01 marzo 2016
Quarto incontro del ciclo 2015-2016
Il libro di Tobia, come già abbiamo constatato il mese scorso, è un racconto didattico, un insegnamento circa la vocazione alla vita e accompagna la ricerca di coloro che appartengono al popolo dei credenti ma vivono nel mondo, dispersi in situazioni di impatto con le realtà di un ambiente pagano. È il contesto di coloro che pure ci tengono a radicarsi nell’identità di credenti – il popolo dell’Alleanza e il riferimento a Gerusalemme con tutto quel che significa ma che rimane, dal punto di vista geografico, una realtà sempre più lontana – mentre gli eventi si sviluppano in periferie sempre più remote. Il rischio, da una parte, è di rinchiudersi in situazioni di isolamento e, dall’altra, di adeguarsi all’andazzo condiviso dalla maggioranza della gente con la quale i personaggi trascorrono la loro vita e procedono nel loro viaggio.
Abbiamo letto i primi tre capitoli che costituiscono la prima parte del Libro: abbiamo incontrato personaggi diversi, con le loro tribolazioni, che sono ricondotti all’interno di un unico disegno; il vecchio Tobi e la giovane donna, Sara. Il vecchio Tobi vive rivolto al passato; la sua testimonianza è estremamente coerente e per certi versi commovente, ma si trova coinvolto in situazioni che man mano gli chiudono il cuore, lo irrigidiscono, lo inceppano nelle relazioni con il suo ambiente e le persone con cui ha a che fare in maniera più diretta, fino al momento in cui diventa cieco: non vede più il passato a cui è legato, consacrato e radicato; un passato buio rispetto al quale è senza risorse, senza più capacità interpretative per riprendere lo slancio di cui c’è bisogno e affrontare il seguito della vita. Tanto è vero che chiede di morire: preghiera di Tobi. Contemporaneamente, in una località più lontana la giovane Sara non riesce a trovare il compagno con cui condividere la vita, lo sposo e il seguito di quella discendenza che è giunta fino a lei, figlia unica, per cui la storia sarebbe definitivamente interrotta a meno che non si adeguasse a relazioni disposte a compromettersi nell’incontro con il mondo in cui ormai la sua famiglia vive. E Sara non vede più alternative se non quella di morire. Non c’è un marito per lei; sette fidanzati sono tutti morti. I due personaggi, Tobi e Sara, chiedono di morire nello stesso momento e il testo sottolinea, alla fine del capitolo 3, in maniera martellante questa unità di tempo. Sono le vicende umane di gente disastrata, derelitta, sconfitta, come i due personaggi così diversi tra di loro, ma così rigorosamente unificati nell’esperienza di un’incapacità ad affrontare positivamente la vocazione alla vita in obbedienza a quell’identità di fede per la quale ritengono di essere consacrati. Non è possibile, si può solo morire. “In quel medesimo momento” le tribolazioni dei due sconfitti, così emblematicamente raffigurati dai due personaggi, sono presenti al cospetto di Dio. Così finisce il capitolo 3 che abbiamo letto la volta scorsa. E alla fine del cap. 3 sono risolti tutti gli interrogativi: “In quel medesimo momento la preghiera di tutti e due fu accolta davanti alla gloria di Dio”. Una preghiera oggettivamente sbagliata eppure è accolta alla presenza di Dio; due vicende così disparate, collocate in contesti ambientali così diversi, ma che si compongono all’interno di un unico disegno che il racconto descrive come rivelazione della gloria di Dio. Ecco come Dio è presente e operante nella storia degli uomini; ecco come l’iniziativa di Dio si rivela protagonista nella gratuità della sua misericordia: è Lui che si prende cura di coloro che, per come li abbiamo conosciuti, abbandonati a loro stessi, malgrado le loro migliori intenzioni, sarebbero naufraghi condannati a una fine senza alcuna coerenza rispetto al passato e senza alcuna fecondità rispetto al futuro. E veniamo a sapere che “fu mandato Raffaele (l’angelo che sta davanti alla faccia del Dio vivente) a guarire i due: a togliere le macchie bianche dagli occhi di Tobi, perché con gli occhi vedesse la luce di Dio; a dare Sara, figlia di Raguele, in sposa a Tobia, figlio di Tobi, e a liberarla dal cattivo demonio Asmodeo”. È esattamente questa missione affidata a Raffaele che diventa lo strumento operativo mediante il quale il Dio vivente manifesta la sua gloria nella storia degli uomini e fa di queste creature derelitte, sconfitte e apparentemente prigioniere di una morte senza alternativa, gli elementi costitutivi di un disegno che dal di dentro della storia umana diviene rivelazione della gratuita iniziativa del Signore. Come avviene questo? Il seguito del racconto vuole aiutarci, tenendo conto della modalità didattica propria di questa narrazione sapienziale, a entrare nel Disegno operativo che si dispiega all’interno della storia umana come manifestazione provvidenziale della misericordia di Dio che vince e conferma la vocazione alla vita dell’umanità prigioniera della morte se abbandonata a se stessa.
Come avviene che il cieco Tobi riveda la luce di Dio e la sterile Sara, priva di una prole che renda aperta al futuro la discendenza della sua famiglia, trovi uno sposo?
Testamento di Tobia
La seconda parte del Libro si sviluppa dal cap. 4 al cap. 11 e possiamo dare un titolo a questa seconda parte: “Il viaggio di Tobia”. Abbiamo già avuto a che fare con personaggi che sono in movimento, itineranti e percorrono tante strada, ma adesso c’è un viaggio che acquista un rilievo particolare e diventa un elemento determinante in rapporto a quella chiarificazione che dall’interno spiega il senso della storia umana in obbedienza a Dio.
Cap. 4, vv. 1,2: abbiamo a che fare con le istruzioni che Tobi rivolge a Tobia in vista di un viaggio che ora si rende necessario in seguito ad una improvvisa illuminazione; Tobi è cieco eppure un’illuminazione interiore gli consente di ricordare un episodio che già conosciamo anche se in modo marginale: “In quel giorno Tobi si ricordò del denaro che aveva depositato presso Gabael in Rage di Media (Tobi aveva compiuto tanti viaggi; affari, commerci. Tobi ricorda) e pensò: «Ho invocato la morte. Perché dunque non dovrei chiamare mio figlio Tobia e informarlo, prima di morire, di questa somma di denaro?»”. Dal suo punto di vista Tobi non ha altra alternativa; si tratta di morire, però è il caso di informare Tobia. Ma prima Tobi si rivolge a Tobia per consegnare a suo figlio un testamento sapienziale. Poi, alla fine del cap. 4, gli parlerà del denaro da recuperare. Questa serie di raccomandazioni che Tobi rivolge a Tobia è equivalente ad altre collezioni di insegnamenti sapienziali che sono sempre orientate ad insegnare quel che è necessario per imparare a vivere.
Le radici, l’elemosina, la sposa
Tre temi fondamentali sui quali il vecchio Tobi ritiene di dover insistere prima di parlare del motivo del viaggio. I tre temi sono elaborati secondo lo schema di una struttura concentrica: cinque sezioni, la prima e la quinta sono in relazione fra di loro come la seconda e la quarta mentre la terza è quella centrale. La prima e quinta sezione (vv. da 3 a 6 e poi 18, 19) riguarda la memoria del passato in quanto è una compagnia che deve essere custodita; un termine che ci aiuta a sintetizzare ogni cosa: “radici”. “Ricordati delle tue radici”.
V. 3, 6: “Chiamò il figlio e gli disse: «Qualora io muoia, dammi una sepoltura decorosa; onora tua madre e non abbandonarla per tutti i giorni della sua vita; fa’ ciò che è di suo gradimento e non procurarle nessun motivo di tristezza. Ricordati, figlio, che ha corso tanti pericoli per te, quando eri nel suo seno. Quando morirà, dàlle sepoltura presso di me in una medesima tomba» (“Tu sei radicato nella storia di una famiglia, non dimenticarlo; e questa eredità di famiglia, che costituisce il vero patrimonio che a te viene trasmesso, ti inserisce nell’eredità di quella specialissima vocazione che è stata conferita al popolo dell’Alleanza”). Ogni giorno, o figlio, ricordati del Signore; non peccare né trasgredire i suoi comandi. Compi opere buone in tutti i giorni della tua vita e non metterti per la strada dell'ingiustizia. Se agirai con rettitudine, riusciranno le tue azioni, come quelle di chiunque pratichi la giustizia”. Prima sezione. “Il grembo di tua madre ti ha partorito”; sta parlando del grembo mentre parla della sepoltura; “il passato, punteggiato da una sequenza ininterrotta di eventi di morte, eredità di memoria relativa a tutti coloro che sono morti, è il patrimonio che tu custodirai”. Tobi passa con estrema disinvoltura, ma anche con rigorosa precisione, dall’appartenenza a una storia di famiglia all’appartenenza al popolo dell’Alleanza che ha ricevuto in dono la legge della vita. “Compi opere buone in tutti i giorni”.
Quinta sezione, vv. 18, 19: “Chiedi il parere ad ogni persona che sia saggia e non disprezzare nessun buon consiglio. (Tobi insiste nel trasmettere a suo figlio Tobia la fiducia incrollabile in un’eredità sapienziale che è passata attraverso sepolcri che continuano ad assumere il valore di una fecondità che adesso è testimoniata dalla vita stessa di Tobia; un’eredità nella vocazione del popolo identificato mediante l’impegno di Alleanza col Signore: un’eredità sapienziale). In ogni circostanza benedici il Signore e domanda che ti sia guida nelle tue vie e che i tuoi sentieri e i tuoi desideri giungano a buon fine, poiché nessun popolo possiede la saggezza, ma è il Signore che elargisce ogni bene. Il Signore esalta o umilia chi vuole fino nella regione sotterranea. Infine, o figlio, conserva nella mente questi comandamenti, non lasciare che si cancellino dal tuo cuore”. Questa eredità sapienziale su cui insiste Tobi conferma l’appartenenza al popolo dell’Alleanza, ma soprattutto vuole valorizzare il privilegio che è stato conferito a Israele e che espone, nello stesso tempo, a un rischio di fallimento estremamente grave. E, d’altra parte, (prima e quinta sezione, “radici”), “ricordati che quale che possa mai essere l’esperienza di sprofondamento nel corso della tua vita, troverai sempre occasione e un buon motivo per ricordarti che la tua vita ha avuto origine nel buio di un grembo. Ovunque la vita ti porterà, anche nei momenti più terribili, drammatici e oscuri, nel buio di un abisso in cui ti troverai momentaneamente intrappolato, avrai occasione per ricordarti che sei stato portato nel grembo di tua madre, nel buio del grembo di tua madre da cui sei venuto alla luce”.
Secondo tema, seconda e quarta sezione: vv. 7-11 e 14-17. “Dei tuoi beni fa elemosina”. (possiamo usare questo termine per dare un titolo a questa sezione: elemosina). Elemosina non è regalare il superfluo a qualcuno che sembra averne bisogno; elemosina è quella modalità di relazione con gli altri all’interno di un’esperienza di itineranza che rende noi, gli altri e tutti mendicanti bisognosi di essere ospitati; elemosina come capacità di dialogare alla pari con ogni altra creatura umana che brancola sulla scena del mondo. È la maniera più precisa ed efficace che Tobi conosce per sintetizzare la responsabilità verso il presente, laddove “gli altri” in questo mondo sono come te, bisognosi di trovare ospitalità, accoglienza, riconoscimento. Fare elemosina significa non lasciar cadere dall’alto qualcosa di superfluo, ma significa entrare in relazione con ogni altro interlocutore attraverso la certezza di essere coinvolti in un’avventura che ci rende uguali; uguali in quanto viandanti, in quanto bisognosi di accoglienza e in quanto, proprio attraverso l’esperienza di ospitalità di cui abbiamo bisogno, ci rendiamo conto che siamo abilitati ad accogliere qualcun altro, a comprendere e a offrire accoglienza. Elemosina è un termine pregnante nella devozione di Tobia, ma, nella sua maturità sapienziale, “elemosina” diventa l’impostazione di una vita che si struttura nell’esperienza di ciò che gratuitamente si riceve in dono; e, d’altra parte, è proprio in quanto bisognosi di ricevere gratuitamente in dono ciò che è necessario per la vita che si scopre di poter gratuitamente mettere a disposizione quel che ad altri è necessario per la vita. V. 7-8: “Dei tuoi beni fa elemosina. Non distogliere mai lo sguardo dal povero, così non si leverà da te lo sguardo di Dio. La tua elemosina sia proporzionata ai beni che possiedi: se hai molto, dà molto; se poco, non esitare a dare secondo quel poco”. Non si tratta di dare il superfluo, si tratta di dare se stessi, quel che hai, il tuo vissuto, la tua esperienza di viandante, di mendicante, di creatura umana che per vivere ha bisogno di essere accolta. Vv. 9-11: “Così ti preparerai un bel tesoro per il giorno del bisogno, poiché l'elemosina libera dalla morte e salva dall'andare tra le tenebre. Per tutti quelli che la compiono, l'elemosina è un dono prezioso davanti all'Altissimo”. L’elemosina è per Tobi quel certo modo di impostare la relazione con gli altri che prende atto di una radicale uguaglianza nella condizione umana in quanto tutti abbiamo bisogno di essere ospitati.
Nei versetti da 14 a 17 il tema dell’elemosina è ribadito e illustrato ulteriormente attraverso accenni relativi alla capacità di riconoscere le tribolazioni altrui. “Non rimandare la paga di chi lavora per te, ma a lui consegnala subito; se così avrai servito Dio, ti sarà data la ricompensa. Poni attenzione, o figlio, in quanto fai e sii ben educato in ogni tuo comportamento. Non fare a nessuno ciò che non piace a te. Non bere vino fino all'ebbrezza e non avere per compagna del tuo viaggio l'ubriachezza. Dà il tuo pane a chi ha fame e fa parte dei tuoi vestiti agli ignudi. Dà in elemosina quanto ti sopravanza e il tuo occhio non guardi con malevolenza, quando fai l'elemosina. Versa il tuo vino e deponi il tuo pane sulla tomba dei giusti, non darne invece ai peccatori”. C’è di mezzo il rispetto e l’ammirazione per la fatica dei lavoratori e la capacità di essere presenti nella desolazione di quelli che sono in lutto; in ogni modo questo sguardo sulla realtà che man mano si incontra procedendo nel viaggio della vita è il riflesso di quello sguardo con cui Dio si rivolge al povero: la misericordia come capacità di approccio al mondo in un regime di gratuità dato che tutti siamo ospiti. Elemosina, secondo tema fondamentale.
Terzo tema, quello centrale, nei vv. da 12-13. Tobi parla con Tobia per aiutarlo a guardare verso il futuro.
Radici: la memoria del passato: “tu vieni da un grembo e qualunque cosa possa succedere nella tua vita sappi che sei stato partorito nel travaglio di tua madre ed è un modo per interpretare come principi di fecondità tutti i sepolcri di quelli che ti hanno preceduto”.
Presente: “entri in modo sempre più maturo in rapporto con il presente della tua storia e della storia umana man mano che il tuo vissuto è impregnato di misericordia”.
Il tuo futuro, terzo tema: “dove stai andando, verso quale meta?”. Tobi parla a suo figlio indicandogli una relazione nuziale, una sposa. È l’affaccio sul futuro, è l’incontro con gli eventi che avranno luogo nel tempo che verrà e c’è di mezzo l’incontro con la sposa. Vv. 12-13: “Guardati, o figlio, da ogni sorta di fornicazione; anzitutto prenditi una moglie dalla stirpe dei tuoi padri e non una donna straniera, che cioè non sia della stirpe di tuo padre, perché noi siamo figli di profeti. Ricordati di Noè, di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, nostri padri fin da principio. Essi sposarono tutti una donna della loro parentela e furono benedetti nei loro figli e la loro discendenza avrà in eredità la terra. Ama, o figlio, i tuoi fratelli; nel tuo cuore non concepire disprezzo per i tuoi fratelli, figli e figlie del tuo popolo, e tra di loro scegliti la moglie. L'orgoglio infatti è causa di rovina e di grande inquietudine. Nella pigrizia vi è povertà e miseria, perché l'ignavia è madre della fame”. Il viaggio di Tobia è mirato a cercare e trovare una sposa. Tobi ancora non sta parlando del denaro da recuperare e questa ricerca di una sposa è la grande cifra simbolica che serve a interpretare l’incontro con l’umanità e con tutto ciò che è umano. Già il tema dell’elemosina era determinato da una prospettiva del genere, ma adesso, in maniera esplicita, Tobi sottolinea questo incontro con l’umanità che viene ricondotta alle misure proprie di una parentela. “I tuoi fratelli”: noi diremmo una prospettiva che si chiude, “endogamica” come dicono i tecnici: “cerca una moglie nel contesto di una parentela”. Tra l’altro la moglie è definita “tua sorella”. Per Tobi affermare questo significa cercare e trovare la compagna della vita all’interno di una rivelazione del mistero di Dio che chiama; la compagna della vita è riconosciuta nel contesto di una obbedienza all’unica Parola che chiama. Per questo c’è di mezzo un’insistenza così precisa circa la parentela, la consanguineità; attenzione, però, perché dice: “noi siamo figli di profeti, ricordati di Noè, di Abramo, Isacco, Giacobbe. Ricordarsi di Noè significa ricordarsi di tutto ciò che è umano perché Noè, dopo il diluvio, è il capostipite di tutta l’umanità. La sorella, la parente, la consanguinea di cui Tobi sta parlando a suo figlio è una figlia di Noè. “È quella compagna della tua vita che ti aiuterà a incontrare tutto ciò che è umano; e quell’incontro con l’umanità che è possibile affrontare e realizzare in modo positivo in quanto si obbedisce all’iniziativa di Dio che chiama”. Questo incontro con la sposa per Tobi è un programma che si immerge nella relazione con il mistero di Dio “perché è solo il Dio vivente che ti guiderà lungo la strada della vita in modo tale da porre quel fondamento su cui sia possibile incontrare quella compagna della vita che sarà per te l’epifania dell’incontro con l’umano, l’affaccio sul mondo, il tramite dell’immersione con la storia dell’umanità intera”. Questa insistenza (il racconto ci tornerà successivamente) di segnalare l’appartenenza a un reticolo di relazioni parentali non ci chiude dentro all’orizzonte di un rigoroso rispetto dell’anagrafe familiare, ma ci rimanda, con estrema precisione, a quell’obbedienza al mistero di Dio che si rivela nella vita di un uomo e di ogni essere umano come urgenza, attraverso l’incontro con l’interlocutore diretto, dell’incontro con l’umanità intera: “tu sei chiamato a sposare l’umanità”. Questa è la meta che costituisce l’obiettivo ultimo della missione, del viaggio, del cammino nella vita. “Tu sei chiamato ad essere parente, fratello, consanguineo di tutto ciò che è umano”. La sposa è la mediatrice di una soluzione benedetta, come dice Tobi a Tobia, una relazione benedetta con l’universale, con tutto quello che è umano. Tobi ha insistito nei due versetti che abbiamo letto, mentre il v. 13 dice: “Ama, o figlio, i tuoi fratelli”, dove incontrare la sposa – e quindi sposare l’umanità – significa instaurare in maniera positiva e senza più possibili fraintendimenti relazioni di fraternità; una fraternità non fasulla, teorica, astratta, evanescente, ma fondata, effettiva, coinvolgente, impegnativa. “”Non essere sprezzante verso i tuoi fratelli; sono tuoi fratelli. Non essere ripiegato nel tentativo di difendere la tua particolarità autosufficiente; sono tuoi fratelli! Altrimenti andrai incontro ad un’esistenza miserabile”. Le ultime battute della sezione che abbiamo letto: “L'orgoglio infatti è causa di rovina e di grande inquietudine. Nella pigrizia vi è povertà e miseria, perché l'ignavia è madre della fame”.
I tre temi del testamento che Tobi consegna a Tobia sono qui: le radici, l’elemosina, la sposa; “davanti a te la famiglia umana da sposare; la realtà sconosciuta, l’umanità, da sposare nel contesto di una relazione che acquista l’incondizionata e irrevocabile coerenza di una relazione fraterna”.
L’incontro con l’angelo Raffaele, compagno di viaggio.
Cap. 4, v. 20-21: ora Tobi parla di quel denaro. “Ora, figlio, ti faccio sapere che ho depositato dieci talenti d'argento presso Gabael figlio di Gabri, a Rage di Media. Non temere se siamo diventati poveri. Tu avrai una grande ricchezza se avrai il timor di Dio, se rifuggirai da ogni peccato e farai ciò che piace al Signore Dio tuo»”. Da questo momento in poi Tobi – che raccontava in forma autobiografica – diventa spettatore di quel che avviene a suo figlio e di come si svolgeranno gli eventi nei quali sarà coinvolto in viaggio. Il viaggio è già impostato nei suoi elementi essenziali che possiamo ricondurre a quel che abbiamo appena letto nel cap. 4, con l’evidente premonizione di un messaggio che acquisterà la sua pienezza di significato e la sua efficacia realizzata nel Nuovo Testamento: l’incontro con la sposa, l’umanità sposata dal figlio; la beatitudine della povertà.
Nel capitolo 5 i preparativi per il viaggio. Tobia è pronto, sollecito, obbediente. “Allora Tobia rispose al padre: «Quanto mi hai comandato io farò, o padre. Ma come potrò riprendere la somma, dal momento che lui non conosce me, né io conosco lui. Che segno posso dargli, perché mi riconosca, mi creda e mi consegni il denaro? Inoltre non sono pratico delle strade della Media per andarvi». Rispose Tobi al figlio: «Mi ha dato un documento autografo e anch'io gli ho consegnato un documento scritto; lo divisi in due parti e ne prendemmo ciascuno una parte; l'altra parte la lasciai presso di lui con il denaro. Sono ora vent'anni da quando ho depositato quella somma. Cercati dunque, o figlio, un uomo di fiducia che ti faccia da guida. Lo pagheremo per tutto il tempo fino al tuo ritorno. Và dunque da Gabael a ritirare il denaro»”. Bisogna trovare un compagno di viaggio, qualcuno che faccia da guida e a cui verrà riservata una ricompensa dopo il ritorno. “Uscì Tobia in cerca di uno pratico della strada che lo accompagnasse nella Media. Uscì e si trovò davanti l'angelo Raffaele (noi sappiamo che è stato inviato apposta), non sospettando minimamente che fosse un angelo di Dio (è uno sconosciuto). Gli disse: «Di dove sei, o giovane?». Rispose: «Sono uno dei tuoi fratelli Israeliti, venuto a cercare lavoro». Riprese Tobia: «Conosci la strada per andare nella Media?». Gli disse: «Certo, parecchie volte sono stato là e conosco bene tutte le strade. Spesso mi recai nella Media e alloggiai presso Gabael, un nostro fratello che abita a Rage di Media. Ci sono due giorni di cammino da Ecbàtana a Rage. Rage è sulle montagne ed Ecbàtana è nella pianura». E Tobia a lui: «Aspetta, o giovane, che vada ad avvertire mio padre. Ho bisogno che tu venga con me e ti pagherò il tuo salario». Gli rispose: «Ecco, ti attendo; soltanto non tardare»”. Tobia ha a che fare con un fratello sconosciuto che è un angelo di Dio. Ed è un viandante; si presenta come esperto nei viaggi, ha percorso tante strade. E ci tiene a precisare come ha goduto dell’ospitalità che altri gli hanno offerto perché essere viandanti significa essere bisognosi dell’ospitalità altrui. Notate la domanda che Tobia rivolge al giovane: “Di dove sei, o giovane?”. Questa domanda risuona con qualche piccola variazione, a più riprese, nel Vangelo secondo Giovanni: “tu di dove sei?”. Da ultimo Ponzio Pilato lo chiede a Gesù, ma altre volte risuona questa domanda. Da dove viene il compagno, l’amico, il fratello, il viandante, la guida. Tobia ha detto di non potersi mettere in viaggio perché non conosce le strade e informa suo padre; Tobi chiama il giovane ancora anonimo che Tobia ha incontrato. “Tobia andò ad informare suo padre Tobi dicendogli: «Ecco, ho trovato un uomo tra i nostri fratelli Israeliti». Gli rispose: «Chiamalo, perché io sappia di che famiglia e di che tribù è e se è persona fidata per venire con te, o figlio». Tobia uscì a chiamarlo: «Quel giovane, mio padre ti chiama». Entrò da lui. Tobi lo salutò per primo e l'altro gli disse: «Possa tu avere molta gioia!». Tobi rispose: «Che gioia posso ancora avere? (Tobi gli racconta la sua cecità; è come se fossi già morto, sigillato dentro un recinto di oscurità) Sono un uomo cieco; non vedo la luce del cielo; mi trovo nella oscurità come i morti che non contemplano più la luce. Anche se vivo, dimoro con i morti; sento la voce degli uomini, ma non li vedo». Gli rispose: «Fatti coraggio, Dio non tarderà a guarirti, coraggio!». (Ricordate che altri personaggi sono ciechi nella storia della salvezza; val la pena ricordare in questo contesto il figlio di Abramo, Isacco che diventa cieco dal momento che non vuole più vedere quello che succede nella sua famiglia dove i suoi figli, Esaù e Giacobbe sono costantemente in lite fra di loro. E l’angelo indica una via di guarigione nella pazienza di una storia che è ancora tutta da vivere). E Tobi: «Mio figlio Tobia vuole andare nella Media. Non potresti accompagnarlo? Io ti pagherò, fratello!» (adesso il termine “fratello”). Rispose: «Sì, posso accompagnarlo; conosco tutte le strade. Mi sono recato spesso nella Media. Ho attraversato tutte le sue pianure e i suoi monti e ne conosco tutte le strade». Tobi a lui: «Fratello, di che famiglia (la competenza tecnica passa in seconda linea rispetto al vincolo della fraternità. Tobi vuol sapere come si dimostra che tu sei “fratello”. Poi sarà preziosissima l’esperienza di viandante in quanto ha percorso quelle strade, ma viene marginalizzata rispetto al dato determinante che è la relazione di fraternità che li coinvolge insieme) e di che tribù sei? Indicamelo, fratello». Ed egli: «Che ti serve la famiglia e la tribù? Cerchi una famiglia e una tribù o un mercenario che accompagni tuo figlio nel viaggio?» (l’angelo ci tiene a rimarcare che non è in questione la competenza, ma la paternità). L'altro gli disse: «Voglio sapere con verità di chi tu sei figlio e il tuo vero nome». Rispose: «Sono Azaria, figlio di Anania il grande, uno dei tuoi fratelli». Gli disse allora: «Sii benvenuto e in buona salute, o fratello! Non avertene a male, fratello, se ho voluto sapere la verità sulla tua famiglia. Tu dunque sei mio parente, di bella e buona discendenza! Conoscevo Anania e Natan, i due figli di Semeia il grande. Venivano con me a Gerusalemme e là facevano adorazione insieme con me; non hanno abbandonato la retta via. I tuoi fratelli sono brava gente; tu sei di buona radice: sii benvenuto!»”. È la radice di una vocazione comune, l’appartenenza a una vocazione comune, quell’essere sigillati insieme in virtù di un vincolo di comunione indissolubile in obbedienza a un’unica Parola di Dio a cui Tobi faceva riferimento indicando la prospettiva dell’incontro nuziale come meta della missione, che dà un orientamento a tutto il viaggio della vita. Già abbiamo avvertito un barlume di luce che si accende nell’animo buio di Tobi cieco quando si è ricordato. E ora un altro barlume di luce conferma quel primo spiraglio che abbiamo considerato perché nei ricordi di Tobi riemergono le figure di Anania e Natan che andavano con lui a Gerusalemme. Tobi raccontava nel capitolo primo che andava a Gerusalemme solo, solissimo; nessuno lo accompagnava, lui solo continuava ad essere devoto nei confronti del grande sacramento dell’Alleanza, mentre quelli del suo popolo, le tribù del nord, si dedicavano al culto in altri luoghi, in altri santuari, in un contesto che era premonizione penosa di un’idolatria incombente. E ora veniamo a sapere che non era del tutto solo. La solitudine che fu ieri di Tobi è abitata oggi da fratelli che erano già con lui ieri. E il presente parla a Tobi cieco della fedeltà di Dio attraverso la presenza di fratelli fedeli di cui si sta ricordando. L’angelo è all’opera.
Vv. 15-17: “Continuò: «Ti dò una dramma al giorno, oltre quello che occorre a te e a mio figlio insieme. Fa’ dunque il viaggio con mio figlio e poi ti darò ancora di più». Gli disse: «Farò il viaggio con lui. Non temere; partiremo sani e sani ritorneremo, perché la strada è sicura». Tobi gli disse: «Sia con te la benedizione, o fratello!». Si rivolse poi al figlio e gli disse: «Figlio, prepara quanto occorre per il viaggio e parti con questo tuo fratello. Dio, che è nei cieli, vi conservi sani fin là e vi restituisca a me sani e salvi; il suo angelo vi accompagni con la sua protezione, o figliuolo!»”. È la prima volta che Tobia esce di casa e deve affrontare la vita adulta ormai; e “il Dio del cielo – afferma Tobi – provvederà un fratello per suo figlio”. “Tobia si preparò per il viaggio e, uscito per mettersi in cammino, baciò il padre e la madre. E Tobi gli disse: «Fa’ buon viaggio!». Allora la madre si mise a piangere e disse a Tobi: «Perché hai voluto che mio figlio partisse? Non è lui il bastone della nostra mano, lui, la guida dei nostri passi? Si lasci perdere il denaro e vada in cambio di nostro figlio. Quel genere di vita che ci è stato dato dal Signore è abbastanza per noi». (In rapporto alle rimostranze della madre Tobi fa di tutto per valorizzare ancora quello che sarà l’esercizio della sua maternità: così come ha generato il figlio con il parto così “tu lo vedrai tornare”). Le disse: «Non stare in pensiero: nostro figlio farà buon viaggio e tornerà in buona salute da noi. I tuoi occhi lo vedranno il giorno in cui tornerà sano e salvo da te. Non stare in pensiero, non temere per loro, o sorella. Un buon angelo infatti lo accompagnerà, riuscirà bene il suo viaggio e tornerà sano e salvo». Essa cessò di piangere”. Occorre correggere: “e tacque piangendo”; “pianse in silenzio” e questo pianto silenzioso di Anna farà da filo conduttore sotterraneo, una specie di fiume carsico che si immerge e riemergerà nel momento in cui Tobia tornerà a casa e la madre lo vedrà; il pianto silenzioso fa da sfondo allo svolgimento del viaggio. Il padre cerca di reagire a modo suo in forma rassicurante ma la madre piange in silenzio. Un’effusione di lacrime: è l’effusione di quel soffio di vita che dalla madre continua ad essere rivolto al figlio che, nello svolgimento del viaggio, porta con sé la corrente di quella gestazione che ha reso fecondo il grembo di sua madre.
L’incontro con il male: un’occasione per crescere
Cap. 6. “Il giovane partì insieme con l'angelo e anche il cane li seguì e s'avviò con loro” (intorno a Tobia in sintesi c’è tutta la creazione: il mondo superiore – l’angelo – e il mondo interiore – l’animale. Quando esce di casa Tobia è già cittadino del mondo). Camminarono insieme finché li sorprese la prima sera (è la prima notte che Tobia trascorre fuori di casa; è una notte emblematica nel senso che serve ad anticipare quello che sarà l’impatto con tutte le notti e i momenti di oscurità, difficoltà, contrarietà, opposizione nel corso del viaggio); allora si fermarono a passare la notte sul fiume Tigri. Il giovane scese nel fiume per lavarsi i piedi, quand'ecco un grosso pesce balzò dall'acqua e tentò di divorare il piede del ragazzo, che si mise a gridare”. Un mostro marino? È l’emblema del male, il male nel mondo che ci aggredisce e ci assale. Non per niente il sole sta tramontando, cala la notte, le ombre si allungano, le tenebre avvolgono ogni cosa. Il male fuori e dentro di noi come un rigurgito di una presenza mostruosa che emerge dal fondo del cuore umano rispetto al quale ci si accorge di essere prigionieri di un risucchio che potrebbe divenire infernale. Tobia ha paura. Una scena analoga la troviamo nel caso di Mosè, nel libro dell’Esodo, cap. 4, il serpente. E interviene l’angelo ed è la sua tempestività che con il suo consiglio rende questo momento drammatico il principio chiarificatore circa il modo di impostare il seguito del viaggio, il modo di impostare la vita. “Ma l'angelo gli disse: «Afferra il pesce e non lasciarlo fuggire» (“Non scappare, afferralo, prendilo, tiralo a riva, affrontalo”. È il male. Il viaggio di Tobia è appena cominciato, ma questo avvio è programmatico; “lo incontrerai puntualmente, sistematicamente a ogni angolo di strada, in ogni situazione e vicenda, nelle forme più diverse, fuori e dentro di te. Affrontalo e scoprirai che avendolo affrontato, invece di scappare, diventa un gradino che ti consente di crescere. E puoi avanzare nel cammino della vita in quanto affronti il negativo e scoprirai che là dove il negativo che tanto ti spaventa è sconfitto, ti viene offerto tutto il complesso di strumenti di cui hai bisogno per rendere positivo, efficace, benefico per te e per altri il viaggio della tua vita”). Gli disse allora l'angelo: «Aprilo e togline il fiele, il cuore e il fegato; mettili in disparte e getta via invece gli intestini. Il fiele, il cuore e il fegato possono essere utili medicamenti» (“medicine”. Là dove tu l’hai affrontato potrai, opportunamente istruito, trarre farmaci efficaci per risolvere innumerevoli difficoltà con cui altri, oltre che tu stesso). Il ragazzo squartò il pesce, ne tolse il fiele, il cuore e il fegato; arrostì una porzione del pesce e la mangiò; l'altra parte la mise in serbo dopo averla salata”. Da quel pesce viene il cibo con cui si alimentano quella sera e ancora per il tempo successivo. La strada della vita si apre in rapporto a una vittoria sul male; è un passaggio determinante nel Libro di Tobia. Già l’angelo con il suo richiamo allude alla malattia di Sara e di Tobi. Tobia non si rende ancora conto di queste cose, ma l’indicazione è precisa e quanto mai illuminante per quel che riguarda la metodologia da applicare nel cammino della vita. “Affrontalo! E là dove il male è sconfitto si apre la strada, potrai crescere, avanzare e fare della tua vita un utile strumento di crescita per altri”. Anche la negatività del male è resa docile e servizievole se l’affronti; devi affrontarla senza scappare. E, dove si parla del pesce arrostito, è usata un’espressione che poi ritorna nei racconti evangelici dove il Signore risorto mangia il pesce arrostito. Il Signore è risorto, ha vinto la morte. Vangelo secondo Luca, cap. 24, vv. 41-42 e il Vangelo secondo Giovanni, cap. 21. Il pesce è il simbolo della negatività, di tutto ciò che c’è di penoso, pesante, amaro, oscuro, inquinato, infernale fino alla morte nell’esistenza umana; e di tutto ciò che Gesù ha reso creatura obbediente al servizio della vita. È per questo che noi ancora oggi mangiamo il pesce il venerdì in comunione con Cristo paziente. E finalmente il banchetto, nella comunione con il pane della vita, Cristo glorioso, nel giorno di domenica. Tutto quello che abbiamo modo di sperimentare come motivo di patimento nella nostra vita adesso, in comunione con Lui, è diventato cibo che ci alimenta, ci sostiene, ci orienta; in comunione con Lui tutto quello che stiamo patendo e da cui non rifuggiamo più fino a quando moriamo in Lui, con Lui e attraverso di Lui, tutto diventa strada che si apre per la pienezza della vita.
“Poi tutti e due insieme ripresero il viaggio finché non furono vicini alla Media (ormai il viaggio è impostato e nel corso del viaggio si sviluppa una conversazione, un’istruzione). Allora il ragazzo rivolse all'angelo questa domanda: «Azaria, fratello, che rimedio può esserci nel cuore, nel fegato e nel fiele del pesce?»”. E l’angelo glielo spiega. E finalmente, v. 10, erano entrati nella Media, mentre continua la conversazione tra i due. È un’immagine veramente affascinante e commovente il viaggio della vita nel corso del quale si sviluppa questa conversazione. L’angelo spiega qual è il valore di quelle medicine e intanto mangiano il pesce arrostito; di quella contrarietà fanno il cibo che li alimenta; ha un’efficacia redentiva, benefica per la crescita della vita.
L’annuncio dell’incontro con Sara
Arrivando nella Media l’angelo dice (ma ne parleremo il mese prossimo): “«Questa notte dobbiamo alloggiare presso Raguele, che è tuo parente»”. “E lì c’è Sara, tua sorella”. Lui non l’ha mai vista, non sa chi è, anche se alcune notizie erano arrivate. La liberazione dalla paura, da quella prima notte; è sempre la prima notte. E l’angelo spiega a Tobia quello che deve succedere.
Saltiamo alla fine del capitolo 6 e da qui ripartiremo. V. 19: “Quando Tobia sentì le parole di Raffaele e seppe che Sara era sua consanguinea (sorella) della stirpe della famiglia di suo padre, l'amò al punto da non saper più distogliere il cuore da lei”. Non l’ha mai vista, ma “l'amò al punto da non saper più distogliere il cuore da lei”. L’amò in obbedienza a quella Parola che è creatrice di comunione; dando Sara in sposa a Tobia e Tobia in sposo a Sara quella Parola fa della storia umana un disegno di progressiva riconciliazione fraterna che edifica la famiglia là dove si rivela.
“L'amò al punto da non saper più distogliere il cuore da lei”.