Incontri di discernimento e solidarietà
 
  • Download

  • Puoi scaricare l'intero file nei seguenti formati:
  • Microsoft Word - Scarica in formato Microsoft Word (62 KB)
  • Adobe Acrobat PDF - Scarica in formato Adobe Acrobat PDF (380 KB)
 

L’ANIMA MIA MAGNIFICA IL SIGNORE

la visitazione

La nostra ricerca prosegue con la lettura del Magnificat, un testo assai noto, che fa parte integrante della preghiera quotidiana della chiesa. Vogliamo leggere e meditare e pregare il testo del Magnificat nella prospettiva della povertà.

Tempo di avvento, tempo della visita. Dio si è rivelato in quanto protagonista di una visita. Tutta la storia della salvezza è visita di Dio che entra nella storia umana e realizza il suo proposito di salvezza: la visita di Dio che salva. In Lc 1,39-56, il cantico della madre del Signore si inserisce nel contesto di un episodio che noi solitamente denominiamo: la visitazione di Maria a santa Elisabetta.

Maria è in visita a sua cugina Elisabetta. La tradizione liturgica, pastorale della chiesa definisce questo episodio evangelico come visitazione, un latinismo che conferisce alla realtà di una visita un significato più intenso. Non è soltanto una visita di convenienza, di solidarietà; è una visita che porta in sé un significato di ordine teologico. Il latinismo, visitazione ,sottolinea questo significato più intenso del gesto compiuto dalla madre del Signore. Non soltanto visita di Maria a santa Elisabetta, ma visita di Dio, che si manifesta attraverso il gesto compiuto dalla madre del Signore. Il protagonista della visita è il Signore onnipotente. Quando Maria si mette in viaggio per recarsi nella città di Giuda in cui risiede sua cugina Elisabetta, informata della sua gravidanza, il suo gesto è espressione di una visita che lei stessa ha ricevuto. Maria ha ricevuto l’annuncio da parte dell’Angelo, è stata visitata: in quanto ha ricevuto la visita, si mette in viaggio per visitare sua cugina. Il gesto che sta compiendo è prolungamento della visita che lei stessa ha ricevuto: visita di Dio che si è realizzata nella casa di Nazaret, dove Maria ha concepito il bambino. Lo porta nel grembo. Quando si reca in visita da sua cugina Elisabetta, porta con sé il figlio dell’Altissimo. Lo ha concepito, lo custodisce nel suo grembo. E’ lei che visita ? In realtà è la visita di Dio che si sta svolgendo in tutta la sua fecondità attraverso il concepimento del figlio nel grembo di Maria, attraverso il viaggio che compie per raggiungere sua cugina che vive sulla montagna di Giuda. L’opera di Dio, che si compie nella storia degli uomini, è una visita: un certo modo di visitare che trasforma radicalmente la storia che diviene storia di salvezza.

la salutazione

In questo senso la visita di Maria a sua cugina acquista un vero e proprio significato di evangelizzazione. Maria che visita sua cugina sta evangelizzando. Quando entra nella casa, Elisabetta, incinta da sei mesi, avverte un movimento, un sussulto, il bambino si agita nel suo grembo e lei stessa ne dà testimonianza: «Benedetta tu tra le donne. All’ascolto del tuo saluto il bambino si è agitato, ha sussultato di gioia nel mio grembo». Il modo di visitare la cugina si sviluppa in un particolare modo di salutare. Anche qui si potrebbe usare un termine latinizzante per solennizzare l’evento e conferire ad esso un significato teologico più intenso di quello che non sia il banale significato di un saluto: una salutazione. Maria saluta. In realtà questo saluto porta in sé la forza e la fecondità della novità evangelica: è Dio che visita la storia umana, è Dio che sta operando nella storia degli uomini in modo da suscitare frutti di salvezza. Un particolare modo di salutare che chiameremmo evangelizzazione. Non a caso nel gesto compiuto da Maria la chiesa è abituata a contemplare un’immagine della propria missione nella storia umana: la chiesa che è inviata per evangelizzare. Il gesto compiuto da Maria, il suo viaggio fino alla montagna di Giuda, la visita, il saluto, tutto questo è icona della chiesa che evangelizza nella storia degli uomini. Depositaria dell’evangelo, la chiesa lo porta in sé, lo custodisce nel suo grembo, lo affida con paziente e insistente fedeltà, agli uomini in ogni luogo e in ogni tempo.

il canto alla sera

Nella tradizione liturgica occidentale il cantico di Maria è riservato alla preghiera della sera, al vespro; la preghiera con la quale si saluta il sole che tramonta, mentre incombono le tenebre e si sprofonda nella notte. Quando la prova angosciante della notte incombe sulla la scena del mondo, la chiesa canta come ha cantato la madre del Signore: al tramonto del sole il Magnificat. Il modo di salutare il sole che tramonta, è il modo tipico di mantenersi fedele nella missione al servizio dell’Evangelo: di generazione in generazione, di giorno in giorno, di notte in notte. Nell’impatto con le tenebre, le ombre, le angosce di questo mondo, la chiesa canta evangelizzando, saluta come ha ricevuto il saluto, evangelizza come è stata evangelizzata. Il saluto di Maria a Elisabetta assume la fisionomia di un cantico, è il Magnificat: saluta e il saluto risuona, riecheggia, si ripercuote nell’ambiente, viene raccolto e riproposto, così per sempre. La chiesa, di giorno in giorno, di sera in sera, di tramonto in tramonto, mentre affronta la notte che grava sul mondo, saluta cantando come la madre del Signore ha salutato Elisabetta, quando le fece visita nella casa dislocata sulla montagna di Giuda, a notevole distanza da Nazaret.

Maria ha ricevuto l’annuncio e si è messa in viaggio. E’ una constatazione di cui vale la pena di tenere conto: un viaggio faticoso, che l’ha impegnata a fondo, con tutte le incertezze, le asperità del caso. Creatura viandante, creatura pellegrina, creatura itinerante. La madre del Signore quando entra nella casa di Elisabetta, sulla montagna di Giuda, è reduce da un’esperienza faticosa, ha sudato, è stata in contatto con le strade del mondo. Ha preso visione di tutto quello che succede nella storia degli uomini, è passata attraverso le situazioni incresciose della nostra condizione umana. E’ in visita di salvezza. Attraverso la visita di Maria che saluta sua cugina Elisabetta, è la visita di Dio che si rende operante nella storia degli uomini.

Anche noi ascoltiamo il saluto, e lo ascoltiamo già in comunione con tutti i fedeli del popolo di Dio che ci hanno preceduto. Così, di generazione in generazione nella storia della chiesa, anche noi abbiamo cantato come la madre del Signore quando è entrata nella casa di Zaccaria e di Elisabetta. Aver ricevuto questo saluto e averlo ritrasmesso, riecheggiando il cantico della madre del Signore, comporta un inserimento nella continuità della predicazione evangelica: la visita di Dio che si prolunga attraverso il viaggio missionario di Maria, che si prolunga nel viaggio missionario della chiesa, in ogni luogo e in ogni tempo.

con un filo di voce

Guardiamo più da vicino il cantico. Una formula di introduzione, una doppia dichiarazione nei vv. 46 -47, poi il cantico si sviluppa in due strofe; la prima strofa vv. 48-40, la seconda strofa vv. 51-53, una coda conclusiva vv. 54-55.

Il linguaggio usato dalla madre del Signore rispetta l’andamento tipico degli inni, dei canti di lode, con alcune evoluzioni originali. Il testo è poi intarsiato di citazioni provenienti dall’AT.

La formula introduttiva contiene una duplice dichiarazione. «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore». Di solito i canti di lode si aprono con un invitatorio, e sono usate formule che implicano la presenza di verbi all’imperativo: cantate, lodate, benedite, esaltate. Può anche essere un imperativo che il soggetto orante rivolge a se stesso: benedici, anima mia, il Signore. Nel Magnificat, invece, la madre del Signore usa forme verbali all’indicativo; l’invitatorio viene trasformato in asserzioni affermative. E’ come se fosse superata la necessità di una esortazione introduttiva. La madre del Signore è inserita in un canto di lode che l’accompagna, che struttura il suo modo di viaggiare, di stare sulla strada, di affrontare il mondo, la vita, la storia degli uomini, di presentarsi ad esso. Non ha bisogno di esortarsi, non perché sia più forte e più intraprendente di altri oranti, ma perché già la sua esistenza è in una dimensione evangelica, già è determinata dall’obbedienza al saluto che ha ricevuto e che trasmette, alla visita di cui porta in grembo il frutto.

L’anima mia magnifica il Signore, afferma. Tutto in lei è già inserito in una testimonianza festosa che proclama l’opera della salvezza di cui Dio è l’autore. Si presenta, fa visita, saluta; in realtà sta cantando, per testimoniare che Dio è autore della salvezza. Non c’è nulla di sfacciato in questo modo di testimoniare che Dio vuole e realizza la salvezza. Per due volte, in questi versetti introduttivi, la madre del Signore fa accenno a quelle che noi potremmo intendere come le sue difficoltà di respirazione, ha problemi di fiato. L’anima mia ... L’anima mia è il fiato. Il fiato ansimante di chi ha viaggiato, ed ha viaggiato a lungo, è affaticato, ha preso su di sé inevitabilmente quel carico di responsabilità che il contatto con le cose di questo mondo affida a chi fa sul serio. E la madre del Signore fa sul serio, viaggia sul serio, sta sulla strada in modo da prendere su di sé il carico di tutto quello che avviene. Ha dei problemi di fiato: .., forse solo un sospiro, solo un filo di voce, forse solo un gemito, un singhiozzo, un sussulto... L’anima mia... magnifica il Signore. Con quel poco di voce che mi rimane proclamo la grandezza del Signore, la magnificenza del Signore. Appare in modo visibilissimo la contraddizione tra la modestia del fiato, l’insufficienza del respiro, lo scompenso del suo vissuto e la grandezza, al di sopra di ogni misura, che dev’essere riconosciuta al Signore. La Madonna si fa avanti, ha il coraggio di produrre quel flebile soffio di voce che ancora le esce dalla gola per proclamare quanto è grande il Signore: l’anima mia magnifica il Signore. Dove tutto è sproporzionato, proprio là si radica la forza autentica e purissima del suo canto di lode; dove la sua povertà di creatura è così scoperta, dichiarata, proprio là la sua testimonianza è più che mai esplicita: Dio è grande.

il sorriso del Figlio

E’ così vero che la madre del Signore non è altro che una creatura, che tutto di Dio si manifesta in lei. Non è altro che una creatura: il creatore si manifesta. L’anima mia magnifica il Signore.

E aggiunge: il mio spirito. Di nuovo un accenno alla respirazione. Ci rendiamo conto che man mano il respiro si placa: era ansimante, adesso si fa più disteso, comprensibile. Ormai è entrata in quella casa, si sta pacificando, anche il cuore pulsa con un battito più leggero. Il mio respiro esulta in Dio mio salvatore. E’ usato un verbo molto raro nel greco classico, agalliao; serve a indicare quella particolare luminosità che affiora sul volto di una persona quando sorride. La madre del Signore entra nella casa di Elisabetta e saluta con il canto; il saluto si esprime sia in suoni, modesti e limitatissimi, per le difficoltà di respirazione che abbiamo considerato, sia con la luminosità. Saluta con un sorriso: non soltanto è il canto risuona in quella casa, ma attraverso il saluto, la luce del sorriso la illumina. Nel Vangelo secondo Luca, il verbo agalliao è usato solo un’altra volta: in 10,21, «in quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse». In questo caso il soggetto del verbo esultare è proprio Gesù. Luca, iconografo e pittore, ci presenta il volto di Gesù sorridente. Nessuno dice mai che Gesù ha sorriso, Luca si: «Esultò nello Spirito santo e disse: "Io ti rendo lode Padre, perché ai rivelato queste cose ai piccoli». Tra il figlio e la madre c’è una comunione nel sorriso. La madre e il figlio si sorridono. Non soltanto la madre impara a sorridere, anche il Figlio impara a sorridere, sotto il suo sguardo compaiono i piccoli della terra. «Io ti rendo lode, o Padre, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli». In Lc 10 per la prima volta Gesù dice: Padre. E’ il Figlio alle prese con le realtà della nostra condizione umana, il figlio che è disceso, che ha raggiunto l’estrema periferia di questo mondo, è il Figlio che si rivolge verso il Padre e esprime la comunione nella obbedienza la Padre, e il Padre si compiace di lui: «Così è piaciuto a te». Tra il Figlio ed il Padre questa comunione nel sorriso, una circolazione di luce: «Esultò nello Spirito Santo». E’ una circolazione di luce, sorriso di Dio onnipotente che dilaga nell’universo e che trova creature trasparenti. Sono i piccoli. Attraverso i piccoli della terra il sorriso, con cui il Figlio risponde al padre può transitare in tutto il suo splendore luminoso. Il Figlio che impara a sorridere, guardando la piccolezza di sua madre, guardando la piccolezza della creatura umana. E nel sorriso del Figlio noi contempliamo lo splendore eterno del volto di Dio. «Il mio spirito esulta in Dio mio salvatore».

Maria ha viaggiato a lungo, si è affaticata, ha percorso le strade impervie e desolate dei deserti, è passata anche attraverso le tenebre della condizione umana, eppure è pronta a testimoniare la grandezza del creatore, è pronta ad offrire il suo sorriso come riflesso inconfondibile dello splendore che accende il volto paterno di Dio.

Salvatore, Gesù

Questa formula introduttiva si conclude con una dichiarazione semplice e solennissima insieme: Dio che è mio salvatore. E’ tutto quello che la madre del Signore ha imparato nel corso del suo viaggio, ed è tutto quello che sta trasmettendo attraverso la sua visita, il suo saluto. E’ la visita stessa di Dio che riecheggia come saluto, risplende come luce di un sorriso. La casa di Elisabetta risuona, si illumina: è la nostra condizione umana evangelizzata. E noi, alla scuola di questo evangelo ricevuto, saremo impegnati a nostra volta nel servizio di una evangelizzazione da rendere: il canto della chiesa, il saluto di coloro che avranno imparato a rallegrarsi nella propria condizione di creature. Niente di più che creature. Ecco, impareremo a sorridere e a ammirare la luce del volto divino specchiata nella piccolezza di tutte le sue creature. Dio è salvatore. La Madonna dice: mio salvatore. L’aggiunta di questo pronome personale è importante . Salvatore è il nome di Gesù: il mio salvatore è il mio Gesù. E’ una citazione di Abacuc. Quando S. Girolamo traduce in latino il cantico di Abacuc, nel cap. 3, dice esattamente: exultabo in Deo Jesu meo. Questo è il contenuto della sua visita o del suo saluto: una creatura che si arrende al creatore. Il tutto di Dio passa attraverso di lei. La salvezza di Dio è presente ed operante nella storia umana.

Nelle due strofe del cantico la madre del Signore spiega che cosa vuol dire che Dio sia salvatore. E’ il perno attorno a cui ruota tutto il cantico: Dio è salvatore, vuole la salvezza, è autore della salvezza. Non è un’affermazione dottrinaria: è la presenza di Maria, il viaggio che ha compiuto, il suo modo di entrare, di visitare, di salutare, il suo modo di offrire il gesto e il volto, il suo stesso modo di respirare che serve a dichiarare questo contenuto del messaggio. Dio è salvatore.

custodisce la mia bellezza

Prima strofa. vv. 48-50. Nella prima strofa la madre del Signore mette in evidenza sue situazioni personali. Nella seconda strofa, invece, vv 51-53, la madre del Signore spiega in che cosa consista la salvezza voluta ed operata da Dio, ricorrendo a una indicazione di valori universali. Qualcosa che è capitato a me, qualcosa che vale per tutti.

v. 48: perché ha guardato l’umiltà della sua serva, d’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Bisognerebbe aggiungere un secondo perché all’inizio del v. 49: perché grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente. Due indicazioni: Dio è salvatore, per quello che è capitato a me. A me è capitato di essere guardata da lui. Ci saremmo, forse, aspettati qualcosa di diverso, e , invece, la madre del Signore, come prima indicazione importantissima, afferma di essere stata guardata da lui; sotto lo sguardo di Dio onnipotente ha acquisito una bellezza indelebile, inesauribile. Mi ha guardato e mi ha assegnato una bellezza che fa di me un oggetto di ammirazione per tutte le generazioni: D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Che cosa ha fatto Dio di grande in me ? Mi ha conferito bellezza. Sotto lo sguardo di Dio la creatura è bella. Questa è la sintesi primaria di tutta l’evangelizzazione mariana e di tutta l’evangelizzazione ecclesiale: una testimonianza resa alla bellezza delle creature di Dio in quanto sono creature, in quanto sono di Dio, in quanto sono guardate da lui. Noi non siamo abituati a usare questo linguaggio. Siamo piuttosto abituati ad usare un linguaggio moraleggiante: Dio è salvatore perché ci ha insegnato ad essere bravi, a comportarci bene. Invece la madre del Signore in primo luogo afferma che Dio è salvatore perché custodisce la nostra bellezza, quella bellezza che abbiamo perduto. Mi ha resa bella: sotto lo sguardo di Dio non sono rimasta bruciata, offesa, ferita; sotto lo sguardo di Dio si è accesa in me una bellezza inesauribile. Mi ha guardata e tutti mi ammirano.

in me, Lui

Seconda indicazione: grandi cose ha fatto in me l’onnipotente e santo è il suo nome, di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Non solo mi ha guardato, ma ha fatto in me grandi cose. Sempre questo riferimento a quel che è avvenuto personalmente in lei. Maria si espone. Ci vuole coraggio per mettersi in gioco con tanta decisione e con tanta risoluzione. E’ una creatura spavalda in questa coerenza così personalizzata. Grandi cose ha fatto in me: non soltanto mi ha guardato, ma ha operato. Quali cose ? Ebbene, la madre del Signore non dà nessuna soddisfazione alla nostra curiosità. Subito, infatti, sposta l’attenzione: grandi cose ha fatto in me lui. Lui. L’attenzione non è più sulle grandi cose operate in lei, che rimangono, evidentemente, in tutta la loro magnificenza, ma lui, l’autore, lui che è. E’ una sapiente teologa la madre del Signore: sposta subito il baricentro di tutta la sua testimonianza. Le grandi cose avvenute in me.. perché è lui che si è rivelato. Che cosa ha fatto di grande Dio ? Ha rivelato se stesso, ha spalancato il suo mistero. Dio ha operato la salvezza: ha rivelato se stesso, ha parlato di sé, ha presentato a noi il segreto della sua vita come abbraccio che ci raccoglie, che ci contiene. Ci salva non perché è avvenuto questo o quest’altro fatto importante, ci salva perché si avvicina a noi nel suo circuito vitale, nel suo mistero di vivente, nella sua santità divina. Il mondo è salvo perché Dio ha rivelato se stesso. E tutto si trasforma in forza di questo misterioso abbraccio che al di là di ogni previsione fa si che ci ritroviamo immersi nel segreto della sua vita, nell’intimità della sua comunione trinitaria.

il forte, il santo, il misericordioso

La madre del Signore usa qui tre attributi: il forte, il santo, il misericordioso. Al centro di questa terna il santo. Colui che è nel suo segreto, nella sua trascendenza, ha svelato se stesso e noi siamo come scivolati dentro di lui, immersi in quel circuito di vita che è la comunione trinitaria. Così ci salva, ci prende in sé.

Il primo attributo è forte, dynatos; il terzo attributo è misericordioso: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. A noi appare come una contraddizione: se qualcuno è forte non può essere misericordioso, se qualcuno è misericordioso deve essere certamente debolissimo. E invece il mistero di Dio è mistero di forza dolcissima, mistero di pietà poderosa. La forza e la misericordia non sono alternative, o oscillanti, un po’ è forte e un po’ misericordioso. Il mistero di Dio è mistero di forza soavissima, di pietà potentissima. Dio è forte nella misericordia e misericordioso nella potenza. E’ il Santo.

Ha svelato se stesso. Cosa ha fatto di grande ? Si è bendato per noi, si è scoperto per noi, si è svelato per noi. Lo sa bene quella creatura che non si difende, non arretra, non si rimpannuccia di abiti diversi; è il caso della madre del Signore.

abbattere per innalzare

Seconda strofa, vv. 51-53. Dio è salvatore per quello che è avvenuto nella storia umana, una volta per tutte si è sbloccata la situazione drammatica, ossessionante, che induriva il cuore degli uomini. Ha fatto forza con il suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore. Questo evento è stato compiuto da Dio in modo definitivo, ed è un evento che ha un valore universale: ha spezzato la durezza del cuore umano. Questo afferma la madre del Signore con una chiarezza cristallina: il cuore degli uomini è espugnato. Un fortilizio è stato conquistato; si è sgretolata la difesa; il cuore, che si asserragliava nella propria durezza, è stato frantumato. Questo vale per tutti. Non c’è più uomo in questo mondo, in qualunque luogo, in qualunque momento, per cui non valga l’evento che si è compiuto. Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore. Così Dio salva.

Lo illustrano due immagini, v. 52 e v. 53.

Prima immagine. Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili. Quelli che stanno in alto, assisi sui troni, sono abbattuti ; quelli che sono schiacciati a terra, innalzati. Così vanno le cose. Un ribaltamento dell’ordine a cui gli uomini erano assuefatti. Situazioni di potere, di prestigio, situazioni consolidate nella cultura, nei comportamenti, nelle convinzioni e nella coscienza degli uomini: tutto è sconvolto. Quelli che stanno in alto, abbattuti; quelli che stanno in basso, innalzati.

La conversione del cuore comporta una macroscopica ridistribuzione degli equilibri della storia umana. La madre del Signore, attraverso questa immagine, non sta descrivendo un gesto di tipo giudiziario, per cui quelli che stanno in alto, finalmente, sono abbattuti, e quelli che stanno in basso, invece, vengono innalzati. La madre del Signore non sta dicendo che quei tali che adesso sono stati rovesciati dai troni, si trovano nella situazione adatta per essere innalzati. Il Signore onnipotente ha introdotto nella storia umana questo meccanismo misterioso, ma efficacissimo, per cui là dove gli uomini finalmente sono abbattuti, possono essere innalzati. Così il cuore dell’uomo è espugnato, così la storia degli uomini cambia, diventa storia di salvezza. Quelli che stanno in alto sono abbattuti e, proprio in quanto abbattuti, potranno essere presi. C’è una strada di salvezza per tutti ? Si, c’è un evangelo per il cuore umano. Finalmente il cuore umano sarà sconfitto e quella sconfitta sarà benedizione, liberazione, beatitudine.

svuotare per accogliere

Segue la seconda illustrazione: ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Prima si parlava di situazioni statiche (quelli che stanno in alto, quelli che stanno in basso), adesso invece la madre del Signore parla di situazioni dinamiche, parla di quelle spinte che danno un orientamento alla vita degli uomini. C’è un modo di organizzare la vita per cui noi vogliamo raggiungere la ricchezza. Ciò non vuol dire essere ricchissimi. I ricchi di cui si parla nel v. 53, in greco, sono i plutuntes, e i plutuntes non sono propriamente i plusioi, i molto ricchi; sono piuttosto quelli che mirano alla ricchezza, che organizzano la propria vita per raggiungere la ricchezza, che poi forse loro sfugge. E’ un orientamento della loro vita. Viceversa vi sono altri che sono sempre più peinontes, affamati: sono sempre più svuotati. La madre del Signore dice : hai colmato di beni gli affamati. Gli svuotati sono colmati di beni. Si potrebbe anche tradurre: sono ricolmati di bontà. Quello spazio vuoto si rende sempre più accogliente, ospitale, aperto per contenere gli altri, i vicini, i lontani, il mondo, la storia di tutti. In quella situazione di svuotamento si è resa disponibile una specie di cavità, uno spazio interiore, che conferisce alla vita di quei tali una singolare fecondità nel bene. Svuotati: ricolmi, traboccanti ! Proprio in quell’essere svuotati esprimono una inattesa fecondità, una fecondità nel bene, una fecondità nella misericordia, nell’accoglienza pietosa, nel riconoscimento degli altri e di tutti. Viceversa ha rimandato a mani vuote i ricchi. Quei tali che hanno impostato le cose per raggiungere la ricchezza restano a mani vuote. In quel loro vuoto finalmente scopriranno che possono accogliere, scopriranno che sono in grado di ospitare qualcun altro, di comprendere, di compatire, di perdonare qualcuno, in quel vuoto.

Questa è l’opera di Dio nella storia degli uomini. E’ un trucco divino, un misterioso marchingegno: quando gli uomini saranno guidati su strade di impoverimento, allora saranno maturi per offrire frutti di amore. E’ così che viene espugnato il cuore umano, è così che viene sconfitta la sua pretesa di imporsi, di dettare le sue leggi. Quando il cuore dell’uomo sarà scardinato allora, sarà un cuore che si apre. E un cuore da cui zampilla acqua di sorgente : un dono di amore.

La povertà non è un programma di ordine teorico, e non è nemmeno un’attività riservata alle opere caritative. La povertà è proprio il segreto del Vangelo. E’ il bambino che la madre porta in grembo nella casa di Elisabetta e saluta; è l’Evangelo che la chiesa custodisce quando canta il Magnificat al tramonto del sole.

Conclude la madre del Signore: ha soccorso Israele suo servo. E’ la rievocazione sommaria di tutta la storia della salvezza. Si è ricordato della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre. Più indietro di così non potrebbe andare : Abramo, la discendenza di Abramo, le promesse che si sono mano a mano riproposte, hanno acquistato un significato sempre più ampio e travolgente. Dio è fedele, quel che ha promesso all’inizio ha realizzato : ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia. Quello che Dio ha realizzato per compiere le sue promesse è il bambino che la madre del Signore porta nel suo grembo, vale per sempre. Così si chiude il cantico, per sempre. Mentre tramonta il sole, la chiesa canta al vespro questa promessa che si è compiuta e che noi continuiamo a testimoniare. Vale per sempre, per tutti gli uomini che saranno liberati nel cuore, espugnati e resi poveri, perché siano finalmente educati nell’amore e si convincano di essere docili, trasparenti e fecondi per dare gloria a Dio e per dare consolazione d’amore ad ogni creatura di questo mondo.


Lectio divina


Archivio

La povertà 1997-98