Incontri di discernimento e solidarietà
 
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Isaia: una luce nel presente travaglio del mondo



Quarto incontro del ciclo 2005-2006

Martedì 7 marzo 2006




Da Babilonia a Gerusalemme



Abbiamo letto, un mese fa, i quattro canti del servo. Ricordate certamente che il primo ( cap. 42, vv. 1- 4 ) è inserito nel contesto della prima parte del nostro libro e ci presenta la figura di quel personaggio così misterioso e così affascinante, fin dall’inizio di tutto il percorso, anche se poi di lui in modo esplicito si parla soltanto nel secondo canto e negli altri che seguono a partire dal capitolo 49, dunque nella seconda parte del libro.

All’inizio del capitolo 49, nel secondo canto del servo (vv. 1-6), è proprio lui, personalmente, che si presenta e rende testimonianza alla missione che gli è stata affidata e che sta svolgendo.

Questa sera riprendiamo dal v. 14 del cap. 49, leggendo un poema che dà voce a Gerusalemme: è Sion che prende la parola.

Leggeremo tutto il cap. 49 e i primi tre versetti del cap. 50. Gerusalemme si fa notare, si fa udire; Gerusalemme prende posizione; Gerusalemme è personificata. In realtà sappiamo bene come la città è direttamente collegata con la storia del popolo di Dio e, in qualche modo, si identifica con esso: nel momento in cui il popolo è disperso in esilio, Gerusalemme è un ammasso di rovine; anche Gerusalemme è in esilio. Il fatto che adesso proprio la città - che, stando alla sua condizione empirica, è in macerie - prenda la parola, corrisponde a quella voce che sta trovando nuove possibilità espressive nel cuore di un popolo schiacciato, umiliato, mortificato nell’esperienza dell’esilio. Naturalmente presiede a tutta questa vicenda il “servo del Signore”.




Non è vero che ti ho abbandonato: sei figlia, sposa e madre



Il poema che leggiamo si sviluppa in tre strofe per arrivare al termine del capitolo e poi si aggiungono tre versetti - a cui già accennavo - del capitolo seguente.

Prima strofa, vv. 14 - 20 : “Sion ha detto : <<Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato>>.” Gerusalemme si lamenta come una sposa abbandonata dal marito. E’ un modo quanto mai sintetico, ma efficacissimo, per ricapitolare lo sviluppo di una storia remota e, al tempo stesso, recentissima: è la situazione di adesso, che si configura come uno stato di abbandono a cui Gerusalemme ritiene di essere stata ridotta perché lo sposo se n’è andato, si è allontanato, l’ha dimenticata. Subito, di rincalzo, dal v. 15, il Signore interviene e spiega come stanno realmente le cose: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai”. E’ il Signore che, qui, sta parlando in prima persona, direttamente Lui: “Io non ti dimenticherò mai!”. Si rivolge a Gerusalemme trattandola come la figlia di una madre che mai e poi mai potrà dimenticare la creatura che è stata partorita dalle sue viscere. La risposta del Signore al lamento di Gerusalemme sembra non essere in fase, perché Gerusalemme si esprime al modo di una sposa abbandonata, alla ricerca di quel marito che si sarebbe dimenticata di lei. Così stanno le cose dal suo punto di vista , mentre il Signore le risponde assumendo la posizione di una madre che conferma, in modo così chiaro e appassionato, l'affetto irrevocabile che la lega indissolubilmente alla figlia da lei partorita. Dunque la risposta sembra non essere sintonizzata.

In realtà – come adesso constatiamo – è proprio in questo modo che il Signore vuole intervenire per riprendere il dialogo, per ristabilire la comunicazione con Gerusalemme. Evidentemente, però, si propone non soltanto di riattivare il contatto, ma anche di realizzare, nel dialogo diretto con Gerusalemme, un risultato pedagogico; vuole insegnarle qualche cosa : “Vedi, Gerusalemme, non è affatto vero che tu sei stata dimenticata; non è affatto vero che tu sei stata abbandonata”. Ma il Signore non si limita ad un’affermazione del genere, perentoria, assoluta, indiscutibile: non è vero che tu sei una sposa tradita. Il Signore apre questo nuovo dialogo, questa conversazione, che man mano vede esprimere l’ intensità di un affetto fedele, impostando il discorso a partire da una descrizione del vissuto, che passa attraverso la rivelazione confermata di una fecondità materna nella quale il Signore, Egli stesso, è la madre e Gerusalemme, la città derelitta, è la figlia. Infatti insiste: “Ecco ti ho disegnato sulle palme delle mie mani, le tue mura sono sempre davanti a me. I tuoi costruttori accorrono, i tuoi distruttori e i tuoi devastatori si allontanano da te.” Non ti accorgi di essere destinataria di una considerazione privilegiata? Non vedi come sei tenuta d’occhio e come sei oggetto di una paziente, metodica attenzione? Intanto i tuoi devastatori si stanno allontanando. “Alza gli occhi intorno e guarda ( lo sviluppo di quella conversazione che il Signore sta riattivando con Gerusalemme, improvvisamente, apre e illumina innanzi a noi un orizzonte nuovo) : “ tutti costoro si radunano, vengono da te”. Dunque, il Signore le ha detto: “ Vedi Gerusalemme che tu sei figlia”. Come dicevo, sembra una risposta del tutto sfasata rispetto alla dichiarazione lamentosa che abbiamo letto all’inizio del poema: “Io sono una sposa abbandonata”. No, tu sei una figlia ricordata, sempre ricordata; anzi, Gerusalemme, adesso ti sei resa conto del fatto che tu sei madre; non soltanto sei figlia, ma tu sei madre! Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si radunano e vengono da te. E chi sono costoro che stanno arrivando a Gerusalemme? <<Com’è vero che io vivo - oracolo del Signore - ti vestirai di tutti loro come di ornamento, te ne ornerai come una sposa>>”. Ci siamo, vedi: sono i figli che ritornano a te; sono i figli di cui puoi vantarti e di cui puoi adornarti perché tu sei sposa alla quale il Signore si rivolge nella pienezza delle sue prerogative nuziali, in quanto Egli è il marito che non ti ha affatto abbandonato come dici tu. Osservate come a questa ricomposizione del rapporto nuziale si giunga, qui, passando attraverso un processo rieducativo di Gerusalemme che, in primo luogo, è stata confermata nella sua realtà di figlia indimenticabile e, poi, è stata soccorsa e sostenuta in quel discernimento che le consente finalmente di rendersi conto della sua stessa maternità. Tu sei madre nella sventura che ti ha travolto e il dolore che ti ha straziato si configura ormai, in modo inconfondibile, come espressione di una fecondità materna che ti consente finalmente di riconoscere una moltitudine di figli. Ecco perché sei sposa: non semplicemente perché una dichiarazione ufficiale può essere riproposta nei suoi dati per così dire istituzionali, ma tu sei sposa perché tutto quello che è avvenuto e che ha fatto di te una città straziata dal dolore, ti conduce oggi a verificare quale fecondità rende il tuo grembo capace di accogliere una moltitudine di figli. Per questo, oggi, sei sposa: perché l’esperienza dell’esilio, che ha comportato la tua devastazione in quanto città, non dimostra che tu sei stata abbandonata nella tua condizione di sposa, ma che tu sei diventata feconda come madre e ti sei resa conto - attraverso la tua figliolanza - di quale fecondità sono dotate le viscere di Dio. Hai imparato ad essere madre ed ora riconosci il tuo sposo, lo ritrovi; non si era mai allontanato da te.

Adesso prendi coscienza di quale fedeltà d’amore lo sposo ha dato prova nel corso di tutta questa vicenda. Ed ecco come, nella relazione con lo sposo che non ti ha mai abbandonata, tu sei in grado, adesso, di constatare la fedeltà di un grembo che non ha più confini, per il quale non ci sono più limiti o preclusioni: è la fecondità che ti è conferita proprio in forza di quella maternità che è maturata in te attraverso l’esperienza dell’esilio e nella comunione con la fecondità inesauribile delle viscere di Dio. Oggi tu sei sposa; non ti lamentare, perché quel che è avvenuto non dimostra che tu sei stata rinnegata, tradita, abbandonata, bensì l’opposto : che tu oggi sei madre di figli. Per questo sei sposa; e prosegue : “Poiché le tue rovine e le tue devastazioni e il tuo paese desolato saranno ora troppo stretti per i tuoi abitanti, benché siano lontani i tuoi divoratori”. Loro ormai si sono allontanati; gli aggressori, gli occupanti; ma lo spazio rimasto tutto a tua disposizione non è sufficiente: “Di nuovo ti diranno agli orecchi i figli di cui fosti privata: <<Troppo stretto è per me questo posto; scostati, e mi accomoderò>>.” Il marito consola la sposa non semplicemente riaccostandosi a lei con qualche carezza, ma spiegandole come tutto quel che è avvenuto confermi la fecondità -ancorché travagliatissima – di un grembo materno, che è in grado ormai di testimoniare nella storia umana la fecondità dell’amore eterno del Dio vivente.



Tu mi conoscerai


Seconda strofa, vv. 21 - 23: “Tu penserai: <<Chi mi ha generato costoro? Io ero priva di figli e sterile; questi chi li ha allevati? Ecco, ero rimasta sola e costoro dove erano?>>... ( Si lamentava Gerusalemme. Costoro dov’erano? Si riteneva sterile, si considerava abbandonata dal marito, privata dei suoi figli, ridotta a questa condizione così miserabile e travolta dagli stenti di una sconfitta irreparabile) … Così dice il Signore:<<Ecco, io farò cenno con la mano ai popoli, per le nazioni isserò il mio vessillo. Riporteranno i tuoi figli in braccio… ( tutte le nazioni della terra sono al servizio di questa ricomposizione della famiglia, per cui la tua maternità viene contemplata, ammirata, valorizzata malgrado la tua stessa ritrosia e le tue proteste; malgrado il tuo fraintendimento nell’interpretare tutto quello che è avvenuto. Ecco come è l’intera storia umana, che conferma il valore straordinariamente fecondo della tua maternità: mentre tu ti stavi lamentando, sono le nazioni della terra che portano in braccio i tuoi figli e te li consegnano ), … le tue figlie saran portate sulle spalle. I re saranno i tuoi tutori, le loro principesse tue nutrici. Con la faccia a terra essi si prostreranno davanti a te, baceranno la polvere dei tuoi piedi; allora tu saprai che io sono il Signore e che non saranno delusi quanti sperano in me>>”. Allora “tu mi conoscerai”. E’ un’espressione che riecheggia la predicazione dei profeti e che ritroviamo in tutta la rivelazione biblica, fino all’Apocalisse. Allora tu mi conoscerai; mi conoscerai come io ti conosco; saprai che io sono il Signore ed io sono il tuo sposo.


Il potere vero è quello del Signore


Terza strofa, vv. 24 - 26: “Si può forse strappare la preda al forte? Oppure può un prigioniero sfuggire al tiranno? ( il tiranno, qui, è piuttosto colui che detiene il diritto e, comunque, è colui che governa. Tutto ciò per descrivere la situazione di chi è indifeso dinanzi a coloro che, in un modo o nell’altro, in forma più o meno legittima, esercitano il potere. Ebbene: si può strappare la preda al forte, o può un prigioniero sfuggire a chi lo tiene in carcere? Sembra di no ) Eppure dice il Signore: <<Anche il prigioniero sarà strappato al forte, la preda sfuggirà al tiranno . Io avverserò i tuoi avversari; io salverò i tuoi figli … ( la situazione è intrinsecamente trasformata: non si tratta di semplice aggiustamento dei rapporti di forza, che risultano un po’ più equilibrati perché interviene un fattore esterno prima assente; si tratta di un ribaltamento integrale della situazione, perché si passa da quella sistemazione delle cose per cui chi ha la forza detiene anche il diritto e si impone senza possibilità di replica, alla forza che compete all’ opera redentiva del Signore). ... Farò mangiare le loro stesse carni ai tuoi oppressori, si ubriacheranno del proprio sangue come di mosto. Allora ogni uomo saprà che io sono il Signore tuo salvatore, io il tuo redentore, io il Forte di Giacobbe>>. Vedete: rispetto alla condizione nella quale la forza sembra imporsi come norma incontestabile, è la forza di Colui che ti riscatta, che ti redime, che paga il prezzo per liberarti, che si impone vittoriosa. E là dove tu ti lamenti (siamo allo sviluppo complessivo del poema ), là dove tu ti sei lamentata e continui a lamentarti; là dove sembra che non vi sia altro da aggiungere per l’avvenire se non ulteriori motivi di protesta e di recriminazione; ebbene: tu sei chiamata, invitata, sollecitata, incoraggiata - proprio là dove tu ti stai lamentando - a renderti conto di quale potenza d’amore ti avvolge, ti contiene, ti sta liberando e trasformando.



Dio trasforma una storia sbagliata


Cap. 50 vv.1-3 : “Dice il Signore :<<Dov’è il documento di ripudio di vostra madre con cui l’ho scacciata? ( il Signore si rivolge ai figli domandando: vi risulta che esista un documento attestante l’avvenuto ripudio e la cacciata di vostra madre? Un documento simile non c’è). Oppure a quale dei miei creditori io vi ho venduti? ( vedete: non ho ripudiato vostra madre e non ho venduto voi, figli di questa madre). Ecco, per le vostre iniquità siete stati venduti ( semmai le cose sono andate in modo così disastroso per le iniquità di cui il popolo è responsabile e, quindi, lo sono anche Gerusalemme e i suoi figli) per le vostre scelleratezze è stata scacciata vostra madre. Per quale motivo non c’è nessuno, ora che io sono venuto?...>>”.

Malgrado la realtà dei fatti sia questa: da parte mia non c’è stato alcun ripudio, ed è il popolo che ha tradito e ha deciso di separarsi da me; nonostante la situazione sia questa, io adesso mi presento, io sto incalzando questo popolo disperso, lo sto raccogliendo, lo sto ricomponendo. Io mi presento a Gerusalemme, ma non vedo nessuno. Non c’è nessuno a riconoscermi? Intanto Gerusalemme si sta lamentando. Ma ricordate come si è aperto il nostro libro della consolazione con quel poema introduttivo che leggevamo alcuni mesi addietro: “Consolate, consolate il mio popolo …, parlate al cuore di Gerusalemme e ditele che è finito il tempo della sua schiavitù”… (cap. 40, vv. 1-2 ). Parlate al cuore di Gerusalemme perché, nel frattempo, essa si sta lamentando. Gerusalemme non si accorge della visita in corso? Gerusalemme non si è resa conto del fatto che non è mai stata ripudiata? E che è proprio il Signore che sta percorrendo la strada necessaria per raggiungerla nell’intimo del cuore? “… Perché, ora che chiamo, nessuno risponde? E’ forse la mia mano troppo corta per riscattare oppure io non ho la forza per liberare? Ecco, con una minaccia prosciugo il mare, faccio dei fiumi un deserto. I loro pesci per mancanza d’acqua, restano all’asciutto, muoiono di sete. Rivesto i cieli d’oscurità, do loro un sacco per mantello>>.” Io non ho tratto alcun vantaggio da questa sventura, ma sono io che intervengo per trasformare il disastro causato dal tradimento che ho subìto da parte di un popolo adultero come questo. Io intervengo per fare di questa storia sbagliata una storia confermata nel suo indissolubile valore iniziale.


Qui di seguito, sempre nel cap. 50 vv. 4-11, troviamo il terzo canto del servo che abbiamo letto la volta scorsa. Andiamo, quindi, al cap. 51 dal v. 9 per leggere una serie di poemi - esattamente tre - che ci faranno giungere al cap. 52 v. 6. Procediamo molto rapidamente; a questi tre poemi se ne aggiunge un quarto nel cap. 52, dal v. 7 al v. 12.

Questi poemi sono disposti in maniera tale che i canti del servo si succedono in modo rapsodico; è un intreccio continuo e sapientissimo. Qui, dicevo, una serie di tre poemi che si aprono allo stesso modo, con l’ identico imperativo: svegliati, svegliati ( vv. 9 e 17 del cap. 51; v. 1 del cap. 52). Tre poemi disposti lungo un percorso che adesso ricostruiremo.


Il Signore non dorme


Primo poema, cap. 51 vv. 9-16: il popolo si lamenta; siamo già abituati a percepire l’eco di questo sospiro, di questo gemito. Poco fa, appunto, abbiamo ascoltato la protesta di Gerusalemme e, adesso, ci risiamo: sono il popolo e la città che, in questi termini, si rivolgono al Signore: svegliati, svegliati. Chi deve svegliarsi qui? E’ esattamente il Signore dal punto di vista del popolo afflitto, desolato com’è, disperso nei luoghi dell’esilio, di sventura in sventura.

Secondo l’interpretazione del popolo, dunque, il Signore si è addormentato, si è smarrito. Tutto quello che è avvenuto in passato costituisce un patrimonio perduto. Tutte le promesse ricevute da lui sono state evidentemente trascurate, cancellate.

Svegliati, svegliati, rivestiti di forza, o braccio del Signore ( è il popolo che si lamenta: rivestiti di forza, dimostra chi tu sei veramente, muovi il tuo braccio). Svegliati come nei giorni antichi, come tra le generazioni passate. Non hai tu forse fatto a pezzi Raab, non hai trafitto il drago? Forse non hai prosciugato il mare, le acque del grande abisso e non hai fatto delle profondità del mare una strada, perché vi passassero i redenti?...”. Un lamento che diventa sfida, con la rievocazione del passato nei suoi passaggi salienti: la potenza originaria di Dio, secondo gli elementi propri di una descrizione mitica della creazione, e l’episodio sintomatico, esemplare, lo snodo decisivo della storia della salvezza che è stato l'esodo, la traversata del mare.

Bene: tu hai fatto questo? Hai creato l’Universo? Hai prosciugato le acque e hai fatto passare coloro che erano schiavi in Egitto per liberarli attraverso il mare divenuto asciutto? Ma adesso non è più così: “Svegliati, ti sei addormentato!”.

Qui si aggiunge il v. 11, che in realtà è estrapolato dal cap. 35 ( v.10) ed inserito in questo contesto a modo di una glossa: “I riscattati dal Signore ritorneranno e verranno in Sion con esultanza; felicità perenne sarà sul loro capo; giubilo e felicità li seguiranno, svaniranno afflizioni e sospiri”.

Attenzione, perché adesso nei vv. da 12 a 16 il Signore interviene in prima persona singolare, e risponde a quel lamento: “ Io, io sono il tuo consolatore. Chi sei tu perché tema uomini che muoiono e un figlio dell’uomo che avrà la sorte dell’erba?” ( un chiarimento davvero decisivo per la corretta interpretazione della realtà: non è affatto vero che io sia addormentato, è vero piuttosto che tu sei stordita dalla tua paura e che tu, per le angosce che ti assalgono, sei prigioniera dei tuoi incubi). Hai dimenticato il Signore tuo creatore, che ha disteso i cieli e gettato le fondamenta della terra. Avevi sempre paura, tutto il giorno, davanti al furore dell’avversario, perché egli tentava di distruggerti” ( l’avversario che ti ha sgomentato, dinanzi al quale sei rimasto paralizzato per l’angoscia che ti ha occupato il cuore, è diventato il tuo unico interlocutore e tu non ti sei reso conto che io sono il tuo consolatore, e che io sono il Signore tuo creatore). Ma dov’è ora il tuo avversario?” (nel tempo la situazione si è trasformata; storicamente sappiamo quanti eventi si sono succeduti: Babilonia è in decadenza. Dov’è andato a finire il tuo avversario?).

Vv. 14, 15, 16 : “Il prigioniero sarà presto liberato, egli non morirà nella fossa né mancherà di pane.” ( il Signore si fa avanti e là dove è stato direttamente contestato, trattato come un fannullone, un interlocutore fasullo, un dormiglione, proprio Lui dice :) “ Io sono il Signore tuo Dio, che sconvolge il mare così che ne fremano i flutti, e si chiama Signore degli eserciti. Io ho posto le mie parole sulla tua bocca, ti ho nascosto sotto l’ombra della mia mano, quando ho disteso i cieli e fondato la terra, e ho detto a Sion: <<Tu sei mio popolo>>. Ciò che ho detto a Sion, a Gerusalemme e a te, mio popolo, lo sto dicendo adesso. Questo è il significato realistico del passato e del presente, quando in realtà nel presente tu mi accusi di essermi addormentato e di averti abbandonato a te stesso, ma nel frattempo renditi conto di come tu sei stato svuotato internamente nel risucchio della paura che ha fatto di te una preda dell’avversario.


La paura annebbia


Secondo poema, cap.51, vv.17-23 : “Svegliati, svegliati, alzati Gerusalemme ( rispetto al poema precedente, nel quale era il popolo a lamentarsi, qui è il Signore che sirammarica: vedi che addormentato non sono io, ma addormentata sei tu Gerusalemme), che hai bevuto dalla mano del Signore il calice della sua ira; la coppa della vertigine hai bevuto, l’hai svuotata” (dunque sei tu che dormi e sai perché? Dormi perché sei drogata, sei narcotizzata, hai bevuto dalla mano del Signore. Il Signore spiega quel che è avvenuto e il motivo per cui Gerusalemme è addormentata e proprio alla città dormiente si rivolge, adesso, in modo così perentorio: Svegliati! Tu hai bevuto la coppa dell’ira e per questo sei caduta in questo coma così profondo).

Nessuno la guida fra tutti i figli che essa ha partorito; nessuno la prende per mano ( Gerusalemme se ne va barcollando, sta stramazzando al suolo) tra tutti i figli che essa ha allevato ( nessuno si prende cura di lei ). Due mali ti hanno colpito, chi avrà pietà di te? Desolazione e distruzione, fame e spada, chi ti consolerà? ( non ci sono consolatori per Gerusalemme?). I tuoi figli giacciono privi di forze agli angoli di tutte le strade, come antilope in una rete, pieni dell’ira del Signore, della minaccia del tuo Dio”. Il Signore sta spiegando a Gerusalemme quello che è successo e le dice: tu sei addormentata, un sonno pesantissimo si è impossessato di te, ma la droga che ti ha ridotto in questo stato sono Io stesso che te l’ho fornita.

Un’affermazione del genere a noi sembra paradossale e in qualche modo addirittura sconveniente. Come? E’ stato proprio il Signore a stordire Gerusalemme, fornendole una droga così micidiale?

Il Signore prosegue la sua istruzione (vv. 21, 22, 23): “Perciò ascolta anche questo, o misera, o ebbra, ma non di vino. Così dice il tuo Signore Dio, il tuo Dio che difende la causa del suo popolo : << Ecco io ti tolgo il calice della vertigine, la coppa della mia ira; tu non lo berrai più. Lo metterò in mano ai tuoi torturatori che ti dicevano: cùrvati che noi ti passiamo sopra. Tu facevi del tuo dorso un suolo e come una strada per i passanti >>.” Tu Gerusalemme, ti sei sciolta nei fumi di questo sonno drogato, e proprio questa tua vicenda derelitta è la medicina che io so come valorizzare, così che divenga per te l’occasione di uno stimolo, di un richiamo, di uno strappo, di una provocazione che ti risveglierà.


Il canto di un innamorato


Terzo poema, cap. 52, vv. 1-6, ancora lo stesso imperativo: “Svegliati, svegliati ( gli imperativi sono in sequenza, ma adesso non è più il lamento di Gerusalemme e nemmeno quello del Signore: è una serenata, un canto che l’innamorato rivolge a quel personaggio che scompare dietro la finestra, al di là di un balcone): “Svegliati, svegliati, rivestiti della tua magnificenza, Sion (canto famoso, ripreso anche nelle nostre assemblee liturgiche); indossa le vesti più belle, Gerusalemme, città santa ( non c’è più di mezzo il lamento, non ci sono più spazi per le recriminazioni, non c’è più motivo per protestare o per strapazzare; qui c’è il puro canto d’amore che celebra la bellezza della creatura amata, che è liberata dalla schiavitù per il fatto stesso di essere amata così ); perché mai più entrerà in te il non circonciso né l’impuro. Scuotiti la polvere, alzati, Gerusalemme schiava! Sciogliti dal collo i legami, schiava figlia di Sion! Poiché dice il Signore : <<Senza prezzo foste venduti e sarete riscattati senza denaro>>. Tutto avviene gratuitamente e, proprio per il fatto che sei amata in modo totalmente gratuito, tu sei dotata di una bellezza che nessuna schiavitù potrà mai deturpare; una bellezza che ti costituisce intrinsecamente come creatura liberata rispetto a qualunque schiavitù.

I vv. 4,5,6 ( come del resto già il v. 3 ) sono in prosa nella nostra Bibbia perché, effettivamente, qui il tono della composizione cambia. In quest’ultimo sviluppo del poema, c’è una specie di ricapitolazione dell’intera vicenda, che ci viene offerta in modo sobrio, ma molto istruttivo: “Poiché dice il Signore Dio: <<In Egitto è sceso il mio popolo un tempo per abitarvi come straniero ( vengono ricostruite le tappe di una storia sbagliata: la prima è l’Egitto); poi l’Assiro senza motivo lo ha oppresso ( seconda tappa: l’ Assiro). Ora che faccio io qui? ( terza tappa: Babilonia)”. Babilonia è dove il popolo è andato a sprofondare. Babilonia, per dire una situazione complessiva di esilio, con tutto quello che comporta; Babilonia nel senso che è Gerusalemme che si ritrova sfasciata e devastata all’inverosimile. Ebbene: quella Gerusalemme che è diventata una Babilonia infernale è il luogo nel quale il Signore è presente. E’ bellissimo questo!

Che cosa faccio io qui? E’ il Signore che si guarda attorno e dice : “Vedi, io ti ho seguito in Egitto, io ti ho accompagnato là dove l’assiro ti opprimeva e adesso che cosa faccio qui a Babilonia?” L ’essere sprofondata a Babilonia fa tutt’uno con l’essere ritrovata come Gerusalemme amata.

Sì, il mio popolo è stato deportato per nulla! I suoi dominatori trionfavano – oracolo del Signore – e sempre, tutti i giorni il mio nome è stato disprezzato. Pertanto il mio popolo conoscerà il mio nome, comprenderà in quel giorno che io dicevo: Eccomi qua>>”.

C’è di mezzo la fedeltà del Signore alle sue dichiarazioni: il mio nome è stato disprezzato e in quel giorno comprenderà che io dicevo: “Eccomi qua”; comprenderà come io ho accompagnato questo popolo lungo tutto il percorso e, in fondo all’ abisso dell’inferno di Babilonia io l’ho confermato come il popolo dell’alleanza e ho chiamato Gerusalemme con la voce dell’innamorato.



Annuncio di un nuovo, trionfale esodo


Ai tre poemi che abbiamo letto se ne aggiunge un quarto che assume un’andatura travolgente, un’ondata trionfale. La prima strofa va dal v. 7 al v. 10; gli altri due versetti ( vv. 11 e12) costituiscono la seconda strofa.

Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: <<Regna il tuo Dio>>”. Ci sono gli evangelizzatori che raggiungono Gerusalemme, ma è la voce dell’innamorato che giunge, attraverso il messaggero dell’evangelo, fino alla città, per quanto essa sia devastata e profanata. A Gerusalemme è rivolto l’annuncio che proclama la regalità del Signore: << Regna il tuo Dio>>>. “Senti? ( notate come il messaggero è rivolto al cuore di Gerusalemme perché da quel cuore provenga il segno che Sion ha percepito, ha intuito, ha ascoltato, ha recepito ) Le tue sentinelle alzano la voce (in realtà è da Gerusalemme che proviene questa testimonianza; ci sono già sentinelle a Gerusalemme e si passano la voce l’una con l’altra), insieme gridano di gioia, poiché vedono con gli occhi il ritorno del Signore in Sion. Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme. Il Signore ha snudato il suo santo braccio davanti a tutti i popoli; tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio.” Qui lo scenario – come anche in altri contesti abbiamo notato - si amplia smisuratamente, così da assumere le dimensioni dell’intera vicenda umana. Tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio: quel che avviene a Gerusalemme riguarda, mette a fuoco, illustra qual è il criterio interpretativo della storia dell’umanità.

Seconda strofa, vv. 11 e 12 : “Fuori, fuori, uscite di là! Non toccate niente di impuro. Uscite da essa, purificatevi, voi che portate gli arredi del Signore! Voi non dovrete uscire in fretta né andarvene come uno che fugge, perché davanti a voi cammina il Signore, il Dio di Israele chiude la vostra carovana”. Siamo di fronte a un nuovo esodo con caratteristiche originali rispetto a quello tradizionale, nel quale gli antichi uscirono dall’Egitto portando con sé una quantità enorme di beni, di ricchezza, un bottino prezioso. Qui invece l’esortazione è: Non portate niente! Solo quello che è vostro, solo gli arredi del Signore.

Inoltre mentre l’esodo dall’Egitto avvenne in fretta qui l’invito è di fare il contrario senza andarsene “come uno che fugge”.

Dunque: non portate con voi un bottino aggiuntivo, ma solo le vostre cose; non in fretta, ma procedendo con andatura solenne e pacata, proprio perché è il Signore che vi precede, è il Signore che vi segue, è il Signore che vi porta in braccio.


Notate bene che qui si inserisce il quarto canto del servo, che abbiamo letto il mese scorso e che si sviluppa per l’intero cap. 53.

Prendete il cap. 54 di seguito: “Esulta, o sterile che non hai partorito… Vedete come questi canti si collegano tra di loro, in modo tale da determinare impennate, sviluppi imprevedibili, momenti di stridore, che ci lasciano lì per lì esterrefatti, e poi l’incoraggiamento a contemplare il protagonismo del Signore che crea soluzioni così straordinarie. Qui tutto passa attraverso quel servo del quarto canto. E, adesso: “esulta o sterile”. E’ Gerusalemme. Nel il cap. 54 troviamo un altro grande famoso poema. Dal v. 1 fino al v. 10: la sposa del Signore, il popolo di Dio, il popolo dell’alleanza; il poema prosegue dal v. 11 al v. 17, e in quella seconda sezione, in modo ancora più preciso ed esplicito la sposa del Signore è la città, è Gerusalemme.



L’amore dello sposo è fedele


Prima sezione in 4 strofe.

Prima strofa, vv. 1-3: “Esulta, o sterile che non hai partorito, prorompi in grida di giubilo e di gioia, tu che non hai provato i dolori, perché più numerosi sono i figli dell’abbandonata che i figli della maritata dice il Signore” ( è finito il tempo della sterilità! ). Allarga lo spazio della tua tenda, stendi i teli della tua dimora senza risparmio, allunga le cordicelle, rinforza i tuoi paletti, poiché ti allargherai a destra e a sinistra e la tua discendenza entrerà in possesso delle nazioni, popolerà le città un tempo deserte”. La figliolanza è sterminata, al punto che anche i pagani saranno figli di questa sposa, che è il popolo dell’Alleanza, il popolo che è confermato nell’ appartenenza nuziale al suo Signore.

Seconda strofa, vv. 4 - 6 “Non temere, perché non dovrai più arrossire ( si spiega il motivo per cui le cose vanno nel modo, così sconcertante e inimmaginabile, descritto nella prima strofa: l’amore dello sposo è incrollabilmente fedele; non c’è altra motivazione; ma è veramente la motivazione che conta, quella risolutiva ); non vergognarti, perché non sarai più disonorata; anzi, dimenticherai la vergogna della tua giovinezza e non ricorderai più il disonore della tua vedovanza. Poiché tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo di Israele, è chiamato Dio di tutta la terra. Come una donna abbandonata e con l’animo afflitto, ti ha il Signore richiamata. Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù? Dice il tuo Dio”


Terza strofa, vv. 7 e 8: “Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti riprenderò con immenso amore. In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore, il Signore”. questa terza strofa mette a fuoco – ricostruendo gli eventi del passato – il fatto che la sposa effettivamente ha dimostrato di essere infedele. Ma questa infedeltà non ha annullato l’affetto pieno, eterno, definitivo fin dall’inizio, dello sposo che è il Signore creatore e consolatore. La strofa è strettamente legata alla precedente: quella fedeltà nell’amore riguarda - perché non ci si possa confondere, nè ci si dimentichi mai di questa verità straordinaria - proprio quella sposa che da parte sua ha dimostrato di essere così tristemente, così tragicamente infedele.

L’ “immenso amore” in ebraico evoca le viscere; con viscere grandiose. Immenso amore: ti riprenderò di modo tale che tu dovunque voglia fuggire, comunque tu sia in grado di precipitare, chissà dove e in condizione di miseria irreparabile….viscere immense che si spalancano così che io ti riprenderò sempre. Ti riprenderò.

Quarta strofa, vv. 9 e 10: “Ora è per me come ai giorni di Noè…”

In relazione a questo rapporto nuziale, che è ricomposto - e questo dico non perché sia mai stato cancellato, ma perché adesso viene compreso, valorizzato, e solo adesso appare per come era stato impostato fin dall’inizio, eppure così barbaramente e volgarmente tradito - ebbene, attorno a questo vincolo d’amore ricostituito è tutta la creazione che viene riconciliata. Qui, vedete, si ritorna ai giorni di Noé ( domenica scorsa la prima lettura era dedicata a quei giorni ) “… quando giurai che non avrei più riversato le acque di Noé sulla terra; così ora giuro di non più adirarmi con te e di non farti più minacce. Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace; dice il Signore che ti usa misericordia”.

E’ il motivo finalmente esplicitato di quell’ alleanza di pace di cui parla l’antico racconto, dopo il diluvio, nel cap. 9 della Genesi. Il Signore che ti usa misericordia e che ricompone l’ordine dell’universo, ristabilisce la coerenza positiva della storia umana nello svolgersi dei tempi, in forza di questa conferma del suo amore eterno e irrevocabile.



La sposa è Gerusalemme, riconciliata al suo interno


Seconda sezione del poema, vv. 11 – 17. Qui la sposa è la città, figura che si sovrappone a quella del popolo. Indissolubili le due realtà; una connessione intrinseca, ma la ricchezza delle immagini merita, comunque, di essere valorizzata. La sezione si articola in tre strofe.

Prima strofa, vv. 11-12: “Afflitta, percossa dal turbine, sconsolata, ecco io pongo sulla malachite le tue pietre e sugli zaffiri le tue fondamenta. Farò di rubini la tua merlatura, le tue porte saranno di carbonchi, tutta la tua cinta sarà di pietre preziose”.

Dunque Gerusalemme è ricostruita. Notate la bellezza di questa figura, la ricchezza delle decorazioni, la solidità degli edifici; tutto concorre a fare di Gerusalemme un segno, un punto di luce, un riferimento inconfondibile sulla scena del mondo.


Seconda strofa, vv. 13-14: “Tutti i tuoi figli saranno discepoli del Signore, grande sarà la prosperità dei suoi figli … <<Prosperità>> in ebraico è shalom : “grande sarà la pace dei suoi figli”. Abbiamo qui l’esplicitazione della ragione intrinseca di quell’immagine di Gerusalemme così splendente, ricca, affascinante: la città ha raggiunto il suo consolidamento interno e la sua bellezza, il suo splendore sono il riflesso dell’amore che ha ricevuto e dell’amore a cui risponde. Il motivo profondo sta nel fatto che non c’è più odio tra i figli: “ …sarai fondata sulla giustizia. Sta’ lontana dall’oppressione, perché non dovrai temere, dallo spavento, perché non ti si accosterà.”. E’ finito il tempo nel quale si scatenarono le violenze tra i figli; Gerusalemme è dotata di questa sua incrollabile stabilità interna, e per questo rifulge la sua bellezza.


Terza strofa, vv. 15 - 17: “Ecco, se ci sarà un attacco, non sarà da parte mia. Chi ti attacca cadrà contro di te...” ( una volta che Gerusalemme è consolidata in questo modo diventa inattaccabile; il nemico non ha più modo per opprimerla, nè per intervenire contro di lei; non ci sono più appigli nell’ ingiustizia che, dall’interno, aveva inquinato la città).“… Ecco io ho creato il fabbro che soffia sul fuoco delle braci e ne trae gli strumenti per il suo lavoro, e io ho creato anche il distruttore per devastare. Nessun’arma affilata contro di te avrà successo, farai condannare ogni lingua che si alzerà contro di te in giudizio” ( nessuno potrà più avere da ridire nei tuoi confronti) . “Questa è la sorte dei servi del Signore, quanto spetta a loro da parte mia. Oracolo del Signore”.


Siamo arrivati ai poemi che concludono il nostro libretto e val la pena proseguire di slancio con la lettura del cap. 55



Il nutrimento che dà vita è l’ascolto della Parola


Vv. 1-2 e prima metà del v. 3: una prima strofa di un poema che poi si sviluppa fino al v. 5. Per il popolo dell’alleanza il valore di quel sigillo nuziale, di cui ci parlavano i poemi che abbiamo appena letto, è confermato come valore di comunione indissolubile.

O voi tutti assetati venite all’acqua, chi non ha denaro venga ugualmente… ( sembra la voce di un araldo, di un imbonitore di piazza, che convoca tutti coloro che hanno fame e sete e che sono, comunque, in condizione di sofferenza e di disagio; perché nessuno può vivere da solo, nessuno è in grado di sopravvivere se non in quanto riceva ciò che gli è necessario; ebbene : venite, anche senza denaro ) “comprate e mangiate senza denaro e, senza spesa, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro patrimonio (qui, alla lettera, la vostra “fatica”; perchè faticate tanto) per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti. Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e voi vivrete”. Dunque, beni fondamentali di cui gli uomini hanno bisogno per vivere. Fatevi sotto, tutto è preparato, tutto vi è elargito, tutto vi è donato gratuitamente e si tratta di beni primari: il pane, il vino, il latte e, prima ancora, l’acqua. Sì, ma ascoltatemi, porgete l’orecchio, venite a me, e voi vivrete! Fate attenzione a questi imperativi: è proprio in questa educazione all’ascolto, che stanno il cibo e la bevanda; in questa sapienza dell’ascolto c’è l’alimento essenziale di cui gli uomini hanno bisogno per vivere. Venite a me, ascoltate e voi vivrete! La relazione di alleanza, che ormai si esprime in tutta la sua vitalità, è una comunione di vita che il Signore sta valorizzando nella sua inesauribile pregnanza.



La promessa fatta a Davide è confermata

Vv. 3 (seconda metà), 4 e 5: “Io stabilirò per voi un’alleanza eterna, i favori assicurati a Davide ( spunta per la prima volta Davide; in tutto il libro della consolazione non si era mai parlato di lui; avevamo incontrato il Servo e, addirittura, il titolo di Messia attribuito a Ciro il persiano; qui ricompare Davide. E Davide, in un’epoca nella quale la discendenza davidica è stata spazzata via, rimane come presenza sotterranea; una discendenza che poi si prolungherà nel corso delle generazioni. Comunque i favori assicurati a Davide sono confermati anche in uno stato di disgrazia come l’attuale). “Ecco l’ho costituito … ( l’ erede delle promesse messianiche, che sono state affidate a Davide in vista del discendente, è il popolo nella sua interezza, ma questo popolo disperso, piagato, maciullato, così com’è adesso, con tutte le responsabilità di un fallimento che ha segnato la sua storia, è venuto meno alla propria vocazione. Gerusalemme è immagine emblematica di questa catastrofe)….testimonio fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni. Ecco tu chiamerai gente che non conoscevi; accorreranno a te popoli che non ti conoscevano a causa del Signore, tuo Dio, del Santo di Israele, perché egli ti ha onorato.” E’ il popolo che passa attraverso questa fase così drammatica di una storia tribolatissima; ed è proprio questo popolo che rende testimonianza a Dio nella storia degli uomini. Così si realizza, nella storia degli uomini, l’intenzione d’amore che Dio ha dichiarato sin dall’inizio. L’araldo chiama, esorta, invita; e l’araldo – che poi è il nostro profeta anonimo – vuole incoraggiare il popolo, che passa attraverso l’esperienza terribile dell’esilio, a scoprire come proprio all’interno di questa vicenda gli viene confermata la responsabilità storica di una testimonianza che illumina il senso della storia di tutti gli uomini. D’altra parte noi continuiamo ad avere a che fare con il protagonista di tutta questa avventura, che è il servo del Signore; quel volto oscuro e spaventoso che, al tempo stesso, splende in quanto è portatore di una luce che nessuno potrà mai più spegnere nel corso della storia umana.



Colui che è l’Altissimo è vicinissimo


Vv. 6-11 “ Cercate il Signore mentre si fa trovare, …” Il profeta, in veste di araldo, di evangelizzatore, di imbonitore, prosegue nel suo incoraggiamento. Che cosa sta dicendo? Sta dicendo: “ vedete, questo è il momento opportuno perché voi vi convertiate al Signore”. Voi? Noi! E’ il momento opportuno per il popolo di Israele? E’ il momento opportuno per Gerusalemme? E’ il momento opportuno per la nostra generazione! Questo è il tempo della nostra conversione: “parlate al cuore di Gerusalemme, ditele che è finito il tempo della sua schiavitù. Ecco, una strada si apre nel deserto, una strada per tornare, la strada della conversione ”. Notate che dice: “… invocatelo mentre è vicino …”. Questa sembra essere la ragione per la quale la strada della conversione si è aperta: Lui si è avvicinato.

Il v. 7 fa da intermezzo: “L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona”. Si allude a questo itinerario di conversione che, adesso, si è aperto. Come funziona? Il v. 6 ha fatto riferimento alla vicinanza del Signore: siccome lui si è avvicinato, invocatelo! Si fa trovare! Cercatelo! Ecco si è avvicinato.

Vv. 8-9 : “ Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie – oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri”. Quest’affermazione sembra contraddire la precedente, perché qui ( nei vv. 8-9) veniamo a sapere che la distanza che separa il Signore dalle sue creature è incolmabile: il cielo e la terra; i miei pensieri, i vostri pensieri; le mie strade, le vostre strade e quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre, i miei pensieri i vostri Dunque lontananza: contraddizione! Convertitevi perché il Signore si è avvicinato e …. Adesso il Signore è lontanissino. Com’è possibile? Che cosa sta succedendo? Ma come funziona? Ed ecco il v. 10: “Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra ( conosciamo bene questi versi famosissimi ), senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”. Il motivo per cui la strada della conversione si apre sta nel fatto che Colui che è lontanissimo da noi si è avvicinato. La contraddizione è colmata dalla parola che circola tra Lui e noi, e che da noi ritorna a Lui; come la pioggia e la neve, così la parola che esce dalla sua bocca ritorna a Lui dopo aver operato ciò che Egli desidera. Per noi che siamo quei tali che si lamentano a Babilonia – o che siamo dispersi fino agli estremi confini della terra, o che siamo piangenti sulle pietre divelte di Gerusalemme – la strada della conversione si apre per il fatto che Dio ci ha rivelato il mistero della sua parola; quel mistero che il suo stesso modo di essere lontano, nella santità della sua trascendenza, e al tempo stesso vicinissimo, così da raccoglierci nella nostra miseria più infame, è la parola che circola tra Lui e noi e che ci rende creature nuove che ritornano a Lui. La strada della conversione si apre perché scopriamo che noi siamo, per così dire, sprofondati nell’abisso di questa immensa circolazione di pensieri, di affetti e di opere, per cui il mistero di Dio che ci sovrasta è il mistero di Dio che si è piegato su di noi: Colui che è l’Altissimo è vicinissimo. La parola che porta in sé la potenza creatrice, nella sua assoluta coerenza originaria, è la parola che rieduca il cuore umano là dove esso si trova stritolato nella morsa delle iniquità.

Vedete come il nostro profeta – e qui siamo arrivati alla fine del libro – ci incoraggia a contemplare il mistero di cui non siamo semplici spettatori, ma nel quale siamo coinvolti e immersi. E’ già – per così dire - una premonizione del battesimo che ci introduce nel grembo del Dio vivente, là dove siamo introdotti in virtù della Parola che si è avvicinata a noi fino a raggiungerci nell’abisso del nostro patire. Il servo del Signore presiede a questa epifania del Santo Consolatore.






Universo in festa


Ultimi due versetti ( 12 e 13): Voi dunque partirete con gioia ( ecco adesso sì partirete con gioia. E’ il viaggio della conversione. Siamo in quaresima. E’ la quaresima), sarete condotti in pace. I monti e i colli davanti a voi eromperanno in grida di gioia e tutti gli alberi dei campi batteranno le mani. Invece di spine cresceranno cipressi, invece di ortiche cresceranno mirti; ciò sarà a gloria del Signore, un segno eterno che non scomparirà.” Siamo di fronte ad un applauso cosmico. E’ sempre così nel Deuteroisaia; lo abbiamo notato in tanti, tanti modi; io ho insistito su questo punto e lo faccio ancora questa sera. Vedete: è l’avventura di quei tali che sono esuli a Babilonia? Ma questo è il percorso dietro il quale si sta svolgendo la storia di tutti i popoli, di tutti gli uomini; di ieri, di oggi, di domani e tutta la creazione partecipa a questa novità


Abbiamo completato la lettura del Deuteroisaia e nei mesi che verranno ci occuperemo dei capitoli che vanno dal 56 al 66: il terzo Isaia.