Caro Pio,
le tue ricorrenti sollecitazioni sul tema della conversione e una felice, recente esperienza fatta con un gruppo di preghiera mi stanno facendo riscoprire, con un’evidenza che nel tempo si era appannata, l’importanza della dimensione del silenzio. Parlo di “ri-“scoperta perché, pur non avendo mai fatto il "mese ignaziano", non mi è totalmente sconosciuta la pratica degli esercizi spirituali; devo però risalire all'epoca giovanile, al tempo dell'università (quindi – ahimè – a più di quarant'anni fa!) per ricordare mie esperienze significative di silenzio. Poi il tran tran della famiglia, del lavoro, della politica; i ritmi della metropoli; gli orari, le scadenze, il traffico, la TV perennemente accesa... una vita trascorsa nel frastuono. L’idea che il silenzio sia cosa buona e utile non mi ha mai abbandonato, ma la “pratica” è tutt’altra cosa, anche perché il silenzio – soprattutto quello interiore – non viene, per così dire, spontaneo: è una scelta. Ed è una scelta impegnativa, severa, faticosa; richiede concentrazione, perseveranza, determinazione, esercizio, preparazione, a cominciare dalle condizioni esterne (Gesù, per pregare, va nel deserto o in luoghi appartati e ammonisce: "Quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto... ", Mt. 6,6 ). Che cosa, in me, è cambiato in quest'ultimo periodo? E' che il silenzio da cosa “utile”, adesso, mi appare, con sempre maggior nitidezza, cosa “necessaria e urgente”. Oggi ho chiara la sequenza “conversione-preghiera-ascolto-silenzio”, laddove ciascun termine ha come condizione indispensabile il termine che lo segue: per la conversione occorre la preghiera; per la preghiera la capacità di ascolto; per l’ascolto, il silenzio.
Ho riletto da poco un testo del Card. Martini molto esplicito sull'argomento (Lettera pastorale, 1980/81 su “La dimensione contemplativa della vita”). Ne riporto alcuni brani: «Se in principio c'era la Parola e dalla Parola di Dio, venuta tra noi, è cominciata ad avverarsi la nostra redenzione, è chiaro che, da parte nostra, all'inizio della storia personale di salvezza ci deve essere il silenzio: il silenzio che ascolta, che accoglie, che si lascia animare. Certo, alla Parola che si manifesta dovranno poi corrispondere le nostre parole di gratitudine, di adorazione, di supplica; ma prima c'è il silenzio.... Come è avvenuto per Zaccaria... il secondo miracolo del Verbo di Dio è quello di far parlare i muti, (ma) il primo è quello di far ammutolire l’uomo ciarliero (cfr. Lc. 1,20-22)... Ciascuno di noi è esteriormente aggredito da orde di parole, di suoni, di clamori, che assordano il nostro giorno e perfino la nostra notte; ciascuno è interiormente insidiato dal multiloquio quotidiano che, con mille futilità, ci distrae e ci disperde. In questo chiasso l’uomo “nuovo” che è in noi deve lottare per assicurare al cielo della sua anima quel prodigio di “un silenzio per circa mezz'ora” di cui parla l'Apocalisse (8,1); che sia un silenzio vero, colmo della Presenza, risonante della Parola, teso all'ascolto, aperto alla comunione».
E, a proposito dell'Apocalisse, ho finito l'altro giorno, con l'aiuto di Laura, lo “sbobinamento” dell'ultimo incontro con Pino Stancari del 5 dicembre u.s., dedicato ai capitoli 4 e 5 che raccontano la grande visione del trono, del libro e dell'Agnello, alla quale si ricollegano, poi, tutte le altre descritte nei capitoli successivi. Ebbene, le ultime parole del cap. 5 sono: “E i Vegliardi si prostrarono in adorazione”; e Pino commenta: “i Vegliardi: la storia umana che fa silenzio e contempla. Il capitolo 5 si conclude così; la grande visione di Giovanni si chiude con questo silenzio della storia, giunta alla pienezza, in adorazione del Dio vivente”.
Il silenzio, quindi, non solo come punto di partenza – come dice Martini – ma anche come approdo definitivo del cammino di salvezza, personale e collettivo.
“C'è un tempo per tacere e un tempo per parlare...” (Qòelet 3,7). Qual è il tempo che ci è dato di vivere oggi? Qual è l'urgenza più pressante? In sostanza è il quesito che tu, Pio, sottoponi con insistenza da anni alla nostra coscienza: “Che cosa possiamo fare di cui c’è maggior bisogno?”. Rispondo con le parole di Enzo Bianchi (cfr. “La Repubblica” del 14.1.07, pag.54): «Davvero esiste una tale quantità di suoni, frastuoni, messaggi, da rendere quasi impossibile il silenzio. Il silenzio ci da angoscia. Però è il luogo in cui nasce la parola vera, la parola elaborata e pensata, la parola purificata: il silenzio è un linguaggio necessario, la parola senza silenzio diventa rumore. E’ un’esigenza antropologica prima che cristiana...; dal silenzio distilliamo l’autenticità delle parole.... Trovare il tempo per stare soli e pensare: tutto quello che si fa con gli altri, dopo, acquista una diversa qualità e forza.... Pascal diceva: “il grande dramma degli uomini è non trovare mezz’ora di silenzio al giorno”».
Giulio Cascino