Incontri di discernimento e solidarietà
 
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Isaia: una luce nel presente travaglio del mondo



Quinto incontro del ciclo 2005-2006

Martedì 6 dicembre 2005



Anche a Babilonia la parola di Dio è all'opera



Come ricordate, siamo alle prese con il "Libro della consolazione di Israele" (dal cap. 40 al cap. 55) attribuito al profeta anonimo convenzionalmente identificato come il "Secondo Isaia". Nell'incontro precedente abbiamo già fatto un percorso che ci ha portato al v. 23 del cap. 33 e da lì ripartiremo questa sera per giungere " spero senza interruzioni " sino alla fine del cap. 48. Gli studiosi sostengono che non è agevole precisare i criteri in base ai quali i poemi raccolti in questi capitoli sono stati redatti. Sta di fatto però che, sia pure con una certa approssimazione, possiamo suddividere il "Libro della consolazione" in due parti principali, la prima delle quali si conclude proprio con il cap. 48. la seconda va dal cap. 49 al cap. 55.

Questa prima parte del libro (capp. 40-48) è caratterizzata da un insistente riferimento a Babilonia, dove sono in esilio gli erodi, i discendenti di coloro che furono deportati al tempo di Nabucodònosor.

Verso Babilonia punta lo sguardo il profeta che ci invita a renderci conto di quelle novità, che ormai si delineano sulla scena della storia contemporanea, in forza del fatto che l'opera di Dio si compie e che la sua parola è viva, efficace, creatrice, anche nel tempo della suprema e più amare desolazione.

A Babilonia, quindi, eventi nuovi che interpellano direttamente coloro che lì sono esuli. In prospettiva, poi, c'è la visione di Gerusalemme (è così sin dal poema introduttivo: "Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme..." (cap. 40, vv. 1 e 2); quell'ammasso di rovine che è Gerusalemme, dopo la distruzione operata da Nabucocònosor, è dotato di un cuore! E' il cuore di una città, di un popolo, ed è il cuore di coloro che sono a Babilonia, schiacciati in quella situazione di dolorosissima desolazione, i quali vedono affiorare la consolazione " che diventa, poi, l'intonazione dominante nella loro penosa vicenda " nel momento stesso in cui constatano che la parola di Dio è ancora e sempre viva, operante, creatrice.

Nella prima parte del nostro libro (capp. 40-44, v. 23) l'attenzione è, dunque, rivolta a Babilonia. La seconda (capp. 49-55) sarà, invece, caratterizzata da un orientamento sempre più insistente, affettuoso, appassionato verso Gerusalemme.

Prima parte, Babilonia; seconda parte Gerusalemme. E' una suddivisione del testo forse un pò grossolana, ma che può aiutarci.

A sua volta, la prima parte può suddividersi in due sezioni: la prima (che abbiamo letto la volta scorsa) si conclude con il v. 23 del cap. 44, che " ricorderete " è una piccola composizione innica: "Esultate, cieli, poichè il Signore ha agito; giubilate, profondità della terra! Gridate di gioia, o monti, o selve con tutti i vostri alberi, perchè il Signore ha riscattato Giacobbe, in Israele ha manifestato la sua gloria". Una sorta di dossologia che segna, momentaneamente, la conclusione di un primo ampio svolgimento che si sviluppa in quasi cinque capitoli (dal 40 al 44, v. 23).

La seconda sezione " dal v. 24 del cap. 44 alla fine del cap. 48) termina anch'essa con alcuni versetti che possiamo intendere come una dossologia, che raccoglie lo sviluppo complessivo dei diversi poemi testimonianza di quel profeta anonimo " che svolge il suo ministero a Babilonia durante l'esilio " e di quella novità che irrompe nell'animo di coloro che, esuli in situazione di estrema precarietà, sperimentano quale consolazione derivi loro dal ritrovato gusto dell'ascolto e di un'intimità che si apre e si illumina in rapporto alla parola di Dio. Sebbene il contesto sia estremamente sfavorevole, nel momento in cui una vicenda, anticamente inaugurata con prospettive grandiose, ha assunto invece una fisionomia deplorevole, catastrofica, la parola di Dio si fa ancora ascoltare, ed ecco la consolazione che invade l'animo di coloro che sono in esilio a Babilonia. Il profeta è testimone di questa novità, così straordinaria, di cui il Dio vivente è l'autore inconfondibile; non ci si può sbagliare: è proprio Lui, che viene, che opera, che apre la strada, che è il protagonista della storia umana. Gli eventi che sono in corso sulla scena del mondo lo attestano in maniera travolgente: è Lui, il Dio vivente, l'autore di quella novità che, nell'animo di quanti sono schiacciati in una periferia squallida in seguito a un fallimento storico clamoroso, genera la consolazione di creature che sono oggetto dell'iniziativa creatrice di Dio stesso.


La suprema grandezza di Dio.

Dal v. 24 del cap. 44 fino al v. 8 del cap. 45 troviamo una composizione che si articola in tre elementi. Il primo e il terzo assumono, in maniera elevatissima, le caratteristiche di formule inniche: è il Signore, proprio Lui, che celebra le sue prerogative; è Lui che si afferma, che si presenta, che proclama i titoli della sua superlativa grandezza. L'elemento centrale " cap. 45, vv. da 1 a 5 " è costituito da un oracolo, dedicato a precisare l'identità e la competenza specifica di un personaggio che emerge sulla scena della storia contemporanea come il grande dominatore. Si tratta di Ciro il persiano.


Padrone del cosmo e Signore della storia.

Primo elemento: cap. 44, vv. da 24 a 48). E' un inno del Signore che celebra i titoli prestigiosi della sua opera: "Dice il Signore, che ti ha riscattato e ti ha formato fin dal seno materno: < Sono io, il Signore, che ho fatto tutto, che ho spiegato i cieli da solo, ho disteso la terra; che era mai con me?> (il cosmo intero Gli appartiene; nessuno può vantare titoli equivalenti ai suoi; cielo e terra ... tutto! Adesso, vv.25 e 26, il Signore celebra il valore del suo protagonismo nella storia degli uomini e dei popoli). Io svento i presagi degli indovini, dimostro folli e maghi, costringo i sapienti a ritrattarsi e trasformo in follia la loro scienza, (tutti coloro che tentano di interpretare gli avvenimenti in corso e di gestire lo sviluppo degli eventi per governarli verso un futuro che è stato appassionatamente progettato, si illudono: indovini, maghi, sapienti, tutti si illudono perchè " dice il Signore " io) confermo la parola dei suoi servi, compio disegni dei suoi messaggeri ("suoi" è in relazione al popolo che ha ricevuto dai profeti la puntuale testimonianza della fedeltà di Dio alla sua parola e alla sua iniziativa; della coerenza di Dio nell'adempimento delle sue intenzioni: i profeti sono stati, nel corso delle generazioni, chiarissimi nel rivendicare il progatonismo del Signore nello sviluppo degli eventi, e dunque) io dico a Gerusalemme: sarai abitata, e alla città di Giuda: sarete riedificate e ne restaurerò le rovine. (è Lui che parla e che agisce, che è presente, che è protagonista; e ancora, vv. 27 e 28) Io dico all'oceano: prosciugati! Faccio inaridire i tuoi fiumi (il cosmo è qui convocato per offrire il proprio devoto servizio perchè la storia si svolga e si compia in obbedienza alle intenzioni del Dio vivente). Io dico a Ciro (dopo che la scena è stata predisposta, viene interpellato direttamente Ciro il persiano " personaggio dominante del momento, a livello internazionale " il quale viene qui individuato e valorizzato come strumento che corrisponde docilmente alla intenzione del Dio vivente. Si spalanca un orizzonte amplissimo; una visione ecumenica della storia umana, laddove il Signore è protagonista non di frammenti o particolari segmenti della storia umana, ma è la storia universale che qui viene chiamata in causa in rapporto all'iniziativa del Signore): Mio pastore (Ciro il persiano riceve un attributo così qualificante!); ed egli soddisferà tutti i miei desideri (lui corrisponderà, in tutto e per tutto, alle intenzioni del Dio vivente, senza neppure esserne informato; su questo aspetto il nostro profeta tornerà successivamente, ma intanto l'orizzonte si amplia in modo sempre più sconfinato ed è proprio Ciro che dirà... ) a Gerusalemme: sarai riedificata; e al tempio: sarai riedificato dalle fondamenta". Le intenzioni di Dio si compiono, nella storia umana, passando attraverso evento che non sono preconfezionati da alcuni interpreti "specializzati", ma sono affidati agli interpreti della storia, per così dire, "profana", senza che ciò comporti disagio o insofferenza per il Dio vivente. Anzi, tutt'altro: Ciro, il persiano, è il "suo pastore"!


Ciro strumento di Dio

Secondo elemento (oracolo centrale su Ciro), cap. 45, vv.1-5. Osservate che cosa dice il Signore, per bocca del profeta, di questo principe che, nel giro di pochi anni, sta sbaragliando tutti i suoi avversari e si sta imponendo come il fondatore di un nuovo impero: "Dice il Signore del suo eletto, di Ciro (un pagano, riceve qui, addirittura, il titolo di "eletto", che traduce cià che in ebraico è "maschà", cioè "messia"! Un modo di intendere lo svolgimento della storia umana che più rispettoso di così, per quanto riguarda l'oggettività degli eventi, non potrebbe essere: è la storia degli uomini che, nella sua profanità, corrisponde alle intenzioni del Dio vivente) : < Io l'ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso. Io marcerò davanti a te; spianerò le asperità del terreno, spezzerò le porte di bronzo, romperò le spranghe di ferro. Ti consegnerò tesori nascosti e le ricchezze celate... (dunque a Ciro i re si arrendono, disarmati a lui si consegnano; dinanzi a Ciro si aprono le porte delle città, a lui vengono assegnati i tesori custoditi in luoghi segreti) perchè tu sappia che io sono il Signore, Dio di Israele, che ti chiamo per nome. Per amore di Giacobbe mio servo e di Israele mio eletto io ti ho chiamato per nome ... (Ciro è chiamato ad una vera e propria missione, che corrisponde a quell'intenzione d'amore che il Signore ha manifestato nei confronti di Giacobbe o di Israele. Ciò che è avvenuto tra Dio e il popolo dell'Alleanza è il criterio interpretativo di tutto; ma intanto è la complessità ed ecumenicità della storia umana che concorre all'adempimento delle intenzioni che sono state rivelate al popolo di Istaele. E ciò, nel contesto di una vicenda che " per quanto riguarda i dati empirici " sta lì a dimostrare come quel rapporto di alleanza sia stato tradito e quella volontà d'amore sia stata rifiutata. Ebbene: Ciro " emblema di tutta la storia umana " sta lì a dimostrare che l'intenzione d'amore del Signore è confermata) ti ho dato un titolo sebbene tu non mi conosca. Io sono il Signore e non ve n'è alcun altro; fuori di me non c'è dio; ti imprimo il segno, anche se tu non mi conosci.... (tutto nella storia umana è in atto per confermare , nonostante il rifiuto del popolo dell'Alleanza, il valore dell'intenzione d'amore di Dio che diventa il criterio interpretativo della storia intera, non solo di Israele, del passato e dell'avvenire)


La pienezza della vita: il Giusto, il Salvatore

Terzo elemento (come il primo è un inno), vv. 6-8: "affinchè sappiano dall'oriente fino all'occidente (lo scenario è, ormai, senza confini; una platea che raccoglie l'umanità intera) che non esiste dio fuori di me (il Dio unico è quello fedele all'intenzione d'amore comunicata a Israele, che è stata tradita; e tutta la storia umana è al servizio di questo Dio unico che è fedele alla sua volontà d'amore). Io sono il Signore e non v'è alcun altro. Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e provoco la sciagura; io, il Signore, compio tutto questo". Niente sfugge alla sua iniziativa. Anche le tenebre sono contenute, circoscritte, dominate dalla luce. Le tenebre, le sciagure, la catastrofe... "Io" compio tutto questo!. E, adesso, il v. 8 che contiene quell'antifona che risuona nella novena di Natale: "Stillate, cieli, dall'alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia.... (rorate coeli, desuper nubes pluant iustum: nella traduzione in latino di San Gerolamo la "giustizia" diventa "il giusto", come la "salvezza" diventa "il Salvatore". Nell'abbraccio cosmico di cielo e terra, si dispiega adesso lo scenario ricapitolativo di tutta la storia umana che si raccoglie e si consuma in quella pienezza di vita che è l'opera di Dio realizzata: il Giusto, il Salvatore. La pioggia dall'alto, il germoglio che sboccia dalla terra: un frutto che corrisponde alle intenzioni del Dio vivente. Ed ecco la conclusione...) Io, il Signore, ho creato tutto questo>".


Dio crea in assoluta libertà

Cap. 45, vv 9-15. Qui troviamo un poema che ribadisce il valore incontestabile della libertà creatrice di Dio. Leggiamo: "Potrà forse discutere con chi lo ha plasmato un vaso fra altri vasi di argilla? Dirà forse la creta al vasaio: < Che cosa fai qui? >, oppure: < La tua opera non ha manichi? >. Chi oserà dire a un padre: <Che cosa generi? > o a una donna: < che cosa partorisci? > (impossibile chela creta contesti il vasaio o che il generato spieghi ai generanti come devono comportarsi per generarlo. E così ...) Dice il Signore, il santo di Israele, che lo ha plasmato: < Volete interrogarmi sul futuro dei miei figli e darmi ordini sul lavoro delle mie mani? (come la creta che volesse dare consigli al vasaio o il generato che volesse insegnare come vanno le cose a coloro che lo generano!). < Io ho fatto la terra e su di essa ho creato l'uomo; io con le mani ho disteso i cieli e do ordini a tutte le loro schiere. Io l'ho stimolato per la giustizia; spianerò tutte le sue vie. Egli ricostruirà la mia città e rimanderà i miei deportati, senza denaro e senza regali >, dice il Signore degli eserciti" (notate bene che qui si parla di Ciro, che è strumento a servizio dell'opera sovrana il quale, nella sua libertà, si serve di tutte e di ognuna delle creature; Ciro, tra l'altro, è strumento non prezzolato: "senza denaro e senza regali" farà tutto questo). Così dice il Signore: < Le ricchezze d'Egitto e le merci dell'Etiopia e i Sabei dall'alta statura passeranno a te, saranno tuoi; ti seguiranno in catene, si prostreranno davanti a te, ti diranno supplicanti: solo in te è Dio; non ce n'è altri; non esistono altri dei...>". Tutti gli altri popoli " che, in questo particolare momento della storia antica, sono coinvolti in un rapporto di vassallaggio in vista dell'instaurazione del grande impero persiano ad opera di Ciro " concorrono a quell'unico disegno, governato dall'iniziativa del Dio vivente nella sua sovranità e libertà, assolute, indiscutibili. E il popolo dell'Alleanza verrà, man mano, individuato come quella presenza sacramentale che, nel corso della storia umana, aiuterà tutti gli uomini, in ogni luogo e in ogni tempo, a interpretare il senso degli eventi e l'orientamento che, dall'interno, sostiene lo svolgimento della storia stessa.


Dio si rivela nel nascondimento.

E, adesso, il famosissimo v. 15: "Veramente tu sei un Dio che ti nascondi, Dio di Israele, Salvatore". Il paradosso per eccellenza: è proprio il nascondimento di Dio, nei dati della storia umana, che diventa per lui rivelazione. Si rivela, in quanto si nasconde negli eventi di una storia che ha tutte le caratteristiche della profanità, mondana, pagana. Ti nascondi? In realtà " dice il profeta, dando voce a coloro che sono coinvolti in quell'esperienza di consolazione di cui sappiamo " così ti riveli! Tu sei un Dio che ti nascondi e, in questo tuo nasconderti, veramente tu sei Dio, l'unico Dio; veramente tu sei il Vivente, il Santo, il Vittorioso, il Sovrano; veramente tu sei il protagonista della storia umana, perchè ti nascondi. E' esattamente quella prospettiva " che si illumina, qui, dinanzi allo sguardo del nostro profeta " che ci porta fino alla pienezza dei tempi, all'Incarnazione della Parola, del Verbo, là dove il nascondimento per eccellenza è Rivelazione definitiva: "Dio di Israele, Salvatore".


Unicità del Dio vivente: una rivelazione per tutti i popoli

Cap. 45, vv. 16-25. Qui è collocato un poema che ripropone temi già presenti nella prima sezione (V. cap. 41, vv. 21-29; cap. 43, vv. 8-13; cap. 44, vv. 6-18), riguardanti la polemica antidolatrica che corrisponde all'intensità teologica della devozione maturata, attraverso le vicissitudini dell'esilio, per quanto riguarda il riconoscimento dell'unicità del Dio vivente. Una devozione che non si esprime con atti di culto, perchè non c'è un tempio; nè con scenografie pubbliche o con distruzione di qualunque genere, perchè abbiamo a che fare con esuli a Babilonia. E ciò che sta avvenendo durante l'esilio " che mette in movimento nuove forze che affiorano nell'animo umano, all'interno di quell'esperienza di consolazione che conosciamo " si ricapitola in questa professione di fede nell'unico Dio. Professione che, man mano, troverà il suo linguaggio e le sue formule più appropriate ma che, intanto, prima di essere una dichiarazione elaborata in sede teologica o teocratica da parte di specialisti, si radica in questa esperienza dell'esilio, là dove l'impatto con gli eventi della storia " dolorosissimi, travolgenti, macroscopici, incontrollabili, ingovernabili " fa di questo piccolo popolo il testimone di una rivelazione che non è riservata, privatizzabile, circoscrivibile entro un ambito preconfezionato, ad uso e consumo degli "addetti ai lavori". Si tratta della rivelazione dell'unico Dio, per cui anche Babilonia, anche l'Etiopia, anche Ciro ... Anzi: proprio loro! E' l'unico Dio. La professione di fede nell'unicità di Dio non è mai scontata. La polemica antidolatrica non è riducibile ad una conflittualità inter o intrareligiosa tra liturgie, ritualità, cerimoniali alternativi o contrapposti, o anche dottrine che si scontrano nei loro contenuti intellettuali. La professione di fede nell'unico Dio si radica in questo discernimento che, nell'animo umano, contempla la signoria del Santo sulla storia degli uomini, di tutti gli uomini. E questo, proprio nel momento in cui " nel contesto di quella che è la grande storia degli uomini " il popolo dell'Alleanza si trova ad essere schiacciato, in un'infame periferia, in una Babilonia che la storia umana produce nel suo corso. E quella "consolazione", su cui il nostro profeta insiste, fa tutt'uno con la scoperta che è, anzitutto, contemplativa prima di diventare un'affermazione, una dottrina, un messaggio. E' la scoperta di chi contempla l'unicità della storia umana, in obbedienza all'"Unico", che persegue sempre e dappertutto, con una coerenza indefettibile, il compimento della sua intenzione d'amore. E questo, proprio là dove ci si trova a sopportare le conseguenze di un fallimento terribile che, anch'esse, sono inserite in quell'unica storia. Babilonia, Ciro, i dolori inenarrabili di questa tragedia, tutto viene ricompreso, reinterpretato, ricomposto in riferimento a quell'unico disegno che oramai per il profeto e per quelli che sono accanto a lui a Babilonia, è divenuto rivelazione dell'unico protagonista.

Ecco perchè, in questa parte conclusiva del cap. 45 " che, per brevità, lascio alla vostra lettura personale " la polemica antidolatrica si esprime con una puntualità davvero insistente, micidiale, sferzante ... non se ne può più!


Gli idoli schiacciano, il Signore solleva.

Cap. 46, vv. 1-13. leggiamo, qui, due poemi che sono tra loro coordinati: il primo dal v. 1 al v. 7, il secondo dal v. 8 al v. 13.

Vv. 1-7: "A terra è Bel, rovesciato è Nebo (sono le divinità dei babilonesi, un tempo vittoriose e trattate con ossequi dagli stessi figli di Israele in quanto divinità del popolo dominatore; adesso sono a terra); i loro idoli sono per gli animali e le bestie, caricati come loro fardelli, come peso sfibrante (è l'immagine della fuga dei babilonesi di fronte all'avanzata di Ciro; portano i loro idoli, caricati su carri, che costituiscono un peso fastidiosissimo; l'idolo è sempre un peso schiacciante, insopportabile, "sfibrante"). Sono rovesciati, sono a terra insieme, non hanno potuto salvare chi li portava ed essi stessi se ne vanno in schiavitù (anche le divinità dei babilonesi cadono in schiavitù). Ascoltatemi, casa di Giacobbe e voi tutti, superstiti della casa di Israele (adesso è interpellato direttamente il popolo dell'Alleanza); voi, portati da me fin qui dal seno materno, sorretti fin dalla nascita. Fino alla vostra vecchiaia io sarò sempre lo stesso, io vi porterò fino alla canizie. Come ho già fatto, così io vi sosterrò, vi porterò e vi salverò... ". La relazione è capovolta: gli idoli sono pesantissimi, devono essere portati e, per di più, in un frangente così drammatico come è quello della fuga (la scena assume, qui, aspetti grotteschi); mentre invece, dice il Signore, voi siete portati da me. In realtà è la storia umana che è portata da me! Gli idoli servono a schiacciare, opprimere, mortificare; ma voi siete portati da me. La presenza del popolo dell'Alleanza acquista, ancora una volta, in questa visione delle cose, un valore sacramentale di una situazione universale: è il Dio vivente che si fa carico della storia umana, con tutti i suoi drammi e le sue contraddizioni, con tutto ciò che la vicenda degli uomini porta in sè come conseguenza di un'infamia antica e moderna. "... A chi mi paragonate e mi assomigliate? (voi spesso mi trattate come se io fossi un altro idolo in competizione con quelli; ma io non sono assimilabile a loro!) A chi mi confrontate quasi fossimo simili? Traggono l'oro dal sacchetto e pesano l'argento con la bilancia; pagano un orefice perchè faccia un dio, che poi venerano e adorano (gli idoli rubano, bruciano ricchezza; l'idolatria, nella storia degli uomini, risucchia, consuma, sperpera, avvilisce il valore di ogni cosa, della storia stessa). Lo sollevano sulle spalle e lo portano, poi lo ripongono sulla sua base e sta fermo: non si muove più dal suo posto. Ognuno lo invoca, ma non risponde; non libera nessuno dalla sua angoscia (mentre, invece, è il Signore che dà ricchezza e valore; che spiega come la storia degli uomini " sebbene derelitta e piagata " sia storia di riconciliazione, di redenzione, di liberazione, di ritorno alla vita; storia che è abitata dalla presenza del Dio vivente ed attraversata dalla sua forza creatrice. La gloria del Dio vivente dimora in mezzo all'umanità che porta in sè l'eredità di un antico esilio.


Il Signore non si scoraggia

Vv. 8-13: "Ricordatevelo e agite da uomini; rifletteteci, o prevaricatori. Ricordatevi i fatti del tempo antico, perchè io sono Dio e non ce n'è altri. Sono Dio, nulla è uguale a me. Io dal principio annunzio la fine e, molto prima, quanto non è stato ancora compiuto; io che dico: < Il mio progetto resta valido, io compirò ogni mia volontà! >. Io chiamo dall'oriente l'uccello da preda, da una terra lontana l'uomo dei miei progetti (è, ancora una volta, Ciro). Così ho parlato e così avverrà; l'ho progettato, così farò (il Signore non è immobile, inchiodato; non è pesante come l'idolo che impone in modo opprimente e depauperante; Lui è presente e, con la sua presenza, dà vità ad un processo inesauribile di eventi che corrispondono alla sua intenzione originaria che " per quanto possa esser stata contraddetta, offesa e rifiutata rimane fedele a se stessa; Lui non si scompone, non si intimorisce, non si tira indietro; Lui, per così dire, non si scandalizza). Ascoltatemi, voi che vi perdete di coraggio (già, voi vi scoraggiate, ma io no!), che siete lontani dalla giustizia. Faccio avvicinare la mia giustizia: non è lontana (è la mia giustizia che si avvicina, non è altrove); la mia salvezza non tarderà. Io dispenserò in Sion la salvezza a Israele, oggetto della mia gloria".


Lamento su Babilonia

Cap. 47. Qui risuona la voce di coloro che assistono al disastro di Babilonia e, di fronte all'umiliazione che essa subisce, il lamento si mescola con la testimonianza. Ecco che cosa sta succedendo: è in questione Babilonia? In realtà la storia che Babilonia produce e inventa è la storia fabbricata dagli uomini che fa di Babilonia un disastro, ma... questa storia disastrosa è, ancora e sempre, la storia fatta da Dio! Sarà la volta di Ciro e poi ... quel che sarà, andando di periodo in periodo, di tappa in tappa, là dove nulla è dimenticano, nessuno è banalizzato, ogni creatura è coinvolta, in modo tale che questa storia che si ripropone, da un disastro all'altro, nel suo squallore più lamentoso, è storia abitata da Dio e da Lui trasformata in rivelazione gloriosa della sua opera d'amore.

Babilonia è sconfitta, derelitta. In questo sguardo proiettato su Babilonia c'è una nota severa per i guasti di cui essa è responsabile ma, al tempo stesso, c'è una nota di compassione e di commiserazione: povera Babilonia! E' la miseria della storia umana. Oltretutto, coloro che stanno sperimentando quale consolazione la parola di Dio produce nell'animo umano, proprio loro, sono ormai da decenni sintonizzati con la storia di Babilonia, che non è una realtà estranea, ma "di casa". Leggiamo; sono cinque strofe.


Da capitale sovrana a schiava

Prima strofa: vv. 1-4: "Scendi e siedi nella polvere, vergine figlia di Babilonia (è la popolazione della città, capitale del regno). Siedi a terra, senza trono, figlia dei Caldei, poichè non sarai più chiamata tenera e voluttuosa (quella città che aveva le prerogative della capitale, adesso è inconfondibilmente esposta a tutti i dolori della schiavitù). Prendi la mola e macina la farina, togliti il velo, solleva i lembi della veste, scopriti le gambe, attraversa i fiumi. Si scopra la tua nudità, si mostri la tua vergogna. < Prenderò vendetta e nessuno interverrà >, dice il nostro redentore che si chiama Signore degli eserciti, il Santo di Israele (è in atto un'opera di redenzione e Babilonia, da sovrana che era, è divenuta schiava).


Babilonia in lutto.

Seconda strofa: vv. 5-7: "Siedi in silenzio e scivola nell'ombra figlia dei Caldei (atteggiamento mesto, sconsolato; Babilonia è in lutto), perchè non sarai più chiamata Signora di regni (questo era il suo titolo, che allude alla prepotenza di Babilonia, che adesso non sfugge più all'urgenza di un lutto inconsolabile). Ero adirato contro il mio popolo, avevo lasciato profanare la mia eredità; perciò lo misi in tuo potere, ma tu non mostrasti loro pietà (Babilonia ha approfittato della sua vittoria, senza limiti, schiacciando i deboli, spietatamente); perfino sui vecchi facesti gravare il tuo giogo pesante. Tu pensavi: < Sempre io sarò signora, sempre> Non ti sei mai curata di questi avvenimenti, non hai mai pensato quale sarebbe stata la fine".


Illusoria sicurezza.

Terza strofa, vv. 8-9: "Ora ascolta questo o voluttuosa che te ne stavi sicura (è un ulteriore titolo attribuito a Babilonia: "sicura", per antonomasia), che pensavi: < Io e nessuno fuori di me! Non resterò vedova, non conoscerò la perdita dei figli >. Ma ti accadono queste due cose, d'improvviso, in un sol giorno; perdita dei figli e vedovanza piomberanno su di te, nonostante la moltitudine delle tue magie, la forza dei tuoi molti scongiuri (per quanto tu sia città che ha acquisito le competenze più sofisticate, le tecnologie più avanzate, le forme di gestione del potere più geniali..., la sicurezza di cui ti vanti sfumerà in modo inevitabile).


Previsioni mancate.

Quarta strofa, vv.10-11: "Confidavi nella tua malizia, e dicevi:< Nessuno mi vede>. La tua saggezza e il tuo sapere ti hanno sviato (Babilonia è anche città "saccente"). Eppure dicevi in cuor tuo: < Io e nessuno fuori di me > (pensavi di saper interpretare tutto e tutti, di conoscere i trucchi per governare, dominare, gestire le cose del mondo e... invece tu non ti sei nemmeno resa conto di quello che stava " e sta " succedendo). Ti verrà addosso una sciagura che non saprai scongiurare; ti cadrà sopra una calamità che non potrai evitare. Su di te piomberà improvvisa una catastrofe che non prevederai (una "shoà" che tu non sei stata in grado neppure di prevedere!).


Gli inutili consiglieri.

Quinta strofa, vv. 12-15. Notate come questo canto lamentoso, riferito a Babilonia, è, per noi, veramente espressione e testimonianza della contemplazione che il nostro profeta dedica a questa ricapitolazione della storia umana: non si tratta della storia di "una Babilonia particolare", ma è la storia di quella pretesa umana di affermarsi come presenza che esercita il ruolo del protagonista; ed è un disastro! Ma è questa stessa storia di Babilonia che adesso viene contemplata, riconosciuta, ammirata, benedetta come storia della rivelazione gloriosa dell'opera, dell'intenzione e della vittoria di Dio, nella fedeltà all'amore. Leggiamo: "Sta pure ferma nei tuoi incantesimi o nella moltitudine delle magie, per cui ti sei affaticata dalla giovinezza (è una specialità di Babilonia questa): forse potrai giovartene, forse potrai far paura! Ti sei stancata dei tuoi molti consiglieri (Babilonia è abituata a tener d'occhio le stelle per le sue previsioni e i suoi progetti): si presentino e ti salvino gli astrologi che osservano le stelle, i quali ogni mese ti pronosticano che cosa ti capiterà. Ecco, essi sono come stoppia (previsioni inconcludenti; progetti futili; una programmazione che è già svaporata nel nulla, come un filo di fumo nel vento): il fuoco li consuma; non salveranno se stessi dal potere delle fiamme. Non ci sarà bracia per scaldarsi, nè fuoco dinanzi al quale sedersi (almeno fosse fuoco utile per scaldarsi, nemmeno questo!). Così sono diventati per te i tuoi maghi, con i quali ti sei affaticata fin dalla giovinezza; ognuno se ne va per suo conto, nessuno ti viene in aiuto".


La redenzione attraverso il "crogiolo dell'afflizione".

Diamo, adesso, un rapido sguardo al cap. 48, saltando la prima parte (vv. 1-11), soffermandoci però sul v. 10: "Ecco, ti ho purificato per me come argento, ti ho provato nel crogiolo dell'afflizione". L'esilio viene qui reinterpretato come "il crogiolo dell'afflizione", là dove tutti i dolori sono ricomposti in obbedienza ad un disegno redentivo. Questo versetto 10 fa, per così dire, da perno nella redazione complessiva del nostro libretto. Leggiamo, dal v. 12 al v. 22, il poema che conclude la sezione.

Prima strofa, vv. 12 e 13: "Ascoltami Giacobbe, Israele che ho chiamato: sono io, io solo, il primo e anche l'ultimo. Sì, la mia mano ha posto le fondamenta della terra, la mia destra ha disteso i cieli. Quando io li chiamo, tutti insieme si presentano". Io sono il Signore dell'universo; lo spazio e il tempo mi appartengono.


Seconda strofa, vv. 14-15. Qui l'attenzione si concentra, ancora una volta, su Ciro che sta avanzando sul confine orientale: "Radunatevi, tutti voi, e ascoltatemi. Chi di essi ha predetto tali cose?..." Essi sono i maghi, gli astrologi, gli esperti di cui si parlava prima, ma anche quegli idoli ai quali gli uomini fanno riferimento a Babilonia, a questo riguard, è stata esemplare nella devozione e nell'adorazione appassionata che ha riservato alle proprie divinità. Il popolo di Israele in esilio è stato trascinato in questo vortice iniquo, che lo ha coinvolto, contaminato e corrotto. Attenzione però: l'esilio è un "crogiuolo". Il crogiuolo dell'afflizione ma, al tempo stesso, della purificazione e della redenzione, ed è quel crogiuolo dentro il quale il popolo, finalmente, riconoscerò il Signore come "unico", per sè ma anche per tutte le altre popolazioni della terra che sono convocate alla sua presenza per condividere un'unica ricchezza di gloria e di vita che da Lui viene a noi donata.

"... Uno che io amo (altro titolo riservato a Ciro:"il mio amico") compirà il mio volere su Babilonia e, con il suo braccio, sui Caldei. Io, io ho parlato; io l'ho chiamato, l'ho fatto venire e ho dato successo alle sue imprese". Dio, Signore dell'universo e della storia.


Terza strofa, vv. 16-19: "Avvicinatevi a me per udire questo. Fin dal principio non ho parlato in segreto; dal momento in cui questo è avvenuto io sono là. Ora il Signore Dio ha mandato me insieme con il suo spirito...". In questo versetto 16 è il profeta che parla, quel profeta che abbiamo trovato nel poema introduttivo /cfr. cap. 40, v.6): "Una voce dice < Giuda > e io rispondo: < Che cosa dovrò gridare? >, e v. 9: "Soli su un alto monte... tu che rechi liete notizie in Gerusalemme" lontanissima com'è, e per di più in macerie!). "... Dice il Signore tuo redentore, il Santo di Israele: < Io sono il Signore tuo Dio, che ti insegno per il tuo bene, che ti guido per la strada su cui devi andare ...>" (siamo incoraggiati a intravedere il percorso, il tracciato, la strada lungo la quale il Signore avanza; siamo alla predicazione di Giovanni Battista, che abbiamo ascoltato nella seconda domenica di Avvento: viene Lui!). "< ...Se avessi prestato attenzione ai miei comandi, il tuo benessere (il tuo shalom) sarebbe come un fiume, la tua giustizia come le onde del mare. La tua discendenza sarebbe come la sabbia e i nati dalle tue viscere come granelli d'arena; non sarebbe mai radiato nè cancellato il tuo nome davanti a me >".

Se tu avessi osservato i miei comandi e osservato la mia parola... ! La tua disobbedienza si è tradotta in un disastroso fallimento:l'esilio. Tuttavia, quella parola resta valida, la mia promessa non è venuta meno, io non ho rinunciato alla mia intenzione d'amore nei tuoi confronti. E, infatti, quella stessa parola risuona ancora come garanzia incrollabile di un amore eterno che ti precede, ti attende, ti viene incontro e che è il criterio determinante per interpretare tutto del tuo passato, del tuo avvenire e di questo presente tragico com'è. Quella parola che tu non hai ascoltato, è parola che ancora risuona e conferma, oggi per te, il valore di una relazione d'amore alla quale sei stato chiamato.


Quarta strofa, vv. 20 e 21 (con una coda " il v. 22 " che segna il passaggio dalla prima alla seconda parte del nostro libretto) : "Uscite da Babilonia, fuggite dai Caldei; annunziatelo con voce di gioia, diffondetelo, fatelo giungere fino alle estremità della terra. Dite: < il Signore ha riscattato il suo servo Giacobbe >... ". Non è il tempo della catastrofe che risucchia in se la storia degli uomini e la storia di un popolo che ha tradito la sua vocazione. Questa è la storia della liberazione, di quel "crogiuolo" che ha tutte le caratteristiche di un'opera creatrice. E' la storia di un popolo sprofondato, sì, nell'abisso di Babilonia, ma per uscirne redento, arricchito, maturato, co0n la consapevolezza di essere testimone del Dio vivente, che è protagonista di quell'unica storia universale in cui tutte le creature sono convocate per concorrere ad un'unica opera d'amore. Quel che riguarda il servo del Signore (in questo caso Giacobbe), riguarda la storia degli uomini e dei popoli i quali "Non soffrono la sete mentre li conduce per deserti; acqua dalla roccia egli fa scaturire per essi; spacca la roccia, sgorgano le acque". Non c'è impedimento che possa trattenere lo sviluppo di questa vicenda: è la parola del Signore che fa del deserto un giardino, della roccia una sorgente, di una catastrofe l'occasione propizia per l'esperienza della consolazione piena e definitiva, perchè è Lui che viene.