la consolazione dell’Apocalisse
Ci accostiamo a queste pagine consapevoli che l’Apocalisse è un messaggio di consolazione indirizzato a credenti messi alla prova, a qualcuno che sta male perché sia aiutato a discernere la sua vicenda, scoprendo che la potenza gloriosa di Dio viene, si rivela vittoriosa. Proprio qui sta il contenuto essenziale del messaggio apocalittico: il Signore si rivela, l’apocalisse è svelamento di lui, Signore vittorioso della storia umana; tutta la creazione a lui appartiene, a lui ritorna. Il messaggio apocalittico appartiene ad una tradizione che è teologica e pastorale, per certi versi liturgica e spirituale, nel senso ampio del termine. Nel Nuovo Testamento ritorna in pienezza questa particolare maniera di proporre il messaggio della salvezza; a volte le sue caratteristiche rendono difficoltoso il contatto con questa pagine, ma è la stessa difficoltà che si può avvertire quando si ha a che fare con un discorso che è rivolto a gente che sta veramente male, a gente che non si attende una lezione, una catechesi articolata e coerente ma ha bisogno di una spinta, di un incoraggiamento, di scossone, se è il caso. Questi credenti hanno bisogno di essere interpellati attraverso immagini, ricordi, richiami che in qualche modo toccano la sensibilità.
L’Apocalisse di Giovanni offre a noi la testimonianza di Giovanni nel tempo della persecuzione. Giovanni vede. E’ tipico del linguaggio apocalittico questo ricorso alla visione. Giovanni vede come il senso della storia umana sia determinato dalla signoria di colui che è disceso ed è risalito.
In questo senso il messaggio apocalittico non è un messaggio che allude a qualche evento futuro. Il messaggi apocalittico è sempre da intendere in senso inverso: un messaggio che viene dal futuro incontro a noi, perché il futuro è già realizzato, è già definitivamente chiarita quale sia la pienezza in cui tutto si ricompone, la gloria di Dio è già instaurata come vittoria definitiva ed inequivocabile. Le tensioni, le contraddizioni, i conflitti, gli orrori, le torture, le miserie, le cadute, tutto quello che nella storia degli uomini è sperimentato come invasione ossessionante della profondità abissale inquinatissima del cuore umano, tutto quello che è male appartiene ad un disegno che già si è compiuto, ed è disegno di redenzione e di salvezza. Il Figlio, che è disceso e che è risalito, è esattamente il rivelatore di questa vittoria già instaurata. Lo Spirito Santo già tutto convoglia verso l’evento glorioso del Figlio, che è morto, che è risorto, che è intronizzato nella sua maestà.
Il libro dell’Apocalisse si apre con la grande visione che introduce tutte le altre che seguiranno. Tutte le visioni successive sono interne a questa, non sono altro che un approfondimento, un chiarimento di questa visione che è iniziale: la visione del Signore glorioso verso cui converge la storia umana. La visione della Pasqua. Giovanni dice : tutto questo io vidi nel giorno del Signore. E’ la domenica, il giorno in cui viene celebrata l’eucarestia, memoria perenne della Pasqua del Signore. Ecco, in questo giorno io vidi il Signore, dice Giovanni. Tutto il seguito è esplicitazione di questa visione. Vidi nel giorno del Signore, in un contesto di persecuzione, mentre il popolo cristiano è messo alle strette. Lo stesso Giovanni è costretto ad allontanarsi da Efeso e a cercare rifugio nell’isola di Patmos. E’ quello che poi avviene quasi ininterrottamente nel corso della storia per il popolo dei credenti; gli uomini nella varietà delle loro situazioni sono schiacciati, oppressi, tentati, condizionati in tanti e tanti modi, eppure: io vidi il Signore.
dai sette candelabri
Il Figlio dell’uomo si muove all’interno di sette candelabri d’oro (v. 12), ha sette stelle nella sua mano destra. I sette candelabri e le sette stelle stanno a rappresentare le sette chiese che sono già espressamente menzionate in 1,11. Non a caso sette chiese: non sono solo quelle chiese della regione che fa riferimento ad Efeso, capoluogo della provincia di Asia, ma sono sette nel senso che sono tutte le chiese, in ogni luogo e in ogni tempo.
"Scrivi per le chiese". Il Signore vivente si muove attraverso la chiesa, ha in mano la chiesa, è il suo strumento sacramentale, è il sacramento della sua Pasqua di morte e di resurrezione. La signoria del Figlio dell’uomo, che riguarda tutta la creazione, che coinvolge tutto lo svolgimento della storia umana, si manifesta mediante uno strumento sacramentale: la chiesa. Nei capp. 2-3 una serie di lettere, sette, quante sono le chiese destinatarie di questo messaggio. Il Signore vivente scrive alla chiesa, parla alla sua chiesa, conversa con la sua chiesa. Sono sette lettere perché sono sette chiese, ciascuna in situazione diversa.
Ciascuna lettera è composta secondo uno schema che si ripete rigorosamente dall’una all’altra, ma i contenuti sono sempre originali, perché la chiesa è mutevole, la chiesa è versatile. Le sette lettere inviate tramite Giovanni dal Signore alla sua chiesa ci aiutano a illustrare situazioni diverse di chiesa, situazioni diverse della nostra vita cristiana, momenti che possono essere in qualche caso simultanei, in qualche caso successivi. In qualche occasione percepiamo l’urgenza di conflitti che non sono interni alla chiesa, ma interni alla nostra vocazione cristiana, man mano che siamo richiamati a realizzare un discernimento sempre più intenso e radicale.
Le sette lettere colgono le chiese nel loro impegno di evangelizzazione e nello stesso tempo costituiscono un richiamo, interpellano, mettono in discussione. Di questo parla il Signore con la sua chiesa. Qui la problematica dell’evangelizzazione non è impostata in rapporto a un modo di essere o di operare della chiesa nel mondo, ma è impostata in rapporto alla relazione diretta, di intimità, di comunione, di amore, intenso, appassionato tra il Signore e la sua chiesa.
alla Chiesa di Efeso
Prima lettera: «All’angelo della Chiesa di Efeso scrivi». La chiesa di Efeso è una chiesa metropolitana, Efeso è il capoluogo della provincia di Asia, città nella quale ha soggiornato Paolo a lungo, a Efeso vive Giovanni. Efeso è dunque città nella quale si è formata ed è cresciuta una chiesa rigogliosa e molto feconda, che è poi divenuta centro di irradiazione dell’evangelo verso tutte le località circostanti; le altre chiese citate di seguito sono in un modo o nell’altro tutte figlie della chiesa madre di Efeso, a cui compete un ruolo di presidenza, un ruolo primaziale. Viene dunque interpellato l’angelo della chiesa di Efeso.
Come anche in tutte le altre lettere, è il Signore, che si presenta: « Così parla Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d'oro» (Ap 2,1). E’ il Signore della chiesa e la chiesa è nella sua mano: «Conosco le tue opere». Questo verbo, "conoscere", ritorna puntualmente in tutte e sette le lettere e svolge un ruolo decisivo per quanto riguarda questa comunicazione che il Signore indirizza alla sua chiesa. Questa conoscenza non è conoscenza di ordine concettuale, ma affettivo: conoscenza nel senso di un coinvolgimento vitale, di un impegno che consente di assumere la realtà altrui, la presenza altrui e anche il peso altrui, per quanto imbarazzante e fastidioso possa essere. «Io ti conosco»: un impegno di amore. E’ proprio a questo livello che il Signore vuole condividere le sue intenzioni e le sue opere con la sua chiesa. «Io ti conosco»: lo ripeterà puntualmente in ciascuna delle lettere. Questa affermazione imposta tutto il discernimento necessario per le diverse situazioni che verranno man mano segnalate: come si muovono queste chiese, come sono condizionate dall’impatto dalle cose del mondo, le situazioni interne ed esterne. Tutto è sempre da riportare a questa dichiarazione : «Io ti conosco».
«Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua costanza». E’ una chiesa operosa, la chiesa di Efeso, ha intrapreso una enormità di iniziative missionarie, si è dedicata all’evangelizzazione con grande coraggio, con strenua e instancabile pazienza. Conosco la tua fatica, la tua costanza: non puoi sopportare i cattivi, hai messo alla prova quelli che si dicono apostoli e non lo sono ecc.
C’è l’accenno a una situazione che è apparsa preoccupante per quanto riguarda il fraintendimento del ruolo apostolico: qualcuno si dice apostolo e non lo è. Cominciamo a intravedere una qualche prospettiva problematica: la chiesa di Efeso, così risoluta nella sua professione di impegno pastorale, potrebbe aver trascurato la necessaria coerenza nell’esercizio della testimonianza evangelica. Può succedere che il ruolo prevalga sulla verità spirituale. Efeso sembra proprio minacciata da questa possibilità di ridursi alla fierezza del proprio ruolo, corre il rischio di perdere di vista veramente l’essenziale della missione che le è stata affidata: condividere quella intimità di amore, per cui il Signore l’ha costituita nella presidenza pastorale. Quel che riguarda la chiesa di Efeso riguarda in realtà ogni chiesa, perché ogni chiesa, per quanto piccola e sgangherata sia, comunque un ruolo di presidenza pastorale lo esercita. "Bene, tu ti sei data da fare, chiesa di Efeso, sei stata costante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti». «Ho però da rimproverarti che hai abbandonato il tuo amore di prima». Hai abbandonato il primo amore, dice il testo in greco: hai abbandonato il primato dell’amore.
«Ricorda dunque da dove sei caduto». Sei caduto. In realtà la chiesa di Efeso è una chiesa che sta in alto, che governa, che è ben riconoscibile, posta per necessità di cose su un piedistallo che la rende visibile e da questo punto di vista ha dimostrato di essere efficiente, meritevole di riscontri di riconoscimenti, di applausi a scena aperta, eppure «sei caduto», dice il Signore alla sua chiesa.
«Ravvediti e compi le opere di prima». Le prime opere, qui di nuovo quell’aggettivo che abbiamo messo a fuoco a riguardo dell’agape: l’amore di prima, le opere di prima, le prime opere. Ritorna al primato dell’amore. «Se non ti ravvederai, verrò da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto». Non c’è altra ragione perché tu svolga questo ruolo di presidenza se non quella di essere testimone dell’amore di prima. «Tuttavia hai questo di buono, che detesti le opere dei Nicolaìti, che anch'io detesto». Il Signore ci tiene a segnalare tutti gli aspetti positivi, tutti i momenti meritevoli di riconoscimento, di elogio, di approvazione, e quindi la lettera si conclude così : «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese». Questa formula risuona nella conclusione di tutte e sette le lettere. Noi ci aspetteremmo : «Chi ha orecchie ascolti ciò che il Signore, il Figlio, il vivente, colui che è morto ed è risorto, dice alle chiese». Qui invece : «ciò che lo Spirito dice alle chiese», perché quello che il Signore dice alla sua chiesa, è lo Spirito che glielo mormora dentro, glielo sussurra dentro, è lo Spirito che glielo fa riecheggiare nell’intimo, nel cuore, nel profondo, nella vita di ogni chiesa e nella coscienza di ogni fedele. Il Signore invia il messaggio alla chiesa ed è lo Spirito che rende quel messaggio evidente dal di dentro, dal fondo del cuore nella intimità del vissuto comunitario e personale : «chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese».
Ed è proprio questa eloquenza pneumatica in noi, nella chiesa, nel popolo cristiano, in ogni cristiano che assume una particolare valenza di discernimento. E’ lo Spirito che ci consente di recepire il messaggio che il Signore ci comunica in modo da accogliere l’urgenza di quella convocazione che ci vuol fare partecipare al suo evangelo. E’ lo Spirito che discerne in noi il valore di quella parola che ci convoca per essere coinvolti nella evangelizzazione, perché la evangelizzazione ha come soggetto protagonista Lui, il Signore. E noi siamo coinvolti in quella sua iniziativa. «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: al vincitore darò da mangiare dell'albero della vita, che sta nel paradiso di Dio». La lettera si conclude con un accenno ad elementi che saranno presenti nelle ultime visioni: l’albero della vita nel giardino, il vincitore. Il vincitore qui è la chiesa, è la nostra vocazione cristiana coinvolta nella vittoria del Signore, è il nostro essere in comunione con lui evangelizzatori, strumento sacramentale della evangelizzazione, nella mano del Signore, nel cuore del Signore, in comunione con lui vivente, lui che è il Signore della storia umana.
alla Chiesa di Pergamo
Si alternano due note nel messaggio che il Signore invia alla sua chiesa: la nota del rimprovero e la nota dell’elogio : io ti chiedo di maturare nella conversione per un verso, ti incoraggio, compiaccio di te per altro verso. E’ lo Spirito che fa riecheggiare questo messaggio dall’interno in modo tale che la nota del rimprovero e quella dell’elogio si esplicitino adeguatamente, con la prevalenza dell’una o dell’altra a seconda dei casi e anche con una fusione sempre immancabile delle due intonazioni.
Il Signore chiede alla chiesa di convertirsi. Di questa necessaria conversione parla lo Spirito in noi.
Nella lettera prima compare un imperativo "ravvediti", che può essere tradotto con "convertiti". E’ questo imperativo che ricapitola tutto quello che riguarda i rimproveri che il Signore muove alla sua chiesa, i richiami con cui le chiede di trasformare il suo modo di essere e di fare nel mondo degli uomini. Lo Spirito parla alla chiesa spiegando esattamente il valore di questa chiamata alla conversione.
Nelle lettere dispari compare questo stesso imperativo, "convertiti"; nelle lettere dispari la nota del rimprovero è emergente, dominante, anzi passando da una lettera a un’altra notiamo una insistenza sempre più rigorosa nel rimprovero. Nelle lettere pari la nota dominante è quella dell’incoraggiamento.
Leggiamo la lettera terza. «2All'angelo della Chiesa di Pergamo scrivi: così parla Colui che ha la spada affilata a due tagli: so che abit..i». "Io ti conosco", è la stessa espressione che già abbiamo incontrato. La chiesa di Pergamo è così identificata dal Signore : «so che abiti dove satana ha il suo trono». Allude certamente al culto, celebrato a Pergamo, dedicato all’immagine dell’imperatore. Pergamo è città che in un passato non lontano è stata capitale di un regno famoso e Pergamo è città nella quale sopravvivono tradizioni culturali, atteggiamenti popolari, mentalità diffusa, in obbedienza a questa immagine ereditata dal passato che conferisce un valore sacro all’esercizio del potere. Il culto al potere dell’imperatore. Anche la chiesa di Pergamo è intaccata da questa particolare mentalità. E’ una chiesa che è tentata, è affascinata da tutte le possibili complicità con le istituzioni di potere; questo non soltanto nei fatti, ma nella ideologia, nei sentimenti, negli atteggiamenti interiori, nella disposizione degli animi, nello stesso linguaggio. La chiesa di Pergamo è affascinata dal potere. In questa chiesa non sono mancati i segni di grande serietà, di matura coerenza nella vocazione evangelica. «Tuttavia tu tieni saldo il mio nome e non hai rinnegato la mia fede neppure al tempo in cui Antìpa, il mio fedele testimone, fu messo a morte nella vostra città, dimora di satana». Non si scherza, c’è stato un martire, un testimone fino alla morte a Pergamo, Antipa, citato per nome. Ma «ho da rimproverarti alcune cose: hai presso di te seguaci della dottrina di Balaàm, il quale insegnava a Balak a provocare la caduta dei figli d'Israele, spingendoli a mangiare carni immolate agli idoli e ad abbandonarsi alla fornicazione». Sono ricordate pagine di Num 22,2; il racconto antico viene citato proprio perché costituisce un riferimento esemplare per quanto riguarda la caduta nell’idolatria che è ricorrente nella storia del popolo di Dio e che rispunta come minaccia nella storia della chiesa: il fascino del potere.
«Così pure hai di quelli che seguono la dottrina dei Nicolaìti. Ravvediti». Ecco l’imperativo che già messo a fuoco. Convertiti dunque, «altrimenti verrò presto da te e combatterò contro di loro con la spada della mia bocca». La spada della sua bocca è la Parola. Convertiti: tu ti sei abituata ad identificarti non più in rapporto alla mia parola, ma in rapporto a quel complesso di complicità che ti danno il gusto di apparire, se non proprio potente, quanto meno valida, efficiente, riconosciuta, istituzionalmente. Io verrò presto da te e combatterò con la spada della mia bocca. E’ alla mia parola che io ti richiamo.
E adesso il congedo nella lettera : «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese». E’ lo Spirito che dispiega dal di dentro come questa chiamata valga per te, convertiti. «Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all'infuori di chi la riceve». Messaggio sconcertante: al vincitore darò un sassolino bianco che porta in sé il nome sconosciuto, un nome che conosce soltanto colui che lo riceve. C’è tra me e te un segreto. Io vengo con la mia Parola per richiamarti al valore di quel segreto, un segreto di amore, che condividiamo insieme, per cui tu conosci il nome che io ti ho assegnato, impresso in quel sassolino, un nome che nessuno lo conosce, tranne tu. Non c’è altro criterio per identificarti, anche nel tuo modo di presentarti in pubblico, anche nel tuo modo di essere alle prese con i poteri di questo mondo. Comunque, nel tuo ruolo pubblico, là dove svolgi la tua missione, il criterio valido per identificarti sta in quel nome segreto che tu hai ricevuto da me. E che nessuno conosce, ma tu ed io si.
alla Chiesa di Sardi
Quinta lettera, cap. 3 : «All'angelo della Chiesa di Sardi scrivi: così parla Colui che possiede i sette spiriti di Dio e le sette stelle: conosco le tue opere». Ritroviamo lo stesso linguaggio. Cosa succede nella chiesa di Sardi? «Ti si crede vivo e invece sei morto». Il linguaggio, passando da una lettera a un’altra in questa serie dispari, si fa sempre più pressante, più incalzante; il rimprovero è sempre più petulante, tagliente. «Conosco le tue opere; ti si crede vivo e invece sei morto. Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire, perché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio». La chiesa di Sardi appare abituata ormai a uno sdoppiamento fra quello che appare e quello che è il vero atteggiamento interiore. "Ti si crede vivo e invece sei morto". E’ una chiesa abituata a vivere dietro una facciata, è una chiesa abituata a coltivare l’opacità dell’apparenza. Svegliati, in realtà tu stai dormendo, ti stai spegnendo, ti stai consumando.
Comunque anche a Sardi c’è chi ha saputo resistere, c’è chi si è radicato nella coerenza, c’è chi è rimasto al proprio posto, coloro che non hanno macchiato le loro vesti «essi mi scorteranno in vesti bianche, perché ne sono degni». Ci sono degli innocenti, dei puri, ci sono coloro che comunque non si sono lasciati coinvolgere in questo gioco sul piano delle opportunità umane e mondane. Sono coloro che, vestiti di bianche vesti, sono discepoli del Signore e lo seguono e non hanno in alcun modo ceduto alla complicità che si è imposta come metodologia pastorale, sembrerebbe di poter dire. Forse non se ne sono nemmeno accorti, questa loro resistenza non è stata neanche molto studiata, motivata, ragionata, non c’è protesta, non c’è schiamazzo, non c’è volontà di dissenso, ma è così e basta. Ci sono, vestiti di bianche vesti.
«Il vincitore sarà dunque vestito di bianche vesti, non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma lo riconoscerò davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese».
alla Chiesa di Laodicea
Settima lettera. «All'angelo della Chiesa di Laodicea scrivi». E’ l’ultima lettera della serie dispari e l’ultima lettera in assoluto. «Così parla l'Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio. Conosco le tue opere». Il Signore si presenta : io ti conosco. «Tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo!». Sempre peggio. La chiesa di Sardi almeno giocava sistematicamente su due piani, preoccupata di mantenere la visibilità esteriore, decorosa e imponente, motivo di attrazione o di solidarietà mondane. La chiesa di Laodicea, invece, si è ormai immersa nella tiepidezza, la tiepidezza è divenuta un’impostazione, un valore; la tiepidezza ha acquisito, per così dire, un significato istituzionale. L’ideologia della tiepidezza: «tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca». Una parola durissima questa. Una pappa insulsa meritevole soltanto di essere vomitata. "Tu dici : io sono ricco". C’è anche questo particolare, la chiesa di Laodicea è una chiesa benestante, perché Laodicea è una città prosperosa, nota nell’antichità per i commerci, per le sue attività industriali, tessili e farmaceutiche. E la sua chiesa risente di questo.
«Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, vesti bianche per coprirti e nascondere la vergognosa tua nudità e collirio per ungerti gli occhi e ricuperare la vista», perché, tu sei un ammalato, tu sei un povero disgraziato, tu sei uno svergognato. «Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo. Mostrati dunque zelante e convertiti». Giunge il richiamo in una prospettiva di correzione: "io tutti quelli che amo li rimprovero". «Sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me». Questo manda a dire il Signore alla chiesa di Laodicea, ed è lo Spirito che fa riecheggiare nell’intimo il rumore di quei colpi battuti alla porta da un mendicante qualunque, uno sconosciuto qualunque, un seccatore qualunque. Sono io che sto alla porta e busso, finché qualcuno mi aprirà, entrerò e ceneremo insieme. Questa immagine proviene dal Cantico dei Cantici.
Nell’ultima lettera, che dà il massimo vigore al rimprovero, siamo ricondotti all’urgenza di quella iniziativa di amore che abbiamo colto fin dall’inizio: io ti conosco, ti chiamo a conversione, perché attendo la tua partecipazione al servizio dell’evangelo, la tua comunione con me nella Pasqua per la evangelizzazione. Attendo e urgo e fremo, e insisto e ti sollecito come un mendicante alla porta; sto bussando e non rinuncerò finché qualcuno mi aprirà, entrerò e ceneremo insieme. «Il vincitore lo farò sedere presso di me, sul mio trono, come io ho vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese».
alla Chiesa si Smirne
Nelle lettere pari prevale l’elogio rispetto al rimprovero, a partire da quella a Smirne.
«All'angelo della Chiesa di Smirne scrivi: così parla il Primo e l'Ultimo, che era morto ed è tornato alla vita: conosco la tua tribolazione, la tua povertà». "Conosco la tua povertà" dice il Signore alla chiesa di Smirne. Una piccola chiesa, maltrattata, malvista, situazioni di conflitto che la opprimono in molti sensi, «tuttavia tu sei ricco e la calunnia da parte di quelli che si proclamano Giudei e non lo sono, ma appartengono alla sinagoga di satana». C’è di mezzo una incomprensione grave, c’è qualcuno che ha accusato i cristiani, che ha calunniato privatamente e poi ufficialmente la chiesa. «Non temere ciò che stai per soffrire: ecco, il diavolo sta per gettare alcuni di voi in carcere». Un messaggio di consolazione! Ci aspetteremmo un qualche accenno a un miglioramento prossimo o futuro e invece il Signore scrive alla chiesa di Smirme per dire : "guarda che le cose andranno peggio, la situazione si farà sempre più compromettente, sarai sempre più esposta". Qui è prevista una vera e propria persecuzione: ci saranno quelli gettati in carcere per metterli alla prova, avrete una tribolazione per dieci giorni, cioè per un tempo prolungato, anche se incompleto.
La povertà di questa chiesa la lega al Signore in modo sempre più intenso, radicale, definitivo, esattamente in questo modo l’evangelizzazione procede: «Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: Il vincitore non sarà colpito dalla seconda morte».
alla Chiesa di Tiatira
Lettera quarta. «All'angelo della Chiesa di Tiàtira scrivi: Così parla il Figlio di Dio, Colui che ha gli occhi fiammeggianti come fuoco e i piedi simili a bronzo splendente. Conosco le tue opere, la carità, la fede, il servizio e la costanza e so che le tue ultime opere sono migliori delle prime».La chiesa di Tiatira è una chiesa in crescita, questo non era ancora stato detto a nessuno.
«So che le tue ultime opere sono migliori delle prime. Ma ho da rimproverarti». Nella chiesa di Tiatira succede qualche cosa che ha a che fare con fenomeni di superstizione. E’ il caso di una certa Gezabele, che si spaccia per profetessa. Sono tutte espressioni che alludono a fenomeni idolatrici. Nella chiesa di Tiatira, in concomitanza con questa maturità progrediente nella efficacia pastorale e nella generosità degli animi, ci sono da registrare questi residui di superstizione fastidiosi, dsgustosi, che appaiono anche più grossolani proprio per il contesto complessivo in cui si muove questa chiesa, segnato da quella prospettiva di progresso spirituale.
«A voi di Tiàtira invece che non seguite questa dottrina, che non avete conosciuto le profondità di satana come le chiamano non imporrò altri pesi; ma quello che possedete tenetelo saldo fino al mio ritorno. Al vincitore che persevera sino alla fine nelle mie opere, darò autorità sopra le nazioni; le pascolerà con bastone di ferro e le frantumerà come vasi di terracotta». Qui è citato il salmo 2, salmo messianico, a proposito del vincitore, colui che condivide la vittoria del Figlio, del Signore, dell’Agnello immolato e trionfante. Questa stessa autorità, quella «stessa autorità che a me fu data dal Padre mio e darò a lui la stella del mattino. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese». Qui un richiamo ancora al libro dei Numeri, la stella del mattino. Per la chiesa di Tiatira che è così intraprendente, meritevole di apprezzamento per l’attività incalzante che dedica al servizio dell’evangelo, sorge la stella del mattino. La chiesa di Tiatira non è una chiesa a cui il Signore si rivolge con un plauso indiscriminato, sarebbe compromettente un atteggiamento del genere per la chiesa di Tiatira, ne riceverebbe un danno e non un vantaggio. Alla chiesa di Tiatira il Signore dice : tu stai uscendo dall’ombra, ma vedi che le ombre costantemente ti minacciano e vedi che le ombre ti vorrebbero risucchiare, ma sorge la stella del mattino, guarda la stella del mattino, così come la riconosce chi proviene dall’ombra. Non dimenticare che tu provieni dall’ombra, se no non vedrai mai la stella del mattino.
alla Chiesa di Filadelfia
Sesta lettera. «All'angelo della Chiesa di Filadelfia scrivi: Così parla il Santo, il Verace, Colui che ha la chiave di Davide: quando egli apre nessuno chiude, e quando chiude nessuno apre. Conosco le tue opere». Chiesa di Filadelfia, piccola cittadina Filadelfia. A Filadelfia una chiesa a cui il Signore si presenta assumendo, qui una citazione di Isaia, il ruolo di colui che apre le porte perché ne tiene in mano la chiave. E’ una immagine messianica. «Ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere». Questa porta aperta riguarda l’attività missionaria, la porta che nessuno può chiudere. La chiesa di Filadelfia è una chiesa che si presenta nella sua piccolezza eppure è in grado di ottenere frutti fecondi di conversione. Questo non è stato detto a riguardo di nessuna chiesa: «per quanto tu abbia poca forza, pure hai osservato la mia parola e non hai rinnegato il mio nome. Ebbene, ti faccio dono di alcuni della sinagoga di satana». «Li farò venire perché si prostrino ai tuoi piedi e sappiano che io ti ho amato». Questo convertirà gli uomini che entrano in contatto con la chiesa di Filadelfia, perché nella sua piccolezza scopriranno che è radicata nell’amore che ricevi da Dio. Questo suo radicamento nell’amore che riceve da Lui converte, evangelizza gli uomini vicini e lontani, di ieri, di oggi e di domani. Questo è il suo patrimonio e la sua identità, questa è la sua piccolezza e la tua inesauribile fecondità.
«Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese». Lo Spirito lo spiegherà, come è vero che nella piccolezza tutto le è donato per la evangelizzazione del mondo perché è amata. Questo riguarda la chiesa, questo riguarda la vita cristiana di ciascuno di noi, questo riguarda ciascuno di noi e tutti e questo radicamento, questa autentica dimora nell’amore, senza ambiguità o divagazioni superflue, senza compromessi o alternative, senza ricerche in altre direzioni per quanto possano apparire interessanti e convincenti, proprio questo evangelizza il mondo. Ti conosceranno così come ti conosco io. Ti conosceranno nell’amore che ricevi da me e ti conosceranno nella tua piccolezza consacrata all’amore che ti è stato manifestato dall’inizio e che ti rende creatura docile e feconda nella storia degli uomini per l’avvento del Regno. .