Incontro 16 maggio 2009
Franco Passuello
Mentre tanti appaiono sedotti e sedati il recupero della memoria ci si rivela sempre più necessario per una coscienza politica popolare.
Non è cosa semplice. Cercherò di rintracciare i fili della speranza. E posso farlo solo se faccio memoria del Mistero Pasquale, solo se sono disponibile a mettermi – per quel che mi è dato – alla sequela del crocifisso risorto.
Teniamo questo incontro in un percorso che fa memoria di Giuseppe Lazzati. Sento il bisogno di chiarire in proposito la mia posizione.
Un tempo si descrivevano le diverse posizioni sul rapporto tra fede e politica utilizzando tre concetti: presenza, mediazione, paradosso(o radicalità). Lazzati è considerato il maestro della spiritualità della mediazione. Ed avendo sempre preferito quella della radicalità, io lo ritenevo in qualche modo ancora sensibile ad una logica clericale.
Ora so che ho a lungo frainteso il pensiero di Lazzati, uomo di autentica laicità cristiana. L’ho incontrato una sola volta. Ho letto molti suoi scritti e ho ascoltato una sua relazione, a Ferrara, sulla scuola cattolica: non ero proprio d’accordo con lui.
Ho riscoperto Lazzati dopo la sua morte attraverso Dossetti: nei colloqui con lui e leggendo il suo discorso sulla “sentinella, quanto resta della notte?” (Is. 21, 11) fatto in commemorazione di Giuseppe Lazzati nell’anniversario della morte, il 18 maggio 1994.
Continuo comunque a pensare – senza per questo sottovalutare i limiti di ogni schematizzazione di questo tipo – che la spiritualità della radicalità cristiana sia preferibile a quella della mediazione. Non fosse altro che per l’interpretazione concreta che ne è stata data, purtroppo, da molti politici cattolici.
Lazzati resta all’interno della distinzione, elaborata da Maritain, tra l’operare “in quanto cristiani” nell’apostolato e l’operare “da cristiani” in politica. Una distinzione che si comprende per la preoccupazione di non coinvolgere la Chiesa gerarchica nelle proprie scelte politiche. Quella distinzione e quella preoccupazione non riescano a sciogliere – a me sembra – il nodo della “laicità incompiuta” dei fedeli cristiani di cui lo stesso Lazzati parlava. L’ordinamento gerarchico della Chiesa è un sedimento storico. Nella parola di Dio uno è il sacerdote, il mediatore: il Cristo. E poi c’è il “sacerdozio di comunione” come preferiva chiamarlo Dossetti che è della chiesa in quanto comunità attraversata da diversi ministeri e carismi.
Dossetti, come sappiamo, ha contribuito non poco alla stesura della Lumen Gentium e riteneva ci fosse una certa contraddizione tra i primi due capitoli che rifondano il sacerdozio comune dei fedeli e il terzo che conferma rigidamente l’ordinamento gerarchico. Già due anni dopo il Concilio – in un saggio pubblicato su “Il Mulino” – Dossetti affermava: l’ecclesiologia della Lumen Gentium si è purtroppo fermata là dove doveva riconoscere la centralità, nella Chiesa, della diaconia per il Regno dei semplici cristiani.
Nasce di qui, secondo me, il limite di autonomia (e quindi di laicità cristiana) dei fedeli laici: la loro autonomia in politica è riconosciuta quando all’istituzione ecclesiastica conviene non essere coinvolta; è invece revocata quando la presenza dei laici in politica è vista come strumento per affermare gli interessi cattolici. E accade spesso, di questi tempi.
Rileggendo il Lazzati degli ultimi anni, mi sono reso conto che la mia lettura era prevenuta. La costruzione della città dell’uomo è una vocazione del cristiano. Perché la città dell’uomo è in qualche modo segno della città di Dio. Il ruolo dei laici cristiani, in politica, è la mediazione, intesa non come ricerca di un’intesa ad ogni costo, ma come capacità di lavorare con tutti alla ricerca del massimo bene comune possibile.
Continuo a percepire una certa differenza con l’approccio della radicalità cristiana: in politica ci sto proprio perché cristiano “per animare le cose del mondo secondo Dio” (Gaudium et Spes). Ma debbo starci con un’acuta consapevolezza degli scarti ineliminabili tra le cose del mondo e il Regno che si va compiendo attraverso ed oltre la storia. Come discepolo del crocifisso risorto e glorificato, vivo anche la politica, nel suo essere servizio ai fratelli, nella spiritualità dell’attesa. Testimoniando e invocando.
Il fedele cristiano è chiamato a fondare la sua azione politica su un discernimento spirituale del tempo che viviamo.
Un’analisi sociologica e culturale è sempre necessaria per la mia azione competente. Ma per orientare la mia azione nella luce della fede sono tenuto a discernere il senso del tempo che stiamo vivendo nell’economia del Regno. Lo scarto inevitabile tra fede e politica non può essere “mediato”: sono chiamato ad avvertirlo come una tensione ineliminabile che alimenta l’invocazione e la vigilanza nell’attesa. Vieni!
Se non vivo nel mondo (e quindi nella politica) con questo discernimento e con questa tensione, accade quel che stiamo vedendo.
Sono indignato, ad esempio, per la mancanza di indignazione da parte di troppi cristiani e della stessa istituzione ecclesiastica di fronte a quello che sta accadendo in Italia sui temi dell’immigrazione e della “sicurezza”. Eppure, con gli occhi della fede, è questo il luogo teologico che oggi può diventare occasione per trasformare il rifiuto intollerabile dell’altro in un segno dei tempi. Sì, tardivamente i nostri Pastori fanno qualche timido richiamo di fronte ai respingimenti in mare e alla grave negazione dei più elementari diritti umani che comportano. Però questo non toglie che verso questo governo ci sia un atteggiamento di sostanziale consenso. Sono indignato.
Il problema, purtroppo, non è solo della gerarchia e non è solo dei cattolici. Non vediamo, più in generale, una reazione adeguata a quel che sta accadendo. È una spia forte della crisi della partecipazione popolare; e prima ancora una spia della caduta di coscienza politica: paura, ripiegamento, rifiuto, impegni individualistici del tempo... Ma c’è di più. La partecipazione o è strumento di consenso a breve termine per i leader o è un’inutile complicazione, un fastidio. Accade non solo nei partiti e nelle istituzioni, ma anche nel sindacato e nell’associazionismo.
Pio Parisi ci indica la politica “dal basso” come la strada maestra da percorrere. Ed è giusto. Dobbiamo però tenere conto che un consenso esteso alla destra, oggi, viene dalla base popolare e anche dai più poveri. La seduzione del “pensiero unico” ha agito anche su di loro. Bisogna poi tener conto di quel che è accaduto negli Stati Uniti con Obama: un leader ha saputo interpretare i disagi e i valori profondi di una nazione ed è riuscito a dare loro forma politica. E questo ha consentito di sconfiggere democraticamente poteri che apparivano quasi invincibili.
Con gli occhi della fede vediamo che, al di là della seduzione, c’è molto bene nel mondo. Eppure tutti percepiamo che stiamo assistendo ad un dominio del male (nel senso biblico). Non è solo la nostra paura ad ingigantirlo. Viviamo in un tempo escatologicamente forte. Basta rileggere l’Apocalisse. Sappiamo che il male è stato già vinto. Ciò che l’occhio della sociologia non vede, il cuore illuminato dallo Spirito può vedere. Il male appare trionfante ma è stato già vinto dall’Agnello sgozzato. Siamo nel cuore del Mistero. Il numero degli uccisi innocenti (Ap. 6) non è ancora compiuto. Altro che idolatria della vita biologica. E non dimentichiamo che il male è ingigantito dal nostro cuore di pietra, dalla nostra ostinata incapacità di rispondere con un sì al disegno d’amore del Padre.
Promuovere una coscienza politica popolare significa per noi, in quanto cristiani, partire da questa consapevolezza. Solo così possiamo non essere sedotti e sedati. (Ancora l’Apocalisse, cap. 13: la seconda bestia tra i suoi poteri ha quello di sedurre).
Il problema è che questa seduzione colpisce anche ampie fasce popolari. In basso, nella società, non c’è solo piccolezza. Il tema della coscienza politica popolare diventa decisivo. Ma può farsi strada solo se riusciamo ad attraversare le menti sedotte per giungere direttamente al “cuore di carne” della persona.
Vengo da una lunga esperienza sociale e politica: la coscienza politica nasce da una consapevolezza della propria condizione ingiusta. Ed era alimentata da una certezza: solo uniti ci si può liberare. L’abbiamo chiamata in diversi modi: coscienza di classe, dell’ingiustizia. Oggi in molti la chiamano coscienza dell’insostenibilità di questo modello di sviluppo.
Tante menti sono sedotte. Molti, però, sono in cammino per sottrarsi a questa seduzione e maturare una nuova coscienza. Però non fanno notizia. Non come dovrebbe essere. I poteri costituiti e i media che sono al loro servizio, impediscono una loro giusta considerazione. Penso al “movimento dei movimenti” che, in reazione alla globalizzazione del capitalismo neoliberista, si è raccolto nell’esperienza del Forum Sociale Mondiale. Sono organizzazioni della società civile che rappresentano decine di milioni di persone: convergono attorno all’idea che “un altro mondo è possibile”. La politica ufficiale (anche di centrosinistra) l’ha deriso e a volte violentemente represso (come a Genova). Nessun mito, sia chiaro. Il movimento ha diversi limiti. Ma resta, in questo tempo notturno, un segno di speranza che nasce dal basso. E resta tale anche se una parte della politica dall’alto cerca di strumentalizzarlo.
Questo è tanto più vero se guardiamo la situazione in cui si trovano tutti i soggetti che sono stati la forza portante che ha consentito il patto democratico e redistributivo tra società e capitalismo industriale. La situazione del sindacato, in Europa, è drammatica (ne parlavo, proprio, ieri, con due sindacalisti autorevoli e di lunga esperienza). Ci sono limiti e ritardi delle organizzazioni: burocratizzazione, incapacità di cogliere le novità del tempo… Ma c’è assai più di questo: le trasformazioni hanno reso quasi impossibile organizzare una forza sociale e un conflitto regolato in grado di contrattare con i poteri che dominano il capitalismo neoliberista. La finanza speculativa che ha causato la recessione che stiamo vivendo è socialmente e politicamente irresponsabile. Ed è stata sin qui inafferrabile come controparte.
Il sindacato italiano, mi dicevano gli amici sindacalisti, resta il più forte del mondo. Eppure non è certo in buona salute: disunito, emarginato da chi governa, sempre più in difficoltà nel rappresentare i lavoratori… Figuriamoci gli altri.
E l’associazionismo nelle sue varie versioni? È il soggetto che più ha invocato e testimoniato la fraternità e la solidarietà. Perché, di fronte a quel che sta accadendo, non riesce ad esprimere l’indignazione morale e l’iniziativa sociale che sarebbero giuste e necessarie? Purtroppo anche molte associazioni, in questo tempo buio, si stanno trasformando in un sistema di interessi che bada prima di tutto a rassicurare se stesso. “Cosa possiamo fare? – si sente dire –. Governa la destra che riduce la solidarietà a compassione verso coloro che la sua politica impoverisce e mette ai margini della società. Se mi ribello, perdo le convenzioni, i finanziamenti… E non posso più svolgere i compiti per i quali esisto”. Ma in questo modo, tacendo di fronte all’ingiustizia crescente, non ci si rende complici di chi la causa?
La Lega è arrivata a teorizzare l’apartheid nella metropolitana di Milano. Solo una intemperanza elettorale, qualcuno dice. Guai a sottovalutarla. Perché se serve a prendere voti, ci conferma che una parte importante del senso comune sta andando in quella direzione. La politica, tutta la politica, insegue il consenso a breve termine. Questo vuol dire che il regresso civile della società contribuisce ad imbarbarire la politica.
Il cambiamento dal basso in questa situazione è molto difficile. Coscienza e partecipazione hanno bisogno di luoghi liberi dall’influenza dei poteri seduttivi e delle loro logiche. Ed hanno bisogno che qualcuno si assuma la responsabilità di promuovere questi luoghi e di individuare le modalità che possono favorire la nuova coscienza popolare che Pio non si stanca di riproporci. Non nasce più ad opera del sindacato, dei partiti, delle associazioni, non abita più quasi naturalmente nella fabbrica e nei quartieri accomunati da un’unica condizione di sfruttamento e di subalternità. Nella società plurale, differenziata di oggi l’ingiustizia è sempre più grande e la coscienza sempre più piccola. Ognuno si affanna a cercare la propria via a diventare più ricco, più visibile, più di successo: sedotti e sedati.
Nuova coscienza popolare, una politica che ritrovi dal basso le proprie radici e il proprio senso.
Se non il cristiano, chi?
Se non ora, quando?
Noi siamo (dovremmo essere) dei privilegiati: se davvero siamo donne ed uomini che camminano sulle orme del Crocifisso Risorto non possiamo farci sedurre dal “principe di questo mondo”, neppure dalle sue facce più ammiccanti e tentatrici. Spendere la nostra vita nella passione e nella testimonianza del Regno. È questa la radice della nostra politica.
Non si parte dal niente. Ci sono molte buone pratiche, molti tentativi di chiamare a raccolta. Però… Molti sembrano accomunati da una sola passione: coltivare il proprio orto. Non la vigna del Signore. Perché non riusciamo a cooperare, a unire le forze? Eppure è oggi più che mai urgente, indispensabile.
Troppi cattolici stanno nella società e in politica a partire dalla propria identità culturale e storica invece che coltivando il loro sentirsi ed agire come servi inutili a servizio dei fratelli e del Regno. Questo, almeno, percepisco. Ci sono cose buone ma non riescono a diventare lievito nella pasta. Tantomeno a diffondere coscienza politica popolare dal basso. A volte non si pongono neppure il problema di agire per cambiare la città dell’uomo. Sono felici del loro fare buono. Autoconsumo virtuoso…
Serve proprio ripartire dal fare memoria. Cominciando dal Concilio Vaticano II: i due primi capitoli della L.G. ci confermano con chiarezza che la nostra diaconia laicale è per il Regno: sua la potenza, sua la gloria; a noi è chiesto di essere popolo in cammino. Per rendere testimonianza del vangelo. Per discernere i segni del tempo che si sta compiendo. Per animare le cose del mondo secondo Dio.
Vedo il nostro come un tempo di conversione, di invocazione, di testimonianza: uscire da tutti i recinti, mettersi all’ascolto e al servizio del primato dei sofferenti e della compassione (Pio – Metz). Senza dimenticare che c’è anche una sofferenza che viene piamente sedata, o che lo spirito di questo tempo spinge ad esprimersi come rancore.
È sempre dalla nostra personale capacità di testimoniare che dobbiamo partire. Quanto a me, da tempo cerco di impostare la mia vita su una tensione continua tra radicalitàe politicità.
C’è una testimonianza più radicale dei discepoli di cui non mi ritengo capace: una “spiritualità dell’offerta” che giunge fino a dare la propria vita per gli amici.
Cerco quindi di coltivare una spiritualità meno esigente, più feriale: una diaconia laicale per il Regno. Stare nel mondo, nella compagnia gioiosa e nella condivisione fraterna con i fratelli. La mia passione politica è nata dal riconoscere il volto dell’altro come fratello nell’umanità; solo in seguito ho riscoperto quel volto come volto del fratello in Cristo, accomunato dalla figliolanza creaturale nel Padre. Non so rinunciare a spendere, qui ed ora, la mia vita per lenire le sofferenze del mondo.
Dossetti diceva che un credente può stare nella politica del mondo solo in certe condizioni storiche e per un breve periodo. Per questo dopo la sua importante esperienza politica si è fatto monaco. La politica, sottolineava, è conflitto anche aspro, è rischio continuo dell’uso di mezzi che contraddicono il fine del bene dell’uomo. È inevitabile che questa politica metta in contraddizione il cristiano con la propria fede.
Dossetti ha ragione. La politica è attraversata da culture, strategie, comportamenti immorali, strumentali, violenti. Nessun bene reale può nascere da mezzi fraudolenti e ingiusti.
Nella politica ufficiale io ci sono stato e con certi livelli di responsabilità. Non sei valutato per la tua capacità di servizio al bene comune. Se va bene ti si chiede di fare gli interessi del partito. Altrimenti ti si chiede di far parte di questa o quella corrente, cordata, gruppo di interessi.
La società conosce un regresso civile anche perché c’è un cattivo esempio che viene dall’alto, dalla politica.
Però un buon cittadino (e quindi anche un cittadino cristiano) non può rassegnarsi a lasciare la politica in queste mani e in questa situazione. Deve correre il rischio. Anche il rischio di entrare in contraddizione con la propria fede. Assumendosene la responsabilità e affidandosi, in questo caso, all’infinita misericordia del Padre.
Ecco perché al cristiano, in politica, è chiesta una particolare radicalità laicale: un continuo andare alle radici della propria fede e coltivare le proprie capacità di discernimento spirituale personale e comunitario. Tra il Regno e la politica di questo mondo c’è una contraddizione insanabile. Eppure il mondo e la politica sono il luogo dove sono chiamato ad esercitare una diaconia responsabile. E sono anche il teatro privilegiato della storia della salvezza. È qui che Dio ha costituito e accompagnato con infinito amore e pazienza inesauribile il suo popolo. È qui che il Verbo si è fatto carne. È qui che il Mistero Pasquale si è compiuto.
Il mio compito, in politica, è riconoscere questa contraddizione. È impedire che essa sia facilmente velata, magari in nome di un cristianesimo ridotto a religione civile. È tenerla visibile attraverso una testimonianza capace di coerenza, attraverso un seguire le tracce del rivelarsi del Regno, dell’azione dello Spirito che sta squarciando – anche qui, anche ora – il buio di questo tempo. Non sono chiamato a mediare la contraddizione ma a riconoscere, indicare, coltivare i segni della speranza.
Se non noi chi?
Damiano Nocilla
Condivido l’intervento moltissimo. Sono convinto che occorre cercare di recuperare un “idem sentire” dei cristiani, di richiamare l’attenzione dei cristiani sulla necessità della memoria e della riflessione. La società di oggi è organizzata in modo che la memoria sia qualcosa di assolutamente effimero; vedi un’immagine che il giorno seguente è sostituita da un’altra; nessuno è invitato a riflettere.
Il cristianesimo è religione della memoria; gli ebrei hanno inventato in un certo senso lo scritto perché si facesse memoria. Se i cristiani non sono chiamati alla memoria e anche alla riflessione non usciremo mai da questa crisi. La stessa santa sede è dilaniata sul ricordare o meno il Concilio, o inseguire le mode culturali del momento.
Nelle parrocchie dove sono i piccoli (non tanti) mi piaceva la formula “democratici perché cristiani”.
Franco Passuello
Bonhoeffer sulle responsabilità diverso da quello che dice Max Weber.
Giulio Cascino
Il tempo in cui viviamo ha una particolarità: l’accelerazione.
Il Concilio 40 anni fa; la Costituzione 60 anni fa: sembrano cose lontanissime. Oggi c’è un problema di difesa di entrambi.
Bisogna riscoprire le cose semplici. La crisi più che etica è di fede.
L’idem sentire per alcuni (D’Agostino) è che nella parrocchia bisogna fare scuola, non sulla parola di Dio, ma sugli embrioni, sul testamento biologico, ecc. Per esempio se il Papa parla del preservativo, il giorno dopo dobbiamo riunirci per vedere come dobbiamo rispondere alle critiche che vengono fatte al Papa. Questo deve fare un laicato adulto.
L’idem sentire è il Mistero Pasquale.
Pio Parisi
Il popolo ha bisogno del Vangelo e il Vangelo ha bisogno del popolo.
Il Vangelo non è un trattato di etica ma rivelazione del Mistero di Dio nel Mistero di Gesù Cristo, nel Mistero Pasquale.
Lazzati per me è stato un maestro a cui devo moltissimo. Penso sia arrivato al punto più alto dell’insegnamento sociale ecclesiale, ma questo magistero non è ancora arrivato al Mistero Pasquale, a partire dal Mistero Pasquale. Si insegna che il cristiano nella politica deve vivere secondo i principi del Vangelo; il Vangelo non è una raccolta di principi ma la rivelazione del Mistero.
A una mia richiesta che i “Milites Christi” aiutassero la Chiesa con un discernimento comunitario del sociale alla luce del Mistero Pasquale, Lazzati mi disse, sentito il consiglio dell’Istituto, che non era possibile perché avrebbe creato divisioni fra datori di lavoro e lavoratori che appartenevano allo stesso Istituto. Può essere questo un segno che nell’Istituto l’”idem sentire” era più ancorato all’etica e all’ascetica che al Mistero Pasquale.
Come rivolgersi al popolo parlando del Mistero? Forse questa parola non è praticabile, in particolare il termine “mistici”, anche se molti teologi e pastori, lo stesso Ratzinger, han detto che il cristiano o sarà un mistico o non avrà significato, non sarà sale e lievito nel mondo (Rahner).
Credo, tuttavia, che sia possibile annunciare al popolo il Mistero e che sia il nostro un tempo opportuno. Nel buio la gente può cominciare a domandarsi che senso ha la vita, soprattutto la sofferenza mia e quella degli altri, di quello che è successo all’Aquila, e di quello che un anno fa è successo nel Myanmar con 130 mila fra morti e dispersi, di cui non ci siamo interessati.
E’ un tempo in cui con un risveglio dell’attenzione alla sofferenza umana ed ai sofferenti, c’è la speranza che si risvegli l’interrogativo sul senso di questa storia, l’inizio del senso del mistero.
Se rinasce la domanda sul mistero con la minuscola è il momento di annunciare il Mistero con la maiuscola.
I tempi possono essere lunghi.
Prima del Padre Nostro nella Messa diciamo:
“obbedienti alla parola del Signore e formati al suo divino insegnamento osiamodire: Padre… del Mistero Infinito”.
Mi sento abbastanza sicuro anche per questo motivo: è vero che tanti grandi amici mi hanno aiutato ma quel che dice la Pentecoste è che lo Spirito riempie l’universo: qualcosina avrà fatto pure in me per farmi capire il Vangelo. I tempi dello Spirito sono suoi.
Una volta Ratzinger mi mandò un suo intervento a un sinodo dei Vescovi in cui diceva che la Chiesa deve parlare meno di sé e più di Dio.
Finchè facciamo un discorso etico possiamo in qualche modo possederlo e possiamo esserne professori; se si tratta del Mistero “sta’ in silenzio davanti al Signore e spera in lui”.
Se la salvezza viene dal “piccolo”, colui che si è svuotato (Fil. 2), verrà anche dai piccoli: “Ti rendo lode che hai nascosto queste cose ai grandi e le hai rivelate ai piccoli” (Mt. 11; Lc. 10).
Possibile che questo non illumini anche l’operare sul piano terreno della società?
Flavio Zanardi
C'è una frase, pronunciata da Malraux qualche anno prima della morte, che mi ha molto colpito. Malraux disse: ”il prossimo millennio o sarà religioso o non sarà”. Ora, negli interventi che mi hanno preceduto ritornano con insistenza tre parole: popolo, etica e politica. In queste parole c'è la chiave per capire la frase di Malraux. Il popolo, dice lo Zarathustra nicciano, è morto; come del resto Dio, che abitava nel sogno del popolo, dei suoi profeti e dei suoi santi.
C'è del vero.
Intendiamoci: non nel senso che quella sentenza possa considerarsi definitiva.
Popolo e Dio risorgeranno. Dio l'ha già fatto. Ma è vero che la storia (quella dell'umanità come quella dei singoli individui) conosce momenti di crisi, poiché cammina come quei vermi che si raccolgono e si distendono, si raccolgono e si distendono...I momenti di crisi i filosofi li chiamano “epoca”, in contrapposizione al più stabile “periodo”. Nelle crisi epocali non si capisce più da che parte si stia andando e da ogni lato rimbalza la domanda angosciata” Dove andremo a finire?”- Padre Castelli mi insegnava che noi possiamo parlare di popolo solo in presenza di una legge che, regolando il cammino di una gente nel tempo, nella storia, gli dia un senso, un destino, sottraendolo all'insignificanza. Così gli ebrei presero ad esistere come popolo solo quando Mosè recò loro dal Sinai le tavole della legge. Anche i gentili, pur non ricevendo le loro leggi da Jahvè, si muovono nella stessa logica: i Cretesi con il mitico Minosse, gli Ateniesi con Solone, gli Spartani con Licurgo e i Romani con le XII tavole e così via, fino alle moderne costituzioni. Le leggi codificano i comportamenti umani, distinguendo quelli leciti da quelli illeciti sulla base di un apparato valoriale di origine remota, i cui fondamenti si perdono nelle nebbie del mito religioso. Forte di queste regole, il popolo affrontava il mondo.
Insomma, non c'è épos senza èthos. Nonostante questo viatico tuttavia i popoli e le civiltà si trasformano e, prima o poi, periscono. Non svaniscono, certo, almeno i più, ma sono come travolti dagli eventi. Le loro identità, specie quelle più forti e luminose, non periscono mai del tutto, ma vanno a costituire quello che chiamiamo il patrimonio dell'umanità. Le crisi sono drammatiche: guerre, catastrofi naturali, sconfitte, invasioni, crisi economiche... e decadenza. Quello che fu un popolo torna ad essere massa. La massa è l'indeterminata condizione a monte di ogni futura determinatezza: è informe, barbarica, babelica. E' quel conglomerato indigesto di umanità che sedimenta al fondo delle crisi epocali.
I grandi imperi dell'economia e della politica al culmine della loro maturità, i grandi sistemi economico-sociali ormai decotti creano massa. Ma questi grandi agglomerati superano e vanificano la possibilità dell'individuo di vedere, conoscere, valutare, identificarsi, radicarsi. Massa quindi è paura, alienazione, collasso dei valori, rifiuto della libertà e suo olocausto in cambio della sicurezza. La crisi odierna è, credo, la più seria mai affrontata, perché coinvolge l'umanità tutta quanta. E' la crisi della globalizzazione. Ebbene in questo caos a tener ferma l'idea di popolo sono rimasti i cattolici del dopo Concilio, che alla definizione della Chiesa come “corpo mistico” ha preferito quella della Chiesa come “popolo di Dio”, che, laicamente, abbraccia l'umanità tutta quanta. Ma questo”popolo di Dio” ha un ethos, il suo cammino ha un senso, una direzione che non sia quella di un devastante sviluppo materiale senza fine, sospinto da usura e tecnoscienza? Ha una legge che ne regoli i comportamenti e gli sia viatico per il cammino? Non è un caso che sul finire del sec. XIX e per tutto il XX fino ad oggi, l'etica abbia subito l'attacco massiccio e penetrante dei cosiddetti “maestri del sospetto” (Freud, Nietzsche e Marx) e dei loro numerosi seguaci. Tanto che a difenderla in modo risoluto, con il cipiglio minaccioso del terrorista ideologico, sono rimasti soprattutto farisei e clericali, bigotti ed ipocriti (“o atei devoti”, come li definì Croce), d'ogni risma. Che si stracciano le vesti e gridano alla bestemmia, gargarizzando all'infinito la parola valori (non ci sono più, occorre recuperarli, attuiamo la difesa dei valori, affermiamo i valori, i giovani non hanno valori ecc. ecc.), additando alle plebi il nemico da abbattere. Un bombardamento di propaganda sostanzialmente controproducente. E qui vorrei notare che ha ragione Pio quando afferma che il cristianesimo non è un'etica, ma contemplazione del Mistero Pasquale. Ridurlo all'etica è fuorviante e puzza di clericalismo. Del resto Cristo stesso era biasimato dai benpensanti del tempo suo come frequentatore di banchetti, amante della compagnia di persone di reputazione dubbia, se non pessima, come prostitute e pubblicani, era accusato di non attenersi rigorosamente ai precetti e non pregare al modo serio, compunto e formale dei bigotti. Richiesto da alcuni provocatori clericali su quale fosse il più grande fra i comandamenti della legge, la riduce sinteticamente a due punti essenziali: l'amore di Dio e quello del prossimo, che ne è il rigoroso corollario. Un prossimo che non è, come nelle culture ancora sostanzialmente tribali, quali quella giudaica e quelle dei gentili (ancora oggi!) il vicino attorno al fuoco, nel cerchio, cioè l'altro ebreo, il compatriota ecc., ma l'umanità tutta intera, e, tra gli uomini, chiunque può farsi prossimo se ha spirito di carità. Corradino notava che la prima forma di clericalismo teorico è proprio quella dei giudei, vanamente ammoniti dai profeti. Cristo, venuto a superare questa lacerazione, paga con la vita. Eppure ancora oggi, oggi più che mai, infuria quella forma sgradevolissima, e come sempre foriera di sciagure, di clericalismo, che è non tanto il razzismo (a rigore, penso che gli unici veri, farneticanti e pericolosi razzisti doc si trovino fra gli israeliani e gli anglosassoni), quanto la xenofobia e il fondamentalismo. Eppure basterebbe a smontarli la semplice osservazione che la gran parte dei poveri che arrivano qui sono in traccia di qualcosa che gli abbiamo rubato. Restituiamogliela – che so, sottraendo il monopolio del commercio dei grani, del cacao, delle materie prime, ecc. alle varie multinazionali – e quelli se ne staranno tranquilli a casa loro, con la famiglia, gli amici e la cara vita di ogni giorno. Ma, tornando all'etica e ai suoi negatori, mi interessa qui accennare non tanto a Freud, posto che nessuno è responsabile del sobbollire e del fermentare ìnfero del proprio inconscio, finché non gli si abbandoni, o a Nietzsche e alla sua tesi sull'etica come frutto del risentimento dei deboli. A quella ha già risposto Pio. Quanto piuttosto a Marx. Al capitolo “etica”il pensiero di Marx presenta come un vuoto. Parafrasando a sua volta la celebre parafrasi che il gesuita Botero aveva fatto del pensiero di Machiavelli, piegandone le tesi alla santificazione della “ragion di stato” cattolica (“la santità del fine giustifica i mezzi” scrisse), Marx sostenne che il solo gesto autenticamente etico possibile, ancorché sanguinoso, è la rivoluzione proletaria, in quanto capace d'inverare nella storia i tre valori fondanti della civiltà occidentale (libertà, uguaglianza e fraternità), sottraendoli sia alla mistificazione cristiana, che, proclamandoli ed istituendoli, ne rinviava tuttavia la realizzazione al chimerico paradiso di un chimerico Dio, che alla mistificazione borghese, che, riprendendo in mano il vessillo dei tre valori, li rendeva tuttavia subalterni ad un quarto che, contraddicendoli, li smentiva: la sicurezza(“il più alto concetto della società borghese, il concetto della polizia”, scrisse ne “la questione ebraica”). Sicurezza è infatti prima di tutto difesa del proprietario e della sua proprietà, cioè manifestazione dell'egoismo di classe e della paura di perdere il proprio status privilegiato. Qui, sempre secondo Marx, starebbe il fondamento di una politica di repressione sociale volta alla tutela di un sistema di sfruttamento dell'uomo sull'uomo e sull'ambiente. Una politica di saccheggio e di miseria, fomite all'incessante violenza della storia, una politica che scatena la repressione delle rivendicazioni sociali e le guerre per la supremazia sui mercati e che attizza il nazionalismo, promuove le avventure coloniali e l'oppressione dei popoli più deboli. Questo in buona sostanza, farebbe della borghesia e delle sue associazioni, segrete o meno, i più fieri rappresentanti dello spirito clericale, in quanto chiusura di un gruppo a difesa dei propri presunti valori e dei propri reali privilegi. Poiché infatti i tre famosi valori, perfino la libertà, se isolati e compresi come principio di privilegio e discriminazione, altro non sono, come la legge secondo Paolo, che idoli assetati di sangue, come hanno dimostrato ad usura le avventure del liberal-liberismo negli ultimi due o tre secoli. La pretesa purezza dei principi infatti è troppo spesso la maschera della violenza. Concludendo: se, a mio avviso, la critica marxiana della borghesia liberale tutto sommato si tiene, la sua critica del cristianesimo è invece, come minimo, piuttosto approssimativa. Forse Marx i cristiani non li conosceva bene o li scambiava con i clericali, o forse, più semplicemente, parole come fede e mitezza per Marx non fanno senso, sono pura astrazione, ciarlataneria. Marx crede alla violenza rivoluzionaria come a quella risolutiva, ma la violenza, come ho già avuto modo di dire e come dimostrano i fatti, non risolve un bel nulla. Chiama solo nuova violenza. La contemplazione del mistero pasquale non conduce affatto ad uno “spiritualismo disincarnato”, che, come dice padre Castelli, è una tentazione, bensì, come c'insegna Pio (ridotto ormai ad un cartello stradale vivente, che segnala la direzione “politica e Vangelo”) e come è scritto nella “Lettera a Diogneto”, essa invita a rimanere laicamente nel mondo e col mondo e a partecipare alla storia, senza mai tuttavia accordare al mondo e alla storia un valore assoluto, poiché non sono quelle le realtà ultime. E proprio a un simile ordine di riflessioni credo facesse riferimento la frase di Malraux da cui ero partito.
Arianna Montanari
Non c’è da parte dei cristiani la difesa di un’idea economica che la Chiesa ha prodotto nel tempo. Mi ha colpito, per esempio, che le banche cooperative mi han detto che non fanno finanza speculativa. C’è stata tutta una tradizione di economia comunitaria, come i gesuiti in Brasile. In Lombardia tutto lo sviluppo economico, come in Veneto, è stato legato a banche di mutue. Così si è innestato uno sviluppo italiano sulla piccola impresa, sui consorzi di tipo orizzontale. Anche le leghe cooperative in Emilia hanno una radice molto forte cristiana. In questi anni ho visto ammazzare le cooperative il cui modello era cattolico. Non ho sentito nessuno che lo difendeva.
Damiano Nocilla
Un missionario mi parlava del cacao nella Costa d’Avorio che vive di questo. La Francia impone il prezzo e crolla l’economia di un paese.
Giorgio Marcello
Avete già detto l’essenziale.
Qualche risonanza a quanto ha detto Franco.
Ho letto più volte il testo di Dossetti del 1994 “Sentinella…”. Attualissimo.
Quando parla di notte: “è la solitudine che l’individuo regala a se stesso”, il frutto di una crisi drammatica dei legami. Da dove si riparte? Non da un richiamo generico alla solidarietà ma dalla conversione al Signore.
Il nostro è un tempo notturno in cui si fa sempre più chiaro che cosa è l’essenziale: riorientarsi al Mistero Pasquale. E questo non è impedito a nessuno.
Poi sono particolarmente d’accordo su quanto diceva Franco sulla crisi del sindacato e dell’associazionismo. L’associazionismo è il mondo in cui ho radici più forti, in cui sono da più di vent’anni, anche con qualche riflessione sensata. E’ sempre più chiaro che le associazioni solidaristiche, e in particolare quelle di volontariato che ne sono la radice motivazionale, sono di fronte all’alternativa se essere laboratorio di partecipazione e coesione sociale o essere agenzie di servizi. Sono sempre di più la seconda cosa, come risulta anche da inchieste. Di conseguenza sono sempre di meno i giovani che nel volontariato sono l’8 per cento. Era stato nella metà degli anni ’70 uno dei fulcri della mobilitazione giovanile. Aumentano le associazioni e diminuiscono i volontari. Si fanno sempre più cose ma si perde di vista la radice.
Condivido l’analisi della crisi di questi mondi vitali. La partecipazione alla politica istituzionale, dicevi, è un’altra cosa rispetto alla politica del Regno, però bisogna starci. A me sembra che non manchino le disponibilità; le liste si moltiplicano. Il Prefetto De Serra aveva denunciato che la mafia controllava, in Calabria, le istituzioni dal di dentro. Non ci fu nessuna reazione di uomini pubblici e dopo due mesi De Serra venne promosso al Ministero. Alcuni intellettuali che reagirono (Cersosimo) sono completamente massacrati. Cersosimo sembra un ectoplasma.
Non toglie che dove si presenta la possibilità di dare un contributo non bisogna sottrarsi, soprattutto dove la vita istituzionale è fortemente compromessa. Però è sempre più chiaro che il cambiamento passa di là.
Allora diventa fondamentale “da dove ripartiamo”: l’ancoraggio è aiutarsi a ritrovare l’essenziale, e questo comporta un prezzo da pagare, probabilmente la solitudine.
Anche dove il prezzo economico non è devastante come in altri ambienti, quando si cerca di andare all’essenziale si fa una fatica incredibile e la solitudine sembra inevitabile. E’ il prezzo in questa fase per aprire cammini nuovi.
Pino Macrini
Sembra assodato che fare memoria è un’attività strumentale per qualcos’altro, per una partecipazione politica.
A contatto con gli strati più semplici della popolazione, in parrocchia, vedo che identificano la politica con la gestione del potere e quindi non ne vogliono nemmeno sentir parlare. La politica è una cosa sporca. Se ne occupi chi vuole sporcarsi e talvolta perché non trovano un altro lavoro.
Questo quadro è molto, molto diffuso quanto più la gente è piccola, povera, prigioniera.
Un tempo c’erano luoghi “deputati” per la “formazione” delle coscienze ai “valori”: certamente la “scuola”, ma soprattutto la famiglia.
Ma quali valori oggi circolano nelle famiglie? E comunque più che il “discorso” vale la “testimonianza”: nelle famiglie, come nella scuola, come altrove nella “società”.
Soana Tortora
Il nostro tempo è di “diaballo”, frammentazione, divisione. Il popolo non c’è perché è messo insieme dalla seduzione che al tempo stesso cerca di dividere il popolo. L’ideologia che seduce impone la concorrenza, l’essere nemici l’uno all’altro e anche, in fondo, a se stessi.
E’ importante dire fino in fondo questa condizione. La radicalità della politica italiana è il regno dell’individualismo, della libertà per sé. Per il cristiano la radicalità è il Vangelo ed è il cammino faticoso dell’esodo che può ritessere i legami.
Accanto alla divisione credo che sia anche la speranza e la voglia di ritessere. Parlavo con Giorgio di fratti di riaggregazione che mirano esplicitamente a ricostruire episodi di comunità. Anche nella mia associazione c’è questo cammino anche se è marginale, tollerato con benevolenza, non spaventa nessuno. C’ anche in questi fatti vitali una tentazione: che prevalga il fare e non si arrivi alla radicalità, al vero discernimento; rischio di dissipazione, la frammentazione per cui tante belle esperienze che è difficile mettere insieme.
Sto quasi sempre con le valigie in mano: esperienza di “mettere insieme”, di fare un po’ il ragno tessitore. Credo che questo possa diventare veramente un cammino di riorientamento verso il Mistero Pasquale. Vivo tutto questo in grande solitudine. Allo stesso tempo la necessità che tutto questo possa ridiventare politica.
Fra 10-15 giorni sarò a Firenze alla “fortezza dal basso” per una cosa che si chiama “Terra futura”. Dal 2003, siamo alla sesta edizione: viene dal Forum Sociale Mondiale, in particolare da quello europeo che si è tenuto a Firenze. E’ una cosa che va crescendo e sta diventando estremamente interessante. Nasce da Banca etica ed è un comitato di partners (Acli, Arci, Lega Ambiente, Caritas…).
Il gruppo da organizzativo è diventato di elaborazione per cui ci vediamo una volta al mese per confrontare le “buone pratiche”, dalle piccole esperienze sulle energie rinnovabili, alla sostenibilità, alle esperienze di economia solidale… La rete si sta estendendo. L’altro anno ci sono state ottantamila persone che hanno girato per questo luogo.
Sta maturando la consapevolezza che questa cosa non è solo un evento ma è un processo, e coinvolge soprattutto e non a caso, noi e un pezzo di sindacato (la federazione dei bancari). Queste cose credo che siano politica.
Quello che do mi sta tornando con gli interessi.
Penso sia il tempo di uscire di casa senza badare troppo a se stessi tenendo presente la radicalità e …
Massimo Panvini
Sono per motivi personali desolato. L’Apocalisse ci assicura che l’Agnello ha vinto.
Diceva Pino Stancari: la salvezza è nella tragedia, nella catastrofe. Si potrebbe anche intitolare l’opera dello Spirito: se sta arrivando l’inverno, la primavera è vicina. Sta passando la nottata.
Isaia “la notte passerà e poi tornerà”.
Pensavamo di essere all’alba, nel diritto internazionale, ma nulla è acquisito che non si perda facilissimamente; è quello che stiamo imparando.
Damiano Nocilla
La partecipazione va stimolata e incanalata. Non deve essere solo un consenso dietro agli istinti della folla.
S. Paolo, negli Atti degli Apostoli, al naufragio si alza e parla: diamo i loro compiti ai marinai e ai guardiani. Questo è il compito della politica.
Partecipazione è capacità di dare a ciascuno il suo ruolo e prendere da ciascuno il suggerimento e la partecipazione. Sollecitare i più bassi istinti della gente e poi fare un sondaggio: questa non è partecipazione.
Da sette, otto anni dicevo che ci stiamo avviando, senza accorgercene, al Perdonismo. Non dobbiamo realizzare una democrazia con la delega in bianco a chi eleggiamo ogni cinque anni.
Giulio Cascino
Tu, che sei un costituzionalista, qual è la cosa da fare?
Damiano Nocilla
Rivitalizzare i momenti di partecipazione; il partito e anche gli altri strumenti di partecipazione, riaprire i canali di ascolto. Un tempo l’associazionismo riusciva ad eleggere un parlamentare che portava i problemi in parlamento e si realizzava una collegialità che ora non c’è più. Non c’è discussione e dialogo.
Quando ero giovane il grande lavoro del parlamento era nelle commissioni, fra esperti. Oggi non c’è più niente. Le amministrazioni le leggi le fanno peggio di come le facevano i parlamentari. I burocrati che guardavamo con disprezzo, i parlamentari che facevano le leggi con errori. Quando fanno le leggi finanziarie – le ho viste io – fanno errori per i quali boccerebbero un giovane al primo anno di giurisprudenza. In una delle ultime leggi finanziarie i signori della ragioneria generale avevano confuso l’eredità giacente con l’eredità senza eredi. C’è scritto.
La democrazia si è spostata dalle Camere alle anticamere. Ci sono tutti canali sotterranei che sfuggono al nostro controllo.
Su questo referendum scappo all’idea di andare a votare, sfuggo a questa distruzione. Nel tentativo di migliorare abbiamo distrutto i canali. Ecco la decisione popolare sotto l’influsso del sentimento e non della ragione.
Se la classe che era al governo nel ’93 aveva avuto la capacità di avviare una riflessione al proprio interno… ma la storia non si fa con i se.
Giulio Cascino
Per tornare a quello che diceva Massimo: la luce viene dentrola notte, non dopo. La luce del Mistero Pasquale. La luce è venuta ma le tenebre non l’hanno compresa. Sappiamo che la luce è già venuta ma noi siamo ancora dentro le tenebre.
Damiano Nocilla
Continueremo a discutere fra di noi ma non avremo la capacità di fare qualcosa perché arrivi il lampo di luce.
Per far sentire al cristiano che ha difficoltà verso la politica l’importanza di salvarsi l’anima anche nel collettivo, come popolo, insieme ad altri.
Cosa fa la Chiesa docente, in particolare italiana, tranne poche eccezioni, per insegnare la virtù civile?
La mia esperienza della parrocchia di S. Francesco a Ripa: c’era un parroco che bene o male diceva; ora l’hanno sostituito e non ci vado più, vado a S. Maria in Trastevere.
Cosa fa la gerarchia? Questo è un punto fondamentale. Cosa insegnano i nostri vescovi ai sacerdoti.
Franco Passuello (coclusione – non rivista dall’autore)
Riparto dalla notte. Siamo tutti nell’oscurità.
La notte è un segno, la conseguenza, un carattere della libertà che Dio ci ha donato. Ci ha creati liberi per amare, e la libertà significa che il male sia una potenza reale capace anche di sedurci. Siamo noi che ingigantiamo la notte.
Penso a Sergio Quinzio e al suo “Mysterium iniquitatis”. Penso a Mons. Salvatore Boccaccio, amico amico, che in coppia con Pio ci disse “è tutta una questione di cuore”.
Da dove si comincia. Parliamo spesso di conversione, ma ci è stato insegnato che la laicità cristiana è profezia sul mondo e innanzitutto sull’uomo, e ciascun uomo ha ricevuto il dono dello Spirito che abita nel nostro cuore.
Quando sento parlare, anche dalla mia Chiesa, la mutazione antropologica. Chi può mutare ciò che Dio ha creato? Berlusconi? Il suo liberismo? Il cuore dell’uomo è abitato dallo Spirito, anche in Berlusconi. Ma è un dono che ha bisogno di una scelta, di una conversione, che è anzitutto il rivolgersi al proprio cuore.
Quel che ci dice Pio: saper parlare al cuore dell’uomo, intanto di quelli che hanno riconosciuto il loro cuore di carne e non quello di pietra.
Non è questo il problema? Penso di si. Se il mio cuore riconosce di essere abitato dallo Spirito allora so parlare alla creaturalità di tutti gli uomini; quello è il popolo, l’umanità che Dio ha creato, non la Chiesa nel suo recinto.
Non sono mai stato nei recinti cattolici, ma considerato infedele. Ho sperimentato che quando ci si parla cuore a cuore ci si intende al di là delle ideologie.
Le seduzioni sono inganni e l’inganno può essere svelato, prima che da un ragionamento intellettuale e da un pensiero critico. Per questo difenderà fino alla morte il rapporto faccia a faccia perché internet non comunica, difficilmente è autentico. Io sono un grande navigatore. Questo è il problema.
Non sono le parrocchie, non verrà da lì. Uno su mille di quelli che hanno il ministero incardinato sono capaci di parlare al cuore, hanno ancora un cuore di pietra.
Con Soana abbiamo fatto un tentativo di far uscire nella nostra associazione, in cui ho speso 50 anni: quando cerchi di dire che non basta una cultura del fare, sia pure del fare buono, ma quello che conta è il cuore con cui lo fai, perché solo così la costruzione non è solo tua, solo così, direbbe Lazzati, sei in compagnia del Signore mentre costruisci. La reazione, parlo di credenti, non è semplice: “faccio cose buone, sono buono, sono nella linea giusta”. No! Perché anche il tuo proiettarti in un fare buono può essere idolatrino, autocentrato e autoreferenziale.
E’ da lì che bisogna partire.
Ieri ho reagito più politicamente dicendo: c’è il simbolico profondo dell’uomo (Jung) che non muta in due anni. Esempio: è crollato il comunismo nell’Est e cosa è riaffiorato? Le grandi costanti anche negative. Le costanti non si cancellano in una stagione berlusconiana.
Ma chi sa parlare a quel simbolico profondo degli esseri umani. La politica grande, alta, in cui sono cresciuto ha saputo parlare. Ma quando la politica si riduce a quel che abbiamo detto, accade il contrario: asseconda l’incapacità dell’uomo di guardare alla propria dignità.
Questo è il problema. Lo abbiamo tutti nel nostro essere e nel nostro fare.
Sento molti che si lamentano, sento pochi chiedersi da dove nasce la passione politica. Dalla passione per l’altro. Oggi domina il rifiuto dell’altro, la paura. Cominciando dalla mia Chiesa. Non ci sono altre strade. Non possiamo predicare nelle parrocchie ma possiamo stare nella società. Il luogo teologico da cui la nostra coscienza può ripartire è l’immigrazione. Roma è ….. dei soggetti che nascevano dal cuore della struttura economica erano in grado di esprimere una potenza sociale.
Questi soggetti hanno fatto la grandezza e la miseria della democrazia dei moderni. Non gli ideologi. Stiamo parlando di processi reali. Quella democrazia della decisione a maggioranza, del conflitto regolato non si fa più. Nessuno è in grado di regolare il conflitto perché il conflitto non c’è.
Guardare cosa permette a Brunetta il sindacato. Cinque anni fa gli avrebbero occupato il ministero. Dovrebbe farlo il sindacato.
Ho avuto la fortuna di essere Presidente delle Acli quando era Presidente del Consiglio Prodi, che ci ha chiamati tutti per la logica della programmazione negoziata. Ora siamo nel corporativismo.
Ora abbiamouna società più plurale, più frammentata e la cultura politica sia cattolico-democratica sia di sinistra non capisce che la politica come conflitto non sarà mai armonia dei diversi. Come tengo insieme i diversi se la politica non è essenzialmente rivolta al riconoscimento dell’altro?
Il rigonfiamento della spesa pubblica è legato al fatto che gli assessori si pongono il problema di essere rieletti e privilegiano nella spesa il consenso a breve termine.
Ho salutato la fine del partito pedagogico di massa. Dal basso. Chi fa pedagogia civile oggi? Se la gente arriva alla politica con l’immediatezza dei suoi interessi e delle sue follie chi potrà sintetizzare politicamente quelle domande?
Ritorno e chiudo all’esperienza di Obama. Era un outsider bravo, ma massimamente improbabile. Una cosa ha fatto se l’avete letto o sentito. Si è rivolto al cuore delle persone che si vergognavano di essere diventate il popolo dell’ingiustizia, della guerra, delle torture. Ed era dall’alto.
Se è difficile la formazione di una coscienza politica popolare, forse un obiettivo più ravvicinato, possibile, è mettere in campo una generazione di politici che ha questa capacità di parlare al cuore perché sono pieni di cuore. A pensare sembra facile.
Abbiamo citato tanto l’Apocalisse. C’è anche scritto: la preghiera dei santi avvicina il compiersi del Regno. Invochiamo.
Buona Pentecoste.
1 Presenti: Paolo Bonfanti, Giulio Cascino, Paola Cignini, Luigi Ferretti, Francesco Giordani Giuseppe Lodoli, Pino Macrini,Giorgio Marcello, Laura Marini, Arianna Montanari, Damiano Nocilla e signora, Massimo Panvini, Pio Parisi, Franco Passuello, Anna Maria Polverari, Francesco Scalia, Soana Tortora, Flavio Zanardi