Incontri di discernimento e solidarietà
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febbraio 2011

TRACCIA

  1. Una lunga riflessione e una scelta di vita
  2. La mia profezia
  3. Un primo lume
  4. E' l'umanità che vive in me
  5. La laicità
  6. La fede non spiega ma illumina
  7. Contemplazione, Ricercatori
  8. La Messa sul mondo
  9. La rivoluzione del silenzio
  10. La Chiesa che parla
Questi dieci punti andrebbero, da parte mia, e con l'aiuto di qualcun altro, chiariti e approfonditi. Non mancano le persone competenti e soprattutto animate dallo Spirito Santo, Io potrei raccontare tanti fatti esplicativi che non so quanto sarebbero veramente utili. Penso tuttavia che la cosa "di cui c'è maggiore bisogno" sia di cogliere in profondità il collegamento fra questi punti, fra questi lumi in cui mi sembra di cogliere la mia profezia, quello che cioè in tanti modi diversi il Signore mi ha fatto comprendere.

  1. Una lunga riflessione e una scelta di vita.

60 anni fa i miei studi di filosofia e di teologia si svolgevano prevalentemente passeggiando lungo i grandi corridoi del Gesù. Cercavo soprattutto di che cosa c'era più bisogno che io potessi fare. Non certo il direttore d'orchestra essendo stonato.

La destinazione datami dai superiori era vaga e tutta da inventare: l'apostolato sociale. Le energie per impegnarmi in vari campi mi sembrava che non mi mancassero. Così sentii che dovevo cercare ciò di cui c'era più bisogno, mettendo in primo piano i bisogni degli altri e della società e poi la realizzazione di me stesso. Nei giovani, e non di rado in chi li consiglia, vedevo in primo piano lo sviluppo e l'affermazione delle loro capacità, lasciando in un secondo tempo l'analisi della situazione con i suoi gravissimi bisogni.

E' stata, pur con tante incoerenze, una scelta di vita personale e un suggerimento a molti giovani prima e durante l'università.

Ora mi sembra di aver capito alcune cose importanti che sento di dover tenere insieme; anche perché son cose che tanti altri hanno compreso molto più sul serio di me, ma raramente le trovo riunite insieme. Mi sembra che tanti hanno una conoscenza incomparabilmente superiore in alcuni campi, ma non di rado prescindono da altri aspetti della realtà.

Ho trovato come tenere insieme quel poco o quel molto che ho capito, domandandomi quale è la mia profezia e di conseguenza la mia proposta.

  1. La mia profezia! Quanto di più presuntuoso io possa pensare: sono un profeta, pur consapevole della mia miseria. Eppure riconoscere la propria profezia può essere la vera umiltà.

La profezia non è quel che pensiamo e comunichiamo ad altri ma quello che Dio ci comunica e che nei modi più diversi trasmettiamo ad altri.

Dio parla ad ognuno di noi, ognuno è in qualche modo parola di Dio. In questo tutti siamo profeti, parlati da Dio. Di questo poi possiamo avere o meno una coscienza riflessa. E' parola di Dio il povero che mi chiede aiuto e sono parola di Dio io stesso con la risposta positiva o negativa.

Siamo lontani dal riconoscere in tutti e in tutto una parola che Dio rivolge a ognuno di noi.

Quando, preoccupati della nostra vita personale, cerchiamo le vie di un'ascetica ripiegandoci sulle nostre capacità personali, ci allontaniamo dalle vie del Signore. Così come quando cerchiamo l'affermazione di un gruppo, di una parte, della Chiesa stessa intesa come parte eletta dimenticando l'universalità della salvezza voluta dal Signore. La contraddizione con il disegno di Dio si fa più potente in quel tipo di politica a cui vengono stimolati i cristiani, intesa come ricerca e gestione del potere. Allora, invece di riconoscere in tutti una parola di Dio si vive una caccia agli errori per poter sopraffare l'avversario.

A un giovane che chiedeva come è possibile seguire Gesù povero, il Vescovo rispose: hai visto che fine ha fatto?

Citazioni Concilio Vaticano II

  1. Un primo lume

Durante il Concilio, nella cripta della Cappella dell'Università La Sapienza, di cui ero cappellano, in una tavola rotonda si ragionava di fede e politica. Allora mi sembrò di capire un poco di 1 Cor., 1-3. In Particolare quando Paolo dice:

"Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio. Ed è per lui che voi siete in Cristo Gesù, il quale per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto:

Chi si vanta si vanti nel Signore". (1 Cor. 1, 26-31).

Ecco, pensai, la politica di Dio!

Quasi nessuno, allora e in seguito, rilevò la valenza di quanto Paolo aveva rivelato su fede e politica. Il valore del potere era intoccabile.

Per 23 anni ho cercato di aiutare gli aclisti leggendo e rileggendo Luca:

"In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: «Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto. Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" (10, 21-22).

Un giorno conversavo con grandissimi amici. Quello che nella conoscenza della Bibbia di gran lunga era più preparato di noi esponeva le esigenze del Regno di Dio. Un altro amico di grandissima cultura storica pose il quesito: e tutti gli altri che non arrivano alla conoscenza della parola di Dio, che fine faranno? Il biblista rispose: ci penserà Dio. Dentro di me sentii fortemente che anche a loro ci dovevo pensare io.

Da allora è andato sempre più crescendo in me il bisogno di pensare all'umanità, tanto che sentendo Paolo dire "non son più io che vivo ma è Cristo che vive in me" mi è sembrato di dover aggiungere

  1. "è l'umanità che vive in me".

Questo è un continuo sconvolgimento della mia vita interiore. Quel che mi inquieta, quel che soffro, quel che spero... sono tutte le creature umane. Una per una, con l'abisso dell'interiorità di ognuna, ognuna nel corpo, nella società, nella storia.

La Costituzione conciliare Gaudium et Spes, nucleo centrale di tutto il Concilio, comincia con una luminosissima affermazione:

"Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore" (G. S. n. 1)

L'affermazione è meravigliosa ma non è facile vedere come si possa mettere in pratica. O si cerca uno sviluppo teorico che ci allontana dal concreto di quel che gli uomini realmente vivono, oppure si cercano delle opere che diano concretezza: le opere, chiamate impropriamente apostolato sociale. Le opere hanno un loro valore ma comportano grandi rischi. L'efficacia delle opere non corrisponde spesso al bene di coloro che si vogliono aiutare. Le opere, specialmente quando crescono hanno una logica ineludibile.

Il cardinale Ratzinger scrive nel suo libro "Il sale della terra" che l'amore non può essere universale in quanto ha bisogno di rivolgersi al concreto di una o più persone. Ma allora come proporsi un amore universale rimanendo con la necessaria concretezza. E' possibile un universale concreto? E' possibile nell'esperienza del Mistero, quando, al di là della ragione e del buon senso, si percepisce la trascendenza che unifica le persone, gli eventi, le cose.

L'intima unione della Chiesa con l'intera famiglia umana si realizza solo nell'esperienza mistica, dove il Mistero avvolge ogni cosa.

  1. La laicità

Nella Compagnia di Gesù in cui mi sono ritrovato singolarmente solo per quanto riguarda l'istituzione e le sue strutture, ho vissuto e vivo in ottima compagnia. In particolare per quasi venti anni con grande regolarità ci siamo incontrati P. Mario Castelli, Saverio Corradino, Pino Stancari ed io per cercare di rifondare sulla parola di Dio il concetto di laicità.

A una gran facilità di convenire fra di noi è corrisposta una gran difficoltà a comunicare ad altri quel che per noi si faceva sempre più chiaro e luminoso. Così ci siamo ritrovati in una quasi definizione di laicità proposta da Mario Castelli: la laicità è profezia del popolo di Dio sul mondo, come responsabilità dei credenti in Cristo, attesa operante di resurrezione.

Questo modo di intendere e di vivere la laicità si fonda su di un ascolto della Parola maturo e popolare. Tale ascolto "consiste nell'adorazione silenziosa di tutta la parola che Dio ci rivolge in tutti i libri della Sacra Scrittura, nella Tradizione, nell'esperienza del popolo di Dio, nel grido dei poveri, in tutta la storia e nella natura, nel magistero di coloro che Dio ha posto come pastori. L'ascolto maturo richiede continuità, che non è un fatto quantitativo ma qualitativo, in quanto dipende dalla conversione interiore al mistero di Dio che illumina tutto il tracciato della nostra esistenza umana"1.

L'apertura al mondo, l'attenzione nei confronti di tutte le persone e di tutte le realtà (di questo mondo), la presa in carico di situazioni di debolezza e di povertà, l'assunzione consapevole di piccole e grandi responsabilità, sono elementi tutti interni alla dinamica dell'ascolto della Parola, e non tratti di un percorso parallelo ad essa. L'ascolto maturo della Parola non separa dal mondo; al contrario, radica ognuno nel cuore delle sue tensioni, delle sue contraddizioni, esigendo l'assunzione di responsabilità concrete, soprattutto nei confronti dei più piccoli e dei più poveri. Vivere la laicità, in questa prospettiva, vuol dire ricercare e contemplare il volto di Dio, mediante un coinvolgimento pieno in tutte le pieghe, anche le più oscure, della storia umana: "Non si dà vita cristiana se non nel mondo e nella storia, come responsabilità verso il prossimo, la società, l'umanità intera e il cosmo"2.

E quanto più si prende sul serio questa responsabilità per il mondo, tanto più ci si rende conto della "notte" in cui tutti ci troviamo immersi, del degrado che attraversa le strutture della vita sociale, le comunità, le persone, noi stessi. Il cammino della laicità (come ascolto della Parola ed assunzione di precise responsabilità) non ci pone al riparo dall'esperienza dolorosa dell'esilio, della frammentazione (delle coscienze, della comunità, della società, della cultura, ...); né ci risparmia la consapevolezza di una frattura crescente tra Chiesa e mondo, fede e politica, azione e contemplazione, povertà ed efficienza, razionalità ed esperienza del mistero3. Tale cammino è possibile, pertanto, solo se è sorretto dalla speranza che anche nell'esilio, nella frammentazione, nelle fratture, nei negativi delle vicende personali e sociali, il Signore è presente e operante secondo un disegno di riconciliazione, della quale la Chiesa/Corpo di Cristo è, nella storia, il segno e lo strumento visibile4.

è evidente lo scarto esistente tra la laicità come profezia e il modo in cui essa viene generalmente intesa nella Chiesa. La maggior parte dei cristiani, infatti, utilizza questo termine per significare l'autonomia della politica, dell'economia e di tanti altri campi del pensiero a dell'azione umana. Si dice, ad esempio che la politica (o l'economia) ha le sue leggi che vanno riconosciute, rispettate a osservate. Tale concezione è stata sicuramente utile per superare una visione sacrale a clericale5 dell'azione politica, nonché per scongiurare la tentazione di trascurare la professionalità, in nome dei buoni sentimenti morali e religiosi. C'è il pericolo, però, di fare dell'autonomia un assoluto, finendo con il porre anche la dimensione sociale e politica dell'esistenza al riparo della parola di Dio e della fede6. La parola di Dio rivela la nostra radicale insufficienza a la pienezza di vita che viene da Dio, al quale tutto appartiene. Nella fede, possiamo cogliere la presenza di Dio in ogni realtà.

Molti altri cristiani usano la parola laicità per indicare una parte del popolo di Dio (e cioè tutti i credenti che non appartengono alla gerarchia). Il compito di vivere, proporre e testimoniare la laicità come profezia riguarda tutta la Chiesa, non solo una sua porzione7.

Alla luce di quanto abbiamo finora riportato, è evidente che l'esercizio della laicità coincide con il cammino della vita cristiana. Tale itinerario presenta molti ostacoli: distrazioni che sviano i credenti dall'ascolto della Parola di Dio; la proposta di vie alternative a quella che passa per la croce; l'esistenza di un blocco culturale rappresentato dal significato che si è dato ad alcuni termini e, in particolare, al termine laicità. Ma l'ostacolo più grosso all'impegno di laicità è rappresentato dalla seduzione del potere.

Per superare questi ostacoli "bisognerebbe mettersi in discussione, insieme. Ma questo si può fare, di nuovo, per cercare la sicurezza in un'unità che dà forza, oppure per aprirsi insieme alla Parola. Questa è la via. [...] Più in genere i piccoli, i poveri, i sofferenti sono la via della Chiesa in relazione al Mistero Pasquale. Il Papa ha detto, con grandissima risonanza, che l'uomo è la via della Chiesa. Questo è vero a partire dall'incarnazione. Ma è più vero, a partire dal Mistero Pasquale, che il sofferente risorto è la via della Chiesa"8.

La laicità come profezia si esprime, dunque, in una serie di atti "politici" (nel senso che hanno a che fare con la vita della città), e cioè nell'ascolto della Parola e dei poveri; nella assunzione di concrete responsabilità, soprattutto nei riguardi dei più deboli e vulnerabili; nella costruzione di relazioni comunitarie e fraterne.

Solo la Parola, ascoltata umilmente, consente di prendere coscienza delle tentazioni contro la laicità. Essa aiuta, ad esempio, a rendersi conto del blocco culturale espresso dalla politica intesa e vissuta come ricerca e gestione del potere.

Solo alla luce della Parola, si possono individuare i caratteri della laicità come presenza responsabile nel mondo, come assunzione di una responsabilità "politica": l'umiltà, la minorità, la gratuità e   soprattutto   la compassione9.

La compassione così intesa dove ci porta, cosa esige da ognuno di noi? Si tratta di aiutarsi a cogliere i riflessi del volto di Dio sul volto di ogni uomo e, in particolare, di radicarsi nelle periferie della città, imparando a riconoscere nei poveri, negli esclusi, negli emarginati, nei deragliati, nei "rifiuti" della fraternità, le fondamenta nascoste della polis.

Si tratta di scoprire nella "cattedra dei piccoli e dei poveri" la principale risorsa per la politica.

La via della compassione (come carattere essenziale della laicità profetica) presuppone la fatica dell'ascolto, del discernimento e della conversione al Signore; e a questa fatica, quella via continuamente rimanda, come in un circolo virtuoso.

Gesù Cristo ha realizzato il suo servizio assumendo la condizione di servo e facendosi obbediente fino alla morte di croce (cfr. Fil 2, 8). Proprio in questo consiste la novità cristiana per la società e per la politica: "servire nella povertà, nella debolezza, nella minorità, nel cammino della croce. Questo è il rapporto che la Chiesa è chiamata a vivere con il mondo: un sale che si scioglie, un lievito che continuamente scompare, una identità che si realizza nel dono totale di sé, una vita che si salva quando si perde, una visibilità che si realizza scomparendo, un grano che se non muore non porta frutto [...]. I credenti sono chiamati a scoprire il valore politico della compassione e ad assecondarne il movimento [...]. Già Caino aveva inventato la città per vivere insieme senza più incontrare il fratello, senza dover compatire. Il servizio cristiano della politica è quello di riconoscere, assecondare, promuovere e organizzare la compassione. L'azione politica che nasce dalla compassione si applica a cambiare lo spirito e le strutture e si libera progressivamente dalla seduzione del potere, del successo e della carriera, per servire come il Signore"10.

La ricerca sulla laicità, a cui abbiamo fatto finora riferimento, nasce da una lettura contemplativa delle cose di questo mondo. è una riflessione fortemente ancorata al dato biblico e comunicata con un linguaggio nuovo, impegnativo, che mette in discussione gli schemi rigidi   veri e propri "blocchi culturali"   entro i quali abitualmente si costruiscono i discorsi relativi all'impegno sociale a politico dei credenti. Tale riflessione non si pone come alternativa rispetto ad altre analisi; da essa traspare un modo di guardare la realtà che punta in direzione del "piano sottostante" agli avvenimenti, alla costante ricerca del disegno di Dio sugli uomini e sulla storia.

  1. La fede non spiega ma illumina tutto.

Tante cose a cui si pensava non molto tempo fa che fosse necessario aderire per fede, sono diventate oggetto di spiegazioni razionali. Da questo la fondata speranza che tante altre cose si potranno spiegare con il progresso della scienza e della tecnica. Si tratta fondamentalmente, pensano tanti, di avere pazienza e fiducia che tanti aspetti misteriosi della realtà verranno nel tempo spiegati. Ma ci sono degli interrogativi di fondo, elementari, alla portata di tutti, dotti e persone semplici, che si presentano subito come appartenenti a una realtà che sfugge alla presa della nostra ricerca di spiegazioni. Questioni elementari eppure fondamentali sul senso ultimo della mia esistenza come di quella di tutti i mortali. Questi problemi di fondo si presentano subito alla nostra coscienza come irrisolvibili.

Ciò rattrista la nostra coscienza di credenti perché ci fa sperimentare i limiti delle nostre capacità, senza darci indicazioni di altre direzioni in cui cercare e, al tempo stesso, ci apre all'attesa di una novità non risolta.

Ed ecco un certo tipo di apologetica che cerca assonanze fra la fede e le scienze. Per lo più lascia il tempo che trova e indica sentieri inconcludenti.

Chiedere alla fede una risposta alle nostre domande significa condizionare la risposta di Dio alla nostra ragione.

Non c'è altra via che accettare umilmente la nostra incapacità ed è nell'umiltà che appare la luce della fede.

La spiegazione di questa luce non può andare oltre la sapienza umana e quindi non sarebbe più la fede. Quello che spesso manca alla nostra teologia e, come dice Dalmazio Mongillo, un approccio "credente" alla fede stessa, sia pure con alta teologia.

Lo splendore della fede potrebbe essere un ostacolo, facendoci dire: sarebbe troppo bello se fosse vero.

Nella notte oscura dei sensi, anche quando la luce della fede illumina in profondità, può sembrare che la luce della fede non serva a nulla.

Nello splendore del giorno e nelle tenebre della notte non troviamo la luce della fede perché cerchiamo noi stessi.

"In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: «Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto. Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Lc. 10, 21-22).

"Anche noi dunque, circondati da un così gran nugolo di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l'ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio" (Ebr. 12, 1-2).

Tenendo presente le difficoltà a credere in Dio, nostra e di tanti che non si dicono credenti e al tempo stesso sono alla ricerca al di là di quel che offre loro la sapienza umana, ci è sembrato importante chiarire, quanto è umanamente possibile, che la fede non spiega ma illumina tutto, dall'intimo del nostro sentire all'evoluzione dell'universo.

Se la fede spiegasse i problemi irrisolti della nostra mente, la sua luce corrisponderebbe ai nostri quesiti irrisolti, non andrebbe oltre le domande che noi poniamo. Sarebbe come un liquido prezioso calato negli stampi da noi predisposti.

"... parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria. 8Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla" (1 Cor. 2, 7-8)

  1. La contemplazione. I ricercatori

Per accogliere in noi la fede occorre un profondissimo silenzio: come una sospensione del flusso continuo di pensieri e sentimenti che attraversano la nostra mente e il nostro cuore. E' una notte profonda, esperienza estrema di povertà, in pura perdita e senza nulla di nostro, davanti a Lui.

Il silenzio consente di ritrovare la contemplazione. La contemplazione è quel rapporto con la realtà che oggi è tremendamente insidiata dalla realtà virtuale in cui, in larga misura, "viviamo", ci muoviamo e siamo, nell'apostasia più subdola e radicale.

Molti anni fa, avendo scritto ad Aldo Moro che più ero attento alla contemplazione più mi appariva necessaria la politica, mi rispose che più era preso dalla politica più gli sembrava necessaria la contemplazione.

Ho sentito che su questo argomento dice cose preziose Pietro Ingrao.

I ricercatori

La fede è ricerca

Chi cerca ha la fede.

La fede non è possesso tranquillo di verità che consenta di gestire la propria e altrui salvezza.

La fede più che possedere è un essere posseduti. E' quanto vi è di più passivo che attualizza le nostre capacità superiori.

Si parla in teologia di "capacità obbedienziale".

La fede è essere incontrati dal Mistero Infinito, nel Mistero Pasquale.

Le nostre classificazioni in credenti o non credenti andrebbero sospese in vista di un discernimento più serio alla luce della Parola.

Il cristiano associato al Mistero Pasquale e assimilato alla morte di Cristo, andrà incontro alla risurrezione confortato dalla speranza.

Ciò non vale solamente per i cristiani, ma per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col Mistero Pasquale (Gaudium et Spes, n. 22).

  1. La Messa sul mondo

La Messa sul mondo è il titolo di un brevissimo scritto del padre Pierre Teilhard de Chardin, che aiuta a mettere a fuoco la realtà più profonda della Messa.

La Messa è "fons et culmen", come dice il Concilio Vaticano II. Dalla sorgente al mare aperto, che qui può simboleggiare la pienezza della vita, la comunione di tutta l'umanità passata, presente e futura, con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Questo è l'itinerario per cui siamo creati.

La vera conclusione è il compimento, ciò che è già e non ancora.

Proponiamo di articolare dei passi che ci aiutino a celebrare la Messa sul mondo, provando a collocarci in una realtà sociale sempre più sfilacciata a causa di una globalizzazione triturante; in una chiesa invasa dallo spirito del mondo; in una liturgia esangue, senza popolo, in una Messa ritualizzata.

In particolare, ci proponiamo di intervenire nella Messa domenicale, quando si incontrano i cristiani definiti "praticanti": si tratta del momento di massima realizzazione della Chiesa, che appare anche come il momento della massima contraddizione.

Lo scopo è quello di proporre qualcosa di valido che accosti l'umanità all'Evangelo.

La Messa è memoriale della morte e resurrezione di Gesù Cristo per la salvezza del mondo. La nostra partecipazione di conseguenza deve cercare di essere un'apertura a tutto quello che succede nel mondo, per implorare e per ringraziare, con una eucarestia veramente universale e cosmica, con lo spirito di San Francesco d'Assisi.

Occorre allargare le intenzioni per cui chiediamo al celebrante di dire la Messa; allargare le intenzioni di preghiera di tutto il popolo di Dio.

Ecco una proposta semplice e concreta. Comunichiamo quel che succede nel mondo, cose gioiose e tristi, ricordando che siamo sempre amati dal Signore.

Avviamo una circolazione di quello che lo Spirito ci suggerisce per celebrare la Messa sul mondo. Può essere un piccolo gesto di amicizia spirituale che entra nella corrente dello Spirito che "vivifica e santifica l'universo".

L'urgenza di vivere la Messa sul mondo è data anche dalla cultura in cui viviamo e da quello che ci trasmettono i mezzi di comunicazione di massa, in contrasto con lo spirito del Vangelo.

La Messa sul mondo, specialmente dei praticanti, deve diventare anche un risveglio della responsabilità verso il prossimo e verso la società.

è il caso di ripensare i propositi di scuola di formazione per una migliore presenza dei cattolici in politica; cerchiamo un discernimento, alla luce della Parola, di quel che abbiamo fatto e che forse ci proponiamo di nuovo di fare.

Alla luce della Parola, quali sono i passi da compiere verso la Messa sul mondo?

Innanzitutto, aiutiamoci a credere nello Spirito che ha ispirato la nostra ricerca e la porterà

avanti, dove non osiamo sperare: "Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede" (Ebr. 12, 1-2); fiduciosi nel disegno di Dio "poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra".

Occorre poi impegnarsi a fare passi concreti. Ad esempio, consideriamo la Messa domenicale in cui si incontrano i cosiddetti cristiani praticanti cercando di aiutare a che sia sempre più una "Messa sul mondo".

Cerchiamo di liberarci da ogni spirito polemico e da ogni giudizio superficiale e sommario nei confronti di quello che lo Spirito opera nel cuore di ognuno, pur considerando attentamente l'individualismo spirituale e la ristrettezza di orizzonti che appaiono in misura spesso assai grande. Non dobbiamo valutare ciò che appartiene al Mistero infinito di Dio, ma al tempo stesso dobbiamo cercare tutto ciò che ad esso si oppone e ciò che, a nostro sentire, può assecondarlo.

Si tratta, inoltre, di cercare una adorazione silenziosa del Mistero Infinito di Dio che si rivela nel Mistero Pasquale. Fra la parola del celebrante, quella dei fedeli, i canti e le musiche accade spesso che durante la celebrazione della Messa non ci sia più un istante di silenzio. Quel che conta è certamente il silenzio interiore adorante, ma questo sembra difficilmente realizzabile quando non c'è un momento di silenzio esteriore.

Ai fini di vivere la Messa, "Fons et culmen", c'è poi l'ascolto adorante della Parola che dovrebbe vivificare tutti i giorni e tutte le ore della nostra vita, che nella quotidianità può diventare la più autentica preparazione alla Messa domenicale.

Senza vergognarci del Vangelo (cfr. Rm. 1,14) con umiltà e parresia cerchiamo di aiutare tutti i fratelli che vanno a Messa, in particolare i parroci e i parrocchiani, a convertirsi alla Messa e a convertire la Messa sul mondo.

Una proposta a tutti, parroci e parrocchiani, praticanti o meno, credenti o cercatori.

Si propone un tempo di riflessione sulla Messa sul mondo. Un passo della Scrittura o della liturgia che ci aiuti a stare in silenzio davanti al Signore e a sperare in lui.

Una comunione interiore con l'umanità, con una parte di essa in travaglio, per esempio un miliardo di cinesi a cui raramente si pensa, mentre cresce l'interesse per trecento milioni che stanno diventando la prima potenza del mondo.

Comunione con l'umanità, con le sue gioie e speranze, per esempio quelle dei giovani innamorati.

Si propone di scrivere quel che si è pensato per una comunicazione semplice, totalmente gratuita.

Un punto di raccolta e diffusione di queste comunicazioni in amicizia spirituale.

Perché possa essere recepito l'invito alla "Messa sul mondo" nella Messa domenicale parrocchiale occorre che ci sia già una qualche comunità.

Si apre un problema grandissimo: la comunità parrocchiale.

In molti casi la Parrocchia sembra un CONGLOMERATO di iniziative molto varie tra le quali c'è la Messa domenicale del Parroco. Un conglomerato tenuto insieme dal Parroco e dai suoi più stretti collaboratori, anche laici.

Questo conglomerato sembra essere la situazione meno propizia alla Messa sul mondo. Penso si possa lo stesso fare le proposte ed offrire una mano a realizzarle. Ci vuole grande umiltà e rispetto fra tutte le iniziative conglomerate. E poi una gran perseveranza perché le resistenze possono essere assai diverse e molto forti. Esse si possono ricondurre tutte al clericalismo, che però ha mille vite.

Ci sono poi delle Parrocchie in cui la vita comunitaria è esistente e anche vivace. La tentazione è sempre quella di realizzare un successo, un potere di questo mondo. La tentazione di modernizzarsi può essere vinta proprio dalla messa sul mondo.

In quelle realtà dove non esiste nulla di comunitario ma solo una centrale, più o meno efficiente, di servizi religiosi è quanto mai opportuno proporre la Messa sul mondo che può essere l'inizio e il compimento della comunità autenticamente cristiana.

è importante precisare che suggerire e sollecitare la Messa sul mondo non equivale a proporre un modello di celebrazione. Ad esempio, esistono gruppi ecclesiali che propongono ad altri di vivere la preghiera come la vivono loro. Non dubito dell'intenzione e validità di questa forma missionaria, ma penso che si debba indicare qualcosa di diverso.

La Messa sul mondo è adorazione del Mistero Pasquale nel mondo in cui viviamo, a partire da ciò che siamo e a cui partecipiamo: per esempio, alla vita dei più poveri del territorio, così come alle gioie più grandi delle nascite e degli amori fra i giovani e i meno giovani.

Un'altra riflessione può essere fatta a partire dall'ottima prassi di riunirsi per preparare l'omelia o comunque la riflessione sulle letture della domenica. Occorre cercare che le letture e l'omelia non divengano il momento più importante di tutta la celebrazione, che deve essere sempre il Mistero Pasquale. C'è sempre il pericolo di concentrarsi su un aspetto etico e devozionale... politico.

La figura del conglomerato insieme alla gran tentazione dell'autoreferenzialità possono essere una chiave importante per un discernimento spirituale della nostra attuale ecclesialità.

Cerchiamo di mettere a fuoco che cosa vuole essere questo nostro "intervenire" per la Messa sul mondo.

Non abbiamo nulla da insegnare ma solo la speranza che si risvegli sempre di più la fede nel Signore risorto.

Se condividiamo questo desiderio di Messa sul mondo non ci proponiamo di costituire una nuova realtà ecclesiale, ma solo di vivere un momento di comunicazione, un gesto interiore di amicizia spirituale. Senza aspettare riscontri, senza fare previsioni, preoccupati solo di essere nel solco dello Spirito.

Le parrocchie appaiono come un conglomerato di iniziative devozionali che non convergono verso quello che il Concilio definisce "fons et culmen vitae totius ecclesiae".

Particolarmente carente sembra poi la dimensione universale della morte e della risurrezione del Signore, per cui ogni celebrazione della Messa è il ricordo sacramentale del fatto che Gesù muore e risorge per la salvezza di tutti.

  1. La rivoluzione del silenzio

Fra gli innumerevoli significati che il termine rivoluzione ha in rapporto alla storia e nel nostro parlare quotidiano, ci riferiamo ora al senso più comune di cambiamento radicale, oltre il riformismo.

Più difficile è dire quel che intendiamo con la parola silenzio. Si tratta infatti di qualcosa di poco conosciuto e al tempo stesso da tanti sperimentato.

C'è un silenzio esteriore che è assenza di rumore, quello che riusciamo a gustare in campagna fuggendo dai rumori della città, quelli di sottofondo come quelli assordanti.

Sta crescendo una "Accademia del silenzio" che non ho capito seriamente di che cosa si tratti.

C'è poi, molto meno noto, un silenzio interiore che pure ha diversi livelli.

Ho suggerito a diverse persone di vivere una mezza giornata di conversazione senza mai interrompere l'altro che mi sta parlando. Il risultato quasi impossibile: l'esigenza di dire la nostra taglia in breve tempo il bisogno dell'altro di dire la sua. Alla radice c'è il continuo parlare per approvare o riprovare quello che stiamo ascoltando. Anche se non esterniamo il nostro pensiero e i nostri sentimenti, essi di fatto scorrono senza sosta dentro di noi.

Il silenzio più profondo è quando sospendiamo il fluire delle nostre riflessioni e dei nostri sentimenti per "stare in silenzio" come suggerisce il salmo: "Sta' in silenzio davanti al Signore e spera in lui". E' il silenzio della mistica che al di là delle devozioni e della teologia non cerca parole e sentimenti sul sacro ma solo lo accetta nella propria interiorità.

Questo silenzio totale sembra riservato a pochi, ma in realtà è vissuta da tanti piccoli e poveri, sappiano o meno essere tali, che si pongono interrogativi di fondo sul senso della vita e della morte, dell'amore e del soffrire.

Non hanno una risposta, ma non sfuggono alla realtà. Stanno.

Stare di fronte alla realtà senza sfuggire questo confronto con il mistero, liberi dai commenti degli altri, specialmente da quelli dei media, liberi dalle riflessioni e dai sentimenti che nascono dentro di noi.

Guardare, prendere atto di quel che è, di quel che accade, ma soprattutto conservando il silenzio che è ovviamente il presupposto dell'ascolto profondo per cui scopriamo che ogni cosa ci parla.

Questa capacità di stare di fronte alle cose e agli eventi è quello che la società occidentale tende a spegnere dentro di noi, con un processo di massificazione.

Resistere per conservare la propria personalità questo è il primo presupposto per cambiare le cose, altrimenti si è travolti dalla corrente, che dall'esterno penetra nel nostro interiore. Non farmi imporre i discorsi e i sentimenti che prendono il posto del rapporto autentico con la realtà.

In questo silenzio profondissimo dei mistici e della gente più semplice che impatta con la realtà, si trova la capacità di cambiare le cose e di accorgersi che è tutto da cambiare.

Proviamo a considerare il rapporto fra questo terzo, e al tempo stesso primo silenzio: è l'incontro con Gesù Cristo.

"Sta' in silenzio davanti al Signore e spera in lui".

Non dobbiamo valutare il rapporto con il Signore nostro e di chicchessia. Con facilità possiamo dire di amare il Signore sopra ogni cosa o riconoscerci aridi o peggio "né freddi né caldi" come la chiesa di Laodicea. Ma è solo lo Spirito Santo che sa ed opera il nostro rapporto con il Signore. Proviamo a indicare possibili atteggiamenti nella nostra vita cristiana.

Ci può essere un grande fervore con scarso senso del mistero trascendente. Ci può essere una penosa aridità che per la pena ci accosta a Lui. Altra domanda che anche oggi ci rivolge il Signore: "E voi chi dite che io sia?". Forse non c'è di meglio che rispondere: "Tu lo sai, Signore".

Il silenzio di fronte alla realtà.

Il silenzio di chi non ha più nulla da dire.

Il silenzio adorante il Mistero.

Il silenzio adorante il mistero di Gesù, il Mistero Pasquale.

C'è il silenzio di chi ha appreso la buona novella e l'accoglie nell'adorazione silente.

C'è il silenzio di tutto il popolo, specialmente nella sofferenza.

C'è il silenzio dei mistici, ricordando che tutti lo siamo in quanto sperimentiamo il mistero, ed il silenzio che possiamo chiamare popolare, in quanto è esperienza di tutti.

Non sono due silenzi diversi ma è il medesimo silenzio che è nel profondo dell'essere umano.

L'incontro fra questi due silenzi, che in realtà sono uno solo, è quello che costituisce la vera comunità ecclesiale, assemblea di ascolto della parola di Dio. E' l'anima profonda della Chiesa da cui si discosta la Chiesa parlante e parlata.

E' la Chiesa che nella sequela del suo Signore è la più vera rivoluzione, la novità radicale che non va confusa con la Chiesa moderata che ha abbandonato le orme. Ed è la rivoluzione del silenzio.

  1. La Chiesa che parla

Un amico dotto mi ringraziava di alcuni miei scritti a suo parere molto validi ma che difficilmente avrebbero avuto successo presso i cristiani normali.

Chi sono oggi i cristiani normali: il Vangelo propone oltre la sequela di Cristo, anche un cristianesimo ridotto a un ben vivere non senza opere buone e devozioni, che per lo più vanno scemando? In questo cristianesimo ancora oggi abbastanza diffuso scarseggia sempre più il silenzio e si moltiplicano le parole, ma non quelle della vera predicazione "per la parola di Cristo".

Non mancano le critiche, più o meno profonde, alle parole della gerarchia ecclesiale, specialmente quando interviene in questioni attinenti alla politica.

Io invito ad andare in profondità ed in estensione.

In estensione, rivolgiamoci al popolo di Dio, al numero sconfinato di quelli che sono stati, sono e saranno. In loro c'è spesso una capacità di silenzio profondo, accompagnato o meno da parole di pazienza e di fiducia non riducibili alle esortazioni correnti ad accettare tutto con rassegnazione cristiana. C'è un parlare da buoni cristiani che non ha nulla a che vedere con il discorso della montagna.

Il problema principale mi sembra sia quello di un cristianesimo devitalizzato, costituito da osservanza e da riti che tranquillizzano le coscienze e conservano un certo ordine nella Chiesa. Quel che manca è l'annuncio e la sequela di Gesù Cristo, l'adesione alla sua passione, morte e risurrezione. Alcuni parlano di cristianesimo adattato allo spirito del mondo che non è più lievito e sale. E questo falso cristianesimo parla e non di rado si trova in sintonia con lo spirito del mondo.

"La fede dipende dunque dalla predicazione e la predicazione si attua a sua volta per la parola di Cristo" (Rm. 10, 11), "Factus sum mutus et verbosus, mutus in necessariis, verbosus in otiosis" (S. Gregorio Magno).

1 P. Parisi, Convertirsi al Vangelo. La compassione di Dio a dei piccoli, supplemento al n. 36/1996 di Acli Oggi, pp. 29 32. L'impegno di tutto il popolo di Dio per un ascolto silenzioso a adorante si inserisce, a pieno titolo, nel grande flusso della Tradizione ecclesiale. II Concilio, infatti, così insegna: "Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con 1'assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2, 19 e 51), sia con l'esperienza data da una più profonda intelligenza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali, con la successione episcopale, hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. La Chiesa, cioè, nel corso dei secoli, tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio" (Dei Verbum n. 8).

2 P. Parisi, Per un catechismo della laicità, Editrice Cens, Milano, p. 26.

3 P. Parisi, ult, cit., p. 27.

4 Su questo punto è illuminante una riflessione di Saverio Corradino, il quale afferma: «Il corpo di Cristo offre al mondo una ospitalità illimitata; in quel corpo la distanza tra Dio e il mondo viene eliminata... Nei confronti del singolo e delle società umane, opera una chiamata che non avrà mai fine. La Chiesa è la traccia visibile di questa chiamata; è l'inizio ancora incompleto di una figura finale cui essa deve dare l'adempimento, senza poter vantare pretese su altri oltre che su se stessa. Questa certezza di fede esige compromissione, impone responsabilità misteriose a pesanti, esclude alla radice il disimpegno, la separazione [...]», in S. Corradino, «La Chiesa e il mondo», Dialoghi sulla laicità, Città Nuova Editrice, Roma, 1986, p. 58.

5 Sul clericalismo come tentazione contro la laicità profetica, vedi S. Corradino, «Il clericalismo», Dialoghi sulla laicità, op.cit., pp. 93 114.

6 P. Parisi, Per un catechismo della laicità, op. cit., pp. 15 16.

7 Nei Dialoghi sulla laicità, a tal proposito, si legge: "La Chiesa, unita a Cristo suo capo, ... vive per il mondo per salvare ogni valore che in esso si ritrova... Negli Atti degli Apostoli è particolarmente sottolineata quella laicità dello Spirito che si esprime nella universalità della salvezza. Lo Spirito infatti precede gli apostoli nella chiamata ai pagani (At 10, 1   11, 18), nella spinta all'universalità dell'annuncio (At 13, 1 3), nella scelta dei popoli da evangelizzare (At 16, 6 10), fino all'arrivo di Paolo a Roma, simbolo di mondialità (At 28, 30 31). Per cui la consecratio mundi, che si pensava esprimesse il compito proprio del laicato cristiano, diventa il fine stesso della Chiesa nella sua totalità: non come compito riguardante una creazione transitoria, ma come transito di ogni reale valore dallo stadio attuale della corruttibilità a quello futuro della incorruttibilità, a cui il Padre stesso si compiace di destinarlo (Rm 8, 19 23, cfr. 1 Cor 15, 44 58) [...]" (M. Castelli, in Aa.Vv., Dialoghi..., cit., pp. 231-232).

Su questo punto cfr. anche B. Forte, Laicato a laicità, Marietti, Genova 1986. Questo autore afferma che la laicità, intesa come dimensione propria di tutta la Chiesa rappresenta il naturale sviluppo dell'ecclesiologia di comunione del Concilio. Di conseguenza, «il rapporto con le realtà temporali... è proprio a tutti i battezzati, anche se in una varietà di toni e di forme, collegati più a carismi personali che a statiche contrapposizioni tra laicato, gerarchia a stato religioso. Ignorare che tutte le condizioni di vita anche all'interno della chiesa hanno una dimensione mondana, politico sociale, significa di fatto assumere un atteggiamento carico di risonanze mondane, politico sociali, come la storia dimostra: nessuno è neutrale di fronte ai rapporti storici in cui è posto, e la pretesa neutralità può facilmente divenire mascheramento, volontario o involontario, di ideologie o di interessi. Si deve allora pervenire   nello sviluppo delle premesse poste dal Vaticano II - ad una diversa assunzione della laicità in ecclesiologia, in forza della quale essa, senza essere rifiutata com'è nell'atteggiamento integrista, non sia neanche legata ad una sola componente della realtà ecclesiale: è tutta la comunità che deve confrontarsi col saeculum, lasciandosi segnare da esso nel suo essere a nel suo agire» (op. cit., p. 59).

8 P. Parisi, Mario Castelli sj, cit., p. 81. Dello stesso autore, su questo tema, vedi anche: La cattedra dei piccoli e dei poveri, AVE, Roma, 1995.

9 P. Parisi, La politica come carità, cit.; Convertirsi al Vangelo. Nuovi cammini di democrazia, cit.; In ascolto dei piccoli, Editrice CENS, Milano 1994, pp. 55 100; «Cammini di minorità», in Aa.Vv., Farsi piccoli a poveri. Cammini di minorità, Editrice CENS, Milano 1995, pp. 31 68; «La gratuità per una economia dei piccoli», in Aa.Vv., Per un'economia dei piccoli a dei poveri, Editrice CENS, Milano 1996, pp. 55 102; La compassione di Dio e dei piccoli, supplemento al n. 36/1996 di Acli Oggi; La gioia a la festa di Dio e dei piccoli, in Acli Oggi, 18/1997.

10 P. Parisi, La compassione..., cit., pp. 41-42.

Discernimento


La messa sul mondo 2010-2011


  • febbraio 2011
    Traccia - Una lunga riflessione ed una scelta di vita...