Incontri di discernimento e solidarietà
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Incontro con Suor Chiara Patrizia

Urbino, 26-27 ottobre 2012

Tema: “La Chiesa che parla” - (punto 10 della traccia di Pio)

26 ottobre - pomeriggio

Chiara Patrizia

Il tema della Chiesa è fondamentale. Ho letto il resoconto dell’incontro che avete già fatto sulla “Chiesa che parla” e ho fatto un piccolo schema:

  1. La pastorale delle risposte” (da l’Etica dal Mistero- di Pio Parisi). Ne ha parlato Francesco Giordani nella sua introduzione. Secondo Pio la pastorale dovrebbe

  1. Incoraggiare le domande di fondo, ascoltarle, prenderle sul serio,

E’ una cosa molto densa di contenuto: quali sono le domande di fondo, incoraggiarle e prenderle sul serio;

  1. Evitando di dare risposte con “un Dio che non c’è”. Ci si potrebbe fermare una settimana sul “Dio che non c’è”: è tutto da cercare;

  2. onorare il Mistero, accettando di non poter capire, di non sapere,

  3. Iniziando con determinazione il cammino della sequela di Cristo, vivendo giorno per giorno la sua Pasqua. Bisogna cercare di capire cosa significa “giorno per giorno” la Pasqua

La Chiesa nella sua evangelizzazione è chiamata ad annunziare il mistero di Dio e dell’uomo, ad annunciare la Vita. Mi sono posta questa domanda: perché è continuamente tentata di dare risposte chiare, sicure, definizioni, dogmi, leggi immutabili e quasi mai orientata verso il Mistero? E poi cosa intendiamo per nuova evangelizzazione, che significa concretamente; e quale contributo possiamo dare come comunità cristiana ai nostri preti che sono i primi a essere interpellati su questa nuova evangelizzazione. Fin quando ragionano da soli e non c’è l’apporto dei laici non so come possono fare.

L’altra domanda è quella del card. Martini: “Cosa puoi fare tu per la Chiesa?”

Un ultimo punto di cui sono sempre più convinta è che la riforma della Chiesa è sempre avvenuta dalla base, dalla circolazione delle idee, dei pensieri.

Inizierei dalla “pastorale delle risposte”: sono convinta che ogni risposta sicura chiuda la mente, chiuda ogni possibilità; invece, più andiamo avanti più vedo che anche le giovani consorelle hanno bisogno di sapere cosa fare, sempre. Bisogna dare delle regole alle persone giovani, però occorre puntare sulla libertà, insegnare la libertà di pensare.

Pio consigliava quel libro di Metz “Memoria passionis” dove faceva la grande domanda “perché il male?”, la morte, il dolore innocente, le guerre e, per partire da noi stessi, il nostro disfarsi.



Alberto La Porta. Mi è capitato di ascoltare una trasmissione dove dialogavano il Presidente della Repubblica e il card. Ravasi. Una delle cose che ha detto Ravasi che mi ha colpito molto, citando Oscar Wilde: “la cosa importante – ha detto – non è tanto dare delle risposte, ma fare domande intelligenti” perché le domande rimangono, sono un patrimonio che ti spinge ad andare avanti.

In questo periodo ho fatto due esperienze, due incontri: uno con una mia collega alla quale è morta abbastanza rapidamente una figlia di 18 anni per un tumore. L’ho trovata impietrita, poi si è un po’ sciolta e abbiamo parlato. Il marito in qualche modo ha accolto questo avvenimento e pensa alla figlia come a una persona che vive, in un’altra dimensione, ma che vive ancora; invece lei questa prospettiva non riesce a vederla. Non trovavo parole; mi ha un po’ aiutato la lettura di un libro di Martini (“Credo alla vita eterna”): più che dare risposte consolatorie ho posto anche io dei dubbi; la cosa importante è affidarsi anche nell’oscurità e di fronte a cose che ti sembrano inaccettabili. C’è un “senso” che ci sfugge ma che esiste nell’economia dell’umanità. Ricordarla “viva” (far memoria) e trovare le occasioni per onorarla e ricordarla attraverso le cose belle e importanti che avete fatto e che anche lei potrà suggerire.

Condivido questa sensazione di incertezza, di dubbio, di tentazione di sfiducia e, contemporaneamente, so che dentro questa situazione, se l’accolgo, c’è la promessa di Qualcuno che ti sta comunque vicino.

Pio raccontava di uno studente che partecipava alla vita della Chiesa, ma se ne era andato perché il suo parroco gli dava tutte le risposte precise, sicure, definite. E questo lo aveva allontanato. Nella vita quotidiana, di fronte al mistero del male, dell’ingiustizia, del dolore innocente, del nostro disfarsi dobbiamo cercare di evitare di dare delle risposte genericamente consolatorie. Mia moglie, Letizia, diceva: “non voglio essere consolata”. Altrimenti portiamo nella nostra vita quel “Dio che non c’è”.

Pio ricordava anche che molte persone che si dicono non credenti in effetti rifiutano il “Dio che non c’è” e sono alla ricerca; possono aiutarci a cercare un Dio che va al di là di quello che noi pensiamo. Dio non schiaccia, non obbliga, non opprime, ti dà la responsabilità piena di quello che fai.

Le difficoltà del rapporto con i ragazzi degli appartamenti. Uno di loro sostiene che la fede è un fatto “personale”, (forse per giustificare il fatto che non partecipano agli incontri), ma in questo fatto “personale” ci si può sostenere a vicenda con lo scambio di esperienze. E ci ha aiutato don Franco Amatori che pensa che per aiutarli forse bisogna partire da un disagio che molti ragazzi hanno rispetto alla Chiesa istituzionale.

Riguardo all’evangelizzazione come responsabilità dei laici occorre stare attenti. Non si tratta di mettersi a fare catechesi, ma sono i laici che in quanto credenti, ricercatori di Dio, si pongono di fronte agli altri in questa esperienza che affidano e rendono disponibile, senza la pretesa di giudicare o dare voti.

La fede non è l’annuncio di una dottrina ma è l’annuncio di una relazione nella quale siamo coinvolti, sperimentiamo e mettiamo a disposizione di altri.



Chiara Patrizia. Bisognerebbe cercare insieme un volto della Chiesa, il volto che Gesù avrebbe voluto. “Semper reformanda est”, lo diciamo da sempre; come sarà sempre la “casta feretri”: è fatta di uomini, però bisogna cercare di avvicinarsi il più possibile al Regno. E si può fare se restiamo nelle “domande” perché se siamo sicuri che quel che c’è va bene è finito tutto.



Liborio Oddo. Questo problema di passare dalla”pastorale” delle risposte a una delle “domande" non è una pastorale. Faccio riferimento alla mia professione di insegnante di religione. Un insegnante di matematica fa domande ma ha risposte pur dovendo suscitare domande per andare avanti. A me, insegnante di religione, venivano fatte tantissime domande; io non davo risposte, ma rispondevo con altre domande con l’intento di far scoppiare tutte le risposte prefabbricate che erano sottintese e che venivano più che dalla Chiesa, dalla società, dall’informazione, dalla pubblicità: i sistemi di pensiero vengono risucchiati dai problemi del Mulino bianco, non dalla Chiesa. La Chiesa non deve dare risposte, ma se risposta ha, è al singolare. La risposta cristiana non è la risposta dei preti, è un’azione di Dio, una rivelazione di Dio; rivelazione che non avviene fuori dalla storia, avviene nella storia concreta, perché Giacobbe non è Esaù. Qual è la funzione della Chiesa? Richiamando alla coscientizzazione, far scoppiare questa false costruzioni che sono idoli, anche religiosi. Mettersi insieme nell’ascolto della Parola. E solo così è possibile il dialogo con i non credenti: solo facendo scoppiare gli idoli che abbiamo noi e che hanno gli altri, altrimenti non ci capiamo. Quando si mettono insieme per convenienza o per fare pasticci di altro tipo ho paura di Napolitano e di Ravasi: ho paura di Napolitano perché è di comodo, perché non so se mai ha ricercato e ho paura del finto cristianesimo di Ravasi che magari si muove per fare carriera ecclesiastica.

Cos’è l’azione evangelizzatrice? Cercare di incamminarci tutti a cercare di porgere l’orecchio verso la risposta: Cristo Gesù. Anche i miei figli restavano meravigliati di certe risposte (quando chiedevo loro di leggere una pagina di Vangelo per capire una cosa) che non avevano mai sentito in parrocchia, nel catechismo.

La pericolosità del dialogo sotto i riflettori dei mass-media.



Soana Tortora. Volevo tornare a quello che dicevi all’inizio: quali sono le domande di fondo? Tu hai fatto degli esempi: perché la morte, il male, il sangue innocente. Pio ci suggeriva un’altra domanda: qual è la mia profezia? Di fronte alle grandi domande scopriamo tutta la nostra piccolezza e impotenza. E in questo momento, anche storico, di grandi solitudini e di grandi angosce c’è il rischio che noi siamo annichiliti di fronte a queste domande. Bisogna forse mettere insieme a queste domande l’altra domanda che ci obbliga a una ricerca che parte da noi. La Chiesa forse si riforma dal basso se ciascuno di noi comincia umilmente a chiedersi qual è la propria vocazione rispetto alla sequela, di fronte a Cristo. Cosa mi viene chiesto? Che poi è la grande domanda del perché sto al mondo.

Un’esperienza che qualcuno di noi ha vissuto nell’Associazione qualche giorno fa: quello stesso gruppo di studenti dell’Associazione (di cui parlava Alberto) che dice che non gliene importa niente delle cose che noi gli mettiamo all’ordine del giorno, sono stati “convocati o invitati” a parlare di una cosa che rispondeva a un loro interesse esistenziale: il lavoro, il loro futuro. E sono stati inviatati a parlarne con una persona eccezionale, Euclides André Mance, un amico filosofo brasiliano della “filosofia della liberazione” (che non è la “teologia” della liberazione). C’erano una ventina di ragazzi, per più di tre ore, ed è successo che continuavano a fare domande e, nelle sue risposte, lui continuava a suscitare domande. Alla fine ha detto chiaramente che le domande “erano buone” e che una “buona domanda” è migliore di qualunque buona risposta. In questo modo chi fa “una buona domanda” diventa soggetto, protagonista della domanda “qual è la mia vocazione”.



Franco Passuello afferma che Euclides André Mance è una persona un po’ straordinaria, una delle intelligenze e degli spiriti più significativi che ho conosciuto. Abbiamo avuto un dialogo a casa mia che purtroppo non abbiamo registrato. Tanto è vero che ha detto che sarebbe venuto volentieri qui.



Alberto. Esplicitamente, nelle riflessioni e nelle domande di noi tutti, non c’è mai stato un riferimento formale alla fede, alla Chiesa, a Cristo, però dentro c’era tutto, c’era la responsabilità verso tutti, c’era il perché si fanno le cose (le fai solo per te, per gli altri, li coinvolgi?), il senso del lavoro, dell’economia diversa, senza dare giudizi trancianti. C’era dentro una risposta di fede, quindi anche di Chiesa, e gli abbiamo chiesto “come fa la Chiesa …”. Lui ha dato una risposta su un piano molto diplomatico, nel senso che favorisce le iniziative sociali, di economia solidale, però c’è una riflessione più profonda nel senso che il cristiano non può non essere per un’economia solidale per cui il profitto viene sostituito dalla soddisfazione dei bisogni propri e della comunità. Ha fatto un annuncio cristiano senza dire che formalmente fosse confessionale. E questo ha dato ai giovani un’apertura, una possibilità di entrare in una dimensione di senso della vita, dell’economia, del lavoro.

Soana. E di ricollegarsi alla domanda del “che ci sto a fare qua”.

Chiara Patrizia. E’ quello il fondamento perchè quella domanda ti rimanda al mistero che sei tu.



Franco. Per capire quella persona, quando ci siamo incontrati una mattina che ero un po’ malconcio mi ha accolto e ci siamo messi a cantare il Salve Regina in latino e abbiamo concluso recitando il Padre Nostro abbracciati. Non è che è un non credente o un credente implicito, ma la sua è una pedagogia universale. Se incammini l’uomo a distaccarsi dalle cose che gli hanno inculcato fin da bambino, incontra Dio, perché quell’uomo è creatura di Dio e lo Spirito è anche in lui. Non sono io che lo porto alla fede, è la libertà che gli è stata donata che lo porta alla fede; la libertà che incontra nella libertà dell’altro non solo il suo limite ma il suo compimento. Ed è una persona ascoltatissima, ha successo tra credenti e non credenti; non ha bisogno di andare a dire “io sono cristiano, io, io, io”, però fa un annuncio. E’ la profezia laicale.



Chiara Patrizia. La profezia del laico è fondamentale. I primi cristiani erano chiamati “atei”, perché non andavano dietro agli idoli. Non si capisce come si è impastata poi l’organizzazione clericale. Forse era necessaria (non sono una “storica”).



Franco. Volevo tornare un po’ alle domande nostre: quali sono le domande di fondo. Proprio nel dialogo serratissimo con questo amico mi è capitato di giungere al nocciolo del problema, secondo me. Perché il male nel mondo; perché anche la Chiesa è infedele. Perché la nostra libertà? La risposta banale, ma che qualche volta dimentichiamo, è che solo l’uomo libero può amare e il disegno di Dio è un disegno d’amore. Lui ci ama perché ci ha creati, ma noi possiamo rispondere al Suo amore solo scegliendolo. E, naturalmente, la libertà produce il male, cominciando da quella degli angeli che si sono ribellati; possiamo fare un discorso molto più radicale, volendo ma soltanto chi è libero e può scegliere può amare. Altrimenti siamo delle marionette e, per questo la libertà è il valore dei valori. Per noi che abbiamo fede, libertà è liberazione dagli idoli; finché la nostra vita è piena di idoli nessun annuncio ci raggiunge. Lavorare (ecco la pedagogia) sulle domande che ti rendono protagonista dell’interrogativo su te stesso. E arrivo fino a un interrogativo più profondo che abbiamo fatto con lui: è l’esperienza del Mistero che veramente ti libera, ma per fare l’esperienza del Mistero devi… Abbiamo fatto tutto un ragionamento su S. Giovanni della Croce, sulla mortificazione come premessa della Vita nuova. C’è un punto essenziale qui. Ha senso la pastorale? Mi ricordo le pagine di Corradino. La fede, come dicevi tu, è una relazione: solo una relazione liberante fra di noi ci mette in cammino verso quella Relazione, ci fa fare quel cammino, quel ritorno, quella conversione che ci mette davvero in ascolto della Parola. Ed è ilo pezzo di strada che possiamo fare noi perché poi la fede è dono. Non è che dalla pastorale delle risposte c’è la pastorale delle domande, c’è la compassione, il camminare insieme, il fare insieme esperienza di fraternità. Ci sono esperienze di questo genere nella Chiesa, ma non sono il cuore della Chiesa mentre tutte le volte che la Chiesa si è messa in un cammino di conversione e di riforma (siamo in casa francescana) è quando, dal basso, come dicevi, dal cuore degli uomini e dall’amore-fraternità è nata una tensione liberante. Ancora la libertà, tradita presto. Non dico che non siano necessarie le istituzioni, però non c’è riforma se non a partire dal liberarsi dall’idolatria dell’istituzione, perché le opere che diventano ostruzione a un’esperienza reale di fede sono un idolo. Questo è il cuore del problema: si fa esperienza del Mistero quando ci si mette in un cammino che ci libera dagli idoli, ci riconduce alla nostra dignità di figli di Dio e ci apre a comprendere la Parola, l’annuncio. Poi qualcuno deve farlo l’annuncio. Ma il compito, credo, specie in un tempo come questo, della profezia laicale, è essere immersi nel mondo, non testimoni della croce, ma capaci di questa pedagogia universale che libera il cuore dell’uomo dagli idoli; e poi tocca – non ai preti – ma alla Chiesa nel suo insieme il momento dell’annuncio. Ma se il momento dell’annuncio viene da un’istituzione come quella attuale che credibilità ha? E’ incapace di parlare al cuore degli esseri umani. Per questo, secondo me, è il momento di essere molto radicali, non contestando l’istituzione, ma calandosi nel suscitare e creare queste esperienze.

E’ chiaro che la mia profezia non è solo stare nel mondo con questa tensione, è anche il contrario: riconoscere tutti quei germi di liberazione dagli idoli che nel mondo sono fuori dai nostri recinti e appartenenze, non solo delle altre fedi religiose, ma nel mondo. Nel nostro piccolo, da Mario Tronti che fa non solo quella prefazione al libro “L’assillo della fede” dedicato a Pino Trotta in dialogo con Pio, ma anche il suo intervento da non credente non abbiamo niente da imparare? E il mio compito è riconoscere questa cattedra dei non credenti. E torniamo a Martini e a Pio. Non abbiamo solo una profezia che dall’annuncio va al mondo, abbiamo anche una profezia che sta fuori dai recinti, che dai “segni dei tempi” riconosce questi segni e li riporta dentro il popolo di Dio in cammino.



Pino Baldassari. Nell’incontro che avevamo avuto sulla “Chiesa che parla” un amico diceva: qualcuno però deve annunciare. Questa cosa mi si rimbalza sempre perché nell’ambito degli incontri dei gruppi del Vangelo per le famiglie che facciamo nella parrocchia è partita un’iniziativa per la primavera, ma il parroco ci ha invitato a riflettere e pregare prima. Poi la cosa è partita a novembre. Mi mette molto in imbarazzo questa cosa, non so mai bene come muovermi. La domanda che faccio è: cosa intendete per annuncio? Il nostro amico Massimo diceva “qualcuno lo dovrà poi fare questo annuncio”. Vorrei che mi aiutaste a capire come. L’ho capita sul piano razionale, però poi nella prassi è un fatto solo di conversione mia che quello diventa annuncio; e mi sembra che non ci siamo. Io poi mi sento sempre inadeguato su tutto, ma qui a maggior ragione.



Chiara Patrizia. Bella domanda



Massimo. Pio diceva che bisogna fare, non basta dire, però c’è un dire che è anche un fare ed è quella che lui chiamava comunicazione spirituale.



Alberto. Prima ancora dell’evangelizzazione noi dovremmo, nell’anno della fede, pregare e entrare nell’ottica di una fede più viva. Questo è il punto perché se entriamo in una fede più viva diventa spontaneo dare testimonianza, comunicare l’esperienza, fare annuncio anche, che diventa non astratto, non dall’alto di chi sa verso chi non sa, ma comunicazione della mia esperienza di incontro con Cristo. E come l’ho fatta te la porgo. La strada è quella di crescere come cristiani nella sequela del Cristo perché poi diventa spontaneo, naturale e, parlando con le persone, ti scopri, ti scoprono. Se l’evangelizzazione non è preceduta da una maggior vita di cristiano, di Chiesa nel suo complesso che vive la sequela del Cristo in maniera più radicale sarà solo una chiacchiera. Personalmente in questo periodo mi capita soprattutto quando sento dei discorsi in televisione o qualche predica in genere su morti violente o funerali, di essere fortemente urtato, mi dà un fastidio enorme. Queste parole che vengono dette di consolazione di tutto mi danno proprio fastidio. Tante volte mi dico che forse sto esagerando, però c’è il disagio di fronte a un modo di fare annuncio alle persone che non ha dietro una conversione profonda. Il mio direttore spirituale col quale ogni tanto faccio una chiacchierata mi diceva: “sento subito se sono credibili i sacerdoti che si mettono nelle situazioni, le vivono ed esprimono quello che loro stanno vivendo”. Ho un’esperienza di meditazione cristiana che faccio al Centro del Vicariato; una cosa che mi ha colpito favorevolmente e che mi ha attratto, è che a suora che è con noi, che coordina e organizza, che è l’anima di questo gruppo, si mette in discussione, esprime le sue esperienze, i suoi dubbi, le sue scoperte. Non ci viene a parlare in termini cattedratici.

Secondo me evangelizzazione va insieme con scoperta della fede, una fede vissuta sempre più profondamente. Solo così verrà spontanea. Si parla di “nuova” evangelizzazione; in realtà sarà quella dei primi cristiani che scoprivano il Cristo e la bellezza di questa fede e perpetuavano la testimonianza. Sono due cose che camminano insieme. Qualche volta vado a Messa nel paese (quando sono là) e provo un profondissimo disagio. Intanto l’anno della fede completamente staccato da ogni riferimento al Concilio e poi la fede ridotta a rito; nel pomeriggio la processione dell’Addolorata e, alla fine, in conclusione, i fuochi d’artificio.

Il discorso spesso è di efficientismo, organizzativo, sul cosa fare senz’altro dietro.



Chiara Patrizia. O si va dalla parte devozionale che punta sul sentimento oppure su cose troppo astratte, troppo intellettuali e credo che né l’una né l’altra siano la strada giusta. Siamo veramente nel Mistero. Quello che mi attira di più è quello che sta fuori: tutto il creato, tutto quello che esiste è tutto parola di Dio. E’ parola di Dio la Bibbia, tutto quello che avviene nella storia, anche lo stesso male, il creato, l’evoluzione del mondo che cambia continuamente. Siamo in una crisi enorme; l’abbiamo ridotta a crisi economica, ma è antropologica. Tutto quello che sta fuori mi attira, anche quello che sta fuori dei cosiddetti steccati della Chiesa cui apparteniamo con amore, ma bisogna guardare fuori per incontrare lo Spirito che invade l’universo.



Alberto. Il 9-10 novembre a Roma c’è un convegno europeo degli amici dell’Associazione Teilhard de Chardin che si fa alla Gregoriana: c’è questa visione allargata della crescita della coscienza, l’unificazione, il muoversi verso un punto che porterà tutto a compimento. Ma questo modo di vedere le cose fatica a farsi strada e invece sarebbe molto importante anche per molti non credenti scoprire che c’è questo disegno che cammina, che si muove, che c’è sotto le cose. Potrebbe aiutarli e aiutarci ad entrare in sintonia con l’evangelizzazione, quella più ufficiale che non voglio biasimare, ma occorre vedere come si correla a tutto il resto.



Liborio. C’è sempre questo problema della libertà della persona. C’è un salto tra l’impersonale e il personale. Quando parliamo di queste devozioni c’è una specie di automatismo e pensiamo che tutto sfocerà verso un compimento. Invece c’è da andare anche verso ciò che passa, che muore, che finisce (la natura stessa lo fa) . E poi c’è il problema del compimento della salvezza personale. Ho un amico filosofo e teologo un po’ più grande di me, che si occupa di bio-etica come filosofo e non sul piano teologico. Ci conosciamo da tempo. Attualmente sta in una struttura ospedaliera per malati terminali oncologici. Sono stato a trovarlo, sono rimasto tutta la mattina e ci siamo messi a parlare naturalmente. A un certo punto è venuto fuori con una frase: “non ne posso più… se ogni giorno mi trovo davanti una, due, tre persone che mi muoiono davanti e che assisto. Persone le più varie, anche di 30-40 anni. E sto riflettendo su questo problema del “compimento”, come si perfeziona tutto, cosa si può dare a tutte queste persone dinanzi a questo passaggio”. In questo senso la Chiesa è cattolica veramente. La presenza della Chiesa nel mondo deve essere questo poter parlare a tutti, tutti tutti. Però va poi contestualizzata nelle situazioni; mia moglie si occupa di un asilo nido, oltre alla famiglia, c’è chi fa l’insegnante, chi il medico, c’è chi si trova a consolare (?), confortare (?), evitare che si possa disperare; la disperazione è una cosa brutta, è come la mancanza di fede e di amore, c’è buio; la disperazione è inferno. Non si può dire “tu non sei abbastanza convertito”, ognuno fa quello che può; alcune cose vanno criticate non come fatto personale, ma come limite di cultura, o di relazione, qualche volta di mancanza di occasioni. C’è questo bisogno di ravvivare la fede personale e chiedere al Signore: “Ravviva la mia fede”; e poi cercare di usare tutti i contesti, tutte le occasioni. C’è questo momento “opportuno” non solo per me, ma anche nella situazione storica, anche istituzionale, di lavoro, ecc. in cui mi trovo a vivere. La provvidenza ... Vedo la comunità cristiana come luogo dove queste esperienze non soltanto hanno spazio per comunicarsi fra di loro, ma in cui anche esplicitamente vengono riconosciuti l’origine, il fondamento, il perno di tutto questo; e il perno è la rivelazione del Mistero Pasquale. Insisto sempre sulla liturgia che non è un fatto ritualistico: le forme liturgiche devono essere belle e devono essere il luogo dove tutto questo diventa Eucarestia cioè rendimento di grazie, una ragione di vita. Questo può essere un modo per attuare bene il Concilio. Forse è difficile cominciare. Possiamo rileggere tutti i documenti che vogliamo, possiamo organizzare un sacco di convegni; in questo momento siamo pieni zeppi … C’è un relatore che parla, più o meno esperto, più o meno aperto a seconda anche del parroco o del vescovo … Ma nessuno legge per intero i documenti conciliari, spesso si va per citazioni. Si parla dell’atmosfera che c’era nel ’58 ma poi è dato per scontato che ognuno si schierava tra quelli che erano conciliari e gli “irriducibili”. Occorre anche più aderenza ai contesti umani in cui si vive e alla riscoperta della vita liturgica; mai dimenticare queste due dimensioni di cielo e terra, divino – umano, di comunicazione che è l’unica realtà personale, di persone.



Chiara Patrizia. Cielo e terra ce l’abbiamo oggi dentro, non dobbiamo aspettare il domani.

Liborio. Non solo ma il mondo è perché è in relazione alle persone; quell’Essere personale che ha creato e di cui facciamo parte, ma come persone.

Chiara Patrizia. Questo è importante anche perché siamo in una società pluralista anche dal punto di vista religioso. Penso alle religioni orientali dove il concetto di persona non c’è. Noi occidentali abbiamo unito individuo e persona e l’individuo rappresenta l’ego (negativo), la persona è qualcosa che è in relazione



Felice Scalia. La pastorale delle risposte è una problematica che da anni ho vissuto sempre durante la messa domenicale ed è una sofferenza continua. Spesso cambio pure chiesa per trovare un prete che sia un po’ più ottimista nei confronti degli esseri umani perché c’è una tendenza alla criminalizzazione che dà fastidio. Incontrarsi con Pio era un momento di speranza, di recupero di questa dimensione. Incrociando questa esperienza con gli incontri quotidiani con le persone non le trovo così criminali, le trovo disponibili, generose. Fanno anche del male perché l’uomo è così, però c’è una prevalenza del bene di cui non si parla. La pastorale delle risposte è geniale perché riscrive un modo, quello della Chiesa, che è fondamentalmente sbagliato. Mi rendo conto anche che spesso le persone hanno bisogno di una guida e qui mi sento di stare in un gruppo di credenti adulti. Probabilmente la Chiesa parte dal presupposto che la maggior parte dei credenti non sono adulti e hanno bisogno di un “manuale”. Ho scoperto che il mondo è molto più bello di come viene rappresentato.



Alberto. Vorrei chiedere a suor Chiara se ci amplia il punto d) perché una frase di Liborio mi lascia perplesso: tutta la vita andrebbe verso l’annientamento. Io l’ho capita così, ma sarebbe in contrasto con la Pasqua. Teilhard de Chardin non è un inguaribile ottimista, è uno che vede anche il male, ma vede che c’è un disegno d’amore nel Cristo nel quale tutto sarà recuperato. Quindi ti chiedo qualcosa di più ampio sul vivere la sequela e la Pasqua in concreto, anche perché è questo l’annuncio che va dato. Pio qualche anno fa diceva che il cristiano dovrebbe essere soprattutto quello che scopre il bene che c’è nel mondo.



Chiara Patrizia. La concretezza è la Pasqua di ogni giorno. Credo che tutti noi ogni giorno moriamo e risorgiamo perché c’è ogni giorno qualcosa di noi che si perde e, però poi la vita riprende. E’ importante anche l’accettazione di far Pasqua ogni giorno. Quante volte, quante pasque, quante perdite ci sono chieste ogni giorno, a livello individuale, familiare, sociale. Anche le stesse incertezze: la vita, proprio perché è vita, non ha sicurezze. Se fosse messa in sicurezza non sarebbe più vita. Siamo un mistero e quando lo pensi spesso ti perdi e ti chiedi “dove sono legata”. E sei legata a questo anelito che è verso Dio. Per questo il credente è vicino all’ateo. Martini ha detto che il punto più alto del cammino della fede è il crinale dove la fede e l’ateismo si confondono. Ma anche il termine Dio è un termine umano, lo usiamo con la nostra parola. Ma chi è Dio, chi mai l’ha conosciuto? Abbiamo Gesù e per questo dobbiamo tenere cara questa parola anche se non sappiamo cosa diciamo. Tante volte me lo ripeto nella preghiera, anche se non so che preghiera è. C’è un tipo di preghiera che è rimanere dentro un Mistero più grande di te e accettare che quasi ti schiacci. A volte la luce acceca e brancoli nel buio perché capisci che è più grande. Anche dire la parola “Gesù”: noi sappiamo che Gesù è il volto di un uomo e per questo più diventiamo uomini, più cresciamo in umanità, più avviciniamo il nostro volto al volto di Cristo, del Figlio dell’Uomo. Lo diciamo, ma in pratica cosa significa? Chi sono io? Ti senti vivere, ti senti che respiri, ma non puoi catalogare neanche te stesso, tanto meno puoi dire qualcosa di Dio; la Verità come possiamo definirla? Una delle risposte è aver definito la Verità e, siccome la verità è vita, non sappiamo cos’è. A me piace tanto questo non sapere: è un pochino la spiritualità dei padri del deserto, il sapere di non sapere, ma anche accettare di rimanere nel non sapere con la consapevolezza di essere dentro un mistero, però credendo che questo mistero è un mistero di bene. Come sia questo “bene” non lo sappiamo perché si manifesta anche nel male. Leggevo in questi giorni che il bene e il male nell’uomo non sono distinti, ma mischiati se no non c’è neanche l’uomo; però ci sarà il momento in cui questo Mistero più grande di noi sarà tutto Bene. Siamo destinati al Bene. Vado molto anche all’osso della fede: rimane solo questo Dio che non so chi è, però ha il volto di Gesù che è il volto di un uomo. Ma chi è questo Gesù poi. E’ il Figlio di Dio? E’ il Figlio dell’uomo? Ma non so neanche cos’è l’uomo. Chi siamo noi? Viviamo, ma questo vivere dà le vertigini, ti sembra quasi di cadere nel vuoto mentre sei nella pienezza della Vita; nel vuoto perché non hai un appoggio però è questo che ci fa entrare nel Mistero. Forse dobbiamo fermarci credendo che davvero c’è il Bene e questo bene lo possiamo chiamare Dio (un altro lo chiamerà con un altro nome), ma credere che il bene non solo è più grande del male (è asimmetrico, non puoi misurare cinque chili di bene e cinque chili di male), ma c’è.

Siamo legati l’uno all’altro; io penso che o ci salviamo tutti o periamo tutti, siamo tutti nella stessa barca, come si dice. Quindi il bene di uno è il bene dell’altro che magari sta facendo il male e chi sta facendo il male sta facendo male anche all’altro, però io voglio credere che il bene è molto più forte, più grande. Poi tanto c’è il bene di Gesù; nella storia abbiamo il bene di Gesù. E’ proprio importante poter dire e ridire il nome di Gesù; anche se non sai cosa dici, oppure dici che Gesù è il figlio di Maria, è Nazareth, ci sono dei riferimenti anche storici, però in realtà cosa diciamo col nome di Gesù? Ma dire e ridire il nome di Gesù ti apre una porta, una stradina che ti fa intravedere qualche cosa, che si può andare avanti: il nome di Gesù è la salvezza. Anche dire “Gesù, mio Signore” (la preghiera del cuore) è fondamentale. E dire Gesù è Signore vuol dire che Gesù è Dio, ma dire che Dio è Gesù è ancora più chiaro perché Gesù lo conosciamo, l’abbiamo visto, sappiamo che ha il volto di un uomo. Ma non sappiamo neanche chi siamo noi… Non so se è una cosa dell’età che mi fa dire così.

Però poi bisogna vivere nella semplicità; la nostra vita quotidiana non è sempre stare nel mistero. Io un pochino tendo a questo, però sono anche qua. E’ vivere da umani, da uomini. La vita di per sé è insicura se no non sarebbe vita: c’è l’insicurezza sul piano fisico (sto bene, ma fra cinque minuti posso star male). Abbiamo bisogno di sicurezze: tutta la cultura della salute, della prevenzione è per essere sicuri che almeno qualche anno lo campiamo; almeno qualche anno, ma non lo sappiamo. Un conto è dirlo così, un conto è sentire l’esperienza che anche il corpo si disfa. E’ meglio non dire ai giovani che “l’uomo esteriore si va disfacendo” però è una realtà anche per loro. Non è una cosa negativa dire questo perché c’è “l’uomo interiore che si rinnova” e tu senti che la vita “vive”, ma la vita veramente non la puoi collocare in nessun luogo sicuro. Forse il luogo sicuro è questo dire “Gesù”. Oppure penso che abbiamo bisogno della casa che significa un luogo di appartenenza, un tuo luogo dove stai. Io sto benissimo nella mia comunità, ma, dico la verità, non è la mia casa nel senso che è la casa per certi aspetti, però siamo talmente diverse una dall’altra che delle volte dico: “Abbiamo tutti la stessa fede che è Gesù, però nella religione è tutta diversa”. Per me la mia casa, il mio luogo è il desiderio di Dio e questo desiderio di compimento nel quale credo è il luogo del tuo riposo: è lì che ti ritrovi. C’è un inno nella liturgia delle ore che dice “accresci il desiderio della patria beata”. Cosa sarà questa patria beata; è qualcosa che deve compiersi, che non c’è ancora, però c’è il desiderio.

Alberto. La dimensione contemplativa è fondamentale non solo per le clarisse, ma anche per noi.



Anna Maria. Dopo questo è un po’ difficile. Tornando al tema della Chiesa che è chiamata ad annunciare il mistero di Dio e dell’uomo, penso che ci voglia un grande e intimo pudore proprio nell’annuncio da chiunque è fatto, laico o sacerdote o, non vorrei dirlo, da insegnante ma c’entrava qualche volta, eccome se c’entrava anche senza nominare Dio. Se la Chiesa deve evangelizzare, per me deve diventare veramente una Chiesa di frontiera con tutte le accezioni che questa parola significa, perché “frontiera” significa un posto che è di nessuno (pensavo un po’ di giorni fa, quando c’è stato quell’ultimo naufragio in cui sono morte tante persone). Ma se la Chiesa deve evangelizzare deve diventare di frontiera e come tale deve uscire dalle sacrestie, dalle mura, sapendo benissimo che in una frontiera ci sono uomini molto, molto precari (come ci siamo anche noi, precari come tutti) che sbarcano, muoiono e sono in attesa di una patria “altra”, ma proprio perché sbarcano, muoiono e sono in attesa hanno bisogno di essere consolati (in un senso alto) ed essere accolti da un ventre che io immagino materno (io lo immagino così) che accoglie tutti indistintamente e non per religione. E dobbiamo essere consolati non solo con le opere di misericordia, ma, nello smarrimento generale in cui siamo costretti a vivere dobbiamo pensare che qualcuno ci dà ragione della speranza che è nel Vangelo. Ce la possiamo dare da soli rileggendo le pagine o perché abbiamo ormai una certa cultura oramai, siamo stati educati da profeti non di poco conto, ma non mi basta. Ho bisogno di sentire che qualcuno mi accompagna in questo faticoso cammino.

Alberto. La Chiesa. Anna Maria. La Chiesa, si, ma la Chiesa sono anche io, siete voi, siamo noi. Non è solo la Chiesa che deve uscire dalla sacrestia, come dicevo prima, ma trovare il coraggio di mettersi in guerra con il mondo.



Chiara Patrizia. Essere accompagnati è l’amicizia (Pio), la cosiddetta amicizia spirituale che non vuol dire disincarnata, ma vera. Credo che bisogna valorizzarla molto e va anche coltivata. Si può dare per scontata, però va coltivata con piccoli gesti, così non ti senti solo. E’ la Chiesa che ti accompagna, però attraverso delle persone concrete che vivono a tu per tu; non sono una massa indistinta, sono dei volti, dei nomi con i quali senti che cammini e vai avanti insieme; a tentoni, perché tutti andiamo a tentoni, ma insieme a qualcun altro se io casco l’altro mi tira su e viceversa. Questo è un modo di essere Chiesa concreta nella quotidianità.



Alberto. Una volta stavamo in cordata con un gruppo di Gioventù Aclista; a un certo punto mi sono trovato su un burrone che se non fossi stato legato non sarei qui. E da questo ho capito quanto è importante la cordata.

Una domanda che mi sembra importante è cos’è la gioia.



Franco. Ho fatto un convegno sulla festa e l’abbiamo fatto a Chiusi della Verna.

Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla abbiamo fiducia in Dio e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da Lui perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quel che è gradito a Lui. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo, Gesù Cristo, e ci amiamo gli uni gli altri secondo il precetto che ci ha dato. Da questo si distingue la testimonianza, da questo si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo. Chi non pratica la giustizia e non è da Dio, né lo è chi non ama il suo fratello”. La comunità si fonda sul nome di Gesù, ma la testimonianza è fare la giustizia e amare. Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Qui e ora. “Da questo abbiamo conosciuto l’amore. Egli ha dato la sua vita per noi, quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1Giovanni, 3). Cos’altro è? E’ così difficile da capire? No, ma questa è la testimonianza, questa è la profezia: fare la giustizia e amare. Quando parla dei fratelli non parla della cerchia della Chiesa perché poi l’esempio che fa è quello di Caino e Abele, mentre la Chiesa l’ha interpretato come una cosa …, invece di un amore universale, di una fraternità universale. E’ tutto qui; lo so che lo cito sempre. Fare la giustizia e amare i fratelli perché questo ci ha comandato e noi siamo capaci di questa testimonianza perché, essendo nel Suo Nome, tutto quello che chiediamo ci è dato. Questa è la Chiesa. E forse oggi per fondare veramente la Chiesa bisogna proprio uscire dalle sacrestie. Qui non siamo in una sacrestia, però qui siamo Chiesa. Non parlo del nostro amico, Vittorio Bellavite e di quel movimento, ma è la verità. Se praticate un po’ il web in questo periodo è pieno di ingiurie contro la Chiesa a partire da due cose: la pedofilia e quel che è successo in Vaticano. Che testimonianza dà il nome di questa Chiesa oggi? Testimoniare il Cristo, sì, testimoniando la tua fedeltà; e così rigenerando anche la “semper reformanda”. Non dobbiamo stare fuori o contro l’istituzione. Magari un giorno anche noi saremo capaci di andare dal Papa, come fece Francesco. Io lo penso e lo pensa uno che è andato in S. Pietro con 60 mila persona a farsi benedire dal Papa … L’ho anche benedetto io un po’, ma questo …

Chiara Patrizia. Dovremmo dialogare di più con i nostri pastori, però il cap. 3 della Lettera di Giovanni riassume un po’ tutto.

II Parte – 27 ottobre



Chiara Patrizia.

  1. La Chiesa, nella sua evangelizzazione

è chiamata ad annunciare il Mistero di Dio e dell’uomo, ad annunciare la VITA.

  1. Perché è stata continuamente tentata di dare risposte chiare, sicure, con definizioni, dogmi, leggi immutabili? e quasi mai ad orientare verso il Mistero?

  2. Cosa intendiamo per Nuova Evangelizzazione? Che significa in concretezza nelle nostre parrocchie e gruppi ecclesiali?

  3. Quale contributo possiamo dare come comunità Cristiane ai nostri preti che sono i primi interpellati?

  4. Cosa puoi fare tu per la Chiesa (Martini- ultima domanda)

  5. La riforma della Chiesa è sempre avvenuta dalla base … dal circolare di idee … pensieri da persona a persona … Ecclesia semper reformanda.

Discernimento


Incontri 2012-2013


  • 26 ottobre 2012
    La Chiesa che parla
    Urbino