23 giugno 2012
Il fare memoria era diventato un impegno importante di Pio il quale si è cimentato, con molti di noi, nell'esercizio di fare memoria di Maurizio Polverari, P. Mario Castelli, P. Saverio Corradino, Pino Trotta (abbiamo pubblicato il libro “L'assillo della fede”, una rivisitazione del libro “Dialoghi sulla vita consacrata” in cui si parla molto di Pino ma anche di Pio, che con la morte delle due persone diventa più significativo per noi), ma anche di Lazzati, La Pira, Dossetti, P. Mongillo, e così via. Il suo invito a fare memoria si dilata immensamente, senza confini, a partire dalle persone che hanno lottato e sofferto per la giustizia e per il bene oppure che hanno avuto per noi un particolare ruolo di sostegno nella vita. Si può far memoria, come lui dice in una comunicazione del 2009, in tanti modi, tutti rispettabili, ma non tutti uguali: si può “commemorare”, ricordare in pubblico, realizzando una celebrazione, e la riuscita dell'iniziativa si misura dalla pubblicità o dalla partecipazione. Non è questo che vogliamo fare qui oggi. In altro modo si può fare uno studio approfondito delle persone di cui si vuol fare memoria, in cui si eviti il rischio di far guardare il passato senza responsabilizzarci per il presente. Scoprire meriti e virtù delle persone nel ricordarle è certo utile purché si eviti una logica celebrativa o auto-celebrativa. Si può, infine, come suggerisce Pio, “fare memoria nel senso di entrare in comunione con chi ci ha preceduto”, e questa è la nostra intenzione di oggi. “Nel farlo comunitariamente sperimentiamo - dice Pio - cosa significa la vera amicizia fra noi comunicando ciò che si è e ciò che si vive nel dolore come nella gioia: la nostra vita quotidiana è implicata in questo rapporto di amicizia. La vera amicizia si ha quando si partecipa al vissuto reciprocamente superando barriere e recinti di ogni genere”. Per noi fare memoria non è semplicemente proporre un ricordo quanto un'attenzione alla realtà attuale, di Pio, dell'amicizia, delle cose che ha comunicato, alla luce delle sue riflessioni, intuizioni e proposte.
Abbiamo stampato un piccolo appunto tra gli ultimi scritti di Pio, intitolato “La mia profezia”: è stato una cosa importante nel modo in cui Pio usava fare: non tanto scrivere cose “poderose”, che pure sono importanti, quanto invece proporre una “traccia”, indicare un cammino nel quale chiedeva che noi fossimo implicati e sul quale il gruppo degli amici degli Incontri Maurizio Polverari quest'anno ha lavorato, guardando (questo è il senso del fare memoria) quello che oggi quello scritto può dire a noi. Non è legarci al passato, ma guardare attentamente l'oggi che ci vede, per esempio, come cristianità, impegnati a ripensare, aggiornare il Concilio Vaticano II, e che ci rende anche responsabili di quello che succede nel mondo con la crisi italiana e mondiale. Ciò in considerazione di quella apertura piena alla vita e alla storia di tutta l'umanità, sulla quale Pio non ha mai smesso di insistere. Anche la Messa che concluderà la giornata fa parte del ricordo di Pio, ma è la Messa del Signore che è quindi sul mondo, sull'intero mondo con la concretezza dell'amore universale per la quale Pio aveva un po' il “pallino”.
Sono con noi molte persone: volevo in particolare salutare la sorella e la cognata di Pio, p. Rossi de Gasperis, p. Pino Stancari, p. Giancarlo Pani che sono fratelli della Compagnia; c'è Laura che leggerà una lettera di suor Chiara Patrizia, Giorgio Marcello e Piero Fantozzi dell'Associazione S. Pancrazio di Cosenza e tanti altri. Tanti hanno mandato testimonianze scritte; ne leggeremo alcune, ma tutte saranno inserite nel sito dell'associazione insieme con il resoconto della giornata.
C'è anche una lettera che Pio aveva mandato a p. Sabino Maffeo s.j., e che questi ci ha inviato come ricordo affettuoso. Possiamo cominciare, proprio con lo spirito del fare memoria proprio di Pio, dando la parola a Francesco Rossi de Gasperis che ha conosciuto Pio dalla prima elementare.
Non pensavo di intervenire, ma mi fa piacere ricevere questo fascicoletto (Una lunga riflessione e una scelta di vita) perché leggendo l'indice, la traccia, i dieci punti che si trovano nella prima pagina, mi si ricompone l'immagine di Pio, che conosco dal 1933, in prima elementare. Pio ha sempre avuto questo sguardo contemplativo che ho sempre sentito in composizione con quello che sentivo io. Anche per il fatto di essere vissuto per 35 anni a Gerusalemme, sono una persona molto sensibile alla storia e quindi alla geografia, alle cose particolari: Gerusalemme vuol dire Gerusalemme, non vuol dire tutta la terra. Pio, invece, respirava sul mondo: questi titoletti che lui ha messo (La Messa sul mondo, La mia profezia, L'umanità che vive in me, La laicità, La fede non spiega ma illumina) dimostrano che lui non si arrestava mai allo “storico”, ma apriva sempre la contemplazione sul mondo intero. Per questo forse ha sofferto. Dove dice “nella Compagnia di Gesù in cui mi sono ritrovato singolarmente solo per quanto riguarda l'istituzione e le sue strutture” forse ha sofferto di tutto quello che è troppo limitato, troppo particolare. Pio era più filosofo che teologo, se vogliamo, proprio perché apriva subito il ventaglio su tutto e quindi rifuggiva dalle vocazioni troppo particolari, dalle cose troppo singolari, troppo segnate dalla geografia e dalla storia appunto. Questo mi ha sempre aiutato a capire che cos'è la storia nel senso di non chiudersi nel particolare, ma cominciare ad aprirsi all'universale. L'ho notato fino agli ultimissimi giorni; io sono stato male l'anno prima e Pio mi telefonava continuamente, poi ha cominciato a stare male lui e gli telefonavo io; sono andato a salutarlo perché dovevo partire per Gerusalemme per prendere le mie cose e mi sono trasferito a Roma in una casa che nel febbraio del 1944 era una casa per esercizi spirituali (si chiamava la casa del S. Cuore), dove con Pio abbiamo fatto gli esercizi per tre giorni, in terza liceo, e abbiamo deciso di entrare nella Compagnia di Gesù. Adesso mi ritrovo in quella casa, in quel giardino dove abbiamo preso questa decisione. Anche questo mi rende presente la memoria di Pio. Ma soprattutto volevo ricordare una cosa che voi avete sperimentato: non si fermava mai al particolare ma doveva abbracciare sempre il tutto, quindi in certo senso più sensibile alla universalità della Creazione che alla particolarità dell'Alleanza biblica, però negli ultimi anni in cui è stato alla Cappella ha scoperto la Bibbia forse in un modo nuovo, perché ha capito che la Bibbia, essendo una storia particolare, era una storia esemplare per tutti, perché è un cammino che Dio fa visitando il suo popolo e visitando l'umanità attraverso il suo popolo. Tutto ciò che è particolare anche nella nostra vita, la nostra storia, le nostre vocazioni, le vicende noiose o tristi della nostra vita, le persone che abbiamo conosciuto, le amicizie, i parenti, i mariti, le mogli, gli amici, tutto quello che ha segnato in modo particolare la nostra vita, è destinato ad aprirsi all'universale. E' un cammino che il Signore ci fa fare per scoprire gli altri, il mondo, che abbiamo bisogno di tutti e non possiamo fare a meno di nessuno, che io non ci sono mai senza l'altro anche se l'altro è qualcuno con cui combattere, come Giacobbe al guado dello Jabbok. E' fondamentale: “io ho bisogno di te perché tu hai bisogno di me; per essere me stesso ho bisogno di te”. Questo porta al matrimonio, all'amicizia, alla comunione.
Questo è il ricordo più bello di Pio che conservo proprio perché era diverso da me: mi ha dato qualcosa di cui avevo bisogno per essere me stesso.
Ricordo che Pio, quando stava già male, leggeva un grosso tomo di p. Rossi de Gasperis, l'ultimo che aveva ricevuto da lui. Ho assistito a una telefonata in cui gli diceva: “l'ho letto tutto, è interessante, ma devo rileggerlo”.
Ho conosciuto Pio che era già adulto. Ero studente, abitava in via Torelli e abbiamo vissuto insieme un paio d'anni e poi negli anni successivi con tutto quello che si è sviluppato nel corso di tanti momenti di incontro. Vorrei ridurre in modo molto essenziale la mia partecipazione a questo incontro ad alcune parole: ci pensavo anche stamattina venendo con Giorgio e Caterina. La prima parola è “mistica”. Dovremmo pensarci: cosa vuol dire? Non so esattamente cosa voglia dire, ma quando penso a Pio penso ad una modalità di approccio alla realtà, al mondo, al Mistero che forse si chiama mistica. E nel Mistero c'è tutto. Non ho definizioni da dare; avevo in mano stamattina un volume che raccoglie gli scritti del P. Michel de Certeau dedicati alla mistica, un personaggio che appartiene a un altro mondo e che ha un'altra storia, ma leggevo delle cose che mi parlavano, con un linguaggio molto più sofisticato, di Pio. Anch'io ebbi l'impressione dai primi approcci con Pio (non si può dire genericamente dei gesuiti della sua generazione, ma di diversi di loro) che la filosofia fosse molto più influente della teologia. La teologia era uno studio aggiunto come un “bagaglio appresso” nel contesto di un percorso che seguiva altri itinerari, ma questo approccio più filosofico in realtà per Pio era un approccio mistico, e aggiungo - se riesco ad esplicitare questa mia interpretazione delle cose - che è evidentemente un modo di entrare in relazione con il mondo che rende sempre più poveri.
La seconda parola su cui vorrei richiamare l'attenzione è povertà. La mistica non è un modo per possedere le cose, è un modo per ritrovarsi sempre più poveri rispetto alle cose e la relazione con il Mistero non riempie, nel senso di un accumulo che rende più nutrito l'archivio delle conoscenze e dei contatti, ma apre spazi che, paradossalmente, sono sempre più vuoti. In quella povertà l'attesa, la ricerca, la curiosità, l'aspettativa, il desiderio di incontrare e conoscere ancora divengono dati sempre più determinanti in maniera quasi esplosiva. Tra l'altro Pio non viaggiava in aereo, quindi i suoi contatti con il resto del mondo erano piuttosto limitati. In anni passati faceva fatica anche a celebrare in pubblico la Messa: una serie di situazioni che lo handicappavano nel rapporto con le cose, le persone, il mondo, ma questa povertà era testimonianza di una larghezza interiore dove il vuoto è tutto da scoprire come rivelazione, epifania, sacramento di quello che solo Dio conosce.
E ancora una parola: conversazione: un conversatore esemplare, un ascoltatore instancabile. E questo in continuità con le considerazioni che ho appena espresso, non come un dovere a cui attenersi, un atto di gentilezza o anche di buona volontà nei confronti del prossimo, ma come rivelazione spicciola di quello spazio sempre pronto, disponibile ad accogliere, in misura sempre più larga e sempre più capiente. Questa disponibilità alla conversazione dava sempre spazio e valore alla presenza altrui. Ricordo come, lo ricordava P. Francesco, la Bibbia non era presente nel cosmo formativo e nel vissuto di un uomo come Pio che pure era un lettore maturo e critico. La Bibbia non c'era e ricordo benissimo come, a un certo momento, lui si rese conto benissimo di come la necessità di conversare che aveva dentro avesse bisogno di un ascolto: in ascolto di Francesco che scriveva i tomi, di Corradino che commentava il libro di Giona, in ascolto anche di me che ero l'ultimo arrivato, ma con pazienza, con devozione, con interesse, con un'umiltà davvero sorprendente. A questo riguardo, ad un certo momento, una trentina d'anni fa, fu avviata quell'esperienza di dialogo, di conversazione con alcuni confratelli, Corradino, Castelli e anch'io fui inserito in quel quartetto, e per me è stata una delle esperienze più importanti della mia vita perché è stata un'esperienza di quella che, credo, solitamente si chiama “comunione”. Non mi era mai capitato di essere in comunione con dei confratelli. E invece è capitato, è accaduto, è successo, è un fatto, è avvenuto. Poi Pio, nel fascicoletto ricordato da p. Francesco, parla di “grande solitudine” nella Compagnia di Gesù. Per quello che ricordo di Pio, e negli anni i contatti si sono sempre conservati, anche se non in maniera sempre molto intensa, il mio ricordo di lui è di un uomo di comunione, e quella ricerca, che nel corso di alcuni anni ha poi coinvolto altri amici, altri confratelli, altre persone più esperte di noi, è stata un'esperienza fecondissima di comunione, in un contesto di povertà che forse solo il linguaggio misterioso e ineffabile della mistica può interpretare.
Dopo questi due discorsi molto elevati volevo fare un discorso più terra-terra. Ho conosciuto Pio nel primo anno di università, 1967, e l'ho conosciuto con questa esperienza degli appartamenti. Pio iniziava a contattare alcuni amici, ma aveva un'esperienza molto grossa con i “gesuitini” (ci sono la sorella e la cognata qui presenti), e noi eravamo i “gesuitini”, i gesuiti che studiavano e vivevano in un appartamento, e Pio era con noi. Ripensandoci oggi, un uomo, un gesuita di 45 anni che vive in un appartamento con noi, dormiva nella stanza con me (eravamo due per stanza perché non ci si poteva permettere il lusso di avere una stanza per tutti) non era una cosa insignificante. Pio mi diceva “io russo la notte” e io gli risposi “io la notte dormo”, per dirvi il clima di sincerità, di chiarezza, di immediatezza, di disponibilità e di donazione, perché poi Pio ci seguiva negli studi; voleva vedere la tesi che stavo facendo; era su Martin Lutero; lui non aveva molto a cuore i protestanti, ed era interessante come, attraverso quei capitoli che gli facevo leggere (non sono un grande scrittore e lui li correggeva) scopriva questa dimensione della fede: “queste cose le dice anche Lutero?”. Alcuni giorni fa, studiando il Concilio di Trento, ho scoperto che uno dei cardinali, all'inizio del Concilio dice: “Attenzione, non dobbiamo pensare «l'ha detto Lutero e quindi è eretico» perché l'eresia di solito si fonda sulla verità e quindi certamente c'è una parte di verità in quello che Lutero dice. E' interessante come Pio, correggendomi la tesi, scopriva questi argomenti nuovi: come Martin Lutero interpretava la fede.
La cosa fondamentale era questo aspetto di donazione a noi. Eravamo seguiti da Pio insieme a tanti altri studenti che vivevano negli appartamenti e mentre P. Francesco parlava mi veniva spontaneo pensare che lo sguardo sul mondo parte dal particolare, dalla conoscenza vera, dal contatto immediato, dal mettersi in discussione, donarsi agli altri, ed è questa dimensione che mi ha aiutato molto in quello che è seguito, nel senso che sono andato a fare teologia, poi mi hanno rimandato in Cappella. Guardando indietro negli anni ritrovo alcune cose di Pio che sono molto semplici ma è importante ricordare: per esempio l'esperienza delle gite in montagna. Cose banali, forse, ma occasioni in cui ci si conosce. Poi l'esperienza di conversazione che è già stata ricordata e ancora l'esperienza di chi sa che ha una propria vita da giocare per gli altri. Questo è quello che ho imparato negli appartamenti di via Donati, parallela di via degli Ortaggi. Questa conversazione, iniziata nella stessa stanza in cui vivevamo, è andata avanti fino alla fine. Anche se non partecipavo all'esperienza degli appartamenti era fondamentale il fatto che ogni tanto con Pio ci si vedeva: lui veniva qui in Cappella, noi andavamo da lui a mangiare una pizza e così questo ricordo me lo porto nel cuore. Anch'io alcune delle esperienze più belle della mia vita le ho fatte con Pio, con Francesco, con Pino e con P. Corradino. Vi ringrazio.
con questa preghiera che avevo mandato a p. Pio qualche settimana prima della sua morte, partecipo anch'io al vostro incontro in memoria di lui che ora, dal Paradiso, ci sorride beato, non senza partecipare ancora ai nostri problemi, soprattutto a quelli della chiesa e della storia.
L'unica vera parola che possiamo pronunciare è il nome di Gesù, Parola di vita e di speranza. Questo ci siamo detti e ridetti al telefono negli ultimi mesi di vita di Pio. Io da una parte e lui dall'altra del filo telefonico: Gesù, mi abbandono a Te, in pura perdita.
Il nome di Gesù detto tra amici, rende l'amicizia un vero sacramento ecclesiale di cui il mondo ha bisogno.
Pio di questo sacramento si è largamente nutrito e con la sua amicizia così spontanea e semplice ne ha svelato a tutti noi il suo dolcissimo segreto.
Suor Chiara Patrizia
C'è un approccio mistico di suor Chiara, e Pio aveva trovato sostegno in questa amicizia spirituale che riguarda tutti noi. Siamo stati già due volte ad Urbino e abbiamo preso l'impegno con lei di continuare una conversazione, una raccolta di idee a partire dal suo impegno.
Suor Chiara Patrizia continua a mandarci dei “frammenti-poesie-preghiere” che stiamo cercando di raccogliere per fare un secondo libretto (il primo è già stato pubblicato).
Padre Pio da Pietralata, così amava chiamarsi scherzosamente. L'ho conosciuto nel lontano 1975 quando approdò alle Acli. Aldo De Matteo, mio marito, si occupava della formazione e Pio era una delle poche persone che avevano ingresso libero a casa nostra. All'inizio, inspiegabilmente, mi metteva soggezione, un sentimento che è durato a lungo e che si è risolto solo qualche anno dopo quando ho iniziato a frequentare gli incontri che si tenevano a S. Roberto Bellarmino.
Avevo lasciato il lavoro appena sposata, mi prendevo cura della mia famiglia, ma tutto questo non mi bastava e lui se ne accorse. Mi tirò fuori da quell'isolamento e mi “invitò” a frequentare via degli Ortaggi. Un impegno che, cominciato in sordina, piano piano si è trasformato col tempo in un vero e proprio lavoro, che mi prendeva mente e cuore, fonte sempre di cose nuove inseguendo, con tutte le mie limitazioni, la sua fede limpida e il trasparente messaggio di speranza che cercava, cerca, di comunicare a quanta più gente possibile, convinto che dall'amicizia spirituale nascono frutti graditi al Padre e necessari, indispensabili alla sua Chiesa.
Lavorando per lui e con lui mi ha portato un vento nuovo e antico, eco di giorni lontani e altre persone straordinarie che avevo conosciuto quando anch'io avevo lavorato alle Acli. Ivan Cornioli e Luisito Bianchi; poi Pino Stancari e Pio: le “pietre d'inciampo” che il Signore ha messo sulla mia strada e che hanno cambiato la mia vita.
Sono per natura un po' pasticciona e poco costante, ma lui riusciva a portarmi più in là delle mie debolezze, a farmi sentire che collaboravo a qualcosa di più grande di me e anche di lui.
“La signora Laura” mi chiamava quando mi presentava persone o parlava di me ad altri. E questo mi faceva sorridere; se ci penso sorrido ancora...
Andavo a via degli Ortaggi due, tre volte a settimana; poi c'erano gli incontri che programmava con meticolosità e preparava accuratamente giorni e settimane prima. Non sempre comprendevo i suoi scritti, che trascrivevo e lui pazientemente correggeva senza mai farmi pesare un errore o una dimenticanza. Mi chiedeva spesso cosa ne pensavo e a volte mi spiazzava perché faticavo a comprendere quelle parole così dense e ricche. Forse ci capisco più oggi quando mano a mano mi vengono in mente e mi ritrovo spesso a pensare: Pio diceva che... o avrebbe fatto così; e ancora mi aiuta a capire, ad allargare lo sguardo alle cose del mondo. Ecco, forse quello che rimane ora più forte è proprio il fatto di riuscire ad alzare lo sguardo, ad allontanarlo dal mio piccolo io per aprirlo a tutto il mondo, a tutte le persone, uomini e donne sofferenti in ogni angolo della terra. Se oggi riesco a guardare alla mia condizione con il necessario distacco e ad inserirla nella corrente dell'umanità sofferente lo devo a lui; se oggi riesco a non preoccuparmi del “mio” domani, se cerco di avere un occhio attento a quanto succede tutto intorno lo devo a lui. Al funerale di Aldo ricordò la strage di Beslan e molti si chiesero “che c'entra?”... Lui sapeva che c'entrava... Ne parlava spesso e lo scrisse poi nella “Messa sul mondo”, uno degli ultimi scritti.
Arrivavo la mattina, scambiavamo due chiacchiere sulle nostre vite e su quanto succedeva intorno, scambiavamo qualche confidenza sulle nostre debolezze e sofferenze (ricordo le lunghe notti insonni che lo tormentavano); diceva di aver bisogno di meno medicine e tanta vitamina P dove la “p” stava per pazienza, mentre i suoi problemi di salute si facevano pesanti e la sua sensibilità era messa a dura prova; sentiva che le forze venivano a mancare, ma preferiva non parlarne: “faccio di tutto per non pensarci e voi me lo ricordate sempre...”, con la consueta ironia, ma anche un po' di amarezza. Negli ultimi anni poi gli piaceva raccontarmi storie della sua infanzia, della sua famiglia, il tempo della guerra, degli studi, l'affetto che lo legava ai fratelli e alla sorella, il suo amore per la montagna (“vedi - diceva - aver fatto roccia oggi mi aiuta: ho imparato ad usare le dita delle mani come appigli”...). Solo un occhio attento però poteva cogliere la sofferenza, per esempio, dopo la morte del fratello Luigi: il pudore per i sentimenti era forte.
Mi faceva sentire capita anche se ascoltava in silenzio; solo raramente mi “stoppava”, a volte bruscamente, se esageravo in autocommiserazione o eccessivi sensi di colpa.
Gli raccontavo qualche mia disgrazia o dispiacere. La sua capacità di ascolto era enorme, ascoltava tutto e tutti con pazienza certosina e reale partecipazione e com-passione. Raramente ci metteva del “suo” perché convinto che il solo fatto di poter raccontare fatti, sentimenti, esperienze era di per sé lenitivo di sofferenze. E solo su precise e insistenti richieste interveniva ma sempre partendo dalla Parola e dall'esperienza del Mistero: brevi frasi che portavo con me e rimuginavo poi in silenzio. Ci rimugino molto ancora.
Poi mi faceva leggere quanto aveva pensato e scritto e ragionavamo insieme su come era meglio comunicarlo. La sintonia era/è forte: il suo amore per la Chiesa, tutta la Chiesa, insieme alla sofferenza per le ambiguità della gerarchia e per quelle della Compagnia erano la sua forza e spesso la sua pena. Soffriva molto per le incomprensioni all'interno della Compagnia e per le debolezze della gerarchia che vedeva compromessa nelle pieghe del potere e del denaro. Scriveva spesso a vescovi, alti prelati, anche al papa e ai suoi confratelli ricevendo puntualmente qualche umiliazione in risposte generiche, anche se affettuose, o in non risposte.
Maggiore consolazione riceveva da persone più modeste, i “piccoli” come li chiamava citando spesso il vangelo di Luca. E tanti “piccoli” bussavano alla sua porta. Ha sempre cercato di farsi lui stesso “piccolo”, col suo metro e novanta di altezza, vivendo e morendo in quel piccolo appartamento condiviso sempre con gli studenti.
Grazie Pio, io non ti ricordo, io sento che vivi, mi accompagni e mi accompagnerai ancora per il tratto di strada che è rimasto.
Con Piero, nel corso degli ultimi 20-25 anni, siamo stati privilegiati da un'amicizia, quella di Pio con P. Pino in una conversazione che si è sviluppata tra di loro. I frutti di questa conversazione, gli scritti che hanno realizzato insieme, le cose che P. Pio di volta in volta produceva sono stati per noi occasione di un continuo apprendimento. Credo di poter dire personalmente che il testo “Dialoghi sulla laicità” sia stato la cosa più importante che mi sia capitato di leggere; un vero e proprio testo di formazione che ho letto e riletto più volte nel corso degli anni e a cui continuo a fare riferimento. Nelle comunicazioni fatte finora ritornava il tema dell'amicizia vissuta come sacramento; ricordo una conversazione con Pino Trotta fatta in occasione di un viaggio a Ivrea per andare a trovare Clara Gennaro, nel periodo in cui ci si scambiavano comunicazioni anche scritte sul tema della “vita consacrata” o meglio della “consacrazione battesimale”. Una sera rimasi a chiacchierare con Pino e lui diceva così: “ho impiegato un sacco di tempo a capire cosa mi volesse dire Pio, proprio sul tema della laicità. Mi bombardava di messaggi, di testi, voleva continuamente conversare con me, ma ho fatto una grande fatica a capire cosa volesse dire. Però una cosa l'avevo capita: l'amicizia nei miei confronti. La cosa che mi ha catturato di Pio è stata l'amicizia e attraverso l'amicizia si è sviluppata la conversazione che mi ha permesso di entrare a poco a poco nei contenuti che cercava di proporre”. E credo che questo sia capitato a ciascuno di noi. Non ho molto da aggiungere, chiudo con una piccola proposta di lavoro. Qualche anno fa con P. Pio si rifletteva su quello che veniva definito “il percorso di Urbino”, che è una ricerca che si è sviluppata nel corso di un decennio alle Acli nel periodo in cui era responsabile della vita cristiana. Si trattava di Convegni di spiritualità che, a partire dal 1991, si sono tenuti prima a Urbino, poi a Rocca di Papa e infine a Chiusi della Verna. Qualche anno fa si ragionava con alcuni amici delle Acli sull'opportunità di riprendere il materiale relativo a quei convegni e riproporlo nella convinzione che quella ricerca continua ad avere ancora oggi un valore importantissimo. La questione che si voleva affrontare era quella relativa al tentativo di avviare un discernimento spirituale, alla luce della parola di Dio, sulla vita di una grande associazione. Quel cammino partiva dalla consapevolezza che nella vicenda di una grande organizzazione come le Acli, ma anche nella storia di ogni organizzazione che si proponga di sperimentare in forma aggregata percorsi di cambiamento sociale, di radicamento nel territorio, è come se si verificasse una specie di ispessimento che rende queste organizzazioni impermeabili rispetto alle sollecitazioni che intendono riportarle alle motivazioni di fondo da cui sono partite. Pio evidenziava la necessità di uno “scasso” - utilizzava spesso questo termine - per un ritorno alle radici. Questo tentativo è stato apparentemente (ma solo apparentemente) fallimentare, ma ha un valore va ben al di là del contesto in cui è stato sperimentato e ha un significato importantissimo per l'oggi della Chiesa e per tutte le organizzazioni che si propongono di portare avanti, in forma organizzata, forme di presenza solidale sul territorio. Nella storia di ogni organizzazione si constata spesso il rischio di questo ispessimento, il rischio, cioè, di rimanere fortemente condizionati da spinte autoreferenziali che le appiattiscono in una dimensione di immanenza radicale, per cui quello che conta è quello che si fa, è riprodursi come organizzazione. Questo rischio P. Pio lo aveva colto nelle Acli, nella Compagnia di Gesù e, più in generale, nella vita della Chiesa. Lo aveva colto anche nella vita della nostra piccola organizzazione che da qualche tempo opera nel centro storico di Cosenza. Rispetto a questo proponeva la necessità di uno “scasso” per un ritorno alle radici, cioè l'avvio di un discernimento comunitario che, alla luce della parola di Dio, favorisse il ripensamento della vita di queste organizzazioni per un recupero delle motivazioni originarie. E' un tema su cui ci proponiamo di continuare a lavorare con gli amici delle Acli perché ci sembra che quel tentativo, proprio per l'intuizione di fondo che ci stava dietro, meriti di essere riproposto. E forse anche questo è un modo per provare a stare in dialogo, in conversazione con questo nostro maestro che è Pio.
Due cose: la prima riguarda le cose che ho ricevuto da Pio sia a livello personale che di associazione che per me sono molto importanti. Faccio l'insegnante di sociologia politica e la vicinanza con Pio mi ha “destrutturato” totalmente rispetto a certe mie convinzioni iniziali sulla politica. Mi ha sempre meravigliato la sua insistenza su questo aspetto: la politica, anche sull'uso del termine. Tutti mi consigliavano “cambiamo termine”, non è alla moda, oggi è piuttosto degradato, poco considerato. Lui teneva molto alla riabilitazione di questo termine, era il suo attacco verticale al significato corrente di politica come gestione del potere. Poneva una visione totalmente opposta: la politica come responsabilità nel mondo e, per i cristiani, una politica che non sia intesa come gestione del potere. Se uno pensa ai processi in atto... La sua visione di indirizzare le vocazioni, è evidente. Uno poteva pensare che lui non avesse chiaro il quadro generale di come si governa il mondo. Non era così, lui lo aveva chiarissimo, soltanto che si rendeva perfettamente conto che le vocazioni del mondo portano al potere e che il suo cammino era esattamente inverso: era quello di orientare, educare. Non perché non fosse fondamentale anche un aspetto di responsabilità di servizio nelle organizzazioni di potere, ma non era questo che intendeva: era proprio il modo di come sfruttare questo termine così degradato per operare una condizione di “scasso” e proporre una visione opposta che avesse una grandissima funzione educativa. Per me è stato ed è tuttora oggi un insegnamento fondamentale. Ancora oggi mi ritrovo a ragionare su queste cose nelle pratiche concrete della vita e delle scelte che ognuno di noi, soggettivamente e collettivamente, è indotto a fare.
L'altro aspetto che mi ha sempre colpito era l'elemento che proponeva come “Depositum caritatis”: diceva “c'è un depositum fidei importantissimo, oggi è importante anche il depositum caritatis” e ci chiedeva come associazione di provare a esplicitare i contenuti di senso che ispiravano la nostra azione. Ci chiedevamo spesso con Giorgio “ma perché Pio insiste su questo? Non vogliamo pubblicizzare la nostra associazione, vogliamo essere come l'olio che passa sotto la porta”. Non avevamo capito niente. Il discorso che lui ci proponeva, così come oggi lo vedo, era un altro, era una ricerca di senso, anzi un discernimento sul senso, perché su quel discernimento è possibile la relazione con gli altri, ha senso la relazione con gli altri. Se non c'è questa ricerca la relazione con gli altri è inficiata da cose insignificanti. Ed è un elemento fondamentale per la comunicazione che noi potevamo dare agli altri.
Queste sono le due cose che Pio ci ha in qualche modo, in questi ultimi vent'anni, proposto, insegnato e che ancora oggi abbiamo nella testa e ci si ripropongono continuamente in termini di Spirito.
Mi manca. Da un anno mi manca molto. Il colloquio non si è interrotto, anche grazie agli incontri di discernimento con gli altri amici. L'amicizia spirituale con lui, anzi, si approfondisce; si fa più trasparente, più essenziale. Mi manca però quel suo esserci concreto e accogliente: non c'è mai stata una volta, una sola, che Pio non mi abbia accolto quando mi sono rivolto a lui per un consiglio o semplicemente perché avevo bisogno di essere ascoltato.
Ti accoglieva senza smancerie (Laura, non sei l'unica che all'inizio ha avuto qualche problema ad entrare in relazione con lui). Non era un uomo seduttivo e non si è mai posto come un carismatico. E proprio per questo ti accoglieva con amicizia vera e con sensibilità sapiente. A volte lui stesso ti cercava perché aveva percepito un problema o un disagio. Mi è stato vicino anche in occasione di un lutto familiare; accettò di celebrare la Messa nella casa di una mia sorella.
Questa amicizia accogliente è una perdita irreparabile. E non credo sia così solo per me. è la cesura drammatica tra morte e vita. E dobbiamo accettarla laicamente, senza sublimazioni consolatorie. Nessuna retorica può attenuare questa cesura.
Nel Mistero Pasquale, però, la morte è stata vinta e possiamo superare quella cesura rinascendo donne e uomini nuovi (è una parola!). Dice la prima lettera di Giovanni: “noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato”. Questo è il punto. “Convertitevi e credete al Vangelo” ci ripeteva continuamente Pio (e lo ripete ancora); “usciamo verso di noi fuori dall'accampamento” è l'invito della Lettera agli ebrei, “perché noi non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura”.
Sono cose che ho scoperto attraverso Pio. A questa ricerca siamo chiamati: andare in cerca della “città futura”. E nel cammino è possibile un fare memoria personale e comunitaria, come oggi: memoriale dell'amico nel memoriale della Pasqua. Qui, nella celebrazione eucaristica, quella cesura tra morte e vita può davvero tramutarsi in comunione fraterna e universale, purché sia anche Messa sul mondo.
Pio ci ha insegnato, con lo sguardo fisso alla Parola di Dio, che la via del Regno passa per un'esperienza mistica vissuta nella piccolezza e nella condivisione: concentrarsi sul nostro cuore e insieme sul volto dell'altro. Su questo ho sentito sempre una consonanza profonda perché io sono arrivato alla politica dalla mistica. Mi ha fatto piacere sentire Pino che ha colto questo aspetto per me essenziale: è stata anche l'occasione di un nostro incontro, lui vivo, con Chiara Patrizia.
Ci ha chiesto di rivolgerci all'intimo più profondo del nostro essere, là dove lo Spirito del Signore abita in noi (dono stupendo della Pasqua). E la luce di questo intimo incontro, che esige un affidamento totale - in pura perdita, dice Chiara -, ci spinge anche a farci piccoli nell'ascolto e nella compagnia dei piccoli di questo mondo, per camminare con loro. Senza questa piccolezza - ce l'ha gridato più volte Pio - senza questa compassione non c'è autentica fedeltà al Vangelo. Semplicemente non c'è. Ah, se la nostra Chiesa lo ricordasse sempre...
In questo senso tra contemplazione e azione non c'è frattura, l'una alimenta e verifica l'altra; e non importa da dove cominci, se dal volto dell'altro o dall'incontro intimo con il Signore. Sta qui la “via nuova della politica” che Pio ci ha più volte indicato. Solo così la nostra politica può entrare in sintonia con la “politica di Dio”. è una via insieme semplice ed esigente perché è difficile mettersi davvero in esodo dalle nostre ambizioni, dalle nostre sicurezze mondane. Ed è difficile anche mettersi in esodo dalle nostre paure. è difficile affidarsi, abbandonarsi interamente dicendo con verità “Signore, nelle tue mani consegno il mio spirito”.
La difficoltà non sta nella distanza tra Babilonia e Gerusalemme (è il tema di uno dei convegni di Urbino), sta nella vita travisata che conduciamo, nel nostro restare attaccati, per orgoglio e paura, alle “cisterne screpolate”. E questo ci impedisce di attingere alla fonte dell'acqua viva: ricordate il suggello dell'Apocalisse, libro letto e riletto insieme a lui, “chi ha sete venga, chi vuole attinga gratuitamente l'acqua della vita”.
Questo uscire dall'accampamento per non restare aggrappati alle nostre sicurezze e paure non riguarda solo le nostre coscienze e vite personali, riguarda anche la liberazione dalle strutture di peccato, riguarda la politica. Di una “nuova coscienza politica” Pio ha fatto l'assillo della sua vita. Il suo primo testo è del '75: “La coscienza politica” (pro manuscripto) e poi gli Appelli ripetuti “ai piccoli, i poveri” fino al cammino fatto con le Acli nei convegni di Urbino che avevano per titolo: “Convertirsi al Vangelo: vie nuove per la politica”.
Nel testo appena stampato e che avete qui, troverete lo stupore di Pino Trotta: “ma che c'entra il Vangelo con la politica?”. Era, grosso modo, la prima reazione di tutti noi, abituati a fare i conti duramente con l'azione sociale e politica e infarciti di una certa cultura politica. Sempre lui ha insistito sul primato dello Spirito sulle strutture, mettendoci in guardia dalla seduzione del potere. C'è bisogno di sottolineare di quale drammatica attualità sia questo tema nella società e nella Chiesa?
Ricordo ancora il grande debito di riconoscenza delle Acli nei confronti di P. Pio. Se, alla fine le incomprensioni tra le Acli e i vescovi furono superate lo si deve al cammino corale che le donne e gli uomini dell'Associazione seppero fare, ma il contributo di Pio è stato inestimabile: lui ha rifiutato il ruolo di promotore e verificatore della nostra ortodossia per conto della CEI, svolto in precedenza da altri assistenti. Nulla era più lontano dal concepire il proprio ministero: alle Acli venne spinto dalla sua forte vocazione sociale, gli stava a cuore, sopra ogni cosa, il servizio spirituale alla vita cristiana delle donne e degli uomini del lavoro che abitavano l'associazione. Un servizio che ha sempre avuto al centro il Mistero Pasquale, la parola di Dio, la compassione con i piccoli e i sofferenti. Si è fatto amare da molti di noi anche se non subito (io sono fra quelli che all'inizio fu molto diffidente nei confronti di Pio, lo consideravo uno spiritualista!). Ma ha conosciuto molte incomprensioni nelle stesse Acli e nella gerarchia ecclesiastica che non lo ha mai capito. Tentarono di allontanarlo molto prima di quanto poi è avvenuto, quando ancora era presidente Giovanni Bianchi che fu costretto a difenderlo con decisione. Eppure la Chiesa gli deve molto. Il suo ministero aiutò molti di noi a maturare nella fede; ci ha insegnato una spiritualità quotidiana orientata ad una laicità consapevole e impegnata. Pio Parisi non si è mai proposto come un leader carismatico che vuole sostituirsi al protagonismo dei laici, come purtroppo accade in non poche realtà anche molto impegnate socialmente. Il clericalismo per lui e per i confratelli di quella ricerca sulla laicità di cui abbiamo parlato, era un peccato grave, gravissimo (ricordo un intervento di P. Corradino su questo). Un male grave che andava contrastato prima di tutto in noi stessi; spesso il clericalismo alligna perché noi laici siamo inclini ad intrattenere con i preti rapporti di deresponsabilizzazione e di dipendenza.
Si sono ripetuti, negli anni recenti, gli appelli dei vescovi per una nuova generazione di laici cristiani adulti nella fede, in grado di assumersi le proprie responsabilità nell'impegno politico. Pio ha sempre operato per questo e lo faceva quando la gerarchia fu tentata da un diverso protagonismo cattolico, proiettata a proporsi come forza culturale, religione civile, soggetto capace di negoziare con la politica: come lamentarsi poi che mancano i laici adulti nella fede?
Pio Parisi ci spinse al discernimento spirituale sul mondo e sulla storia, ma anche sulla nostra esperienza associativa: solo così - diceva - potevamo raggiungere un'accettabile fedeltà al Vangelo. Molti nelle Acli reagirono in modo negativo a questa radicalità evangelica, c'era il timore che seguire questa via rendesse l'Associazione meno competitiva nell'agone sociale e politico, meno capace di promuovere i suoi soggetti e i suoi corposi interessi. E mi trovai a dover gestire questa contraddizione da Presidente di quell'Associazione, tentando nei convegni di Urbino e poi, da ultimo, quando già avevo scelto di venir via, a Chiusi della Verna, di fare concretamente i conti con un'analisi anche concreta di come fosse possibile non restare prigionieri di questa contraddizione. Qualcuno, nel gruppo dirigente, diceva: “Ma noi come facciamo? Dobbiamo avere successo. Se tu ci dici che la nostra struttura, la nostra potenza organizzativa deve essere continuamente verificata alla luce della Parola, non saremo più competitivi con le altre organizzazioni”. Sembrava un realismo di buon senso; in realtà ci lasciava prigionieri delle logiche ingiuste e spesso aberranti di una dinamica sociale e politica in crescente difficoltà, fino al punto in cui siamo oggi arrivati.
Noi cristiani siamo tenuti ad animare le cose del mondo secondo Dio, ma l'efficacia della nostra azione non dipende dalla potenza organizzativa o culturale e politica che riusciamo a mettere in campo. Dipende soprattutto dalla nostra capacità di affidarci al Signore della storia. Ecco perché Pio non si è stancato di ripeterlo: “non ci è chiesto di farci potenti fra i potenti, ma piccoli tra i piccoli”. Solo così saremo in grado di testimoniare nella storia l'amore che libera e affratella. E solo a queste condizioni l'organizzazione serve (nel suo testo sulla coscienza politica Pio dà alcune indicazioni su quale tipo di struttura buona si può costruire). Ci siamo detti più volte, parlando della nostra esperienza nelle Acli, una cosa che ha detto già Giorgio: è stata un'esperienza segnata dalla sconfitta ma che forse, proprio per questo, è una storia ancora in grado di dare frutti. Era vivo Pio quando facemmo la scelta di cercare di far sintesi del percorso di Urbino per riproporne le linee di fondo: ribadisco quel che ha già detto Giorgio; rinnoviamo ora questo impegno perché può davvero essere un servizio alla Chiesa, oltre che alle Acli e ad altre associazioni di credenti.
Continuo infine a sperare, ad un anno dalla morte di Pio, che le Acli giungano a riconoscere e valorizzare, con un'iniziativa adeguata, tutto il valore del servizio di P. Pio Parisi: lo dobbiamo a lui che le Acli ha avuto sempre nel cuore, che ha sofferto quando è stato allontanato. Lo dobbiamo a lui ma farà bene alle Acli e farà bene alla Chiesa; sarà un pro-memoria, se non altro.
Continua a non farci mancare la tua amicizia, Pio.
Comincio con un piccolo episodio avvenuto uno degli ultimi giorni della vita di Pio. Era a letto, faceva molto caldo e lui non parlava, respirava con una certa fatica; chiamava ogni tanto Valentin ed era bello vedere l'affetto e la fiducia reciproca che li legava. Squillò il telefono e chiesi a Pio se voleva parlare e lui disse di no. Gli dissi che era Francesco Rossi de Gasperis e si sollevò e rispose: “pronto, pronto? Francesco?”; e parlarono a lungo. Per me che conoscevo il legame fra loro due fu molto bello. Finita la telefonata Pio tornò al suo respiro affaticato.
Conobbi Pio frequentando per qualche anno gli Incontri Maurizio Polverari e c'era Laura che dava un tono diverso ai nostri incontri. Pio parlava, introduceva il discorso poi ognuno di noi interveniva balbettando, facendo confusione nei pensieri che voleva dire. Laura poi ci mandava la sbobinatura e ci rendevamo conto di aver detto cose importanti.
Uno delle cose che mi colpì quando conobbi Pio era la sua stanza: non una stanza piccola in una grande struttura, ma una stanza piccola in un piccolo appartamento. Mi accorsi che c'erano tutta una serie di persone laureate che gravitavano intorno a Pio e che avevano una profondità comune con Pio. Io tornavo dagli incontri sempre con questa grande gioia nel vedere questi professionisti che utilizzavano la loro cultura, il loro sapere, la loro professionalità a servizio dell'umanità. E c'era anche un contagio.
Si è già parlato della solitudine di Pio; fra le tante cose importanti che mi aiutavano ad andare in profondità c'è stato anche questo tasto dolente: la solitudine rispetto alla Compagnia, in particolare rispetto ai Superiori. Pensava che la sua vita e la sua ricerca fosse totalmente ignorata dalla Compagnia e anche in questo abbiamo visto Pio non ripiegato a leccarsi le ferite ma in ricerca, ed è riuscito a trasformare questo senso di emarginazione in una maggiore libertà. Libertà di fare la questua di esperienze spirituali. Proprio questa sua solitudine è stato l'elemento decisivo per poter affiancare altri ricercatori solitari. Pino Trotta gli scriveva: “Pio, la tua confidenza con Dio te la sei conquistata con anni di preghiera, silenzio e umiliazioni”.
Cercando di mettere insieme questi pensieri mi sono ricordato di una cosa che Pio ci diceva quando leggevamo insieme l'Apocalisse. Leggevamo un capitolo e lui cercava di spiegare attingendo a molti testi di Pino Stancari e diceva “è inutile che vi dico cosa ne penso io, leggiamo il testo e quel che dice Pino per arrivare al cuore del discorso”. E così faccio un po' io raccontandovi alcune cose di Pio che ho letto. Quale fede? Diceva Pio: “La vita cristiana è il più forte dinamismo, è cambiamento continuo, è rottura su rottura su noi stessi e con il mondo, con l'esigenza di un amore più grande verso se stessi e verso il mondo. La vita cristiana è liberazione per vivere con intensità crescente l'amore verso tutte le creature e il loro Creatore, è cammino di minorità, cioè essere di quelli che contano di meno. Non sono come loro, ma con loro, dei loro. La condizione di “minore” è assicurata a chi prende sul serio il Vangelo e, più che cercarla, occorre essere pronti ad accoglierla. Viene da sé a chi segue il Signore, nasce soprattutto nel silenzio e nell'ascolto; ascolto in primo luogo della Parola e poi a quello che ai piccoli e poveri è dato di comprendere. Avremmo bisogno di imparare il riconoscimento della immensa dignità di ogni persona umana, pur nell'estrema fragilità della sua condizione e nella contraddittorietà della sua vita. Mentre sembra che non ci accada nulla di buono, in realtà il nostro animo è arato in profondità, si libera da innumerevoli illusioni”. Diceva Pino Trotta a Pio: “Tu, Pio, testimoni la realtà di una presenza”. Per Pio era una ricerca mai conclusa. “La fede è esperienza di continuo cambiamento. Nella fede non si è mai arrivati, è necessario lo “scasso” per riscoprire le radici, radici sepolte da tanta cultura cristiana. Occorre ritessere autentici rapporti sociali a partire dalla condivisione con quelli che sono più emarginati. Perché partire dai più emarginati? Nelle varie persone ci sono stratificazioni sociali e ambientali che creano spesso una cortina impenetrabile anche a se stessi. Nei più emarginati le radici sono scoperte”. Diceva Pino Trotta di Pio: “Pio non va letto, va ascoltato”. I messaggi di alcuni amici, Clara Gennaro: “ritengo che sia falsa la distinzione tra chi è chiamato a vivere il cristianesimo con radicalità, cioè i religiosi, e gli altri. Questa distinzione costituisce un duplice inganno: per i religiosi che possono ritenere di aver scelto la parte migliore che non sarà loro tolta, cioè di essere chiamati a vivere una vita perfetta, migliore; per gli altri, i cosiddetti laici, quello di sentirsi rassicurati nella loro vita di compromesso in cui il cristianesimo non rappresenta il cardine di orientamento assoluto di tutta la loro esistenza”. Una lettera di Pino Trotta è impressionante per la capacità di guardare alle proprie profondità e alla vita senza difese. E' un po' come incontrare una persona che guarda il sole a occhi nudi. L'impressione che ne ricavi è che Pino osa tanto per necessità vitale, è l'unico ossigeno che può respirare, ma lo fa perché c'è Pio che può accogliere questa battaglia. Nelle risposte di Pio non compare mai un Regno come una roccaforte da difendere ma, come seme gettato nella terra, un germoglio, un cammino. Unāultima citazione di Clara e di Luciano: “Il rapporto con gli altri non era per lui mai superficiale, era invece occasione di incontro, di confronto con quello che di più profondo, di più essenziale arriva nel cuore di ciascuno. Non solo credenti, ma anche laici non credenti avvertivano con lui una profonda sintonia. In lui coglievano, infatti, la trasparenza del Vangelo come rivelatore della radice divina dell'uomo e degli alti orizzonti a cui l'umanità è chiamata”. Queste parole sono state scritte da Clara e Luciano per Michele Do.
Ricordando Pio. “Il mio calice e la mia patena sono le profondità di un'anima ampiamente aperta alle forze che, tra un istante, da tutte le parti della Terra, si eleveranno e convergeranno nello Spirito. Vengano pertanto a me il ricordo e la mistica presenza di coloro che la luce ridesta per una nuova giornata. Ad uno ad uno, o Signore, li vedo e li amo tutti quelli che mi hai dato quale sostegno e gioia naturale della mia esistenza” (TEILHARD DE CHARDIN, Messa sul mondo).
Caro Pio parla il nostro amico comune; mi sembrano parole appropriate per ricordarti perché esprimono esattamente ciò che ti stava a cuore e che più volte durante la giornata mi tornano in mente quando ti penso. Mi è stato chiesto di parlare dell'esperienza di amicizia con te. La parola “esperienza”a volte dice molto ma anche poco per esprimere la ricchezza di ciò che avviene! Tu stesso mi offri le parole:
L'umanità che vive in me. “E' possibile nell'esperienza del Mistero, quando al di là della ragione e del buon senso, si percepisce la trascendenza che unifica le persone, gli eventi, le cose. L'intima unione della Chiesa con l'intera famiglia umana si realizza solo nell'esperienza mistica, dove il mistero avvolge ogni cosa. Quel che soffro, quel che spero sono tutte le creature umane”.
Parlare dell'esperienza di amicizia con Pio è comunicare una realtà viva che è memoria in senso biblico, cioè forza trasfiguratrice e sovversiva.
Pio lo conosco da sempre nel senso che da quando frequentavo le scuole elementari ho il ricordo di lui che almeno una volta all'anno veniva a trovarci, ma mi ricordo un episodio che a casa mia è diventato quasi un aneddoto: io ho un fratello quattro anni più piccolo di me per cui era piccolissimo quando Sebastiano gli ha detto “Daniele questo si chiama Padre Pio” e lui con candore rispose “chi si bellu pari na fimmina”(come sei bello sembri una donna).
Gli occhi di Pio sono il primo ricordo, il suo silenzio in mezzo al caos totale di noi calabresi al mare, alle feste prima del matrimonio, all'ora di pranzo nelle baracche.
Pio e il suo magistero erano la stessa cosa. Cosa voglio dire? Che l'amicizia e il pensiero di Pio, complesso, nutrito da letture e studi vari, non erano due realtà separate. Da piccola mi sembrava strano che Lui ci volesse bene così senza dirci: “Questo non mi va di voi, siete esagerati o buffi” abituata al fatto che i preti erano quelli che ti dicono come ti devi comportare. Questo suo desiderio di empatia con l'umanità mi ha sempre stupita e interessata. Da un certo punto, quando ho capito quanto era importante per lui il mistero dell'incontro, mi è sembrato che Pio veramente fosse come un grembo, cioè nel suo sguardo i suoi lunghi silenzi sono epifania delle viscere materne del Signore. Mi ricordo che una volta dissi a Bebè [Sebastiano, grande amico di Pio, fratello maggiore di Antonietta] che Pio mi imbarazzava e lui mi rispose:” No, stai tranquilla, Pio contempla le persone”.
Quando la prima volta Sebastiano mi ha spiegato il significato della cattedra dei piccoli e dei poveri ero molto giovane, me lo spiegò con un esempio concreto portando come paradigma un personaggio del mio paese. Ma in realtà l'ho capito solo quando ho cominciato a coltivare l'amore per la Parola di Dio. Questo ha segnato un passaggio anche nell'amicizia con Pio; mi sembrava che avesse una percezione fortissima delle persone che aveva davanti. L'estate veniva a preparare i suoi documenti a casa di Sebastiano, celebravamo intorno al tavolo e mi piaceva moltissimo la dignità che dava ai partecipanti, la sua totale assenza di clericalismo ma anche la profondità. Ricordo un agosto di quasi venti anni fa, era la memoria di Edith Stein e la sera dopo la sua passeggiata abbiamo preparato per la messa la tovaglietta bianca, con l'immancabile icona e ad un certo punto mi ha detto “Bene, Antonietta parlaci di Edith Stein.”
Questi erano i momenti in cui Pio era disarmante, cioè lui si metteva alla scuola di tutti. Io me lo guardai, ma erano i momenti in cui non gli si poteva dire di no, ho stretto le spalle e ho detto tra me e “Se siete contento voi”, è il titolo del suo libretto che scrisse rivisitando i suoi incontri con la gente in Calabria. Così ha fatto quando mi ha detto che avrei dovuto dire davanti a tante persone quello che gli avevo comunicato per telefono a proposito del libro “Vita consacrata.. l'azione dello Spirito”.
La luminosità della fede e l'importanza del silenzio sono altri due aspetti di questa amicizia fatta di esperienze vive semplici ma accompagnate da una profondità traboccante. Un'indicazione preziosa di Pio è stata quando mi sono trovata insieme a Sebastiano di fronte alla scelta di vita. Pio mi ha sostenuta e accolta, non assolutizzava i dogmatismi e le forme. Questo fuoco presente in lui che fa celebrare la messa sul mondo insieme a Teilhard de Chardin mi ha indicato un sentiero chiaro “la fede non è un possesso e allora le situazioni si vivono con lo spirito di chi si fa possedere dalla grazia; le classificazioni sospese per fare spazio al silenzio” (Pio).
Allora Pio non fa parte del passato: nella comunione dei santi per me è vivissimo perché nel silenzio continuo a confrontarmi e a pregare con lui. Pregare con lui significa stare in silenzio quotidiano nella Parola, “cercare di vigilare sui giudizi superficiali e sommari, su quello che lo spirito opera in ognuno” e soprattutto lo penso quando incontro i volti della gente che non conta nulla, gli scarti di queste nostre vite impaurite dai poveri.
Penso a Pio e lo associo ad una parola legata alla tradizione monastica “xeniteia” cioè estraneità sinonimo di nomadismo, itineranza e nello stesso tempo di profondo radicamento nella vita. E ciò che lui stesso ci comunica in una delle sue riflessioni: “La grande eredità della Messa sul mondo è la speranza in cui «già e non ancora» sono insieme nel mistero pasquale, cambiamento interiore dei ricercatori silenziosi, il nomadismo”.
Uno dei momenti più importanti dell'amicizia di Pio con la mia famiglia è stata anche la malattia e la morte di Sebastiano, le sue visite sempre per “essere accanto” e poi il saluto dopo aver incontrato mio fratello che ogni tanto rileggo e come lui ripeto: “E' accaduto”.
Prego insieme a Pio con un salmo che racchiude ciò che gli stava a cuore:
L'esperienza che Pio aveva tentato con il piccolo gruppo di parroci.
Volentieri posso raccontare lo spirito che ci animava e che ci ha fatto incontrare per qualche anno con Pio e con un piccolo gruppo di presbiteri.
Dal punto di vista formale si trattava proprio di un'agape molto semplice, in genere la domenica sera, ove la mensa era l'occasione per stare insieme familiarmente.
Non si è trattato mai di una partecipazione numerosa né appariscente, ma proprio, nello stile di Pio, di comunicazione spirituale sulle nostre esperienze e difficoltà in rapporto col mondo e con la fede, senza polemiche e in grande sincerità. Nonostante la vita, specialmente negli ultimi anni, così appartata e condizionata, lo sguardo e il cuore di Pio era rivolto alla Messa sul mondo. Le mura del suo appartamento, o meglio, della sua camera, poverissima, essenziale, e sempre aperta a tutti, non costituivano mai “siepe che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude”. La Messa sul mondo doveva tenere presenti tutti i miliardi di uomini amati da Dio.
Per noi, impegnati ogni giorno in attività senza pause, per il servizio nella liturgia, o nel dialogo con le persone, o con le esigenze della istituzione o della gestione della parrocchia, questo incontro aveva il sapore di un rientro in casa, di un momento di amicizia, di un'occasione di confronto tra noi e con un uomo di grande fede, di cultura, di esperienza, e con la spiritualità di un contemplativo, come amava definirsi.
L'idea che proprio da un contemplativo, capace di vedere le vicende del mondo con occhio diverso, libero, profetico, distaccato dagli interessi terreni, ispirato dallo spirito di Dio, potesse venire un giudizio illuminato sugli eventi convulsi del mondo, e sulle nostre esperienze pastorali, ha sostenuto la nostra iniziativa fin dall'inizio. Ne avevamo bisogno. Non era facile trovare persone illuminate, svincolate dai ritardi con cui devono fare i conti persone e autorità legate all'ufficialità e lontane dalla vita semplice e immediata del Popolo di Dio, con cui noi ci trovavamo a contatto ogni momento.
Non cercavamo soluzioni operative per le nostre problematiche pastorali; semmai una verifica sullo spirito con cui le vivevamo, magari per discernere ciò che in esse era espressione fedele di vangelo, di fede incarnata nelle tradizioni e divenuta mentalità cristiana, da ciò che invece poteva sembrare retaggio di forme religiose sorpassate e da far evolvere con prudenza e chiarezza. L'esperienza diversa di sacerdoti di parrocchia o di altre istituzioni, di varie età, o di missionari, quando possibile (ricordo Padre Joao Cara) o di qualche laico esperto di problemi su cui intendevamo confrontarci, rendevano l'incontro sempre vario e stimolante. Particolarmente gradita la presenza abituale di un vescovo emerito, saltuaria di altri, per garantire - diceva Pio - una particolare presenza dello Spirito, di cui il vescovo è segno e testimone.
In uno dei biglietti in cui, con sorprendente diligenza, richiamava i motivi e i suggerimenti per il nostro incontro, scriveva:
A Mons. Casale, a Mons. Plotti, a Don Franco, a Don Sandro e a Don Enrico, ... dopo l'incontro del 27.12.09 per l'incontro del 31 gennaio, ore 20.30.
Abbiamo esperienze spirituali e pastorali certamente diverse, ma anche in comune una qualche maturità.
C'è fra noi una notevole facilità di comunicare liberamente ed una sincera amicizia spirituale. Abbiamo poi non pochi altri amici.
Cerchiamo di comprendere la Chiesa in Italia cogliendo l'urgenza di una vera laicità fondata sulla Parola di Dio.
Rileggendo i primi capitoli della prima lettera di Paolo ai Corinzi mi sono fermato sull'espressione “esprimendo cose spirituali in termini spirituali” (2,3).
Mi sembra sia quello che facciamo e potremmo fare ancora di più; è il senso dei nostri incontri e quindi del servizio che ne può scaturire per altri.
Chi ascolterà?
Il popolo appare largamente sedotto e sedato, carente di interiorità, travolto dai media, dal consumismo, dall'individualismo, dalla corruzione, dalla difficoltà di trovare lavoro, dalla burocrazia, dall'organizzazione fine a se stessa.
Ma crediamo che “lo Spirito Santo riempie l'universo, la brace non è spenta e la fiamma si rialza al soffio dello Spirito”.
Il momento decisivo è comunicare nello Spirito, proporre ed offrire amicizia spirituale ed attendere che “lo Spirito venga in aiuto della nostra debolezza”(Rm 8,26).
Solo lo Spirito riaccende gli spiriti. Occorre liberarsi di tanti mezzi illusori riguardanti l'organizzazione, la spettacolarizzazione, più o meno sacra, la ricerca di fondi per l'apostolato sociale, ogni genere di sicurezza che sostituisca idolatricamente il Signore “che è mio pastore”.
Non abbiamo mai pensato che qualcuno potesse temere che in quei nostri incontri serali potesse esserci il pericolo di qualche tensione o insidia nei confronti di autorità religiose o civili. Anche in questo ritenevamo di avere legittima autonomia e maturità.
Oggi, a distanza di tempo, ci viene da sorridere a pensare che qualcuno, per chissà quali turbe o pretese personali, abbia potuto insospettirsi, avere paura, e accusare e disperdere, rinnegando il paterno suggerimento del Concilio nella Costituzione dogmatica Lumen Gentium sulla chiesa: In virtù della comunità di ordinazione e missione tutti i sacerdoti sono fra loro legati da un'intima fraternità, che deve spontaneamente e volentieri manifestarsi nel mutuo aiuto, spirituale e materiale, pastorale e personale, nelle riunioni e nella comunione di vita, di lavoro e di carità. (LG 28);
o la premura del Decreto “Presbyterorum Ordinis”: È bene che si riuniscano volentieri per trascorrere assieme serenamente qualche momento di distensione e riposo, ricordando le parole con cui il Signore stesso invitava gli apostoli stremati dalla fatica: «Venite in un luogo deserto a riposare un poco» (Mc 6,31).
La laicità
Pur essendo totalmente espressione della realtà ecclesiale, impegnati nel più diretto servizio del Popolo di Dio nel mondo, sentivamo di dover vigilare sul pericolo di poter diventare clericali nella mentalità e nella guida delle nostre comunità. Pio era un riferimento sicuro per verificare la laicità della nostra azione, sia per l'esempio della sua vita sempre attenta alle esigenze spirituali e logistiche dei giovani studenti ospitati negli appartamenti e di cui condivideva la vita e l'organizzazione, sia per i suoi studi appassionati sulla laicità, e la serenità con cui ne vedeva i collegamenti per la vita ecclesiale.
La prima conseguenza delle premesse del Concilio sulla Laicità, che Pio aveva meditato e interiorizzato profondamente è
La legittima autonomia delle realtà terrene. (N. 36 della Gaudium et Spes)
Molti nostri contemporanei, sembrano temere che, se si fanno troppo stretti i legami tra attività umana e religione, venga impedita l'autonomia degli uomini, delle società, delle scienze.
Se per autonomia delle realtà terrene si vuol dire che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di una esigenza d'autonomia legittima: non solamente essa è rivendicata dagli uomini del nostro tempo, ma è anche conforme al volere del Creatore.
La laicità elaborata da Pio si preoccupava di spiegare che proprio dentro il progetto voluto, creato, amato, salvato da Dio, proprio lì, bisogna cercare, trovare, rispettare l'autonomia delle singole realtà terrene.
Infatti è dalla stessa loro condizione di creature che le cose tutte ricevono la loro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine; e tutto ciò l'uomo è tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza o tecnica.
Perciò la ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio...
Da questa profonda convinzione nasce quel prezioso opuscolo “L'ETICA DAL (non DEL) MISTERO”
La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce.
Del resto tutti coloro che credono, a qualunque religione appartengano, hanno sempre inteso la voce e la manifestazione di Dio nel linguaggio delle creature.
Anzi, l'oblio di Dio rende opaca la creatura stessa.
La traccia di lavoro del 31 gennaio 2009 indica con chiarezza che i nostri incontri non erano soltanto un “ritrovarsi insieme” fraterno e consolatorio, ma revisione spirituale dei nostri orientamenti e sostegno a scelte pastorali.
Ci proponiamo di tracciare un itinerario che avvicini alla Messa sul mondo, un itinerario catechetico, esercizi spirituali nella vita quotidiana, formazione di una coscienza politica.
Liturgia, catechesi, spiritualità, politica, abitualmente distinte e separate, le scorgiamo strettamente collegate e per questo ci proponiamo di tracciare un unico itinerario.
L'itinerario che andiamo cercando si inserisce nel cammino della Chiesa mirabilmente descritto nel numero 8 della Dei Verbum.
Ci riferiamo pure al testo della CEI del 1970 “Rinnovamento della catechesi”, profondamente ispirato all'allora recente Concilio Vaticano II.
Cercheremo poi di attingere al ciclo liturgico.
Una specie di programma articolato serviva da riferimento per i nostri incontri, in cui Pio raccoglieva qualche sfumatura che andava a completare la sintesi o le tracce che aveva già preparato. Molti argomenti erano collegati con quelli che aveva maturato con i confratelli della Compagnia di Gesù (Castelli, Corradino, Rossi de Gasperis, Stancari...) e che erano oggetto di confronto con altri gruppi di laici.
Gli argomenti erano approfonditi, discussi animatamente, non senza qualche rammarico sulla realtà religiosa, parrocchiale e diocesana, con cui dovevamo spesso scontrarci.
Per esplicitare meglio gli spunti suggeriti, in rapporto alla nostra situazione di preti impegnati soprattutto nella Parrocchia aveva elaborato dei
Suggerimenti a un parroco e ai suoi più stretti collaboratori.
Credo di doverli riassumere, con rammarico, perché meriterebbero attenzione ad ogni particolare. Erano comunque rivelazione di quale orizzonte di fede e di universalità animava la sua interiorità, la sua conoscenza dei problemi del mondo, e, come tutti sappiamo, la sua sensibilità per la cattedra dei piccoli e dei poveri:
Si tratta di suggerimenti molto concreti, pratici, riguardanti in particolare la celebrazione dell'Eucaristia nella domenica e nei giorni festivi...
Il primo punto riguarda la nostra ricerca di quei segni della presenza nel mondo dell'azione dello Spirito Santo, del Regno di Dio che, man mano che vengono accolti e considerati con attenzione, iniziano a rivelarci qual è il disegno di Dio, come dice Paolo nella lettera agli Efesini, di ricondurre tutto a Cristo, come capo...
Un secondo passo è quello di cercare di rivolgere la nostra attenzione al popolo cristiano, alla Chiesa, popolo di Dio, e al tempo stesso al popolo dei musulmani - loro credono in Allah - e a tutti i popoli qualunque sia la loro religione, la loro moralità, la loro esperienza; e vedere come in tutti c'è la stessa ricerca, ... ricerca della trascendenza, di un Altro, la ricerca di Dio. ...
A questo punto mi sembra che la pace tra gli uomini, tra i singoli, tra i gruppi, fra le popolazioni, tra le nazioni, vada soprattutto ricercata nella comune esperienza della ricerca di senso della vita e della morte, nella comune esperienza di mistero...
Alla luce di queste premesse, forse siamo aiutati a riconoscere il Vangelo come la rivelazione del Mistero Infinito di Dio, del Mistero di Gesù Cristo, la sua vita, la sua morte e la sua risurrezione: il Mistero Infinito rivelato nel Mistero Pasquale; ... sapienza, rivelata da Dio, come una follia per l'uomo (rileggere i primi tre capitoli della prima lettera di S. Paolo ai Corinzi).
Se quindi il Vangelo è essenzialmente rivelazione del Mistero Infinito di Dio nel Mistero Pasquale allora si comprende un po' di più il significato della celebrazione eucaristica, il memoriale che nella fede si fa della morte e della risurrezione del Signore.
La Messa sul mondo è il titolo di un bellissimo scritto, breve (una ventina di pagine) del padre Pierre Teilhard de Chardin: è la realtà della Messa, perché il Signore è morto e risorto per la salvezza di tutti gli uomini, per la salvezza della storia che, in qualche modo geme e partecipa a questa redenzione, operata da Cristo, come dice Paolo nel capitolo ottavo della lettera ai Romani; anche se Paolo non poteva sapere quello che è dato a noi di sapere sul numero immenso delle galassie e delle stelle che sono in ogni galassia, sulla grandezza dell'universo.
Questa quindi è l'essenza della Messa, di essere il momento in cui, nella fede, viviamo la coscienza dell'universalità, della dimensione cosmica della salvezza operata dal Signore.
La Messa domenicale è il momento in cui il popolo cristiano in modo più numeroso si incontra e si ritrova. ... Tutti siamo sacerdoti, partecipiamo al sacerdozio di Cristo anche se solo alcuni sono chiamati al servizio ministeriale, proprio dei sacerdoti ordinati per questo.
Suggerirei quindi dei criteri, degli orientamenti, due itinerari:
1 - Il primo itinerario è ovviamente quello di capire, conoscere quello che è la Messa; itinerario di catechesi liturgica. Per questo vorrei suggerire che si possono anche ridurre il numero delle messe, sia in settimana che la domenica; anzi, in questo senso, sarebbe preferibile, possibilmente, che nelle parrocchie ci sia “una” Messa e che si dia più spazio e più tempo a una catechesi liturgica in cui si spieghi il significato della Messa, delle sue varie parti ma soprattutto di questa valenza universale del Mistero che in essa celebriamo, della morte e risurrezione del Signore.
Oserei anche suggerire che durante la settimana si dia spazio alla catechesi liturgica in preparazione della Messa che viene celebrata, poi, la domenica.
Insieme a questo itinerario liturgico mi sento di dover suggerire un itinerario per conoscere che cosa succede nel mondo: non con una semplice conoscenza astratta, ma con una conoscenza, quella biblica, che è compartecipazione, condivisione, coinvolgimento, crescita del senso di responsabilità verso gli altri, verso la società, verso tutto quello che succede.
Riguardo alla conoscenza del territorio della parrocchia un primo passo penso sia quello di conoscere le gioie, le speranze, le sofferenze, le ansie che ci sono nel territorio, pensando e indicando le sofferenze senza trascurare le gioie; cercare di conoscere, sentirsi partecipi delle sofferenze dei malati, degli anziani, specialmente le persone sole o gli emarginati, le sofferenze dei giovani che non trovano nella famiglia e, in particolare, nella scuola, qualcosa che risponda di più alla loro vitalità giovanile; e poi, soprattutto, dei giovani che non trovano lavoro, un lavoro decente, onesto, proporzionato alle loro capacità, al bene che possono compiere nella società. La sofferenza che rimane spesso nascosta è quella di chi, in situazioni di povertà, deve ricorrere all'usura, forse molto più sviluppata di quanto si pensi (di natura sua è un fenomeno sempre occulto). Conoscere, quanto è possibile, personalmente quanti nel territorio soffrono di più e cercare di capire le cause; accostarli, quanto è possibile, personalmente per aiutarli e confortarli, ma anche per imparare da loro che cosa è la vita e cosa è la società:
è la cattedra dei piccoli e dei poveri che è estremamente importante per la realizzazione della vera caritas cristiana e anche ovviamente della Caritas come associazione, organizzazione. Sempre rimanendo sul territorio, cercare di conoscere tutte le gioie, le soddisfazioni per poter condividere e, come S. Paolo, piangere con chi piange e gioire con chi gioisce.
2 - La seconda parte di questo itinerario di conoscenza del mondo in preparazione della celebrazione della Messa riguarda le cose che succedono, gli eventi più importanti. Va premesso che l'informazione di quel che succede ci arriva attraverso i mezzi di informazione di massa e bisogna fare molta attenzione a due cose: primo, i media sono sempre strumentalizzati da parte di chi ne è proprietario e li gestisce e quindi rappresentano della realtà quello che fa comodo a chi li presenta; e poi che, comunque, vedere le cose attraverso la televisione non significa vedere la realtà ma vedere delle immagini, selezionate, della realtà, che sono due cose diversissime.
Come concretamente questo si può realizzare? Non può essere un'iniziativa solo del parroco, ma è necessario che sia un gruppo di persone, insieme al parroco, che cerchi di fare questo itinerario di apertura al mondo; si potrebbe parlare di Lectio Mundi, fatta con lo spirito della Lectio Divina.
Per questo penso possa essere opportuno ricorrere a persone che aiutino questo gruppo a conoscere quello che succede nel mondo. Questo gruppo parrocchiale penso che dovrebbe coinvolgere anche qualcuno che fa parte di altra parrocchia o che non fa parte di nessuna parrocchia, o al limite anche persone che non condividono la stessa fede cristiana ma che capiscono il significato di questo itinerario.
Questi suggerimenti che ho cercato di comunicare nascono anche dall'esperienza sofferta, abbastanza diffusa, di trovarci a vivere in una società, quella italiana, che mi pare di poter delineare come una società “sedotta e sedata” nella coscienza politica nazionale.
Non posso terminare questi ricordi senza esprimere l'ammirazione per una vita offerta tutta in una semplicità, povertà, preghiera, santità. Una vita dedita al servizio, (studenti, ACLI, gruppi, cultura, università, famiglie, persone, poveri ...) sempre nel silenzio, con grandi amicizie personali, e totale nascondimento, ignorato ed emarginato sia nella pastorale diocesana sia nel suo Ordine Religioso.
Ricordava, non senza buona dose di umorismo, in un Convegno, le esortazioni di un vescovo che raccomandava di stringersi a Cristo, pietra viva, per essere pietre vive della Chiesa. Ma Pio diceva: gli è sfuggita la cosa più importante: “rigettata dagli uomini”. La frase intera è:
Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio (1P 2,4). Permettetemi di concludere con un ricordo personale.
Il 12 gennaio 2005, Pio scriveva una lettera al Card. Ruini per presentare il suo servizio nella Diocesi di Roma e per chiedere consiglio e benedizione sul suo discernimento su alcuni problemi della Diocesi, ma anche per tentare una mediazione in mio favore, in quel complotto che ha concluso il mio servizio nella Parrocchia di S. Galla.
“Una lunga riflessione in 60 anni di vita religiosa nella Compagnia di Gesù, compiuti l'8 dicembre scorso, ed una costante ricerca di discernimento alla luce del Vangelo con tanti amici religiosi, sacerdoti e laici mi hanno portato a mettere a fuoco un bisogno e una speranza grande per la Chiesa.
Per questo Le allego una proposta che è un punto di arrivo di tanta ricerca e spero possa essere un buon punto di partenza. Evidentemente Le chiedo un consiglio e una benedizione.
Mentre ho sempre esultato con il Signore per la rivelazione ai piccoli (cfr Luca 10,21-22) ho goduto specialmente negli ultimi anni dell'amicizia con diversi Pastori, Vescovi e Parroci.
Non ho avuta nessuna esperienza di responsabilità parrocchiali, avendo svolto il mio servizio soprattutto alla Cappella dell'università La Sapienza di Roma e poi per 23 anni con le Acli, inviato dalla Pastorale Sociale e del Lavoro della CEI. Ho ascoltato così le esperienze di vari pastori con crescente ammirazione per la bellezza e le grandi difficoltà del loro ministero. Ho imparato moltissimo e forse sono stato anch'io qualche volta di una minima utilità, ascoltandoli.....
Fra gli amici più cari ho i fratelli Amatori. Don Sandro è stato il mio parroco per molti anni a San Romano. Don Franco che mi ha anche aiutato con i giovani delle Acli mi ha fatto partecipe della pena che ha sofferto negli ultimi tempi per sé e per la comunità parrocchiale di cui da venti anni è il pastore. L'amicizia con Don Sandro e don Franco è stata ed è per me un gran dono del Signore. Sarei lieto di poter dare una mano nelle presenti difficoltà.
In quella strana vicenda che mise fine alla mia appassionata esperienza di parroco di S. Galla, cercai invano non difese o protezioni, ma solo che si appurasse la verità di ciò che stava accadendo. Vivo ancora con commozione e gratitudine la grande condivisione e com-passione dei laici della comunità parrocchiale. Ma nessuno del clero romano, tenuto ben all'oscuro della vicenda, ebbe la possibilità o il coraggio di dire una parola o di evidenziare le difficoltà di dialogo e di comunione nel presbiterio della Diocesi; neppure uno dei vescovi ausiliari benché da me informati personalmente.
Padre Pio fu l'unico a tentare una mediazione. Voglio rendergli ancora una testimonianza di affetto e di gratitudine.
Ho conosciuto Pio il 15 giugno del 1970, l'ho visto morire nel suo letto il 13 giugno del 2011.
In 41 anni abbiamo fatto tanta strada insieme, comprese le vacanze estive in giro per l'Europa in tenda, con automobili che gli amici gli regalavano: la Ferrari per esempio .... intesa come sig.ra Amalia, benefattrice dai tempi della Cappella, che ci metteva a disposizione la sua Simca 1000, l'Ami 8, dono del caro Gianni Odorisio, e poi una Panda, una Punto e poi il top: la Stilo di Caterina Odorisio, che ha potuto guidare poco.
Pio mi accolse una mattina d'estate, come tantissimi altri studenti fuorisede, nella sua “comunità” di Pietralata, al 109 di Via Eugenio Torelli Viollier, int.16 A. Dunque non è vero che il 17 porta sfortuna!
E non stavo molto bene, come molti ragazzi che lasciano il paese per avventurarsi nella grande città. Non desideravo altro che tornarmene a casa, ma lui insistette perché rimanessi e mi prese in carico. “I care” avrebbe detto don Milani, ma non masticava l'inglese e io non sono riuscito negli anni a farglielo imparare.
Era un uomo di fede che per tutta la vita ha cercato di indagare in profondità nei rapporti tra fede e politica. Per lui il potere consisteva nel “Portare i pesi gli uni degli altri” (Gal. 6, 2) che era alla base della sua Amicizia (con la maiuscola), l'essere disponibile ad aiutare chi è nel bisogno. In fondo, il senso del mio impegno negli appartamenti discende proprio da questo insegnamento.
Il giorno dopo il mio arrivo, Pio mi portò qui, proprio qui in Cappella, nella sala del ciclostile, che mi insegnò subito ad usare. Per come ero conciato mi ha proposto subito una terapia occupazionale: mi disse che gli serviva aiuto, ma era non del tutto vero; sapeva, da fine conoscitore dell'animo umano, che applicandomi a qualcosa di concreto e di utile anche tante fantasie, tante paure sarebbero svanite. E così fu.
Dopo qualche anno, ancora studente, cominciai a collaborare con lui anche nella gestione dell'Associazione che ora porta il nome di un nostro carissimo amico prematuramente scomparso nel 1994, Maurizio Polverari.
Ancora oggi mi occupo dei cosiddetti “appartamenti” e quindi, anche a nome degli studenti che attualmente vi alloggiano, ringrazio il Signore per averci fatto incontrare Pio lungo la strada della nostra vita. Dal 1971 Pio ha vissuto in modo spartano, povero, in via degli Ortaggi, a Pietralata, periferia Est di Roma, condividendo un piccolo appartamento con altri studenti fuorisede. Dal 1973 al 1981 abbiamo condiviso anche lo stesso appartamento. Dal 1982 al 1995 ho abitato al 7^ piano dello stesso stabile e tutte le sere ci vedevamo dopo cena per fare il punto sulla situazione degli appartamenti e per raccontarci i fatti della giornata, le cose belle e quelle meno belle, sempre nello spirito del “Portare i pesi gli uni degli altri”. Nella sua camera ci sono sempre stati solo un letto, una scrivania, un armadio e una libreria, usati naturalmente, sempre gli stessi da quarant'anni, e una poltrona che non ha mai voluto cambiare. Mai avuto un telefonino, né un computer; il televisore l'aveva dato via nella primavera del 2001. Poi mi ci vollero tre anni per evitare di pagare il canone. Ascoltava solo la radiolina.
Dal 1966, centinaia di studenti, cattolici e non, italiani e non, politicizzati e non, hanno fatto il loro percorso universitario ospiti dell'Associazione Maurizio Polverari, che dal 1971 al 1995 ha portato il nome di don Gian Maria Rotondi, cappellano qui alla Sapienza prima di Pio.
Requisiti fondamentali: pochi quattrini, disponibilità alla vita in comune e un serio impegno nello studio. Non è mai stata un fabbrica di geni, né intendeva esserlo per statuto, come qualche altra istituzione d'ispirazione cattolica che ho conosciuto. Una fatica arrivare alla meta, ma che soddisfazione quando si parte con tanti handicap.
Una vita, quella di Pio, trascorsa sempre in compagnia di studenti fuori sede, molti fuori corso, tanti anche fuori di testa (me compreso): e anche lui è stato uno un po'... fuori dagli schemi, fortunatamente.
Pio aveva una disponibilità pressoché illimitata e una pazienza ammirevole (la famosa vitamina P). qualche volta provavo a dirgli “almeno quando fai la “pennichella” stacca qualcosa...” ma non succedeva mai. La sua capacità d'ascolto era quasi inesauribile, ma soprattutto autentica, empatica, e per tutti: dai ragazzi del palazzo, del quartiere, agli amici impegnati nel mondo della politica, della chiesa, dell'università ..., ma prima di tutti venivano “i piccoli e i poveri”.
Per molti anni, mi ricordo, aveva riservato il pranzo del giovedì, quando tornava dalle ACLI, ai piccoli amici Christian, Sandro e Omar. Nell'angusta cucina il menù era: un pacco di gnocchi di sicuro, forse un secondo, da inventare, e tante barzellette per accompagnare l'adolescenza di ragazzi con storie spesso difficili alle spalle.
Il Vangelo ce lo ha trasmesso soprattutto con le sue scelte di vita, con il suo esempio. Quanto si sia depositato non lo so ancora, ma da un anno a questa parte mi sembra di vedere qualche germoglio, però ci vuole tempo Mi ha sempre colpito la sua ostinazione nel proporre, instancabile, l'ascolto della Parola, nell'indicarci l'attenzione agli ultimi della terra, la partecipazione alla vita sociale (all'ultimo compleanno, nel 2010 ricordò la canzone di Giorgio Gaber “Libertà è partecipazione”), l'esercizio della compassione, la contemplazione del Mistero pasquale.
E cosa potevamo sperare di più? Grazie Pio.
Avevo conosciuto Pio un pomeriggio d'estate, tanti anni fa a Villetta Barrea nel Parco nazionale d'Abruzzo: lui giovane gesuita, io ragazzino. Con due confratelli era venuto a piedi da Campo di Giove attraverso le montagne: erano stanchissimi, ma molto contenti. Il giorno dopo ero andato con loro e con mio fratello Giuseppe alla Camosciara.
Di quella gita mi sono sempre rimasti impressi alcuni ricordi, tutti riguardanti Pio: la parola tranquilla, il sorriso dolce, l'interesse che mostrava verso di me, il passo sicuro e .... i forti polpacci (“non è il torace la parte più robusta di noi Parisi”, aveva detto scherzosamente cogliendo forse un mio sguardo), proprio quei polpacci che l'avrebbero tradito nell'ultimo periodo della sua vita.
Perché questi ricordi così vivi? Certo, già allora percepivo come legame il comune amore per la montagna, anche se poi in montagna solo un'altra volta saremmo andati insieme (mi sembra sul Velino). Ma oggi sono convinto che la ragione della forza di quei ricordi sia un'altra: quella gita era una sorta di anticipazione del ruolo che Pio avrebbe avuto nella mia vita. Perché, dopo i miei genitori, lui è stata la persona che ha maggiormente influito su di me.
L'avevo rivisto quando non ero più un ragazzino. All'inizio degli anni '60, alla Cappella universitaria. Iniziavo i miei studi di legge e da lui incominciavo ad apprendere il senso dello studio universitario. Avevo scelto la facoltà di giurisprudenza soprattutto per esclusione. Pio ha dato significato positivo alla mia scelta, come a quella di tante altri studenti - matricole o più anziani, di giurisprudenza o di altre facoltà, cattolici praticanti e non praticanti - che hanno avuto la fortuna di ascoltare la sua parola. Pio ci ha indicato la strada, difficile ma illuminante, per comprendere la necessità di collegare, sempre e in ogni momento, lo studio in cui eravamo impegnati - anche quello più nozionistico - alla realtà in cui eravamo immersi: non già per diventare bravi tecnici (obiettivo pure importante, ma secondario), bensì per essere soggetti attivi, protagonisti, a qualsiasi mansione fossimo chiamati, qualsiasi ruolo dovessimo svolgere. Dove protagonismo significava - e significa - non già esercizio del potere, ma servizio verso gli altri, verso la società, alla luce dei valori più grandi.
E' stato per me un percorso lento, ma affascinante che mi ha fatto vivere quegli anni di studio con grande intensità, al di là dei risultati comunque anch'essi secondari. Quella sua parola - insegnamento in tutta la sua pienezza - è rimasta in me, mi ha segnato nel profondo. Soprattutto, diventato docente, ho cercato nel mio piccolo di trasmetterla ai miei studenti, sempre.
Ma l'insegnamento di Pio era anche politica. Anzi la politica era la sua ossessione: lui ci indicava la strada della politica. Quegli anni erano fortemente, spesso tragicamente politici. A me sembrava che la politica che cercavo di apprendere da Pio e la politica a cui mi stavo avvicinando - quella federalista per l'Europa unita come quella che respiravo nel mondo universitario in subbuglio, poi in rivolta - non si incontrassero, fossero realtà diverse, rispondessero a vocazioni diverse. Non mi rendevo conto che l'impegno politico in cui pian piano mi stavo immergendo era anch'esso profondamente segnato dalla parola di Pio e dalla esperienza degli “appartamenti” che cominciavo a conoscere.
Quella parola, che passava anche attraverso l'esempio straordinario di Maurizio Polverari mio compagno di corso, ha spinto me, non da solo, a scegliere di vivere da vicino la vita degli appartamenti. E' stato un quindicennio - gli anni settanta e oltre - di grandissimo fermento politico, religioso, personale che tra via Torelli e via degli Ortaggi, lì nell'appartamento comune, era segnato dalla profezia di Pio, quella profezia che, come lui ha detto nel suo ultimo scritto, “non è quel che pensiamo e comunichiamo ad altri ma quello che Dio ci comunica e che nei modi più diversi trasmettiamo ad altri”. Per noi che l'ascoltavamo e cercavamo di interpretarla quella profezia era orientamento nel mare tempestoso di quegli anni.
La scelta di vita, che mi aveva allontanato dolorosamente dalla mia famiglia di origine, accompagnava la formazione della mia nuova famiglia. Nella quale Pio aveva un ruolo fondamentale, i compagni degli appartamenti un posto importante.
Mi sono chiesto spesso, e continuo a chiedermi, se ho tradito quella scelta. Credo che non sia tradimento la parola che spiega la mia successiva assenza perché non vi è mai stata assenza dell'insegnamento di Pio. E' piuttosto contraddizione: quella contraddizione tra il sublime che Pio indicava e l'ancoraggio alle cose terrene che condiziona, limita, rende tristi. Abiit tristis dice il Vangelo del giovane ricco. Ma la contraddizione non fa perdere né la speranza né il bisogno di Dio.
Ho visto Pio l'ultima volta un mese prima della sua morte: ero di passaggio a Roma e non gli avevo preannunciato la mia visita. Era tanto tempo che volevo andare a trovarlo. Quasi una necessità fisica, soprattutto un bisogno spirituale di comunicargli il mio affetto, la mia vicinanza nonostante l'assenza, di sentire la sua parola. E poi un amico mi aveva detto che Pio sarebbe stato contento di rivedermi.
Era nella sua stanza di via degli Ortaggi, la stanza di sempre. Il suo sorriso era dolce, la sua parola serena, come sempre. Era contento di vedermi. Le gambe non gli funzionavano più, mi aveva detto senza alcun rammarico, quasi con ironia. Avevamo parlato, mi aveva dato il suo ultimo libretto, poi a malincuore mi aveva dovuto lasciare perché nel frattempo era arrivato qualcuno - mi aveva detto il nome, ma non lo conoscevo - con cui doveva lavorare. Mi aveva chiesto di tornare raccomandandomi di telefonargli per avere più tempo da trascorrere insieme.
Il suo sguardo mi accompagnerà per tutta la vita e insieme mi accompagneranno quella speranza e quel bisogno di Dio che lui mi ha trasmesso.
In sintesi: cosa ho appreso dalla mia troppo breve frequentazione di Pio, e, prima di lui, da quella più lunga di Padre Mario Castelli?
Forse alla fine penserete che non ho imparato niente, ma ve la racconto lo stesso come l'ho capita io.
Dei tre grandi valori fondanti la civiltà occidentale, valori tutti e tre di indiscutibile ascendenza cristiana, pur se sintetizzati e ripresi (ma questa fu semmai, in gran parte,colpa da addebitarsi alla Chiesa ufficiale) in ambito martinista (sorta di massoneria misticheggiante) alla vigilia della rivoluzione francese (liberté, egalité, fraternité) il più negletto mi par proprio l'ultimo, sbrigato come un'ovvietà dagli uomini di mondo (ma non dai poveri e dai piccoli), logorato com'è dall'abuso clericale e anti-clericale, cioè messo alla berlina dalla appropriazione indebita che ne han fatto clericali, massoni e sette di ogni pelo, che tra loro si chiamano fratelli, escludendo da una tal fraternità clanica tutti gli altri. E' quel fenomeno che un sociologo americano (Banfield), chiamato negli anni '50 ad esaminare i motivi del sottosviluppo in cui stagnava il nostro meridione, denominò “familismo amorale” (di cui la mafia è l'esempio più alto).
Pio invece metteva la fratellanza al primo posto: sapeva bene che gli altri due valori, privati di questo, risultano fra di loro incomponibili e contraddittori, così come fede e speranza, private della carità che fa di loro delle virtù teologali, le ritroviamo svilite in tutte le ideologie, anche le più mostruose, come quella nazista. Pio sapeva bene che la vocazione dell'uomo (l'animale sociale della filosofia) è quella di fare comunità e che, per un cristiano, la comunione fra gli uomini è, prima di tutto, comunione con Dio, e, di conseguenza, con il prossimo e con il creato tutto quanto, così come la pone San Francesco e, non solo con i membri del proprio clan, come invece la vedevano i farisei, che perciò detestavano il Cristo (Lc 10 e Gv 18, 12-14). Malraux (ne “L'espoir”, 1937) scrisse che “c'è una regione cruciale dell'anima (cruciale perché è un carrefour, un crocevia, un punto del cammino in cui occorre prendere una decisione), c'è un punto in cui il male assoluto si oppone alla fratellanza”: questo male assoluto è il dia-bolos, il grande divisore.
Ecco perché Pio, anima amicale, vedeva nella aspirazione alla comunione “l'opera dello Spirito Santo nei cuori”: quella di Pio è una visione pentecostale, squisitamente cattolica, che mette in primo piano nella preghiera, nel pensiero e nell'azione, lo Spirito di Dio.
Pio infatti dice che “l'aspirazione alla comunione è presente in ognuno e la sua negazione è la sofferenza e il peccato dell'umanità”. In proposito cita il padre Sobrino, che scorgeva nel desiderio di vivere e aiutare a vivere “una santità primordiale”, che è il germe della solidarietà e dell'amicizia nella carità.
Un immenso dolore, una infinita sofferenza accompagnano la storia degli uomini proprio a causa di questa comunione negata in mille guise e con mille pretesti, del tutto simili a quelli accampati dal lupo della favola. Ma le forze messe in campo per distruggere la comunione fra gli umani “sono immense”(basta pensare ad oggi con la questione del debito, nonostante che ogni giorno milioni di persone recitino, spesso un po' distrattamente, il Padre Nostro).
Per questo, credo, l'apostolato sociale e “politico” di Pio fu tutto rivolto a promuovere, illuminare e riconoscere questa visione di comunione, che la Chiesa santifica nel sacramento dell'Eucarestia.
Perciò per Pio il peccato non è semplicemente una “violazione della legge“ come moralisticamente e farisaicamente tende a porlo la Chiesa ufficiale, bensì, citando Agostino, ripreso da Metz, “ripiegamento del cuore su se stesso, una consegna al narcisismo latente della creatura”, che è alla radice di una blasfema “comunione idolatrica”, quella stessa cui accennavo precedentemente (cfr. “ Dialoghi sulla laicità” di Castelli, Parisi, Corradino, Stancari, de Gasperis e altri). Questa è in sostanza la lezione che ho appreso dalla frequentazione gioiosa di “Zi' Pio”, sacerdote romano e un po' romanesco, cui tutti davano ragione e pochi davano retta e che io mi porterò nel cuore per quel che mi resta da vivere.
Sono in partenza a breve e ci vorrebbe più tempo per raccogliere le idee e il ricordo di PIO.... soprattutto mi mancano le parole per esprimere tutta la gioia e la gratitudine per averlo incontrato e frequentato questi ultimi anni...
Ringrazio continuamente il SIGNORE per PIO e PIO per quel che è/che era e tutto quello che ci ha dato e lasciato. Per me un grande dono, un uomo di DIO e della PAROLA. L'ho frequentato pochi anni, da quando sono tornata a Roma. Ha accettato di venire e celebrare in Fraternità al Laurentino 38; si interessava sempre di questa periferia e della sua gente..... Ringrazio PIO perché mi ha sempre rinviato alla fede spoglia e essenziale di ogni cristiano, ogni battezzato, ogni uomo `amato dal Signore`. Ho amato il suo radicalismo e il richiamo nella vita religiosa a sgomberare il campo da ogni `orpello` - tradizione - abitudini - incrostazioni....che sviano dal messaggio evangelico, Buona Novella per ogni uomo.
Il suo costante richiamo a tenere fisso lo sguardo su GESU`, autore e perfezionatore della fede... a ri-conoscerlo/ contemplarlo/ servirlo... nel fratello-nel povero-nel prossimo... nella Beatitudine della sequela, in povertà e essenzialità... come lui stesso ce ne dava l`esempio nella sua camera/ufficio/cappella....
Mi colpiva il suo amore esigente per la Chiesa, la sua critica lucida e luminosa nel volerla bella e spoglia... la rete di comunicazioni spirituali che metteva in circolo... il suo vivere fedele nel quotidiano, ordinario, assumendo man mano le diminuzioni che l'età gli imponeva (mille passi fino alla stazione metro che percorreva ogni giorno per allenarsi e ritardare l'immobilità...) Sempre aperto e disponibile, attento e in comunione “silenziosa” con il mondo intero .....
Sarò altrove il 23 e me ne dispiace, ma cercherò di ricuperare al ritorno il resoconto della giornata e la registrazione dell`intervista per i suoi 80 anni...
Ogni volta Padre Pio mi attendeva e mi accoglieva con un sorriso e una cordialità tutta sua (che esprimeva rispetto, attenzione e affetto) nella sua stanzetta: luogo di studio, di ascolto, di preghiera e di riposo e, talvolta, anche di condivisione dei pasti... Questa stanzetta, che rivelava l'essenzialità, la provvisorietà e la povertà voluta, nel dono totale di sé di tutta la sua vita, ha raccolto tutte le confidenze, le sofferenze, le solitudini e i progetti di migliaia di persone, appartenenti a tutte le categorie.
Mi faceva sedere sulla sua poltrona o sedia-sdraio, al suo fianco... e iniziavamo a scambiarci notizie, impressioni. Non c'era la televisione... ma lo trovavo sempre puntualmente informato su tutto...
Quello che mi colpiva e attirava era la sua trasparenza comunicativa che rendeva trasparente anche me, per cui la conversazione fluiva spontaneamente e si arricchiva... e veniva attraversata dall'amicizia profonda - come la intendeva lui - e diventava comunione e pace interiore. Uscivo da quella stanzetta con l'animo pieno di gioia e voglia di “volare”.
Nella conversazione non mancava mai il richiamo al Mistero Pasquale che deve orientare tutta la nostra vita, l'accenno allo Spirito che percorre la storia, soprattutto quella dei piccoli, cui ha sempre dedicato la vita, in gratuità totale.
Con competenza, discrezione, e anche con un pizzico di umorismo, accennava ai problemi scottanti sia riguardanti la chiesa che la politica.
Non posso non richiamare anche le sue visite improvvise, nei momenti difficili della mia salute: all'Ospedale Santo Spirito, all'Unità coronarica del Policlinico Gemelli, ecc. Me lo trovavo davanti... con la ricetta della medicina di cui avevo bisogno: la Parola - adatta al momento che stavo vivendo - con un suo brevissimo commento....era come un viatico!
La sua partenza da noi mi ha ferito il cuore, ma l'ha fatto anche esplodere in un grande grazie al Signore per quello che ha operato in lui e con lui, per quello che è stato per ciascuno di noi: ha creato, per anni, amicizie vere e ci ha messo tutti in comunione tra noi, con legami fortissimi... Ora siamo tutti in cordata con lui che, in Dio dove ora vive, ci tiene uniti, invitandoci a partecipare alla “politica” sapientissima del Padre!
Provare a dire di Pio, a partire da me, Maria Luisa da Salerno.
A partire da noi, perché da Pio in poi ho iniziato a sperimentare cosa sia la Chiesa, come il tu può veramente diventare il noi, nella singolarità di ogni esperienza umana, sempre unica, ma nel gusto che insieme agli altri si sperimenta della comunione col Dio vivente.
Testimoniare un incontro come quel qualcosa che mentre ci attraversava ci ha trasformato.
Pio mi è venuto incontro a Salerno, ma il ricordo del suo volto è immagine che scava ancor più dietro nei ricordi, precisamente ad una delle mie soste in Calabria, da Padre Pino Stancari.
Un attimo, una porta aperta per sbaglio, e la sua austera ed elegante figura non mi ha più abbandonato.
A Salerno, in un piccolo teatro annesso alla parrocchia che frequentavo e frequento di tanto in tanto, dove si svolgevano degli incontri, allora del Circolo Dossetti, Pio venne a presentare con Gianni Napolitano il libro “Vangelo e Politica” di Padre Mario Castelli. Il collegamento con la Casa del Gelso in Calabria mi parve una scoperta meravigliosa e davvero incredibile.
E fu una di quelle visitazioni che mi misero nuovamente in viaggio, per sradicarmi ancora una volta dai luoghi dove quasi istintivamente cerco sempre di rintanarmi. Anche se ero sempre in movimento, ma forse per costruirmi certezze e al massimo qualche merito.
Dopo aver ascoltato padre Pio, in quell'incontro, gli scrissi una lettera nella quale gli dicevo che volevo incontrarlo, conoscerlo e soprattutto insieme a lui volevo reggere il cartello con su scritto Vangelo e Politica, si definiva così, uno con un cartello con quella scritta tra le mani... che fa indice ad una strada dico io, impervia e faticosa.
Ma i padri Pio, Pino, sono gli evangelizzatori della corsa, atleti infaticabili che sanno insegnarti a non smettere mai di cercare oltre quei limiti che per paura delineiamo sul nostro cammino.
Spesso cerchiamo dei cippi su di un percorso per crearci sicurezze, ma se queste anziché evitarti di cadere ti ostruiscono il cammino tocca capire come attraversarle.
Quel cartello delineò lo stupore di un nuovo sentiero e quel sentiero scoprii che mi stava e lo stavo cercando.
Pio, e la coscienza politica, continuano ad interpellarmi dalle loro vette irraggiungibili, verso le quali non ha mai smesso di orientare lo sguardo.
Da allora Maria Luisa, mendicante di giustizia, si è sentita riconosciuta nel profondo, con tutto quello che di sgradevole le appartiene, ma senza più paure. Pio, delicata carezza dell'amore di Dio, anche se forse la mano, di Pio, l'avrà appena sfiorata, forse una volta o due.
Avevo difficoltà a comunicare, a vivere in comunione, Pio ed i suoi amici hanno dato alla mia inquietudine il senso di una ricerca di una dimensione possibile, sperimentata, vissuta, condivisibile, che in tutti loro ho trovato. Non un conglomerato di volontà, non una rappresentazione di qualcosa, ma l'insperata possibilità di un depositum charitatis attraverso i suoi frutti di comunione, che nello Spirito edificano nuovi cieli e nuova terra, e soprattutto una nuova capacità di esperire il linguaggio, per depurarlo dalla violenza insita in esso.
Pio quanta strada hai percorso, davvero straordinario il tuo lascito, quante dolci provocazioni, perché sempre nella dolcezza ci hai comunicato le tue scoperte, i tuoi fuochi, la tua ricerca.
Nella dolcezza il discernimento anche della vertigine dell'angoscia, della depressione, dello spaesamento e tutto con i suoi frutti di libertà di sentirsi figli, servi senza paga, abitanti nella casa del Padre sempre amati.
La mia rammemorazione per voi parte da ricordi che ancora oggi mi portano in alto... per poi farmi ritrovare in un quartiere popolare di Roma, in una cameretta, con una sdraio, alcuni libri ed i lavori di un amico, Mario Castelli, che non smetteva mai di accompagnare la sua riflessione, il suo impegno, i suoi sforzi, con a volte l'affanno che quel patrimonio non andasse disperso.
Diversi si avvicendavano da Pio, per conoscere l'opera a cui lui faceva indice continuamente, quella di Castelli, e lui pieno di speranze apriva fascicoli, forniva copie, e un po' rimaneva deluso, sicuramente anche da me: mi ero rivolta a lui per il desiderio di approfondire la via della testimonianza di fede attraverso la politica, traccia della loro singolare testimonianza di fede, ed il mio lavoro è ancora in un cassetto.
Ma che importa! La mia gioia è stata con Pio quella di trovare diversi amici, in un altro luogo ancora, quello degli incontri dell'Associazione Maurizio Polverari. Anna Maria, Laura, Massimo, Giulio, Liborio, Maria Teresa, Antonio, Alberto, Giuseppe, Pino e gli altri ancora.
E ancora una volta una montagna da scalare, la dimensione politica come strada di conversione e di apertura al mondo, senza schieramenti ideologici, né di conquiste di potere, né di protagonismo umano, ma a partire da Dio, per celebrare l'opera di Dio che si compie, attraverso il discernimento del suo intervento nella storia degli uomini, e così ancora una volta mi sono ritrovata poi, con un nuovo viaggio questa volta su Alpha Centauri, nell'intimo del cuore a cercare di decodificare un linguaggio che ha nel Silenzio la sua cifra eloquente perché del Mistero, Mistero e Politica!
Che “pazzo” Pio, come Davide, “pazzo” nel Signore.
Provo un tormento ed un'estasi a scrivere cosa significhi per me l'incontro con lo spirito di un uomo che ha depositato nelle nostre coscienze la forza poderosa di un vissuto che continua a scavare nelle profondità e mentre scava cambia la superficie della nostra pelle sempre più trasparente e il nostro linguaggio sempre inadeguato, oscuro per l'indicibile che chiama le nostre vite alla comprensione del suo amore per noi.
Ed ancora Pio e il suo vocabolario, la riflessione sulle parole nel discernimento alla luce dell'esperienza umana, culturale e poi del vangelo e ancora poi della fede che frantuma i discorsi per impoverire l'assimilazione intima al Mistero del Dio crocifisso e risorto.
Linguaggio e soprattutto pensieri, storie da lavorare al crogiuolo della Parola in una dimensione ecclesiale priva di liturgia, rinviata ovviamente all'Eucarestia domenicale, con l'avvio della comunicazione attraverso la recita dell'invocazione allo Spirito Santo.
Era lui che guidava la riflessione con le meditazioni che precedevano gli incontri, infaticabile e sempre più luminoso anche nella fatica della malattia, sempre lucidissimo, grazie a lui il mio modo di parlare è divenuto sempre meno invadente per far spazio ad una comunicazione sempre altra, che ha la sua forza nell'ascolto, erano meravigliose le pause tra un intervento ed un altro, per me di una potenza rivoluzionaria, una dimensione in cui davvero ci si ritrova “insieme” e tutto è affidato al fluire di altro da noi..
Ancora oggi, a Salerno, ci sto provando, dopo più di quattro anni di incontri com'è difficile ascoltarsi, ma nel cuore ho questi fuochi, gli incontri con gli amici in Calabria per la lectio di Padre Pino e quelli degli amici di Roma, con Padre Pio, il desiderio di provare a camminare come loro, come voi, almeno provarci un poco, sognare questa Chiesa così povera che ci riduce al Silenzio, anche se a me tocca parlare, ora.
Fuochi che bruciano e non si consumano dentro di me, che vivo un'esperienza di amicizia con piccoli gruppetti di Rom, anche lì impoverire il linguaggio per approssimarsi all'incontro con l'Altro è scuola di vita quotidiana, per la quale siamo sempre impreparati: a Pio credo piacesse ascoltare quello che raccontavo, e da allora mi sono sentita a casa, a mio agio, anche per questo.
Pio mentre distruggeva quelle tre o quattro convinzioni mie, mi ha insegnato a parlare a partire da altro, decostruendo la maschera che mettevo per rendermi presentabile.
Pio è l'abbandono all'amicizia, in Gesù Cristo Nostro Signore, Pio era la capacità di “vivere” l'incontro in Cristo e dopo qualche ora di incontro, ognuno di noi si rendeva conto che qualcosa ci aveva attraversato da cuore a cuore nell'asciutto delle nostre “cisterne screpolate” come lui si definiva, l'acqua della fede inumidiva le nostre crepe.
Pio è la preghiera che fa di noi i venturi, quelli che verranno... ci ha insegnato a pregare nel a-venire, ad ogni incontro depositavamo qualcosa e ho capito cos'è la chiesa di Cristo, nell'in-operosità della comunità, termine oggi troppo abusato, per noi il ritrovarci su una sorta di confine che ci fa esistere nel venir meno della nostra presenza.
Venir meno, per me l'eredità della coscienza politica nella sua finalità più matura e proprio nella sua fecondità più qualificata, che travolge le nostre vite e che forse aspetta frutti di nuova conversione: le vie nuove della politica.
Venir meno, e sempre più l'urgenza di testimoniare con lui, la profezia... di una Chiesa sempre a-venire, che proviene da un futuro a-venire.
Mentre siamo è come se non ci fossimo, qualcosa di noi evapora per alleggerire la nostra corsa, per sradicare le nostre strutture ideologiche, religiose, ci ritroviamo insieme con la letizia di un incontro che rinnova la nostra fede sull'unico fondamento che ci permette di seriamente prendere posizione nella storia umana.
La laicità è ritrovarci in una chiesa i cui ambiti coincidono con quelli della città, ma sempre fuori le mura di ogni certezza, dubitando di una costruzione solo umana. Quando penso a Pio mi viene in mente Esdra che legge il rotolo della legge fuori le mura della città, la testimonianza di una comunione politica nella gioia di sempre nuovi annunci per l'avvento del regno di Dio, quel Dio che ha attraversato la carne umana per trascinarci tutti noi derelitti alla pienezza della vita.
Per ricordare Pio Parisi e comprenderLo a pieno nella Sua fede e speranza, nonostante tutto ciò che ci circonda attualmente, ritengo utile partire dalla sua appartenenza ad una generazione, che poi è anche la mia, come mirabilmente rappresentata in una lettera, da Lui giratami per una illuminante riflessione, di un coetaneo amico comune, “raro superstite della nostra generazione, nata sotto il fascismo e cresciuta negli anni delle guerre di Etiopia, di Spagna e della seconda guerra mondiale (1939-1945)”.
Tante memorie degli anni della nostra giovinezza di italiani e di cristiani - ancora ben vive nel fondo delle nostre coscienze - mi hanno fatto sentire, più del solito, una diffusa tristezza che accompagna segretamente la nostra generazione nel suo passaggio pasquale, che è in corso più o meno laborioso, verso quella che sarà, lo speriamo, la nostra risurrezione gloriosa con Gesù. Come i due discepoli in cammino verso Emmaus, anche noi, alla fine della seconda guerra mondiale, speravamo di essere liberati per sempre da un mondo vecchio, pieno di risonanti discorsi vuoti, di bugiardi castelli di carta, di rapacità manifeste, di personaggi gonfiati di nulla, di sessismo senza senso, di propaganda rancida imbastita di duplicità e di menzogne a opera di una potenza dei mass-media enormemente accresciuta; un mondo di ubriacature di potere parolaio, di “gregarismo” servile dell'ultimo impettito “duce” di turno....; un mondo tipico di quella «cupidigia che è idolatria» (Col 3,5). Oggi questo vecchio mondo è riemerso interamente, più grigio di prima. Credo che quell'indomabile speranza, nutrita sotto traccia attraverso anni giovanili mortificati nelle nostre libertà, abbia fatto di noi quasi una “generazione bruciata”, che si sente subito e irrimediabilmente alquanto “disadattata e fuori posto” in una società e in una Chiesa, ogni volta che esse ricadano in abiti culturali fatti di esteriorità, di autoritarismo arbitrario, o di personalismi servili di uomini e di donne incapaci di essere semplicemente dei soggetti liberi, i quali non provino il bisogno di vendersi o di inchinarsi alle ideologie e ai capi carismatici del momento. Nella nostra Città l'unico tempio è il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello (Ap 21,22)» .................
«La nostra autentica “umanizzazione” risiede in Gesù Cristo risorto, non nei poveri e transitori insediamenti istituzionali terreni, a cui tanti ecclesiastici smodatamente sembrano tenere; la verità ultima dei nostri corpi e della nostra storia è destinata alla trasfigurazione, che li conformi al corpo glorioso di Gesù Signore (Fil 3,20). Verso di lui noi corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo lo sguardo fisso su Gesù, il Vivente che è l'origine e il compimento della fede, di ogni autentica fede (Eb 12,1-3)».
Questa partenza e arrivo di una generazione (comune), nata intorno alla seconda metà degli anni 1920 - Pio Parisi è nato il 5 novembre 1026 e la Sua chiamata alla vocazione sacerdotale, come da Lui definita, «nel 1944 la scelta più impegnativa della mia vita ... fortemente influenzata dalla guerra: esperienza di morte e di fallimento della politica » - illumina appieno due grandi valori che Pio ci ha insegnato con l'esempio costante: umiltà e speranza in una società che possa risorgere, speranza incrollabile attraverso la forza della fede in Dio.
Ed in questa sua speranza in una società suscettibile di riprendersi nella solidarietà e nel rispetto della persona umana, rammento la Sua insistenza, anche nei miei confronti, a ricordare e ad apprendere il pensiero di Giuseppe Lazzati e la sua valutazione sia di urgenza di un risveglio della coscienza politica, soffocata dalla perdita dei valori e dei principi dell'onesto vivere nella condotta pubblica (questo è un aspetto assai caro a Lazzati) sia di conclamata esigenza di una ripresa di quella coscienza politica nella comunità italiana, che si stava indebolendo e correva il rischio di spegnersi in una tendenza a delegare o a concentrare in pochi le scelte e l'esercizio del potere.
Sulla umiltà il Suo richiamo al Vangelo «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre”. (fil. 2, 5-11)».
Il Suo invito a meditare che nella vita «Tanti piccoli, poveri, sofferenti, emarginati, considerati peccatori sentono di valere poco, non hanno speranze umane di potere emergere, né aspirazioni a dominare. Tengono duro e sperano anche senza e contro ogni speranza. Sono trascurati anche da alcuni che dovrebbero annunciare loro la buona notizia e da loro dovrebbero imparare una più profonda umiltà».
Partendo da queste premesse il metodo migliore per ricordare Pio Parisi è quello di rileggere alcuni Suoi inviti ed esortazioni ed alcune riflessioni suscitate dalle sue parole e scritti.
Partendo dalla esortazione di Pietro “Stringetevi a Cristo, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale” (1 Pt 2,4-5) ci ha richiamato ad una realtà: che cercando la sequela del Signore si sperimentano molte sconfitte, si perdono consensi, si è emarginati, ma si sperimenta anche una gioia nuova nella condivisione. Gli emarginati sono il sale della terra.
Ed appunto riteneva la validità della cattedra dei piccoli e dei poveri, cioè la necessità di imparare da quelli che in genere non contano, ma che vivono sulla propria pelle la fragilità della condizione umana e spesso subiscono ingiustizia e violenze. Per scoprire tale cattedra è necessario condividere e in qualche modo radicarsi nella realtà dei piccoli e dei poveri, con un dialogo continuo.
Questa Sua particolare concezione di una vera umiltà è stata messa in luce da un Suo caro amico di infanzia, anche egli gesuita (P. Francesco Rossi de Gasperis S.J.) con queste parole:
«Egli ha rifuggito con tutte le sue forze, per tutta la vita, da ogni ricerca di potere, di primati, di successi, di carriera, di titoli, di trionfi... La totale gratuità del suo servizio spirituale, l'estrema semplicità e povertà del suo modo di vivere, fin sul suo letto di morte, ha suscitato sempre in me un'indomabile nostalgia, ripensando agli insegnamenti del nostro comune padre spirituale, il p. Michel Ledrus. Il suo amore preferenziale per gli ultimi, i poveri, gli studenti fuori sede, gli stranieri... lo hanno fatto amare con riconoscenza da centinaia di giovani, che egli ha indirizzato a vivere onestamente».
Ed appunto in piena sintonia, a riguardo del Suo senso di umiltà, ripeto quanto, all'indomani della scomparsa di Pio, le espressioni di Franco Passuello, riconoscente del molto che ci ha dato: «Vista con gli occhi del mondo la sua vita quotidiana era molto umile e povera. Era invece molto, molto ricca se vista con gli occhi di una minorità consapevole. Ricca di preghiera, di relazioni, di discernimento personale e comunitario. E ricca di affetti: di amicizie profonde e tenaci, di preghiera condivisa. Non penso sia stato facile, per Pio, prendere commiato da tutto questo. Anche se aveva sentito giungere il suo tempo e, in quel suo modo schivo e quasi timido, aveva trovato il modo di comunicarcelo».
Questa umiltà, accompagnata dalla Sua comprensione degli altri e specialmente della intera umanità ed in modo particolare di quelli che soffrono, risulta mirabile in due scritti di Pio:
-- L'etica dal mistero, nel capitoletto 11, la speranza non muore mai: «in ogni sofferente c'è un grido che per il Creatore equivale ad una preghiera e mette in moto il dinamismo per la salvezza, come per gli Ebrei oppressi dal Faraone.
Dall'oceano delle sofferenze umane, in cui siamo meno di una goccia, sale una preghiera incessante portata dalla speranza», è l'umanità che vive in me: «Questo è un continuo sconvolgimento della mia vita interiore. Quel che mi inquieta, quel che soffro, quel che spero... sono tutte le creature umane. Una per una, con l'abisso dell'interiorità di ognuna, ognuna nel corpo, nella società, nella storia».
La Costituzione conciliare Gaudium et Spes, nucleo centrale di tutto il Concilio, comincia con una luminosissima affermazione: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (G. S. n. 1)
L'affermazione è meravigliosa, ma non è facile vedere come si possa mettere in pratica. O si cerca uno sviluppo teorico, che ci allontana dal concreto di quel che gli uomini realmente vivono, oppure si cercano delle opere che diano concretezza: le opere, chiamate impropriamente apostolato sociale. Le opere hanno un loro valore ma comportano grandi rischi. L'efficacia delle opere non corrisponde spesso al bene di coloro che si vogliono aiutare. Le opere, specialmente quando crescono, hanno una logica ineludibile.
E' possibile nell'esperienza del Mistero, quando, al di là della ragione e del buon senso, si percepisce la trascendenza che unifica le persone, gli eventi, le cose.
L'intima unione della Chiesa con l'intera famiglia umana si realizza solo nell'esperienza mistica, dove il Mistero avvolge ogni cosa».
Pio ci ha insegnato a coniugare la vera umiltà con una efficace laicità, che non sia affascinata e corrotta dal potere: queste sono le Sue parole: «Ma l'ostacolo più grosso all'impegno di laicità è rappresentato dalla seduzione del potere.
Per superare questi ostacoli “bisognerebbe mettersi in discussione, insieme. Ma questo si può fare, di nuovo, per cercare la sicurezza in un'unità che dà forza, oppure per aprirsi insieme alla Parola. Questa è la via. [...] Più in genere i piccoli, i poveri, i sofferenti sono la via della Chiesa in relazione al Mistero Pasquale. Il Papa ha detto, con grandissima risonanza, che l'uomo è la via della Chiesa. Questo è vero a partire dall'incarnazione. Ma è più vero, a partire dal Mistero Pasquale, che il sofferente risorto è la via della Chiesa”.
La laicità come profezia si esprime, dunque, in una serie di atti “politici” (nel senso che hanno a che fare con la vita della città), e cioè nell'ascolto della Parola e dei poveri; nella assunzione di concrete responsabilità, soprattutto nei riguardi dei più deboli e vulnerabili; nella costruzione di relazioni comunitarie e fraterne.
Solo la Parola, ascoltata umilmente, consente di prendere coscienza delle tentazioni contro la laicità. Essa aiuta, ad esempio, a rendersi conto del blocco culturale espresso dalla politica intesa e vissuta come ricerca e gestione del potere».
Di questo rapporto tra umiltà e laicità, non corrotta da potere, Pio sente tutta la importanza, così esprimendosi sulla “politica”: «L'attribuzione allo Stato del primato nel fare politica deriva dalla identificazione della politica come gestione del potere. E' questo infatti il senso corrente della parola: ma la Bibbia indica con chiarezza un'altra via: dalla città di Caino, per la convivenza senza rapporti fraterni, verso la Gerusalemme che scende dal cielo, piena realizzazione della fraternità in Dio, realtà finale escatologica, che indica il senso della storia. Lo Spirito Santo guida all'impegno per ricostruire rapporti fraterni, specialmente fra i piccoli, i poveri e i sofferenti, categorie fondamentali nella Bibbia, non pienamente riconosciute e accolte dalle scienze umane.
Se per politica si intende la ricerca e la gestione del potere di questo mondo non si vede come questo possa essere compito di chi, nel laicato e nella gerarchia, è chiamato a seguire il Signore della storia, l'Agnello immolato dell'Apocalisse (cap. V).
Se invece per politica s'intende la condivisione e il radicamento nella vita dei piccoli e dei poveri per aiutare tutti a ritessere rapporti fraterni, è chiaro che tutta la Chiesa è chiamata a fare politica.
Se si considera come nella Bibbia la politica sia realizzata sopratutto dai profeti, si capisce come tutti i cristiani, laici e chierici, sono chiamati alla politica partecipando al sacerdozio, alla profezia e alla regalità di Cristo (cfr. Concilio Vaticano II)».
Ancora nello stesso scritto di Pio troviamo un invito ad una «Politica nuova. Organizzarsi per vivere insieme non è solo una necessità, è anche il compito più bello che ci sia dato nella nostra vita. L'impegno politico si impone, con la massima urgenza e una grandissima speranza, a partire dal discernimento evangelico. Sembra che per questo la cosa più importante sia saper parlare per proporre sé stessi e battere i rivali, per elaborare progetti ed accogliere consensi, per rianimare, confortare e guidare il popolo, per formare le coscienze alla responsabilità verso il prossimo e verso la società. Saper parlare per ottenere ed esercitare il potere. Così la politica diventa il luogo in cui il parlare viene esaltato e si moltiplica con rapidità crescente, approfittando anche dei nuovi straordinari mezzi di comunicazione... Molto più importante, anche per la politica, è il saper tacere, anche interiormente. Il silenzio è resistenza, è possibilità di continuare ad esistere. Se la politica è azione, questa presuppone l'essere (agere sequitur esse) che a sua volta presuppone il silenzio. Il silenzio avanti al Signore è ascolto della Sua parola, è apertura alla sua forza di giustizia, di pace, di composizione della convivenza umana».
Altro invito di Pio è alla «Coscienza politica: La conversione più urgente nel mondo globalizzato è l'impegno per la crescita della coscienza politica, intesa come responsabilità verso tutti e verso il tutto.
Il passaggio dalla conversione alla coscienza politica, che può apparire molto strano, è a mio avviso decisivo.
Non è una caduta banale di un discorso spirituale, non è un abile raggiro per ritrovare una qualche egemonia, non è, per me personalmente, un tentativo di rilanciare un appello inascoltato; nel 75 scrivevo, infatti,” La coscienza politica”... Il vero agire politico nasce dalla conversione del cuore, ... che è assunzione di coscienza politica.
Oggi sento qualcuno che parla di primato della cultura politica e quindi della formazione sulla lotta di potere. E' un discorso promettente ma temo che difficilmente si fondi su un concetto profondo di cultura che implica la conversione del cuore: dall'egoismo all'amore verso tutti e verso il tutto».
Concludo con un ringraziamento a Pio per un Suo costante invito al dialogo in tutti i campi, che mi ha indotto a riflettere che siamo in una società che ha perso il senso di comunione, non riesce a parlare “con” gli altri, ma solo “contro”, in un egoismo individualista e separatista, che porta solo alla critica distruttiva, mancando umiltà e carità.
Pio ci ha invitato a «lasciarci coinvolgere da tutti i guai della umanità, rinunciando a tutti i recinti protettivi, ai “mondi cattolici” (orribile espressione) in cui vivere tranquillamente, moltiplicando opere buone, che tuttavia non rispondono tanto al grido dei poveri e dei sofferenti, quanto all'esigenza di sentirsi buoni. Pensarsi e muoversi come un unico Popolo di Dio, di cui non conosciamo i confini, pur riconoscendo la diversità dei carismi, liberandoci quanto è possibile dalla soggettività individualista, di gruppo, di appartenenza, e di schieramento. Aiutarsi a vicenda per la comunicazione spirituale del discernimento evangelico della dimensione sociale della nostra esistenza».
Grazie Padre Pio Parisi della Compagnia di Gesù, permetti ad un Tuo vecchio amico dalla scuola fino alla vita intera, di ricordarTi e di ringraziare il Signore per tutto quello che mi hai - e ci hai - dato e lasciato: cercheremo tutti, pur con le nostre debolezze e mancanze, di non dimenticarlo.
Quando seppi che Pio era arrivato al termine del suo pellegrinaggio venni subito all'appartamento; nella stanza c'era solo il padre di Valentin seduto accanto alla porta-finestra; io mi sedetti accanto a Pio. Varie volte mi sono chiesto che cosa pensano le persone che restano silenziose accanto ad una persona cara per dirle ancora una volta "grazie d'esserci stato". A me quella mattina e in quei pochi minuti di assoluto silenzio tornò alla mente, senza nemmeno pensarci, quello che avevo letto nelle memorie di Jules Renard, l'autore di "Pel di carota" ed amico di un altro grande scrittore, Rostand, l'autore del Cyrano de Bergerac. Renard va a dare l'ultimo saluto all'amico prima che ne chiudano la bara, poi lascia il palazzo ma uscendo vede con la coda dell'occhio il tavolino con il libro dove i visitatori mettevano come s'usa le loro firme; allora con uno scatto torna indietro, prende la penna e scrive di getto: "l'uomo è un albero che va a fiorire lontano". In quest'anno ho ripensato spesso a Pio ripetendomi proprio quel pensiero, così semplice ma così essenziale, dove la "lontananza" non vuol dire - almeno così mi pare - una misura di spazio ma di tempo: l'impronta che qualcuno lascia durante la sua traversata e che continuerà a crescere anche dopo la sua scomparsa, giorno dopo giorno, tanto in altezza come in profondità.
Paolo esprime qualcosa che sento in maniera forte: il discorso delle “tracce”. Tutti, Pio in particolare, ma anche Castelli, Corradino, Maurizio, le persone care che ci sono vicino e che ci hanno lasciato, hanno lasciato delle tracce in noi, e sta a noi, non in modo celebrativo o di commozione sentimentale, come dicevamo all'inizio, seguire queste tracce e dare loro compimento. Carlo Molari parla di un compimento al quale dobbiamo dare un aiuto, un sostegno, ognuno a modo suo, nel suo campo, nel suo ambiente, nella sua esperienza. E forse, come ricordava Flavio, si tratterà di smettere di dargli ragione e dargli retta. E' quello che ci siamo proposti e che ci proponiamo. Ascoltare le cose dette ci apre anche degli spazi di impegno personale e associativo, di responsabilità ulteriore, ma questo non ci fa paura perché abbiamo notato (anche negli incontri che facciamo una volta al mese) che quasi siamo stati condotti da un “qualcuno” o da un “qualcosa”. Non immaginavamo che le cose potessero andare avanti così. E' nostro desiderio, la nostra speranza che il librettino di Pio “La mia profezia” diventi in qualche modo “la nostra profezia”, così come stamattina è avvenuto.