La regola dell’alternanza che abbiamo seguito finora vuole che quest’anno sia dedicato al Nuovo Testamento ed ho proposto e, in un certo modo, imposto, la lettura della Lettera di Giacomo che forse sarà seguita dalla lettura di altri testi che appartengono alla raccolta delle cosiddette “Lettere cattoliche”. Faccio un richiamo molto schematico su che cosa voglia dire “Lettere cattoliche”; sette scritti che rimangono spesso un po’ nascosti nell’insieme dell’intero Nuovo Testamento: sono un po’ come un’appendice che viene trascurata spesso con una certa disinvoltura. A me piace andare a scandagliare le zone che rimangono in ombra e quindi propongo a voi questo programma. Si chiamano “cattoliche” queste lettere nel senso che sono scritti rivolti al popolo cristiano, sempre e dappertutto, nella sua “cattolicità”; sette scritti, alcuni dei quali molto brevi. Questa valenza simbolica del numero sette è ricorrente nel N.T., come già nell’Antico: sette sono le chiese citate nell’Apocalisse, ma sette sono anche le chiese alle quali sono indirizzate le Lettere di Paolo: Tessalonica, Filippi, Galazia, Corinto, Roma, Colossi, Efeso. Tutte le chiese, la Chiesa. Ognuna, tra le chiese, è la Chiesa nella sua complessità, interezza, cattolicità. Questi sette scritti precisano la “cattolicità” della Chiesa in virtù della provenienza da cui riceviamo il messaggio che le sette lettere ci trasmettono. Abbiamo a che fare con la Chiesa madre di tutte le chiese che fu, è e rimane la Chiesa di Gerusalemme, la prima Chiesa con i primi discepoli; coloro che per primi hanno accolto l’Evangelo e sono diventati il grembo fecondo da cui ha avuto inizio quella evangelizzazione che poi è andata crescendo nel tempo e nello spazio fino a un passaggio che viene segnalato con molta passione nel contesto degli scritti neo-testamentari ed è segnato dal coinvolgimento di interlocutori pagani, a partire da quella prima Chiesa composta esclusivamente da giudei. I primi discepoli del Signore sono stati tutti giudei; la prima Chiesa, le prime chiese tutte giudeo-cristiane, come si dice comunemente. Ed è incastonata nel grembo del popolo di Israele dove vive e cresce questa prima comunità di discepoli, la sede originaria, il nucleo primigenio, la sorgente dell’evangelizzazione. Dalla Chiesa di Gerusalemme alle chiese, a quelle chiese che, in base al passaggio che ho richiamato in maniera molto sommaria, ma che è segnalato con molta consapevolezza circa il valore straordinario che esso comporta nel N. T.; l’apertura, dalla prima risposta da parte di giudei che accolgono l’Evangelo, ai pagani che lo ricevono e man mano danno forma a una moltitudine di chiese che solitamente vengono chiamate etnico-cristiane: le chiese formate ormai prevalentemente se non esclusivamente da pagani, come capita a noi ancora oggi. Siamo tutti inseriti in quella storia dell’evangelizzazione che coinvolge, a partire da quella svolta, pagani che appartengono alla moltitudine dei popoli della terra con le molteplicità delle culture, delle lingue e così via. Dalla Chiesa madre di Gerusalemme alle chiese che si stanno man mano configurando nel corso di una storia che è appena all’inizio, ma che poi si svilupperà nel corso delle generazioni fino a noi oggi. In questo senso si chiamano “Lettere cattoliche”: Lettere che sono testimonianza di quella prima evangelizzazione che, a partire dalla Chiesa madre, continua ad essere offerta con inesauribile fecondità alle chiese, molteplici, cattoliche nel tempo e nello spazio che stanno crescendo lungo il corso della storia futura che per noi è la storia attuale.
E’ molto importante tener conto del fatto che la “cattolicità” di queste chiese viene espressa non per qualche contenuto dottrinario in esse contenuto, ma per la provenienza tramite la quale queste Lettere sono indirizzate a noi che apparteniamo al corso della evangelizzazione che si è sviluppata nel tempo in modo tale da coinvolgere i pagani che hanno accolto e intrapreso il cammino della “vita nuova”. Queste Lettere sono identificate in base al nome dell’autore; le lettere di Paolo, che costituiscono una grande componente della letteratura neo-testamentaria, sono intitolate in base ai destinatari (chiese o personaggi). Le “Lettere cattoliche” sono invece intitolate in base all’autore: Lettera di Giacomo, di Pietro, di Giovanni e un’ultima letterina di Giuda. Sono le figure dei tre personaggi che Paolo nella lettera ai Galati (cap.2, v.9) riconosce come le colonne della Chiesa madre di Gerusalemme: è proprio Paolo che parla di Giacomo, Cefa e Giovanni. A questi tre personaggi (le colonne della Chiesa di Gerusalemme) si aggiunge Giuda, figura collaterale, ma comunque con un suo rilievo, che fa come da “scorta” a Giacomo: si parla in un altro testo del N.T. di Giuda di Giacomo.
Abbiamo a che fare con scritti che sono l’espressione preziosissima della prima testimonianza con cui la Chiesa madre si rivolge alle chiese, alla moltitudine delle chiese, alla cattolicità della Chiesa che sta crescendo nel tempo e nello spazio; chiese che sono ormai costituite eminentemente da pagani che hanno accolto l’Evangelo; si sono convertiti ed hanno intrapreso il cammino, ma sempre all’interno di situazioni imbarazzanti, di incertezza, spesso compromettenti e con la prospettiva di ripiegamenti che potrebbero essere assai inquietanti. D’altronde è l’esperienza nostra: sappiamo bene come l’evangelizzazione che ci ha raggiunti e che ci ha segnati è sempre accompagnata dai segni di una stanchezza avvilente e paralizzante se non addirittura sterilizzante.
Dalla Chiesa madre di Gerusalemme continua a provenire questo messaggio, questo impulso, questa spinta, questa testimonianza di fecondità che proviene dal grembo primigenio; è un dato importantissimo. Aggiungo che i sette scritti che compongono la raccolta delle “Lettere cattoliche” non sempre sono scritti epistolari: lo sono la prima Lettera di Pietro e la seconda e la terza Lettera di Giovanni, ma gli altri quattro scritti non sono propriamente delle lettere; sono configurate come scritti epistolari, ma hanno altre caratteristiche compresa la Lettera di Giacomo della quale dobbiamo avviare la lettura stasera. Sono “canovacci” di catechesi, di omelie, appunti che sono raccolti e sistemati con un certo ordine e messi a disposizione di coloro che sapranno poi approfittare di quei suggerimenti per elaborare, approfondire, ricercare, sviluppare; testi che appaiono spesso un po’ faticosi, fastidiosi. Dico questo non per scoraggiarvi, ma per onestà nel momento in cui si tratta di intraprendere una ricerca che certamente non è comoda perché questi scritti non si presentano a noi rifiniti, decorati con tutte quelle caratteristiche che rendono un messaggio gradevole, persuasivo o coinvolgente. Spesso, come constateremo avviando la lettura della Lettera di Giacomo, troveremo una sequenza di detti sapienziali secondo uno stile che è già presente in alcuni testi dell’A.T.; pensate ad alcuni dei grandi Libri sapienziali: il Libro dei Proverbi, il Libro del Siracide. E’ una procedura didattica scontata nella tradizione ebraica: l’insegnamento assume questa andatura sentenziosa per cui si succedono le proposizioni in modo tale da dare risalto a un certo concatenamento. Dobbiamo fare attenzione per accorgerci che sono gli anelli di una catena che si viene man mano costruendo con dei richiami: un termine che si connette con un termine presente nella sentenza precedente e così si costruisce un percorso che non ha le caratteristiche dei nostri ragionamenti deduttivi, come siamo abituati a ritrovarli in un piccolo trattato di teologia o anche semplicemente in uno scritto di catechesi dove le cose devono funzionare secondo gli schemi della logica della nostra cultura occidentale moderna. E, quindi, bisogna che un po’ ci impratichiamo nel prestare ascolto a questa metodologia didattica che conserva una sua originalità purissima, una sua coerenza cristallina di cui dovremo tener conto. In più, c’è da notare che questi testi sono scritti in greco e in un ottimo greco; certamente abbiamo a che fare con scritti che provengono dall’ambiente giudeo-cristiano, ma che volutamente, programmaticamente sono indirizzati a pagani che parlano greco, passando attraverso quello che è stato già il contatto con la cultura ellenistica che, come già sappiamo per altra via (basta leggere gli Atti degli Apostoli), ha coinvolto un ambiente pagano che man mano ha mostrato interesse, ha percepito un richiamo, ha avvertito una nota di simpatia nei confronti del mondo giudaico, che rimane in sé e per sé misterioso anche se così affascinante per dei pagani. E qui abbiamo a che fare con una comunicazione tra un ambiente giudeo-cristiano e un modo pagano, etnico-cristiano, che si sviluppa in quella dimensione che è ormai radicalmente e strutturalmente nuova, dal momento che c’è di mezzo l’Evangelo: è l’Evangelo che transita, che procede nel suo cammino, che, a partire da quel grembo, ormai porta frutti inserendosi in altri contesti che sono quelli in cui i pagani di questo mondo vivono, operano, crescono e, a loro volta, poi accolgono e rendono testimonianza all’Evangelo.
Ora abbiamo sotto gli occhi la Lettera di Giacomo. Tenete presente che si intende Giacomo il Minore, non Giacomo il Maggiore come si dice normalmente: quel Giacomo, fratello di Giovanni, detti i “figli del tuono” tra i primi discepoli del Signore; Pietro, che si chiama Simone, e suo fratello Andrea, Giacomo e suo fratello Giovanni, figli di Zebedeo; quello è Giacomo il Maggiore che è il primo martire tra i dodici apostoli, a Gerusalemme nell’anno 44 circa. Il primo martire è Giacomo (quello di Santiago di Campostela tanto per intenderci) protomartire tra i dodici. Quest’altro Giacomo è il “Minore” nel senso che di lui probabilmente si parla laddove, nell’elenco dei dodici, compare un personaggio che si chiama Giacomo di Alfeo. Altrove si parla di lui come del fratello del Signore, il parente di Gesù, proveniente da Nazaret, da quell’ambiente dove ci sono parenti di vario grado; anche negli Atti degli Apostoli si parla di lui come “fratello del Signore”. Questo Giacomo probabilmente è quel personaggio che ha svolto, nel corso di alcuni decenni, un ruolo di presidenza nella Chiesa di Gerusalemme: come tale viene citato da Paolo, nella Lettera ai Corinzi e nella Lettera ai Galati, fino all’anno 62 che corrisponde alla data del suo martirio. La notizia è riportata da Eusebio nella sua Storia ecclesiastica. Non c’è dubbio, è una figura presente anche nella tradizione giudaica, un maestro riconosciuto: Giacomo il Giusto, così denominato nella tradizione rabbinica. Ed è il fratello del Signore, il discepolo di Gesù, uno dei dodici; colui che svolge un ruolo di presidenza, di riferimento, di responsabilità pastorale nella prima Chiesa di Gerusalemme: un maestro indiscusso a cui anche Paolo fa riferimento al momento opportuno, nel corso dei suoi viaggi. Non c’è dubbio: il fatto che questa Lettera sia intitolata facendo appello al nome di Giacomo ci rimanda a quella prima Chiesa che è radicata nella storia di Israele, nella tradizione di preghiera che è una qualità prestigiosa del popolo con cui ha fatto alleanza e, nel corso dei secoli, ha continuato ad accogliere l’attesa delle promesse; la Chiesa madre di tutte le chiese che è stata grembo di ogni evangelizzazione.
Questa lettera, come vi dicevo, parla un ottimo greco; se riusciremo a fare passi avanti ci accorgeremo che questa valutazione vale anche per la Lettera di Giuda e per la seconda Lettera di Pietro. Abbiamo a che fare con giudei che hanno accolto l’Evangelo, discepoli del Signore che sono depositari, nella piena maturità della loro esperienza di incontro con Gesù, del compimento delle promesse contenuto nell’Evangelo stesso: sono giudei che parlano un ottimo greco che è la lingua dei pagani. Il fatto è che noi non abbiamo più a che fare esattamente con Giacomo il Minore, fratello del Signore, martire nell’anno 62, ma abbiamo a che fare con un maestro che si inserisce nella tradizione giudeo-cristiana che fa appello alla figura di Giacomo come un patrono la cui autorità è indiscussa; e abbiamo a che fare con un testo che appartiene all’ultimo periodo del primo secolo d. C., dopo l’anno 80, quando ormai è evidente che l’evangelizzazione sta crescendo – in maniera molto vistosa ed entusiasmante – al di là di quello spazio che è segnato dall’identità propria di Israele, nel mondo dei pagani, nel contatto con i popoli, nella molteplicità delle culture che ormai sono attraversate da quest’onda che porta con sé la novità dell’evento che ha segnato la svolta decisiva nella storia umana: l’Evangelo. Verso la fine del primo secolo, intorno all’anno 80 d.C. C’è un maestro che è dotato di un’ottima cultura ellenistica, depositario di una tradizione che gli consente di raccogliere tutto l’insegnamento e soprattutto la metodologia didattica della tradizione ebraica e rabbinica; e si rivolge a cristiani di provenienza pagana, che comunque sono stati già catechizzati ed evangelizzati, passando attraverso il contatto giudeo-cristiano, che ormai hanno accolto in pieno il dono dell’Evangelo e se ne sono, per così dire, appropriati.