Incontri di discernimento e solidarietà
 
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Incontro 11 luglio 2009


Allargando l’orizzonte da Lazzati, La Pira, Dossetti, a Castelli, Mongillo…1


Flavio Zanardi

Il tema proposto a queste nostre ultime riunioni è, se ho ben capito, “fare memoria”. E fare memoria è ciò che tiene uniti i cristiani attorno alla mensa eucaristica, che celebra il memoriale della Pasqua presentificando, se così si può dire, l’evento fondativo della fede cristiana. Il fare memoria fa parte anche della mia personale formazione culturale in storia dell’età contemporanea. Mi sono occupato di “storia delle classi subalterne”, come si dice, cioè del popolo dei campi e delle plebi urbane, in particolare di quelle del parmense, di cui conosco bene la lingua, che è la mia lingua materna, poiché nella lingua è depositata la cultura e la storia dei “poveri homini”, che di sé non hanno lasciato altro documento, o quasi. In questa attività, mi ha sempre dolorosamente stupito l’enorme, incredibile soma di sfruttamento e di miseria, il dolore che da sempre ha gravato (e da molte parti ancora grava) sui poveri e sui piccoli. Come dice Magris, la memoria è facoltà morale, giudizio che salva il fluire della vita e lo passa al vaglio. Mi sono chiesto a volte se per caso Dio non li avesse dimenticati o se un'eventuale “rivoluzione proletaria”, semmai avesse avuto successo, con l’esaudire l’eterna richiesta dei poveri – pane, pace, lavoro –, realizzando finalmente libertà, uguaglianza e fraternità, sarebbe bastata a risarcire tutto quel dolore, placando le vittime. La risposta esiste. Ne ho avuto prova anche proprio in questi giorni dalla lettura della premessa posta da Giuseppe Dossetti al libro “Le querce di Monte Sole”, a proposito di uno dei più atroci eccidi nazisti: Dio non dimentica. Gli uomini sì, possono farlo e oggi, in un contesto di cancellazione e di contraffazione della memoria, lo stanno facendo. Per questo Dossetti ha voluto essere sepolto là, dove giacciono le vittime di quell’eccidio, nel piccolo cimitero di Casaglia di Monte Sole. Dio non dimentica: ogni capello del nostro capo è contato, ogni lacrima, ogni dolore sono stati notati, anche e soprattutto quelli degli ultimi. Dio, venendo sulla terra, si è incarnato in uno di loro, armato solo della Parola. Ed è stato sputacchiato, bastonato, frustato e consegnato al patibolo, come molti fra di loro. Ma in lui, primogenito dei morti, quel dolore si è colorato di Speranza: gli ultimi otterranno giustizia e vedranno Dio. Per questo di Cristo e dei suoi Giusti (i santi, i profeti) l’assemblea dei cristiani, la Chiesa, fa memoria. La memoria raduna e tiene legati per sempre tutti gli amici, i vivi con i morti, e dà forza all’attesa.

Padre Castelli, di cui ora vorrei anch’io fare memoria, possedeva questa forza severa e tranquilla dell’attesa e la sapeva comunicare. L’ho conosciuto nell’estate dell’84 alla “Festa dell’Unità”. Ero là che servivo ai tavoli, nonostante che da due anni avessi ormai restituito la tessera.

Avevo ancora lì molti amici e soffrivo un po’ di malinconia. Un mio studente, Alessandro Trevisan, cattolico, pacifista e obiettore di coscienza, che, sedotto dal carisma di Padre Castelli, voleva entrare nella Compagnia di Gesù, volle pure che il suo nuovo maestro facesse la conoscenza di quello precedente, cui bontà sua, credeva di dovere qualcosa. Questo anziano signore dall’aria severa e un po’ contratta (seppi dopo che era il Parkinson), che si recava in partibus infidelium per conoscermi, sulle prime mi sconcertò un poco. Parlammo di cose generiche. Mi disse che era pubblicista e che aveva scritto da poco un articolo sul fenomeno del tempo libero. Caso volle che anch’io avessi appena terminato di scrivere per i ragazzi della FGCI qualcosa sullo stesso argomento. Ci mettemmo a discuterne, scoprendo, con mia gran meraviglia, di aver tratto, analoghe conclusioni, uno allegando Marx, l’altro la Bibbia. “Qui uno dei due deve essersi sbagliato”, gli dissi ridendo e lui rise di rimando. Da quella risata è nata la più bella e fruttuosa amicizia (ahimè troppo breve) della mia vita. Ci si vedeva spesso lungo la settimana e nei week-ends. Nel frattempo, rivitalizzando le mie sopite radici cattoliche – mia madre, l’infanzia all’oratorio salesiano, l’adolescenza negli scouts – , interrottasi la mia collaborazione a un giornale del partito e caduta l’attività politica, ero finito, con la mediazione di padre Castelli e di Trevisan, su preghiera, come seppi poi, di mia moglie, che mi vedeva confuso e smarrito, redattore di una rivista missionaria di qualche successo negli anni ’80 (“Missione Oggi”, cui più tardi collaboreranno anche Pio e padre Castelli) e avevo preso l’abitudine di affliggere padre Castelli con la lettura dei miei articoli, quasi a chiederne l’imprimatur. In compenso, lui mi passava i suoi, vecchi e nuovi, che erano vere perle di sapienza e lucidità. Una lucidità che non era semplicemente frutto di un intelletto robusto e di studi seri, ma era di quel genere che si ritrova a volte in certi polemisti cristiani di pensiero rigoroso e penetrante (penso a gente come Milani, Balducci, La Pira e simili), ispirato dalla meditazione attenta e costante della Parola di Dio, la quale, come è scritto in Ebrei 4, “è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio. Essa (…) scruta i sentimenti ed i pensieri del cuore. Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a lei, ma tutto è nudo e scoperto ai suoi occhi”. Così in Padre Castelli l’intelligenza della ragione si sposava mirabilmente a quella del cuore, l’ésprit de géometrie si legava all’ésprit de finesse con risultati davvero notevoli di penetrazione profetica del reale. Tutto in lui, la parola, la vita, perfino le memorie famigliari, il modo di manifestare amicizia, di trattare con la gente, di pensare e di agire era espressione di laicità. Padre Castelli, come il suo amico Pio, era l’uomo della laicità cristiana, così come lo tratteggia la lettera a Diogneto: “I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per il territorio, né per la lingua, né per il modo di vestire. Non abitano mai in città loro proprie, non si servono di un gergo particolare, né conducono uno speciale genere di vita. La loro dottrina non è dovuta ad una intuizione geniale o alle elucubrazioni di spiriti che si perdono dietro a vane questioni. (…). Sono sparpagliati nelle città greche e barbare, secondo che a ciascuno è toccato in sorte. Si conformano alle usanze locali nel vestire, nel cibo, nel modo di comportarsi; e tuttavia nella loro maniera di vivere, manifestano il meraviglioso paradosso, riconosciuto da tutti. Della loro società spirituale”.Una società spirituale aperta al mondo, al quale il cristiano reca in dono la Buona Novella. Citando Elia, citato a sua volta da Dossetti, la notte è ancora lunga da passare, ma verrà l’alba. Ci saranno altre notti ed altre albe, poi, alla fine dei tempi, una luce senza tramonto: Dio se n’è fatto garante. Questo fermamente credeva anche padre Castelli, andando, uomo fra gli uomini, a seminare la Parola, senza divisa o segni particolari, lui, quello dei preti operai. Semmai, sgombrato il campo dai pregiudizi clericali, sarebbero stati altri, quelli come me, a chiedergli con meraviglia ragione della sua diversità. Su questo argomento mi ricordo che un amico prete raccontava negli anni dopo il Concilio, quanto amasse vestire “in borghese”, senza essere riconosciuto per la strada, nei negozi, in treno (viaggiava molto per lavoro). La gente teneva con lui un comportamento sciolto e naturale, era se stessa nel bene e nel male; mentre prima, riconosciutolo come prete, tutti attorno a lui assumevano insopportabili comportamenti artificiali e fasulli, sia che si autocensurassero, divenendo per lo più ipocritamente ossequiosi e perbenisti, sia che si facessero villani ed aggressivi. Mai naturali, mai rilassati. Eppure c’era stato Chi aveva raccomandato agli uomini di farsi riconoscere dalle opere piuttosto che dalle insegne (Mt 12,33.37). Molto opportunamente Giovanni Bianchi titolava la sua premessa ad un aureo libretto di Pio (Laicità come profezia-ricordando M. Castelli e S. Corradino): “Maestri Sommersi”.

Adesso però credo sia opportuno, e lo crede anche Pio, che il deposito sapienziale venga dissepolto e portato alla luce. Nel tempo che resta, mi premeva perciò offrirvi un piccolo saggio del valore profetico delle parole di Padre Castelli e delle sue analisi lucide e penetranti, ma dense di carità e sapienza. Si tratta dell’articolo “Speranza operaia e speranza cristiana”, che sta in Aggiornamenti Sociali del settembre-ottobre 1979, e sottolineo 1979 per farvi notare come da subito (e anche da prima), negli anni immediatamente seguenti l’omicidio di Moro – di cui padre Castelli, come già Pasolini in un suo celebre “scritto corsaro”, avrebbe potuto dire di conoscere gli autori – in un mondo che vedeva l’affermarsi del progetto neo-liberale e in un'Italia insidiata dal piduismo, padre Castelli poneva con urgenza problemi quali il decentramento, le riforme, i ritocchi alla Costituzione, la legge elettorale e simili, che oggi stanno ancora tutti lì.

Anzi, stanno marcendo, nonostante la crisi del neo-liberismo ed il mutato assetto internazionale abbiano aperto nuove prospettive. Mentre già negli anni ’70 padre Castelli li inseriva nella sua chiara analisi del dissolversi del popolo italiano nella sua ultima forma di vita, quella proletaria, mentre il nuovo concetto di popolo di Dio incontrava gravi difficoltà ad affermarsi: come dice Pio, “c’è un gran lavoro da fare e sono in atto forze contrarie”.

Sono sicuro che questo articolo già lo conoscete, ma voglio rileggervene (alla parte2, par.7) il passo che più mi ha colpito ed influenzato, anche a motivo della mia storia personale. Forse leggerlo con i miei occhi di allora vi aiuterà ad intenderne ancor più ampiamente la laicità e la portata profetica ed evangelizzatrice.

Nell’articolo padre Castelli analizza i rapporti tra la religiosità naturale che anima la speranza operaia, estranea al cuore profondo del messaggio evangelico (cioè il mistero pasquale), del quale coglie soltanto in modo strumentale gli aspetti etici, come la ripulsa del mammonismo, la contestazione del clericalismo farisaico, l’attenzione per gli ultimi e la richiesta di pane, pace e lavoro che ne discende. Padre Castelli ne conclude che: “le connessioni tra speranza cristiana e speranza operaia certamente esistono [pur nello iato profondo che c’è tra una prospettiva religiosa naturale ] e la liberazione espressa in forma piena dall’annuncio evangelico. [Ma che] se la speranza operaia è la speranza sorgiva dell’uomo operaio, cioè dell’uomo che per esigenze di lavoro e di vita è più vicino al concreto immediato, dell’uomo che attende una società di giustizia, di pace, di comunione, dell’uomo che soffre per l’impossibilità umana di costruire entro limiti storici l’utopia, allora la speranza cristiana può ben motivare lo sforzo di superamento di ogni delusione nel difficile cammino della liberazione, perché si sa che questo è la risposta a una precisa richiesta del padre. Ma se la speranza operaia è inquinamento consumistico e plagio ideologico, allora le strade si dividono e le spinte premono in sensi contrari”.

La morte di Moro, impedendo la saldatura tra le due ultime grandi culture popolari italiane (et pour cause: il suo, credo, fu martirio) ha abbandonato il popolo italiano al compiersi della seconda, e sciagurata, ipotesi, con le conseguenze che sono oggi sotto gli occhi di tutti: il baccanale di arconti e potentati. Ecco perché padre Castelli, quando gli lessi, un mese prima della morte, un mio articolo su cause e conseguenze del trionfo mondiale del neoliberismo, commentò: ”Hanno vinto loro”. Era sfinito e non ebbi il coraggio, dopo lo stress della lettura, visti anche gli occhiacci di mia moglie, di fargli altre domande. Successivamente però mi sono tormentato su quella frase abituato com’ero a prenderlo molto sul serio. Ora finalmente ho capito: è passata l’ipotesi B, il secondo se, da ipotesi, si è fatto realtà, morto – ripeto: et pour cause – Moro, le due speranze, quella operaia e quella cristiana, non hanno potuto saldarsi e il risultato è sotto gli occhi di tutti.

L’articolo prosegue: anche la speranza operaia di giustizia, come già quella, pure così umana, del “pane quotidiano”, viene confiscata e plagiata nella nostra società attuale da un complesso di forze sociali o del tutto estranee o che, dall’esterno, si accomunano e magari vogliono farsi interpreti del grido operaio.

Il grido della classe operaia serve ormai da modello a tutte le classi e categorie sociali, che se ne appropriano a loro vantaggio per ottenere giustizia e più che giustizia, a loro profitto, nella misura del potere sociale di cui dispongono, in ragione della loro posizione peculiare nella struttura della società. E’ l’appropriazione del grido, degli strumenti di contestazione, dei metodi di lotta per ottenere non tanto il giusto, quanto ciò che si desidera. Ne consegue un’esplosione degli interessi corporativi e di settore, che disarticola la struttura sociale, quanto più il governo della società è debole, con danno innanzitutto della classe operaia.

La classe operaia subisce a questo riguardo una duplice tentazione: quella di dare spazio anche al suo interno ai vari interessi corporativi e quella di ricercare nella più vasta protesta di tutte le classi una strada per la conquista del potere. Sono due strade diverse, ma che possono rivelarsi complementari e portano direttamente, nonostante possibili illusorie vittorie, alla sconfitta degli interessi della povera gente; la prima, perché instaura la divisione e il sopruso all’interno della stessa classe operaia, dei suoi stessi strumenti di liberazione; la seconda, perché una alleanza troppo vasta non può non risultare equivoca, con il pericolo molto attuale di sconfinare nella difesa del sopruso di gruppi che nulla hanno a che fare con la classe operaia e di ridurre in definitiva la società all’immobilismo.

D’altra parte, la classe operaia, per far valere i propri diritti o anche solo per ottenere il soddisfacimento delle sue necessità elementari, ha bisogno di competenze professionali di ideologia, di cultura … e tutto questo è monopolio tradizionale della borghesia intellettuale. La quale (…) non può fare a meno di imporre la sua mentalità, il suo modo di vedere le cose, anche quelle operaie, e cerca in definitiva, magari senza volerlo espressamente, il suo proprio interesse, che non è sovente interesse economico, ma di prestigio, di carriera, di compensazione delle proprie frustrazioni. Si giunge così a voler attuare utopie che sanno di intellettuale … non atte a risolvere la questione fondamentale, che è quella della elevazione professionale e intellettuale, in maniera stabile e universale, della classe operaia, si che possa riflettere sulla sua situazione con immediatezza, senza delega e al suo interno.

(…) Non si tratta di elevare i rampolli della classe operaia, quelli meglio dotati, affinché possano difendere e promuovere i genitori, i fratelli ed i compagni di lavoro, perché le competenze ch’essi verrebbero ad acquisire sarebbero, nel migliore dei casi, commisurate alle esigenze della borghesia professionale ed intellettuale, la quale da secoli ne detiene il monopolio, e l’operazione si concluderebbe, come di fatto è generalmente avvenuto, con l’assicurare nuove e fresche energie alla classe borghese, nella quale anche quei figli della classe operaia prima o poi inevitabilmente confluirebbero. La soluzione radicale del problema si avrà solo quando si riuscirà ad assicurare all’operaio che voglia rimanere operaio il tempo, il modo e la volontà di occuparsi in prima persona degli interessi economici, culturali e spirituali della propria classe sociale. E’ superfluo sottolineare quanto questa rivoluzione contribuirebbe a dare concretezza e solidità al vivere sociale.


Avrete notato come questo passo che vi ho letto si riveli una miniera ricca di suggestioni e spunti di analisi, che ci permettono di valutare quello che è accaduto negli anni successivi alla svolta sessantottesca. Dal ruolo che nel corso di questi anni hanno giocato la massoneria radicale e la piccola e media borghesia delle professioni e delle arti, intrufolandosi nel movimento operaio con parole d’ordine libertarie ed evocando un pulviscolo disparato e difforme di gruppi rivendicativi costruiti a partire da tematiche esistenziali e situazioni individuali, a volte anche legittime, ma sempre marginali e destinate nella sostanza a lasciare le cose come stanno; fino alla necessità fortemente avvertita di porre mano alla costruzione di quell’intellettuale collettivo, destinato a prendere il posto dell’intellettuale organico anni ’30, che permetterebbe un più ampio esercizio democratico del diritto di cittadinanza. Temi ancora attualissimi, richieste mai esaudite, che ancora ci interpellano, esame franco e lucido delle forze in gioco, il tutto è trattato da padre Castelli in modo da consentirci di esercitare con efficacia il nostro discernimento sugli eventi che stanno a monte dell’attuale stato di cose e che ci chiamano ad un imprescindibile esercizio di carità e all’impegno per la liberazione.

Giorgio Marcello

Premessa. I due obiettivi dell’incontro: a) un affaccio su altre testimonianze (oltre a quella di Lazzati), ovvero riferimento ad altri “compagni di strada”; b) quello che ci proponiamo di fare a partire da settembre.


1. Offro un contributo di riflessione che si propone di rileggere dal di dentro una esperienza di laicità e di partecipazione politica, in cui io stesso mi sono trovato coinvolto.

Una esperienza di laicità. Non solo nel senso di “promossa e animata da laici”. Ma nel senso di cui si parla nei “Dialoghi sulla laicità”: “laicità come profezia del popolo di Dio sul mondo, responsabilità dei credenti in Cristo, attesa operante di resurrezione”.

Laicità come dimensione di tutta la Chiesa, chiamata a perdersi e a disperdersi nel mondo, come il lievito nella pasta (sul punto, vedi la relazione di mons. Casale).

Laicità come sguardo sul mondo, illuminato dalla consapevolezza che tutto appartiene al Signore: in Lui ci muoviamo e siamo, come nel nostro “ambiente divino” (vedi Teilhard de Chardin).

Una esperienza caratterizzata da un duplice ascolto: a) della Parola e b) dei piccoli. Due dimensioni intrecciate di un’unica ricerca (personale e comunitaria) di senso.

Questo percorso di ascolto ha generato un duplice radicamento: a) nella Parola stessa, come tentativo di leggere quanto accade alla luce della Parola, compresa la vita sociale; la Parola non da soluzioni immediatamente operative, ma illumina il “piano sottostante” (La Pira) agli avvenimenti in corso; b) nei quartieri più poveri della città.


2. Tre parole chiave per riflettere sui caratteri essenziali di questa esperienza di laicità: a) memoria, b) gratuità, c) politica.


a) Memoria: del mistero pasquale, come dimensione ricapitolativa di tutta la nostra ricerca e del nostro impegno. Inoltre, come riferimento costante alla testimonianza e all’insegnamento ricevuti da amici, compagni di strada, maestri, i quali ci hanno offerto il linguaggio e le categorie interpretative per “dire” (innanzitutto a noi stessi) il senso dell’esperienza che andavamo facendo.


b) Gratuità. Provo a spiegare in che senso essa ha caratterizzato la nostra esperienza, qual è il significato che abbiamo ad essa attribuito.

Gratuità in senso economico. Caratterizza il volontariato rispetto ad altre forme di impegno solidale, connotandolo come la radice della solidarietà organizzata.

Gratuità come dono. Vedi il saggio di Castelli su “L’avidità e il dono”, in cui il dono viene presentato come modo alternativo alle logiche mercificate dello scambio di concepire e vivere le relazioni interpersonali. Vedi anche la definizione che ne da Godbout (dono come offerta di beni o servizi senza chiedere nulla in cambio, allo scopo di creare, ricreare, alimentare i legami sociali).

Gratuità come potere di rinunzia (Alvaro): consiste nello stare nelle relazioni anteponendo il bisogno altrui ai bisogni propri.

Gratuità come bellezza. Bellezza intesa come l’amore che condivide il dolore (Dostoevskij). Si tratta di una dimensione fondamentale nel tempo notturno in cui siamo calati (Dossetti, Passuello). Nella società anomica, frammentata, in cui viviamo, non è più sufficiente un richiamo generico alla solidarietà e alla responsabilità. In tale contesto, la bellezza coincide con la coscienza del fatto che la libertà del soggetto non è illimitata e irresponsabile, ma si realizza nei legami, nella intersoggettività (Levinas, Dossetti).


c) Politica. La dimensione politica della nostra esperienza si è chiarita nel corso del tempo, soprattutto grazie agli scritti di P. Pio Parisi.

Attraverso il suo contributo, abbiamo imparato a renderci conto dell’urgenza di un impegno politico orientato innanzitutto a favorire la maturazione di una coscienza politica popolare e diffusa.

Abbiamo inoltre cercato di vivere la dimensione politica del nostro impegno come attenzione a tutto e a tutti, ma soprattutto ai piccoli e ai poveri (vedi l’Appello ai piccoli e ai poveri di Pio Parisi).

Come consapevolezza dei meccanismi che producono ingiustizia, esclusione sociale (vedi “Le attese della povera gente” di La Pira, del 1951; nonché gli scritti di don Milani).

Come impegno diretto non tanto a costruire risposte e/o servizi, ma a favorire un allargamento dei circuiti di solidarietà e di responsabilità.

Come promozione dell’altro in condizioni di debolezza, contro ogni tentazione assistenzialistica: chi è povero non si libera davvero se non prende coscienza della sua condizione, e non diventa soggetto attivo della sua liberazione (Freire); chi sa volare non si toglie le ali per solidarietà con i pedoni, ma insegna agli altri il volo (don Milani).


3. Le difficoltà della nostra esperienza.

Sono il riflesso di una crisi più generale (vedi la riflessione di Passuello sulla crisi della partecipazione politica).

Le difficoltà sono legate anche ad aspetti più specifici: l’appiattimento sulle attività, e il conseguente scivolamento nella routine; la perdita di vista del senso che ha motivato e orientato la nostra ricerca.

Il nodo di fondo mi pare possa essere rintracciato nel rapporto con la Parola. Nel corso degli ultimi anni si è solidificato all’interno del nostro gruppo un atteggiamento di perplessità (non necessariamente esplicitata, né pienamente consapevole) in ordine alla possibilità che la Parola sia davvero in grado di illuminare la nostra quotidianità. In questo quadro, la nostra esperienza rischia di conservare come unico ancoraggio quello alle pratiche sociali concrete.


4. Che fare?

Tessere reti tra persone, coltivare l’amicizia spirituale.

Convertirsi alla centralità della Parola, e calarla nel vissuto quotidiano.

Impegnarsi nel recupero della memoria: dell’altrui impegno e testimonianza, così come dei nostri stessi tentativi di comunicazione e di ricerca.

In questo quadro si colloca la ricerca comunitaria in cui intendiamo impegnarci, per la vita della chiesa e della città.


Pio

C’è con noi don Enrico Feroci, da pochi giorni direttore della Caritas di Roma. E’ importante per noi e speriamo anche per lui potendogli forse dare una mano. E’ una speranza per la città di Roma.


Giulio Cascino

Importanza della relazione fra gratuità e politica. In un’assemblea politica ho accennato che se si cancella la gratuità si cancella la politica. La risposta di uno che pure frequenta questi incontri è stata quasi sprezzante: il partito va sostenuto con la rete internet.

E’ importante il collegamento: se viene meno la gratuità viene meno la politica che è cura degli interessi degli altri. Tutti pensano che chi fa politica, più o meno bravo, fa i suoi interessi. Abbiamo l’icona: papi. Il consenso è: io vorrei essere capace come lui. Non credo che gli italiani siano così stupidi da pensare che lui faccia gli interessi della povera gente; il consenso è perché piacerebbe di essere come lui. E’ l’antipolitica; e lui dice: io sono l’antipolitica.


Tillo Nocera

A proposito di gratuità pensavo a Luciano Tavazza con cui, con Franco Bentivogli, abbiamo condiviso pensiero e azione. Mi ha colpito la frase di Castelli: hanno vinto loro. Hanno vinto su un terreno sul quale nemmeno pensavamo che potessero vincere, in casa nostra.

Io penso ad alcune audizioni di associazioni di volontariato, o almeno sedicenti tali, alla Camera; pretendono che si applichi al volontariato la normativa sulle imprese sociali in modo di poter partecipare agli appalti per la gestione di pubblici servizi, o servizi alla persona. Veramente è la vittoria della logica mercantilistica. Ne ho parlato di recente con Nervo alla Zancan.

Una domanda (a Pio). Lazzati ci ha fatto capire l’importanza della mediazione culturale fra il Vangelo e la storia e per questo è stato fortemente osteggiato e perseguitato anche nella Cattolica. L’associazione “la rosa bianca” lo denunciò al Santo Uffizio.

La domanda che mi pongo: la dottrina sociale della Chiesa che vorrebbe fare mediazione culturale mi sembra un rimasticamento di teorie politiche che in bocca ai politici mi vanno bene, ma in bocca al Papa più che perplesso mi lasciano sgonfiato. Mi aspetterei più parole di speranza, di annuncio di salvezza, non di una carità che fonda i suoi valori sulla ragione. Lasci fare ai filosofi.

Come conciliare la mediazione di Lazzati con questo altro tipo della dottrina sociale della Chiesa, senza rendersi conto della storicità, di cui parlava Scoppola. La dottrina sociale della Chiesa dovrebbe essere uguale in Pio IX e Papa Giovanni. E’ una contraddizione che non riesco a capire.



Alberto La Porta

Non so da dove cominciare perché il discorso è talmente ricco e tanto più che il far memoria è pensare a mia moglie, alla mia sposa che mi ha lasciato da pochissimi giorni, con la quale ho vissuto quasi 40 anni insieme. Gli ultimi sei anni sono stati i più ricchi. E’ importante far memoria di chi è stato in grado di scrivere, ma anche delle persone umili, quotidiane, che sono gli operai, i lavoratori, le persone marginali nel nostro mondo e negli altri. Senza poter scrivere hanno una ricchezza di sentimenti, di emozioni, di intuizioni che è strepitosa, che deve aiutarci, insieme a quelli che hanno riflettuto. Anche in questo gruppo mi ha sempre colpito il silenzio delle donne, mentre dentro c’è una ricchezza che dovrebbe essere portata avanti ed espressa. Accanto ai santi maggiori ci sono quelli minori che nel quotidiano esprimono emozioni, sentimenti, intuizioni che sono preziose.

Sono in sintonia anche con don Luisito Bianchi: far memoria ma attualizzando; anche le intuizioni di Lazzati, di Castelli e tanti altri vanno attualizzate oggi.

Letizia negli ultimi tempi guardava di più la tv ed era sconcertata dalla stupidità, superficialità e vacuità. C’è una cultura terribile, invasiva, in cui il gratuito non esiste, ma conta l’apparire, l’aver potere, l’autorealizzazione in senso negativo; poca responsabilità, l’obbedienza non intesa come adeguarsi al potere civile o religioso ma come un’attenzione vigile che attua, ma partendo dalla propria coscienza, da quelli che pensi in relazione alla situazione in cui vivi.

Letizia è stata sempre molto diffidente delle istituzioni politiche, organizzative, anche delle Acli. Il gruppo di Pio andava bene, non aveva strumentalizzazioni a fini di potere.

In una preghiera di don Turoldo: “Signore, liberami dalla religione e dammi la fede”. La fede ci porta sul piano delle relazioni e dei rapporti. Non la certezza della fede, ma quale rapporto con i più semplici, con i più umili. Questo mi ricorda l’ultimo libro scritto da Pietro Scoppola in cui dà ragione della sua fede; partito da certezze, poi ha scoperto che è la relazione comunitaria con il popolo di Dio. Le istituzioni sono spesso un ostacolo.

Un esempio: abbiamo vissuto con Letizia, a proposito di rete, una istituzionale, quella del S. Eugenio, e poi una rete di amici. Si tratta di promuovere queste reti.


Alberto Valentini

Un piccolo contributo per il lavoro del prossimo anno. Non è maggioranza quella che sostiene l’attuale maggioranza nel dato politico che qui è emerso.

Se guardiamo alla storia di questo popolo, per esempio alle invasioni del ‘700, il popolo italiano è sempre stato un popolo di furbi, che ha cercato di sopravvivere scansando i pericoli che gli venivano dal nord, dal mare. Un popolo di furbi non può essere che governato dal principe dei furbi.

Dobbiamo tener presente questo dove l’apparenza, la mediocrità, il non pagare il dovuto alla collettività…; ma questo popolo non è maggioranza. Quando con l’IREF facevamo il rapporto dell’associazionismo sociale. Non sono d’accordo con Passuello: il volontariato non è diminuito, si è mantenuto ad alti livelli, anche d’intensità. Pensiamo, per esempio, a Obama che è stato sostenuto da 8 milioni di volontari coordinati da un professore universitario.

Il volontariato ha bisogno di punti di riferimento, ha bisogno di obiettivi da perseguire politici o religiosi.

Va bene P. Castelli, però è datato: parla di classe operaia. Oggi cosa è la classe operaia?

Avevamo un concetto di classe operaia come un mondo di valori che poteva aspirare a un rinnovamento della società.

Il problema è che dobbiamo rifarci a una memoria più internazionale. Quello che sta facendo Yunus per i poveri: è andato dai banchieri, non lo hanno ascoltato e ha messo su una banca oggi diffusa in 70 e passa paesi poverissimi dove prendono fiducia e speranza anche attraverso un percorso di piccoli crediti. Andiamo a vedere queste esperienze. Pensa di fare qualcosa anche in Italia perché la povertà aumenta anche nei paesi cosiddetti ricchi.

E’ un tema che potrebbe essere preso in qualche considerazione.

Un’ultima cosa riguardo all’economia del dono di cui parla l’enciclica. Cosa è quell’economia senza scopo di lucro dove la gente si mette insieme e fa impresa per la collettività. I profitti li reinveste nella collettività. Rinuncia, mentre il capitalismo storico ripartisce fra i vari vertici e genera gli sconquassi che abbiamo visto, di cui risentono tutti, prevalentemente i poveri.

Economia del dono, di cui l’attuale enciclica sottolinea l’importanza. E’ la prima volta che fanno il salto del fosso. Ora si indica un percorso che non viene dalla dottrina sociale della Chiesa, da chi ha scritto, Zamagni e tutti … un filone di ricerca. Vale la pena guardarci dentro nel lavoro del futuro anno.


Damiano Nocilla

Non dobbiamo confondere classe operaia con gli ultimi. Oggi la classe operaia non c’è più perché non c’è più la fabbrica, il luogo di aggregazione e di formazione della coscienza di classe. La realtà sociale nella quale ci troviamo ad operare, secondo me, ma posso sbagliare, è profondamente mutata e su quella dovremmo appuntare la nostra riflessione, vedere cosa c’è e cosa si sta formando al di là del contingente e come si può operare nel senso della storia.

La seconda osservazione sulla frase che ha affascinato anche Tillo Nocera mi lascia un po’ perplesso: hanno vinto loro.

Come cristiano mi ribello perché se c’è una speranza che mi deve animare nel concreto è che per quanto loro abbiano la forza se non altro oltre la vita terrena vinceremo noi.

Mi domando se ci siamo interrogati sulla profonda crisi che già si declina del neoliberismo o del neoliberalismo. Per la ricerca futura sarebbe molto importante affrontare questa crisi. Non c’è dubbio che dobbiamo confrontarci con forze particolarmente subdole, capaci di elaborare strategie. Ma intanto cominciamo a riflettere su questa crisi del neoliberismo in questa società che ha fatto vagheggiare le masse e che si è svelata come la società dei “papi”, come dice l’amico.

Qui penso ci sia una grande materia, una serie di temi che andrebbero affrontato con una certa organicità; come fecondare l’opinione pubblica.


Franco Bentivogli

Non è facile intervenire dopo due poderose relazioni anche perché è stata messa una tonnellata di carne al fuoco.

Innanzitutto devo ringraziare Zanardi per questo richiamo alla memoria per questo articolo di Castelli che mi era sfuggito pur essendo un cultore di Aggiornamenti Sociali dal 1956.

L’ho trovato straordinario e attualissimo.

C’è ancora un’enorme quantità di persone che lavorano per vivere, certamente più precari di un tempo. Ma dovremmo capire che cosa è cambiato. Qui sta il punto. Castelli metteva il dito sulla piaga in quanto faceva l’esempio della cultura introdotta dagli intellettuali che in qualche modo trapiantavano la mentalità del lavoratore.

In taxi, una volta, il tassinaro diceva “via a tutti i sindacati, l’unico che ci può salvare è… Proprio in queste pillole si coglie come la pensa la gente.

Quando ero ragazzo – ora sono molto vecchio – non ho mai sentito una mentalità così. Si era vicini con ogni genere di lavoratore. Il senso del bene comune era molto più alto.

Di questo va preso coscienza. Due cose fondamentali sono cambiate.

Primo: certamente la trasformazione del lavoro. Ricordo, da ragazzo un seminario della Gioc. Stiamo passando da un lavoro solidaristico di fabbrica, verso il lavoro autonomo, individuale, dove gli elementi fondamentali sono più la competitività che la solidarietà. Questo ha riguardato milioni di persone.

L’altro elemento è la sterilizzazione progressiva di tutte le strutture che producevano cultura: sono venuti meno i sindacati, i circoli, i direttivi di fabbrica, la scuola…

La cultura civile nella scuola non è mai stata abolita, ma non si insegna più.

Le parrocchie: la potenza formativa è oggi in alcuni casi molto devitalizzata.

C’è poi stata la caduta dei “modelli” (Scoppola, De Gasperis, Lazzati…). Quando è morto Scoppola ho pensato: non c’è più nessuno.

A commentare l’enciclica ho sentito un certo Quagliarello chiamato come capogruppo di qualcosa, ma desolante.

Quando è uscito il Compendio della dottrina sociale ho avvertito un senso di desolazione: i poveri laici che dicevano “finalmente c’è un libro in cui posso trovare quello che devo fare” in mezzo a tanti preti e vescovi. Me lo sono riletto e ho trovato messe insieme le cose che conoscevamo.

E’ venuto meno il sindacato che era un fatto educativo enorme. Oggi è solo mediocre indottrinamento.

La scuola è di una povertà estrema. Interrogando gli studenti per la strada si drizzano i capelli dallo spavento: un’ignoranza abissale. Un mese fa ho chiesto a un amico romagnolo: quando è stata abolita la cultura civica nella scuola? Abolita mai, ma non è mai stata istituita ufficialmente. Nelle grandi spinte che ci avete portato voi – le 150 ore, ecc. – è diventato normale. Progressivamente è rimasto un po’ di “fai da te”. Quando si sente un ragazzo che ha fatto le superiori e non conosce nulla della struttura democratica della società vuol dire che non ne ha mai sentito parlare.

Le parrocchie: penso alla potenza formativa umanizzante che avevano negli anni ’50! Oggi ci sono “alcune” buone parrocchie.

Mancano le strutture formative.

Il diritto di sciopero: fa sciopero la Croce Rossa e uno può rimanere per terra agonizzante perché sono in sciopero. Come fa la Chiesa ad essere così in ritardo sul mondo e sulla vita. Nella Rerum Novarum si parlava di sindacato corporativo, associazioni miste di padroni e operai. La Chiesa dovrebbe aggiornarsi.

Le autonomie sono una componente essenziale della democrazia e se la Chiesa non ha ancora capito questo è pre-democratica.

Il nodo che abbiamo di fronte è come rivalutare questi laici. Non credo che serva molto il banchiere citato prima. Il nodo è come ridare vita al dono, alla gratuità, alla sobrietà che costituiscono un intreccio: non c’è gratuità senza sobrietà nella vita, nei comportamenti, nelle relazioni. Quando il Presidente del Consiglio dà del coglione a chi paga le tasse è frutto di una cultura dei furbi, come veniva messo in evidenza.

Importantissimi quindi incontri come questi. Leggo attentamente quanto si produce. Bisogna tornare alle radici. Sono del parere che il vero volontariato è in declino. Dobbiamo rispettare il lavoro del terzo settore e tutto il lavoro di cura in particolare, ma non confondendolo con il volontariato. Siccome il volontariato sono i buoni e gli altri no tutti vogliono fare il volontariato. Ma se fai un lavoro socialmente utile, anche retribuito, fai una cosa validissima ma non è volontariato.

Leggo l’Enciclica ma non ci troverò i lavoratori di Milano e Conegliano Veneto con cui ho lavorato. Forse conviene tenerci buona la Populorum Progressio e la Pacem in Terris.


Ruggero Orfei

Ho lavorato sull’Enciclica perché dovevo scriverne. La ritengo di svolta, alternativa a un disegno complessivo che era da tempo dominante. Non cita mai l’economia sociale di mercato. E’ una critica di sistema, alternativa. Il mercato viene smontato. Sono rimasto stupito, non so chi abbia scritto questo testo.

Scrissi un libro sui tabù della dottrina sociale cristiana e mal me ne incolse. Quel libro fu superato abbastanza presto da Wojtyla che ricoprì molte delle buche che avevo trovato. Non è che io sia tenero a priori.

C’è una svolta e una discontinuità confermata dal fatto che il Papa dice che c’è continuità.

Ci sono quattro punti.

C’è già in Obama: un riordinamento complessivo della nostra civiltà che lui non nomina come capitalismo. Noi consideriamo capitalismo un sistema che non è. E’ una situazione di naturalismo. All’interno di questo l’Enciclica è molto importante; rimette in modo delle energie come la gratuità. In un convegno con De Matteo dissi che la carità è un elemento strutturale collegato alla fraternità. Cananzi disse che la carità è una virtù; non aveva capito niente. Il Papa sottolinea moltissimo gli elementi strutturali: la carità è l’elemento strutturale della società che dobbiamo costruire. La gratuità e il dono; la politica non come servizio in senso generico ma come dono. Per questo è importante il volontariato che è in una fase di decadenza perché tende ad essere la Croce Rossa del sistema esistente e quindi è aiutato dallo stesso sistema.

Il richiamo alla dedizione è il cambiamento da proporre: la politica come dedizione. Nel ’53 non c’era già più nessuno disposto a portare i volantini: fui sconvolto.

Vale la pena di leggere l’Enciclica.

In Italia c’è una situazione di neocorporativismo diffuso che ha dominato per 50 anni. Si è evitata la guerra civile, la pace sociale ha un grande valore. Una grande saggezza che comincia da De Gasperi. Ma c’è stata la degenerazione dello stato di diritto. La stessa classe operaia è diventata quasi esterna. Sono diventati precari lo stato di diritto e la coscienza civile,

L’attacco più diretto fu fatto da Pannella con i venti referendum, attacco massiccio, sistemico. Battistacci diceva che Pannella era un delinquente che aveva capito come far sparire il sindacato.

Anche il concetto di classe operaia va trasferito nelle classi subalterne. Rodano diceva – e in questo concordo – che la Chiesa non ha mai attaccato lo sfruttamento come tale. Nell’Enciclica questo c’è: la povertà è causata dalle persone, non è un prodotto della natura; sono scelte che si fanno. Dobbiamo rifare il tessuto.

La Chiesa non predica il peccato di evasione delle tasse.


Don Enrico Feroci

Sono stato nominato Direttore della Caritas ma prenderò servizio il primo settembre. Non conosco bene la Caritas di Roma se non per i servizi che eroga. Dipendenti direttamente dalla Caritas siamo in tre o quattro, poi ci sono 230 persone dipendenti di una cooperativa di cui sono il presidente.

La parola “carità” significa diaconia. Ci sono due tipi di diaconia: “ex fide”, che significa che dalla carità, da Cristo, rendo ai miei fratelli quei servizi che scaturiscono dalla mia conversione battesimale, pur essendo servizi che anche altri possono fare mossi da altre motivazioni. Servizi ai malati, ai drogati, ai carcerati e a tutte le forme di emarginazione che possono nascere semplicemente da un desiderio di solidarietà con il fratello. Per il cristiano acquistano un significato particolare perché sono il frutto di una fede matura. Il secondo tipo di carità è la diaconia “fidei” che scaturisce dalla fede, servizio alla fede: sono le varie forme di evangelizzazione, di servizio pastorale, di sostegno alla comunità. Due cose strettamente legate fra loro ma per un cristiano la diaconia “fidei” è il servizio più importante che possa rendere. E’ importante dare il pane, la giustizia, la possibilità di una vita umana ma se poi all’uomo non si consegna un motivo profondo per vivere tutte le altre cose perdono senso.

Mi auguro di essere capace di fare queste due cose, chiedo anche la vostra solidarietà e amicizia, le vostre riflessioni e anche la vostra preghiera.

Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera il 5 febbraio 2000 diceva che la Chiesa oggi potrebbe correre il rischio di tramutarsi di fatto in un’agenzia generica di edificazione morale e di pronto intervento caritativo (la Caritas appunto), in una fornitrice collaudata di valori e di risorse etiche. A una Chiesa del genere molti poteri forti italiani sono pronti a fare ponti d’oro, così come l’intero mondo dell’immagine e della comunicazione. E’ pronto a stabilire con i prestigiosi arredi e cerimonie della tradizione cattolica, le grandi scenografie di origine sacra: un rapporto simbiotico tanto zuccheroso e buonista nelle apparenze quanto duramente profano nella sostanza. E’ quello che non vogliamo, occorre difendersi e allora abbiamo bisogno del vostro aiuto, del vostro supporto. Credo che il mio compito fondamentale non sarà quello di dirigere i servizi che si fanno, ma sarà quello di mettermi vicino ai piccoli gruppi, ai piccoli cerchi che ci sono al di fuori o dentro le parrocchie per far sì che i pensieri del servizio all’uomo possano crescere sempre di più.



Lorenzo D’Amico

Il povero più che il luogo del servizio deve essere il protagonista, come diceva Giorgio stamattina. Occorre ridurre i danni provocati dalla legge sull’immigrazione. Sembrava di aver ottenuto che l’accesso alla scuola e alla sanità fosse a prescindere dal permesso di soggiorno; poi hanno fatto passare la norma che l’esame di maturità può essere fatto soltanto se si presente un documento e il codice fiscale. Senza permesso di soggiorno non puoi averlo. Questa piccola cosa che è passata sottobanco impedisce di fatto l’accesso alla scuola. La frequentazione della Parola ci permette di cogliere che quelle persone che a noi sembrano schiacciate, perdenti, sono quelle che in qualche modo rimettono tutto in discussione, ci costringono a pensare in profondità e fanno saltare anche i nostri schemi che ci sembrano buoni. Cerchiamo di avere uno sguardo vero sulle tante periferie del mondo nelle quali la Parola è in mano ai poveri.


Alberto Valentini

Riuscire a coniugare il lavoro di servizio ai poveri con capacità di capire i problemi e riportarli nella dimensione della fede, non vedendoli come due momenti separati, non è facile, lo sappiamo. Ci si può sforzare di creare questo flusso di andata e ritorno, di sperimentazione, e riportarli a sintesi in una dimensione di fede. La Parola forse ci aiuta: il passo di “Marta e Maria” ci aiuta a tenere insieme questi due momenti.


Pio Parisi

Il titolo dell’Enciclica è “Caritas in veritate”, rovesciamento di un testo di Paolo che dice “veritas in caritate”, come dice lo stesso Papa nell’introduzione.

Nel magistero ecclesiale sociale non è stato ancora affrontato il partire dal Mistero svelato e da questo trovare l’etica. La dottrina sociale della Chiesa ha il suo valore ma non è ancora lo sviluppo del Vangelo. Quando si parla dei valori del Vangelo ha un senso ma non è il Vangelo che non è un’etica ma rivelazione del Mistero. All’affermazione autorevole che il cristiano o è un mistico o non è cristiano ancora non si è dato un seguito. C’è ancora un passo da fare che a me sembra urgente specialmente tenendo presente la pace nel mondo: il mondo ha ancora bisogno del Vangelo, dell’annuncio del Mistero. A chi ha grandi responsabilità ecclesiali ho scritto: non ho nessun dubbio che il Mistero Pasquale sia nella vostra mente e nel vostro cuore ma non è ancora il criterio di lettura della storia. Sarebbe l’Apocalisse.


Seconda parte dell’incontro: il futuro del nostro lavoro.


Il valore dei nostri incontri è che sono un fatto di amicizia e non c’è niente di istituzionalizzato, ed è a servizio di realtà istituzionali, per esempio sarebbe bello poter aiutare la Caritas.

Per fare un lavoro serio però ci vuole un grande ordine, data la ricchezza di esperienze; se non ci sforziamo di ordinarle si conservano difficilmente. Per questo mettetecela tutta e lasciate che tutti ce la mettano tutta. Per fare un lavoro di gruppo, in sola amicizia, ci vuole un grande ordine.

Alle Acli dicevo che l’organizzazione è come assecondare l’azione dello Spirito Santo che “tutto unisce perché conosce ogni linguaggio”. Cerchiamo di ascoltare e riconoscere l’esperienza di tutti e mettendo in ordine.

L’anno prossimo continuiamo a lavorare sulla memoria sia delle cose che ci siamo detti e scritti, talvolta, e quello che oggi pensiamo, ritornando anche ad autori a cui abbiamo attinto: Theilard de Chardin, Dossetti, La Pira, Castelli…

Cerchiamo così di arrivare a una certa sintesi che possa essere utile ad altri.


Giorgio Marcello

Oltre l’appuntamento mensile per tutti, è importante che un gruppetto si dia dei tempi un po’ più distesi per coordinare l’impegno di tutti. C’è un programma di lavoro pluriennale.


Pio Parisi

Leggiamo i fuochi a cui per ora abbiamo pensato e i testi che abbiamo scritto e a cui ci siamo particolarmente riferiti.



Cercando la docilità allo Spirito e alla Parola


A partire, in particolare, dal ’75,

in rapporti di semplice amicizia,

si è sviluppata una ricerca di Dio in Gesù Cristo

e di responsabilità verso tutte le donne e tutti gli uomini,

nei diversi momenti della loro convivenza,

dalla famiglia ai rapporti internazionali.

Ci siamo rivolti a diversi autori e noi stessi abbiamo

raccolto il nostro pensiero in alcuni scritti:


  • Pio Parisi, “La coscienza politica”, p.m. (1975), pp. 195 (testi in giacenza)

  1. Fede e politica

  2. Bisogno urgente di una politica rivolta alla formazione della coscienza politica

  3. Inizio di un’analisi (molto datato)

  4. Una corrente per la politica


  • M. Castelli, S. Corradino, P. Parisi, P. Stancari

Dialoghi sulla laicità”, Rubbettino, 2002, pp. 250

La profezia del popolo di Dio sul mondo

Già pubblicato da Città Nuova nel 1986


  • A cura di G. Marinelli, E. Bianchi, M. Castelli, S. Dianich, C.M. Martini, D. Mongillo, P. Parisi

AA.VV. “La speranza per la politica”, Ed. Lavoro, 1991, pp. 104

Spunti politici sulla radicalità cristiana.


  • M. Castelli, S. Corradino, P. Parisi, P. Stancari

La laicità difficile”, Morcelliana, 1991, pp.170


  • M. Castelli, P. Parisi, F. Rossi De Gasperis, P. Stancari

Dal profondo”, CENS, 1995, pp. 249

Laicità e grazia nell’impegno sociale e politico dei credenti


  • M. Castelli, S. Corradino, P. Parisi, P. Stancari, Sartori, F. Rossi De Gasperis

Per un catechismo della laicità”, CENS, 1995, pp. 190

Un discorso semplice verso il cuore del Mistero


  • Pio Parisi

La cattedra dei piccoli e dei poveri”, AVE, 1995, pp. 96

Cap. 1 – Pio Parisi

Cap. 2 – In ascolto della parola, Pino Stancari

Cap. 3 – Interventi: De Angelis, Cece, Bertolini, Gaudioso, Marcello, Ammirata, Mignini, Vita, Ferri, Milana

Cap. 4 – Mario Castelli


  • P. Parisi, P. Polverari, G. Trotta, P. Tufari

Mario Castelli s.j.

Laicità come profezia”, Rubbettino, 1998, pp. 164

Per una biografia

Fuochi

Lettere

Nota bibliografica


  • Pio Parisi

La ricerca di Dio e la politica”, Rubbettino, 2000, pp. 147

Quattro scritti commentati da Piero Fantozzi, Giorgio Marcello, Gianfranco Solinas

Perché un problema politico della fede

Appello ai piccoli e ai poveri

Lo scasso: per un ritorno alle radici

Preghiera, povertà e politica.


  • Pio Parisi

Lettere agli amici”, Scriptorium, 2003, pp. 118

Dalla laicità alla vita consacrata

Interventi di Pino Trotta sulla vita dell’autore


  • Mario Castelli

Vangelo e politica”, Scriptorium, 2004, pp. 172

Scritti spirituali 1993-97

L’impegno del cristiano a partire dalla politica di Dio per la pace. Punto principale per il futuro della Chiesa


  • Pio Parisi

Mistero e coscienza politica”, Rubbettino, 2005, pp. 214

Con letture bibliche di Sandro Ammirata

Il Mistero. Povertà e gratuità. La coscienza politica. La conversione.

Citati Metz e Mongillo


  • Pio Parisi

Abita la terra e vivi con fede

Discernimento comunitario della dimensione sociale alla luce del Vangelo; p.m., gennaio 2006, pp. 136

Appello agli europei (marzo 2004)

Democrazia e conversione (sett. 2004)

Servire la comunicazione: 10 punti (gennaio-luglio 2005)

Lettere di Pio Parisi sulla fede

Interventi vari


  • Incontri Maurizio Polverari

Depositum charitatis”, 2007, p.m., pp.83 (testi in giacenza)

Ci proponiamo di raccogliere e comunicare fra noi e ad altri, in forma chiara e comprensibile a tutti, le esperienze che abbiamo fatto cercando di vivere la carità ai nostri giorni, partendo da alcuni temi che sono stati al centro della nostra esperienza. Diciannove punti.


  • Pio Parisi, Lorenzo D’Amico

Dialoghi sulla vita consacrata”, Scriptorium, 2007

L’azione dello Spirito sul mondo.

Lettere di e tra Clara Gennaro, Pino Trotta, Giorgio Marcello e Pio Parisi fra il 1991 e il 2004.


  • Incontri Maurizio Polverari

Parole, nei discorsi, nel Vangelo, nella vita”, 1° volume, p.m., luglio 2008, pp. 192, 75 parole.

Per uno sguardo allargato a quello che lo Spirito ci fa comprendere. Una “sinossi”.

  • La Parola ai piccoli


  • Urbino


  • P. Pino Stancari – Lectio


  • Testi di riferimento: Theilard, La Pira, Mongillo, Metz, Dossetti, Castelli, Ratzinger, Corradino



Impegnati quest’anno, 2009, sul tema della memoria, che sembra svanire sul piano civile e religioso, ricordando Giuseppe Lazzati nel centenario della sua nascita, ci proponiamo ora di far memoria di quello che noi stessi abbiamo pensato e comunicato ad altri negli ultimi decenni.


Nella nostra ricerca ci sono apparsi particolarmente importanti alcuni temi che chiamiamo “fuochi”, collegati fra loro in una rete e in circoli concentrici, che s’incontrano e si contengono. Indichiamo alcuni fuochi ed ovviamente ce ne sono innumerevoli altri.


Senso

Interrogativo di fondo sul senso della vita, della morte, della sofferenza... Il terreno aperto a ricevere il seme della Parola e a consentirne la crescita. Alternativa al potere- indottrinamento e all'autoritarismo.

Mistero

Con la m minuscola è l'interrogativo sul senso che permane e si rafforza nonostante tutte le

spiegazioni delle scienze e dell'esperienza umana.

Con la m maiuscola è Dio e il suo disegno nei confronti del creato. Il Mistero Pasquale.

Fede

Operazione di Dio (Spirito) nel nostro spirito per cui nelle vie più diverse ci apriamo alla comunione con la vita eterna. Non siamo protagonisti. La salvezza non si lascia gestire.

Conversione

Realizzazione concreta e primaria dell'impegno sociale e politico. Conversione nell'amore per Dio e per il prossimo fondamento dell'etica.

Vita consacrata

Al di là delle nostre classificazioni (sacerdozio ministeriale, vita religiosa con regole) è l'adesione a Dio: adoratori in spirito e verità (Giov. 4).

Povertà

Conseguenza di ingiustizia, da combattere.

Via della salvezza per la comprensione del Vangelo.

Condizione per la politica.

Riforma della Chiesa.


Gratuità

Componente della vita economica. Rivelazione del Mistero infinito che è Dio. Sacramento della vita cristiana.

Radicamento

Condivisione della vita di chi è emarginato. Incarnazione della sequela del Verbo fatto carne.

Politica

Alternativa alla seduzione del potere-dominio.

Responsabilità verso tutti e verso il tutto della convivenza sociale.

Primato della maturazione della coscienza politica popolare.

Pace

Fine della politica a partire dalla politica stessa di Dio.


  • Spirito e strutture

Dualità e profonda unità in tutti i momenti della vita personale e sociale.

Lo Spirito è la causa e le strutture condizione necessaria.


  • Laicità

Dimensione fondante del cammino umano sul piano sociale ed ecclesiale


In amicizia invitiamo a scegliere uno o più testi ed uno o più fuochi per realizzare, con la comunicazione reciproca, un lavoro comunitario.


Si tratta di leggere il testo, o i testi, cercando di cogliere e condividere l’esperienza spirituale in esso contenuta e di scrivere una scheda, della lunghezza opportuna, con tutti gli sviluppi personali, da comunicare ad altri.


Chi sono gli altri? Chi fa questa proposta?


Da quando un grande amico ha terminato il suo lavoro terreno (1994) chiamiamo la nostra ricerca “Incontri Maurizio Polverari”; molti incontri precedenti hanno avuto luogo nelle Acli, alcuni di noi sono impegnati a Cosenza nell’Associazione S. Pancrazio.

Ci aiutano in particolare Pino Stancari, Suor Chiara Patrizia, Clara Gennaro, Gianfranco Solinas e diversi altri.

Il legame è l’amicizia che si realizza soprattutto nella comunicazione di esperienze spirituali.


Ora ci proponiamo, ritornando su ciò che abbiamo già pensato e con una semplice divisione del lavoro, di raccogliere un piccolo “depositum caritatis”.


Fra gli autori degli scritti appare prevalentemente il nome di Pio Parisi. Di fatto è stato spesso il punto d’incontro e il promotore, soprattutto proponendo di approfondire il rapporto fra il Vangelo e la politica.

La ricerca, tuttavia, si è avvalsa dell’esperienza e della riflessione di tutti i partecipanti. Il principale aiuto per l’ascolto della Parola è venuto dal P. Pino Stancari.


Dopo aver proposto e vissuto la sinossi, ora proviamo a fare sintesi, ovvero una integrazione dei vari elementi della nostra ricerca, cercando una qualche completezza. tenendo conto dei tentativi già fatti, e in continuità con essi. Questo impegno è da vivere non come nostra iniziativa, ma nella docilità allo Spirito, nel flusso della Tradizione.



Quale scopo?


  • Per noi, per la nostra crescita spirituale, per la nostra santificazione personale, per l’amicizia tra noi (comunità?).

  • Con l’obiettivo di estendere ad altri i frutti di questa ricerca (altri gruppi: 16/5, Firenze…)

  • Come intervento a servizio della Chiesa (in senso pieno, non solo in senso gerarchico). Di una Chiesa sempre più frammentata, disintegrata. Alcuni aspetti di questa disintegrazione: nel rapporto tra fede e impegno nel mondo; nel rapporto tra il presente e il passato e, quindi, nel costruire il futuro; nel tener presenti insieme il locale e l’universale; nei fenomeni di autoreferenzialità e di clericalismo, che attraversano la Chiesa in generale, come anche le sue singole componenti.


















Fuochi



Senso mistero fede conversione vita consacrata

povertà gratuità radicamento politica pace


Spirito e strutture (trasversale)


Laicità (onnicomprensivo)



Innumerevoli relazioni


Profonda unità



1 Presenti: Pino e Celeste Baldassari, Franco Battista, Giulio Cascino, Lorenzo D’Amico, don Enrico Feroci, Luigi Ferretti, Francesco e Roberto Giordani, Alberto La Porta, Giorgio Marcello con Monica e Poldo, Laura Marini, Maria Luisa Matera con due amici, Susanna Mink, Tillo Nocera, Damiano Nocilla, Ruggero Orfei, Massimo Panvini, Pio Parisi, Anna Maria Polverari, Alberto Valentini, Flavio Zanardi (Franco Passuello e Soana Tortora nel pomeriggio)