualora fosse dato a noi un pò di potere.
Si condivide, o almeno non ci si dissocia, da una diffusa ammirazione per chi ha successo sul piano economico, sociale, culturale, religioso, senza domandarsi per quali vie sono passati e quale è il significato dei posti raggiunti. Viene messa fra parentesi “la pietra scartata” che è il nostro Salvatore.
Strumento formidabile della conformazione a questo mondo è la televisione; pare ormai superata da internet. Mi si dice che tutto dipende da come queste nuove tecnologie di comunicazione vengono usate. Non posso giudicare perchè da vari anni non ho più la Tv ma da come ne sento parlare mi sembra di poter rilevare una diffusa crescita della passività, cioè del conformarsi.
Il silenzio: di questo ho qualche esperienza. Il silenzio, sopratutto interiore, è un bene importantissimo per la crescita delle persone e delle esperienze comunitarie. Il mondo in cui viviamo non ci propone e non ci offre molto silenzio e noi facilmente ci conformiamo a un parlare esteriore e interiore senza interruzioni, senza pause. C'è una progressiva perdita di interiorità.
La “conversatio” spesso carica di banalità o non di rado di ricerca di accordi su interessi di gruppo o di parte.
C’è poi un compatirsi che toglie lo spazio al vero compatire. Ed anche in questo facilmente ci conformiamo.
La conformazione più grave è forse quella nei riguardi di una religiosità mondanizzata di un certo tipo di feste religiose, della stessa celebrazione dei sacramenti non di rado ridotta a “sacra rappresentazione”: banalizzazione e strumentalizzazioni
.Più di una volta mi è stato ricordato che bisogna incoraggiare i consumi altrimenti l’economia retrocede.
E’ una considerazione discutibilissima ma penso che non ci siano probabilità che la sobrietà di qualche cristiano che voglia vivere il Vangelo possa oggi mettere in crisi l’economia di una nazione. Forse verrà il giorno in cui l’attuale equilibrio economico del mondo globalizzato dovrà cambiare radicalmente. Per adesso evitiamo di nasconderci dietro a un dito.
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La lettera di Paolo dice: “Trasformatevi rinnovando la vostra mente”. Come?
Ricorriamo alla lettera agli Ebrei.
“Deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede” (Ebr. 12, 1-2).
Lo sguardo fisso su Gesù per partire, per correre, per arrivare. Innumerevoli sono le cose che ci distraggono anche di carattere religioso. Si tratta di mezzi che diventano fini, dal catechismo alla teologia, dalle devozioni ai sacramenti, dalle associazioni alla Chiesa istituzione.
Occorre cercare nuovi itinerari che vadano più direttamente dalla vita al Vangelo e dal Vangelo alla vita.
Occorrono nuove esperienze comunitarie che vivano del Vangelo e per il Vangelo superando ogni autoreferenzialità.
Occorre ravvivare la circolazione della fede, delle esperienze autenticamente spirituali. Spero che queste righe servano un poco a questo.
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Come è possibile che tanti ottimi cristiani vivano apparentemente tranquilli in un mondo tragicamente assurdo?
Come uscire da questa situazione di stallo?
Riprendo la ricerca di tutta la mia vita, sulla coscienza politica (nel 1975 scrissi “La coscienza politica”, pro manoscripto, e nel 2005 “Mistero e coscienza politica”, Rubbettino ed.).
In primo luogo chiediamo allo Spirito che rafforzi la nostra fede, il nostro affidarci al Signore Gesù come lui si è affidato interamente al Padre.
Cerchiamo di inserirci nella crescita della fede della Chiesa popolo di Dio, diffuso come l’azione dello Spirito che riempie l’universo (D.V. n. 8).
Risvegliamo la nostra attenzione e il nostro coinvolgimento con gli altri, con tutti gli altri, con il tutto da cui siamo sostenuti e travolti. Questo intendo con coscienza politica: la consapevolezza di vivere in un tutto in cui si intrecciano continuamente gratuità e avidità, amore ed egoismo, rispetto e violenza. E ciò avviene nel più intimo di ogni persona, nelle comunità e nelle strutture, piccole e immense. Questo tutto ci sostiene in mille modi ma può anche travolgerci, spesso senza che ce ne rendiamo conto. Quel che più sembra necessario è appunto prendere coscienza di questa nostra situazione, indagare e riconoscere quali sono le nostre responsabilità, dissociarsi dalle spinte negative ed impegnarci in ciò che è positivo.
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Occorre scoprire nuovi itinerari, nuovi stili di vita, accettando contrasti, incomprensioni ed emarginazioni. S. Ignazio di Loyola direbbe: essere contenti di essere ritenuti e stimati pazzi, senza darne però occasione alcuna.
Ma ciò è possibile da soli?
Penso che ci sia da percorrere una via “da soli e in ottima compagnia”. E’ un’esperienza che ben conosco.
Pur consapevole della piccolezza della mia esperienza, confrontata con quella di tante persone che mi è dato incontrare, penso di poterla raccontare in quanto può fornire una chiave di lettura di molte cose che avvengono nella società e nella istituzione ecclesiale.
Da più di 40 anni vivo in un’organizzazione fra le più forti, la Compagnia di Gesù. In tutto questo tempo ho sperimentato una solitudine forse più unica che rara nei confronti della istituzione.
Al tempo stesso in una ricerca spirituale che ha occupato quasi tutta la mia vita sul rapporto fra la fede e la responsabilità verso il mondo ho trovato amicizia, guida, conforto, comunione profonda in particolare con confratelli della medesima Compagnia di Gesù.
Mi sembra che ciò possa suggerire qualcosa per capire il rapporto fra lo spirito (lo Spirito) e le strutture. Applicazioni innumerevoli nella pastorale come nella vita democratica.
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Può venire un pensiero: per avviare il superamento di un mondo assurdo di cui abbiamo una qualche responsabilità, facciamo un gruppo di scartati che possono, rimanendo fuori o nell’ultimo livello dell’istituzione, iniziare una vera rivoluzione.
Occorre verificare attentamente i singoli elementi di questa proposta.
Facciamo un gruppo: un sodalizio, un’associazione, uno schieramento per un’operazione lillipuziana, una realtà necessariamente autoreferenziale, in concorrenza e prima o poi in conflitto. Niente di tutto questo: solo amicizia, comunione, comunità totalmente aperta, che esiste non per sè ma per tutti gli altri, che si scioglie come sale e come lievito.
Scartati: evidentemente non per negligenza o per qualche stranezza, ma proprio per la più limpida diligenza nel fare quello di cui c’è più bisogno, seguendo le orme del Signore.
Fuori o al più basso livello delle istituzioni: non per una propria scelta ma come conseguenza inevitabile del non conformarsi alla mentalità di questo secolo.
Una vera rivoluzione che parte dall’interno della propria conversione personale e non conformandosi a un ordine tarlato da compromessi, abusi e violenze di ogni genere, avvia una rivoluzione radicale con la forza dello spirito libera dalla debolezza della violenza.
Per la nascita e la crescita di questa autentica rivoluzione cristiana, opera dello Spirito nella storia che è per tutti “storia della salvezza”, il servizio che noi possiamo fare è quello di facilitare la circolazione delle esperienze spirituali, come ho scritto in una lettera ai confratelli gesuiti.
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Paolo dopo l'esortazione a trasformarci rinnovando la nostra mente si sofferma sulla diversità dei doni secondo la Grazia data a ciascuno (Rm. 12, 3-8).
Torno a cercare di mettere a fuoco quale può essere la Grazia della nostra ricerca, fiducioso che ve ne sia una, il nostro carisma.
Quando si vuole mettere a fuoco qualcosa ci si concentra su di essa con i suoi particolari, e il resto rimane in secondo piano, un pò sfocato. Per noi si tratta di mettere a fuoco la nostra amicizia e la nostra ricerca, che ha senso in rapporto all’orizzonte più vasto che è la storia della salvezza: una realtà assai limitata, particolarmente varia, e al tempo stesso la realtà più grande che si possa immaginare.
Sembra una cosa impossibile, ma c’è uno sguardo che unisce queste due cose: l’Apocalisse, punto di arrivo del primo e del nuovo Testamento. In questo libro si tratta della nostra personale conversione e del senso di tutta la storia.
Ecco qualche elemento della nostra ricerca, della Grazia ricevuta.
La laicità
Per quasi 20 anni al centro della nostra ricerca con Castelli, Corradino, Stancari e molti altri.
Abbiamo tracciato una via nuova: “la laicità come profezia del popolo di Dio sul mondo, responsabilità dei credenti in Cristo, attesa operante di risurrezione” (Dialoghi, p. 13).
Quanto abbiamo pubblicato è solo l’inizio di un materiale molto vasto; l’inizio di una via che andrebbe proseguita verso mete ancora lontane.
Il dilagare in questi ultimi anni di discorsi sulla laicità ci ha distratti dalla via intrapresa. La nostra proposta non è stata presa in considerazione o si è scontrata con discorsi alternativi e spesso contraddittori, quasi con una forza ciclonica.
All’arduo sentiero della laicità come profezia si sono contrapposte le comode autostrade di vari generi di mediazioni.
Tutto questo non ci ha sedotti fino a lasciare la via (Io sono la via, la verità, la vita), ma forse ci ha rallentati e distratti.
La fede, la mistica e la politica
Per anni ci siamo impegnati su questo tema con la comunicazione di autentiche esperienze vissute e sofferte. Per me è stato utilissimo.
Dovremmo ancora approfondire il necessario e intimo rapporto fra fede e mistica.
Qualche mia comunicazione veniva considerata a ragione come una vocazione particolare e quindi come un modello non imitabile. La mia condizione di “solo in ottima compagnia” è singolare e non vivo questo privilegio (?) come dovrei. Dominus scit!
Il Mistero ci avvolge: “In Lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (Atti 17, 18).
Penso che la fede come mistica, cioè come esperienza del Mistero, sia molto più presente, o almeno possibile, in tanti piccoli, poveri e sofferenti, e che a loro dovremmo rivolgerci: è la cattedra dei piccoli.
Mettendo a fuoco quanto di più personale ci sia, cioè la nostra esperienza del Mistero, e lo sguardo più ampio sul presente della storia umana, si intravede la speranza proprio nella esperienza mistica, più o meno esplicita, di tante religioni vissute dai più piccoli, poveri e sofferenti. Per questo la mistica ha la massima valenza politica.
Ricordo un intervento del Card. Ballestrero: "In questo trapasso storico abbiamo più bisogno di essere fedeli e pazienti che protagonisti. Abbiamo più bisogno di essere credenti che sapienti. Abbiamo più bisogno di essere poveri che ricchi. La nostra fatica odierna, la nostra sfida è ancora quella di credere che non abbiamo qui la nostra dimora permanente e che proprio la nostra provvisorietà di beni, di strutture, di identità riflessa incontra l'avvenire di Dio. Io non so nulla di una chiesa aristocratica, di perfetti, di una chiesa efficientista. Noi siamo chiesa per il frutto della croce. I nostri giorni propizi sono i giorni crocifissi e i giorni sterili sono quelli meno segnati dalla croce.
Guai se riducessimo la chiesa a un'azienda, a una cultura! Guai anche se riducessimo la chiesa a una teologia. E' vero: la fede passerà, la speranza verrà meno, resterà la carità. Allora è dell'amore che oggi dobbiamo parlare, è all'amore che dobbiamo credere, è nell'amore che ci dobbiamo nutrire. Abbiamo oggi soprattutto bisogno di una teologia del cuore. La sapienza cristiana è fatta di indicibili intuizioni. Dico intuizioni indicibili. Le intuizioni indicibili dissolvono la nostra vanità. Non abbiamo scampo se vogliamo essere la chiesa, se vogliamo accogliere il dono che Dio continuamente ci fa.... (La Chiesa in Italia, annale de "Il Regno", 1997).
Grandi teologi e pastori hanno detto che il cristiano di domani o sarà un mistico o non avrà alcun significato. Proviamoci!
Un punto di partenza potrebbe essere la revisione di come celebriamo la Messa. Ho scritto qualcosa in proposito nel 50° della mia ordinazione sacerdotale.
L’emarginazione
Non cercata ma conseguenza del non conformarsi.
Essere minoranza non vincente nei giochi e nei conflitti di questo mondo, partecipando alla vittoria di Cristo con la nostra fede.
“Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede” (1 Giov. 5, 4).
Le forme attuali del martirio sono molteplici raramente riconosciute come tali.
Un servizio senza protagonismo
Un altro punto del carisma di cui siamo alla ricerca è il servizio della comunicazione spirituale senza la quale ogni tipo di aggregazione e ogni comunità ecclesiale si atrofizza. Questo servizio richiede la più radicale gratuità e povertà.
Ostacolo a ogni autentico servizio è il protagonismo, che ci insidia dall’interno e dall’esterno in tante iniziative personali e comunitarie. Il massimo del protagonismo è quando ci si propone come gestori della salvezza che viene da Dio.
Siamo sempre un granellino di senape all’interno di quel granellino che è la chiesa, popolo di Dio.
Penso spesso al salmo 36/37
“Non adirarti contro gli empi,
non invidiare i malfattori
......
Confida nel Signore e fa il bene
abita la terra e vivi con fede
......
Stà in silenzio davanti al Signore
e spera in Lui”.
Come proseguire
Mettere sempre meglio a fuoco il particolare e il tutto, noi “hic et nunc”, il punto a cui siamo arrivati e il Regno con le sue prospettive.
Prendere sul serio la preziosa indicazione di Padre Mongillo: “Più si situa la fede nella storia e la si fa valere nella sua radicalità più essa emerge nel suo aspetto di realtà non ancora svelata”.
Lasciamo quindi che la fede emerga in tutta la nostra vita, senza timori e senza mediazioni, come realtà non ancora pienamente svelata, quindi senza presunzione di possedere la verità. In tal modo ci liberiamo dalle radici del clericalismo e continueremo a cercare quella laicità che è carità verso il mondo (Castelli).
Fare passi concreti di cambiamento nella nostra vita che siano “segni” per noi stessi e per gli altri.
Pio