Roma, 16 novembre 2004
Caro Gianni,
ti scrivo con gran simpatia in seguito a quanto mi hai comunicato della tua esperienza interiore, specialmente per quanto riguarda la fede.
Scrivo a te ma pensando con ugual simpatia ad altri amici, diversi dei quali si chiamano pure Gianni, che mi hanno comunicato le loro esperienze, ai quali ovviamente farò conoscere questa lettera che scrivo a te.
Metterò giù una serie di pensieri sulla fede, guardandomi bene dal fare un trattatello, e non so quanto riuscirai a trovarvi una qualche unità organica. In me sento ogni giorno di più questa unità che deriva dall’averci pensato molto e soprattutto dall’aver ricevuto autentiche comunicazioni di tanti amici sinceri.
Comincio da alcuni elementi che ho colto nella tua esperienza e che mi sembra di condividere profondamente.
Ammirazione molto grande per il Vangelo e per Gesù Cristo. Rispetto, stima e ammirazione anche per coloro che con coerenza seguono il Vangelo, con la fede che vive nelle opere come nella pazienza che ogni giorno la mette a dura prova. L’ammirazione per Francesco d’Assisi si estende a tanti altri che ne condividono lo spirito pur nelle angustie del loro cuore e della loro mente.
Incertezze e dubbi continui che tutto ciò sia vero, che non si tratti di una splendida costruzione umana alla ricerca di una salvezza che gli uomini non trovano nella loro condizione per tanti versi finita, limitata e radicalmente insufficiente. La certezza di alcuni amici che non hanno dubbi ci conforta e ci stimola, ma in alcuni casi ci irrita e aumenta le nostre perplessità, come quando tale certezza viene ostentata o brandita come una clava contro quelli che non la condividono, o fondata su infantili esperienze di continui interventi di Dio nella loro vita personale.
A diversi amici, ed a me stesso, viene sovente in mente, come un vero conforto, la risposta di Pietro a Gesù che chiedeva ai dodici: “Forse anche voi volete andarvene?”. Gli rispose Simon Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna, noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”. (Giov. 6, 67-69).
Un’altra difficoltà che mi sembra di cogliere in te e che anche io condivido riguarda la preghiera. Quando chiediamo a Dio che dia il pane quotidiano a tanti che ne sono privi e che ci liberi dal male in cui ci sentiamo immersi con tutta l’umanità, per lo più non constatiamo delle risposte alle nostre insistite domande. Questo tuttavia non ci crea un gran problema perché sappiamo che lui sa qual è il nostro bene.
Penso che la difficoltà maggiore stia nella ricerca di un rapporto personale con Dio per sentirci in comunione con lui, uscendo dalla solitudine che ci rinchiude nella nostra radicale insufficienza. Ci sembra che mentre ci sforziamo di rivolgerci a lui non troviamo rispondenza, come se lui non fosse rivolto a noi o semplicemente non ci fosse.
Anche per questo ci conforta quel che ci dicono alcuni amici del loro facile colloquio con Dio, ma in qualche modo ci lascia perplessi.
La difficoltà maggiore a credere in Dio penso che per te, come per me e per tanti altri in tutti i tempi, stia nel riconoscerlo creatore e Padre di un mondo così carico di sofferenza e di violenza. Come è possibile che lui voglia e permetta tutto questo? Tante spiegazioni che vengono date non ci convincono.
C’è poi una difficoltà che io sento fortissima, non so tu. E’ la mancanza da parte di chi si dichiara cristiano di leggere gli eventi sociali ed essere in essi presenti a partire dalla parola di Dio, dalla morte e risurrezione di Gesù Cristo. Convinzione diffusa e drasticamente affermata è che stando nella storia non si possa seguire il Vangelo.
Ecco qualche elemento che mi sembra di aver colto nella tua esperienza e che, mi ripeto, penso di condividere profondamente.
Ora provo a comunicarti due pensieri che spero ti possano aiutare, come aiutano me, nel cammino fraterno di fede.
Il primo è che ciò che a noi sembra una crisi o una mancanza di fede è in realtà un passaggio verso una fede adulta o meglio verso quella maturità che è presupposto e frutto al tempo stesso della fede. Più che di una crisi di fede si tratta di una religiosità in crisi.
Il secondo pensiero è che ciò di cui il mondo ha più bisogno è proprio una chiesa dalla fede adulta.
Riguardo al primo punto comincio dalla considerazione che la fede è accoglienza del Mistero infinito di Dio e quindi, se la parola non ci spaventa, è un’esperienza mistica.
E’ accoglienza di un Altro, non produzione o opera del nostro intelletto, anche quando esso si esercita su temi teologici o più modestamente catechistici.
E’ un sentire profondo che può non avere riflessi nei nostri comuni sentimenti, siano pure di amore, di compassione, di meraviglia, di timore.
E’ un fatto personale che ci inserisce nella comunione più universale con tutte le donne, tutti gli uomini e tutte le creature, ma non va confuso con l’appartenenza a questa o quella comunità, né con la stessa comunità ecclesiale quando questa viene vissuta a prescindere dalla fede e addirittura come parte, come schieramento, e con l’assurda definizione di “mondo cattolico”.
La fede è la più radicale esperienza di povertà, fino alla rinuncia e allo svuotamento di se stessi come dice Paolo “non son più io che vivo ma Cristo che vive in me” (Gal. 2, 20). La fede non è possesso di alcunché, nemmeno della verità; è piuttosto un essere posseduti che esalta la nostra povertà di spirito (cfr. Mt 5, 3).
La fede non è forza e potenza che sono di Dio. “Io infatti non mi vergogno del Vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (Rom. 1, 16). Così va inteso ancora Paolo: “Tutto posso in colui che mi dà la forza” (Filippesi, 4,13).
La fede è nudità. “La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio… Non v’è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto” (Ebr. 4, 12-13).
Teologia, devozioni, buoni sentimenti, appartenenza a comunità ecclesiali di azione o di pura contemplazione, sono tutte cose rispettabilissime che possono essere di sostegno nella fede, ma non si identificano con essa.
La fede è spogliazione di innumerevoli vesti, è povertà, silenzio, ascolto adorante del Mistero infinito di Dio, rivelatosi con pienezza in Gesù Cristo e trasmesso dagli apostoli.
Il secondo punto è che ciò di cui il mondo ha più bisogno è una Chiesa adulta nella fede.
Ecco le massime urgenze:
la pace per il mondo
la conversione per la Chiesa.
E’ questo il pensiero che ha riempito la mia vita e vado scoprendo sempre di più che è la speranza più diffusa perché “lo Spirito riempie l’universo”. Speranza dei piccoli, nascosta ai grandi, occultata dai potenti.
Il mondo ha bisogno urgente della pace. Il Signore ha detto nell’ultima cena: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo io la dò a voi” (Giov. 14, 27).
Il mondo con la sua grandezza e bellezza, l’umanità che cresce in tante direzioni e accumula drammi e tragedie in un immenso travaglio, i nuovi poteri e i potenti di turno, e nelle sue viscere i piccoli, i poveri, i sofferenti, e nel profondo di ognuno la consapevolezza di una radicale insufficienza e la paura della morte: questo mondo ha urgente bisogno della pace che ha portato il Signore.
La Chiesa ha urgente bisogno di conversione.
Conversione a Dio nella contemplazione del Mistero infinito rivelato in Gesù Cristo nel Mistero pasquale, liberandosi dalla contemplazione compiaciuta o avvilita di se stessa.
Confessione in primo luogo della bontà di Dio superando la confessione disperatamente posta in primo piano dei peccati propri e più ancora di quelli degli altri.
La Chiesa ha urgente bisogno di convertirsi al Signore, alla via da lui scelta della povertà e dell’annientamento (la kenosi) di liberarsi dall’idolatria della grandezza, del potere, dei potenti, del successo in questo mondo.
Caro Gianni, il cerchio si chiude:
“io sono tranquillo e sereno.
come bimbo svezzato in braccio a sua madre
come un bimbo svezzato è l’anima mia”
(Salmo 131, 2)
La mia fede spoglia è ciò di cui hanno più bisogno il mondo e la chiesa. La chiesa spoglia è ciò di cui ha più bisogno la mia fede per quella “laicità che è carità per il mondo”, secondo una definizione di P. Mario Castelli.
In questi giorni in cui tanto si parla di laicità da parte di chi si professa credente e di chi si dichiara laico, ti consiglio vivamente la lettura-meditazione dello scritto di P. Mario da titolo “Laicità come carità per il mondo” con cui inizia il volume “Dialoghi sulla laicità” (Rubbettino 2002).
Concludo queste riflessioni sulla fede ricordando un altro amico morto quest’anno il 27 luglio, la cui vita è stata nel profondo una continua ricerca di Dio, Verità di tutte le cose e della storia. Vivo con Pino Trotta una comunione più intensa di quando ancora era fra noi lottando nella carne e nello spirito.
Infine mi permetto un suggerimento: ascolta tutti i giorni il Vangelo e proponi la stessa cosa a tutti i cristiani. Se lo facessero, anche quelli più qualificati, si accorgerebbero “con gioia” di quanto sono lontani dal Signore.
Grazie Gianni della pazienza con cui hai letto e forse ascoltato questa mia comunicazione.