Incontri di discernimento e solidarietà

APPELLO AGLI EUROPEI

 


UN EVENTO


Non è un appello per le elezioni, per votare questa o quella lista né semplicemente per non trascurare il dovere di andare a votare, cosa di cui peraltro riconosciamo l’importanza.

E’ un appello, in occasione dell’allargamento dell’Europa, a cambiamenti radicali nella propria vita che possono avere un grande significato politico.


Cominciamo da alcune informazioni essenziali sull’allargamento dell’Europa.


In un periodo di trentotto anni, dal 1957 al 1995, la Comunità Europea ha attraversato quattro successivi allargamenti, diventando Unione europea. E’ passata da sei (Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Olanda) a nove Stati membri nel 1973 (Danimarca, Irlanda e Regno Unito), per arrivare a dieci nel 1981 (Grecia), a dodici nel 1986 (Portogallo e Spagna) ed a quindici nel 1995 (Austria, Finlandia, Svezia). A ciò va aggiunta la riunificazione della Germania completata nel 1990.

Tuttavia, nessun momento di questo processo può paragonarsi al percorso intrapreso dall’Unione europea all’inizio degli anni ’90.


Il punto di partenza è stato la caduta del muro di Berlino nell’’89, che ha dato l’avvio ad una ridefinizione dell’assetto europeo.

Nel corso degli anni ‘90 sono stati conclusi con gli otto Paesi centro-europei, così come con Malta e Cipro diversi anni prima, accordi di associazione, avviando in tal modo rapporti bilaterali tra questi Paesi e l’Unione europea.

L’Europa si allarga


Nel ‘93, il Consiglio europeo di Copenhagen ha dato concretamente il via all’attuale processo di allargamento, stabilendo i criteri necessari per divenire membri dell’Unione europea, i cosiddetti “criteri di Copenhagen”. I Paesi candidati devono garantire: una stabilità istituzionale che assicuri la democrazia; lo Stato di diritto; la tutela dei diritti umani e delle minoranze; l’esistenza di un’economia di mercato funzionante, in grado di resistere alle pressioni concorrenziali e alle forze di mercato esistenti nell’Unione; la capacità di assumersi gli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione, ivi compresa l’adesione agli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria.


L’allargamento a 10 Paesi comporterà per l’Unione un aumento di quasi il 20% in termini di popolazione: dagli attuali 380 milioni si passerà a 455 milioni di cittadini dell’Unione. A ciò corrisponderà un aumento del 23% in termini di superficie: dagli attuali 3.190.000 kmq a ben 3.930.000 kmq. L’incremento del PIL (prodotto interno lordo) si prevede pari al 5%. Per contro, aggregando i dati dei dieci nuovi Stati membri si prospetta, con l’allargamento, un inevitabile indebolimento nella sfera sociale: il tasso di disoccupazione aumenterà dall'8% al 9%; si registrerà una leggera flessione rispetto alla speranza di vita media; peggioreranno gli indicatori relativi a mortalità infantile, speranza di vita alla nascita e istruzione.


L’attuale processo di riforma dei trattati, che passa attraverso il lavoro della Convenzione europea prima, della Conferenza intergovernativa poi ridisegnerà l’architettura istituzionale, mettendola in condizione di funzionare con un numero di membri anche superiore a 25. Una Convenzione di rappresentanti istituzionali ha scritto un testo che ora una conferenza intergovernativa dovrà approvare. E’ un processo esclusivamente di vertice. Nella storia delle carte costituzionali, invece, c’è sempre stata una sede costituente eletta dal popolo, che esprimeva un mandato, un indirizzo, una prospettiva.


Nel Dicembre 2002, dopo un lungo periodo di preparazione e negoziato, è stata presa la storica decisione di consentire, nel 2004, l’ingresso nell’Unione a Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Slovenia e Ungheria; agli Stati baltici, Estonia, Lettonia e Lituania; alle isole mediterranee di Cipro e Malta. L’ingresso dei nuovi Stati membri è stato stabilito per il 1º maggio 2004, in modo da consentire anche ai cittadini dei dieci Paesi ammessi la partecipazione alle elezioni del Parlamento europeo in giugno.


L’allargamento dell’Unione segna profondamente il processo di trasformazione dei Paesi d’Europa centrale ed orientale e la conseguente fine della divisione dell’Europa in due sfere d’influenza: costituisce l’occasione storica per l’Europa di unirsi dopo secoli di profonde divisioni e lacerazioni.


La prospettiva dell’adesione all’Unione ha favorito la stabilità politica nei Paesi candidati e l’Unione europea allargata potrà contribuire ad assicurare la pace nel Continente, sostenere l’economia, creare nuove opportunità per gli investimenti e per il commercio, dunque per l’occupazione; potrà altresì potenziare per il prossimo futuro il welfare europeo che, al contrario, rischia lo smantellamento anche negli Stati dove è ancora presente.



ALLARGHIAMO I NOSTRI ORIZZONTI



C’è un risveglio di attenzione all’Europa – se ne parlerà molto anche se con diverse profondità dei discorsi – il che potrà essere per il popolo, o per i diversi popoli europei, un’importante occasione di allargamento degli orizzonti.


Ci rivolgiamo al popolo, cioè a tutti e non solo a qualche categoria particolare come intellettuali, politici, economicamente potenti, gerarchie civili ed ecclesiastiche, o in genere a quelli che contano di più. Ci rivolgiamo a tutti, in quanto sono piccoli e poveri in tanti modi diversi, e pensiamo con questo di non escludere nessuno. Si può essere piccoli anche quando, nella considerazione di molti, si è considerati grandi … benefattori o malfattori. Usiamo i termini piccoli e poveri, grandi e ricchi, ben sapendo che possono avere diversi significati; ci rimettiamo al senso comune nell’uso di queste qualifiche e, per chi crede nel Vangelo, al posto centrale che esse hanno nella rivelazione del disegno di Dio.


Allargare gli orizzonti significa superare, per quanto è possibile, il ripiegamento su se stessi, sui propri guai e sulle proprie fortune (realizzate o sognate) sul proprio piccolo mondo, sul proprio paese e sulla stessa Europa. Significa aprirsi agli orizzonti reali che abbracciano l’umanità intera nel suo divenire storico – quindi con il suo passato e il suo incerto futuro – cercando di adeguare ad essi l’orizzonte della nostra mente e del nostro cuore.


E’ necessaria una seria riflessione per rendersi conto anche degli orizzonti della cosiddetta cultura occidentale, certamente influenti su quelli del popolo europeo. La cultura occidentale ha oggi un punto di riferimento molto forte e, per altro verso, molto negativo negli Stati Uniti d’America.


Una descrizione e una valutazione della cultura occidentale è impresa che si presenta quasi impossibile, con rischi gravissimi di violente semplificazioni. Pensiamo tuttavia che qualche rilievo in proposito può essere utile e forse necessario per trovare la via dell’allargamento degli orizzonti del popolo europeo.


Accanto allo straordinario progresso tecnico e scientifico in Europa va rilevata la riduzione dell’idea di “benessere” a quella di “ben avere”: benessere come fatto puramente economico. C’è poi un grave scollamento dei singoli soggetti dalla società.

Limite gravissimo della cultura occidentale è poi la tendenziale chiusura alle altre culture ed ai loro grandi valori, anche se non accompagnati dallo sviluppo tecnico e scientifico. C’è fra noi una convinzione di essere superiori in tanti campi e di possedere il più alto livello di civiltà, mentre non sono mancati e non mancano abissi di barbarie. La globalizzazione apre i mercati, ma chiude la cultura occidentale ai valori culturali del resto del mondo. E tutto rischia di rimanere soffocato sotto la stessa cappa.


Allargare gli orizzonti significa rendersi conto e tener sempre presenti alcuni dati fondamentali e incontrovertibili su come stiamo noi e come stanno tantissimi altri. Insieme alle situazioni con i propri immensi squilibri, vanno ricercate e tenute ben presenti le cause passate e presenti delle medesime.


Uno sforzo sincero di aprirci all’umanità intera ci mette in primo luogo di fronte ad enormi disuguaglianze economiche. In maniera molto schematica, possiamo dire che un quarto degli uomini sono molto poveri, la metà degli uomini sono poveri e il restante quarto degli abitanti della terra – tra cui gli abitanti dell’Europa occidentale - sono ricchi. Questo comporta, fra l’altro, che in alcune aree del mondo le persone manchino del minimo necessario di calorie giornaliere mentre in altre parti del mondo gli esseri umani si ammalino per il troppo mangiare.

Ricchi e Poveri nel mondo


I ricchi hanno molto più potere dei poveri. Di qui una loro maggiore responsabilità nella creazione, nel mantenimento e nell’aggravamento di un ingiusto stato di cose di cui, con la ‘globalizzazione’ del mondo, tutti sono in varia misura responsabili.


I ricchi divorano la gran parte delle risorse materiali disponibili nel mondo, contribuendo in proporzione al degrado dell’ambiente. I poveri non possono usufruire in pari misura delle risorse esistenti a causa dell’accaparramento che ne fanno i ricchi, ma anche perché il loro progresso economico secondo i canoni del mondo dei ricchi comporterebbe una crescita della degradazione ambientale sufficiente a produrre una catastrofe ecologica globale.


Le aree geopolitiche dei ricchi sono assediate da poveri che le minacciano con ondate migratorie disordinate, con l’instabilità politica e militare, col terrorismo, con l’incremento demografico. I governi dei ricchi intervengono per mantenere tali minacce al disotto di un certo livello, facendosi aiutare da coloro che governano i poveri. I poveri sono vittime delle dittature, delle guerre, dei genocidi, delle migrazioni forzate, della fame, delle malattie, delle catastrofi naturali. Ai dittatori – salvo eccezioni - si consente ogni arbitrio verso i poveri a condizione che mantengano una notevole deferenza nei riguardi dei ricchi. Ma un lento acuirsi dell’ingiusto ‘ordine mondiale’ – con l’aumento della forbice economica tra ricchi e poveri e del degrado ambientale - non è neanche la peggiore delle prospettive per l’umanità. Avvenimenti piccoli o grandi, od anche insignificanti, possono innescare da un momento all’altro una qualche catastrofe planetaria – cataclisma ecologico o guerra nucleare solo per fare due esempi - capace di scardinare il sistema mondiale. Confidando che la probabilità di una catastrofe planetaria si mantenga abbastanza bassa, i ricchi ritengono di poter mantenere l’equilibrio attuale per svariati decenni – magari apportando un minimo di correttivi alla struttura globale - prima che scattino inesorabilmente i timer di disastri incombenti in grado di portare ricchi e poveri insieme alla rovina.


Nel frattempo i ricchi si propongono di concedere un credito – avarissimo - ad una parte dei poveri affinché progrediscano quel tanto che consenta un allargamento dei mercati. In questo progetto risiede anche l’autogiustificazione dei ricchi. Sta di fatto che uno sviluppo selvaggio e disarmonico ad andamento espo­nenziale dell’economia mondiale (da un prodotto globale lordo di 6.400 miliardi di dollari nel 1950 si è arrivati ad uno di 40.000 nel 2000) si accompagna al sacrificio di miliardi di esseri umani esclusi e sfruttati.



Tutto avviene all’interno di un sistema dinamico che ha una sua provvisoria solidità derivante dall’integrazione di molteplici fattori di equilibrio, come, ad esempio, le regole economiche dettate dalle grandi imprese e gli interventi, anche militari, dei governi più forti. Non è difficile vedere nell’ordine prodotto da tali strumenti un’ingiustizia ‘disumana’.


Oggi, tuttavia, si presenta a noi un’occasione per non lasciare immutata questa realtà: in vista dell’allargamento, l’Unione europea tenta di darsi una Carta Costituzionale, in cui dovrà indicare, insieme a norme ed istituzioni, anche i suoi valori e la missione che intende svolgere nel futuro del mondo.


E’ vero, molti hanno criticato lo strumento che ci si è dati per arrivare alla Carta Costituzionale. Ma questo non ci autorizza a disinteressarci di questo evento, come se non ci riguardasse: anzi, a maggior ragione, dovremmo richiedere alle istituzioni italiane, ancor prima che europee, di essere informati e di poter esprimere il nostro parere di cittadini.


E questo parere è oggi necessario, perché il progetto di Carta, messo a punto dalla Convenzione, non sembra rispondere adeguatamente alla realtà terribile di ingiustizia e di sofferenza che sopra è stata ricordata. Anche se non mancano enunciazioni programmatiche rivolte all’esterno, l’attenzione prevalente è decisamente concentrata sulla difesa della cittadella europea (vista come “spazio privilegiato della speranza umana”) sui “suoi” valori, i “suoi” interessi e diritti e il benessere dei “suoi” popoli. Ciò sembra oltre che iniquo, anche illusorio: come si fermeranno i milioni di donne e di uomini che lasciano le terre della miseria verso le terre dell’opulenza e come si risanerà lo sconvolgimento climatico senza un progetto che non sia planetario? Sarà possibile fermare l’odio crescente verso i palazzi dei popoli “avanzati”, senza un governo mondiale, improntato a giustizia, dei processi di globalizzazione? E non è chiamata l’Europa a svolgere un ruolo per questo?


Possiamo dire che tutto ciò non ci riguarda, che riguarda la “politica”, una sorta di professione di alcune persone, come ci sono i medici, gli avvocati, i muratori, i ferrotranvieri? Magari limitandoci a gettare uno sguardo sul preambolo della Carta, per vedere se sono citate le fondamenta “cristiane” dell’Europa? Sembra quasi che sia più grave l’assenza di un aggettivo che non l’assenza del ripudio della guerra, che la Costituzione italiana proclama da più di cinquant’anni.




RIPENSIAMO LA NOSTRA VITA



Questo appello ad allargare gli orizzonti è finalizzato, dunque, a un cambiamento profondo nel modo di vivere del popolo europeo. Il cambiamento è possibile come fatto riguardante le strutture e, al tempo stesso, le coscienze; come fatto personale individuale e sempre, per molti versi, comunitario.


Riteniamo che si debba sempre partire dalla coscienza dei popoli e dei singoli, da quel minimo o quel massimo di libertà per cui ognuno è chiamato a scegliere. Per questo interpelliamo tutti, uno per uno, cominciando da noi stessi firmatari convinti di non essere migliori di nessuno.


Devo riflettere su me stesso prima di pensare al gruppo e alla collettività di cui faccio parte e che probabilmente mi condiziona in larga misura. Riflettendo su tali condizionamenti capirò meglio anche me stesso.


Quanto mi interesso e mi preoccupo di come sta crescendo l’Europa, in particolare dei contenuti della futura Costituzione europea?


Qual è abitualmente il mio immaginario, cioè l’insieme delle rappresentazioni del mondo, delle fantasie e dei modelli di comportamento? Quale autonomia conservo nei confronti dello sconvolgente operato della televisione e degli altri media che stanno trasformando in spettacolo la vita?


Quali pensieri occupano ed ingombrano le mie giornate e forse parte delle mie nottate? Salute, affari, mancati riconoscimenti per quello che faccio in vari campi, problemi di chi mi è più vicino, di tutti e specialmente dei più tribolati: vecchi, bambini, ammalati, abbandonati…?


Quali sono le ansie e quali le speranze che accolgo e coltivo dentro di me per l’oggi e per il domani, per il futuro mio, di altri, dell’umanità?


La mia fatica quotidiana, la sopportazione e gli sforzi del lavoro e della ricerca, da quali obiettivi sono sostenuti? Obiettivi personali oppure riguardanti il bene di altri e quello sociale?


Come mi confronto con chi penso che stia meglio o peggio di me, con quale serena oggettività?


La mia critica – in particolare verso chi è al di sopra o al di sotto di me – quanto è animata dall’amore per la verità e contenuta dal rispetto per ogni persona umana?


Chi è oggetto della mia ammirazione fra i personaggi che vengono presentati dai media e più ancora fra le persone che incontro nella quotidianità?


Le conversazioni a cui assisto o partecipo su quali argomenti vertono nei momenti della convivialità, del lavoro, del riposo? Quale la mia conversazione nel senso forte (la conversatio latina) cioè i rapporti sociali che coltivo e di cui mi giovo?


Quanto mi fermo a pensare a chi sono e al senso della mia vita che scorre? Capisco e pratico il silenzio interiore che è condizione per cogliere lo spessore di ogni realtà e in particolare il mistero di ogni persona umana?


Se prego per ottenere delle grazie, lo faccio per me, per altri, per tutti, specialmente per quelli che ritengo più bisognosi? Se prego con il “Padre Nostro” con quale apertura mi rivolgo a Dio?


Quali sono le mie proprietà e quale animo proprietario è in me nei confronti dei beni materiali e di quelli spirituali? Quale sicurezza, conforto, ansia o preoccupazione trovo nell’essere proprietario?


Come uso dei beni materiali e spirituali di cui dispongo: diligenza nel conservarli, sobrietà, spreco, donazione e condivisione con chi ne ha più bisogno?


Qual è il mio atteggiamento mentale e operativo nei confronti della natura?



La proposta di allargare gli orizzonti è in vista di un cambiamento interiore che deve riversarsi in un cambiamento esteriore anche del proprio tenore e stile di vita.


La mancanza di riferimenti nella società attuale è per molti causa di ansia, di angoscia e di depressione: stati psichici usualmente considerati nella loro negatività, che possono tuttavia disporre a cercare i riferimenti fondamentali all’umanità intera ed a ciò che la trascende.


Negli orizzonti più vasti si può trovare quella comunione universale che aiuta a superare la depressione che è sempre in qualche modo ripiegamento su se stessi.


Per chi non è credente questi stati d’animo negativi possono aiutare a scoprire quell’umiliazione dell’intelligenza di cui parla mirabilmente Bobbio come della sua religiosità.


Per chi è credente possono essere una via alla crescita e alla purificazione della fede, che non è riducibile all’osservanza rituale della pratica religiosa.


Per chi crede in Gesù Cristo e nell’evento pasquale della Sua morte e risurrezione sono una via privilegiata per aprirsi al mistero rivelato della misericordia infinita di Dio.


Il nostro appello si rivolge a tutti, senza restringerlo ai credenti in Gesù Cristo. Riteniamo infatti che lo storico avvenimento che si compie il 1° maggio 2004 rappresenti una straordinaria, proficua occasione di dialogo tra credenti e non credenti. Ci sembra, tuttavia, necessaria una speciale considerazione delle Chiese e dei cristiani per i quali la “conversione” si presenta con una particolarissima “urgenza”.


In quali orizzonti si riceve e si trasmette il Vangelo? Quali riflessi ha sulla propria salvezza, sulla propria comunità, sulla Chiesa? Siamo convinti che la risposta a questi interrogativi non possa essere la ricerca di un’unità di azione dei cristiani in politica, finalizzata alla conquista di uno spazio nei giochi di potere. In ogni momento della vita – e, tanto più, in ogni svolta della storia (com’è il presente allargamento dell’Europa) – la luce della “notizia pasquale” ci chiama ad un’unità con tutto il mondo.


La testimonianza e l’appello dei credenti non possono che essere un prolungamento della chiamata fondamentale che è il Vangelo: chiamata all’esistenza, alla partecipazione alla vita divina, alla comunione con Gesù Cristo, verso la comunione universale: la Gerusalemme celeste che scende dal cielo dove non vi sarà più il tempio (cfr. Apocalisse 21).




I primi firmatari di questo appello fanno parte di un gruppo di amici che da tempo cerca un discernimento spirituale di quel che succede.




Franco Amatori, Pino Baldassari, Franco Battiato, Giovanni Bianchi, Marco Bonarini, Paolo Bonfanti, Mons. Giuseppe Casale (Arcivescovo Emerito di Foggia), Giulio Cascino, Aldo De Matteo, Piero Fantozzi, Pier Ugo Foscolo, Francesco Giordani, Roberto Giordani, Alberto La Porta, Ketty La Torre, Giuseppe Lodoli, Giuseppe Macrini, Giorgio Marcello, Laura Marini, Giuseppe Marucci, Anna Maria Marzano, Gianni Mattioli, Salvatore Nocera, Liborio Oddo, Massimo Panvini Rosati, Luigi Parisi, Pio Parisi, Romolo Pietrobelli, Giuliano Tonello, Giuseppe Trotta.





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